12 anni schiavo, la recensione di facciadibronzo.net, gestito da due idioti, come potrete capire, leggendo

22 Feb

Ho trovato, nel net, una recensione idiota di 12 anni schiavo.

Vi posto un estratto, che vi farà molto incazzare, come è giusto che sia.

“Voglio una vita esagerata, voglio una vita come Steve McQueen,” cantava Vasco, e sappiamo che non si riferiva al regista di questo film. Non solo perché al momento esiste un solo Steve McQueen che possa dirsi iconico nella storia dell’umanità, e non solo perché l’altro Steve McQueen all’epoca della canzone era solo un ragazzino, ma anche perché questo 12 Years A Slave di “esagerato” non ha molto.

Se volete ammazzare il cosiddetto recensore, replicate qui.

C’è un’immagine che mi sono fatto e che ogni tanto mi torna in mente. L’immagine è quella di una porta chiusa, la porta della stanza che contiene soggetti e sceneggiature pensati apposta per concorrere agli Oscar e, in questa stanza, 12 anni schiavo non ci starebbe male. Realizzare questi film significa aumentare di molto le proprie chance di partecipare e vincere, e allora ecco che tutti saltano a bordo volentieri, per un formidabile gioco di squadra che potrebbe migliorare la vita di parecchie persone. Nove nomination, e chissà che non ci scappi anche qualche statuetta il prossimo 2 marzo.

“Voglio una vita esagerata, voglio una vita come Steve McQueen,” cantava Vasco, e sappiamo che non si riferiva al regista di questo film. Non solo perché al momento esiste un solo Steve McQueen che possa dirsi iconico nella storia dell’umanità, e non solo perché l’altro Steve McQueen all’epoca della canzone era solo un ragazzino, ma anche perché questo 12 Years A Slave di “esagerato” non ha molto. Per molti il primo accostamento logico è sicuramente Django Unchained (quello sì esagerato, anche se vacuo), per via del tema della schiavitù dei neri in America, ma in realtà i due film non c’entrano quasi nulla l’uno con l’altro. Molto più vicino se mai è Schindler’s List, come meccanismo narrativo. Benché calato in un contesto storico e geografico molto differente, 12 anni schiavo sfrutta le stesse leve.

E, seppure tecnicamente ben realizzato e coinvolgente a un livello viscerale ed emotivo, complice anche l’ennesimo girotondo sonoro di Hans Zimmer, di questo schema di gioco si finisce per abusare con troppa facilità. Una condizione crudele mostrata con dovizia di particolari, un cattivo monodimensionale, collerico, schizzato e demenziale che polarizzi tutto l’odio e lo sdegno del pubblico fin dal primo battito di ciglia (là era Ralph Fiennes, qui Michael Fassbender, terzo giro di bevute per lui e McQueen), e il ritmo cadenzato dagli scoppi di collera e relative frustate e altre torture assortite. Ci sono anche un paio di riprese statiche e lunghissime sul protagonista, Chiwetel Ejiofor, di quelle pretenziose al punto giusto.

Non c’è da stupirsi quindi se, con queste premesse, il film funziona, ma non va molto oltre. Anzi, funziona proprio come effetto della poetica senza sfumature di cui è irradiato, dell’immediatezza e rozzezza della scrittura, dell’esibizionismo gratuito della violenza. Non un lavoro di fino, anche se qualcuno potrà obiettare che un tema brutale vuole una rappresentazione altrettanto brutale, ravvisando in questa equazione un picco di mirabile autorialità. Buon per loro, io rimango scettico di fronte alla monotonia e alla prevedibilità conclamate, ma ancora più scettico davanti allo stuolo di riconoscimenti che potrebbero derivarne, anche se a queste cose ormai dovremmo essere avvezzi da anni.

Per mia fortuna, i discorsi sui premi e i festival li valuto meno di zero quando si tratta di capire la reale qualità di un’opera, sono solo considerazioni di circostanza, più attinenti alla percezione della gente e alle dinamiche dell’industria, che alle volte il divertimento passa anche per la statistica. Al netto di tutto ciò, faccio fatica a immaginare che il film di McQueen possa resistere nel tempo e nella memoria molto a lungo, ma magari mi sbaglio.

 

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