Archive for November, 2014

Il nichilismo al Cinema e nella mia vita fottuta, lezione di come dovete stare al mondo e imparare dalle mie “testate”, non giornalistiche ma rudi di “botte/i” in “testicoli”


20 Nov

di Stefano Falotico

Giù la testa

Avete accattato il libro di Cronenberg, miei divorati?

Ma che volete comprare? Voi siete tizi tozzi a cui basta un maritozzo nella colazione deicampioni” e un po’ d’ipocrita leziosità per quattro racchie maestrine che, tradendovi di “pastine” e corna, v’impestano mentre io mangio il pasto nudo al pest(at)o. Madonna dell’impestata, che diavolo son diventato?

Iddio David, che sconfisse Golia, sia lodato, mangiandovi miopi con una caramellina Alpenliebe.

Ma quale Gabriella, quella scosciava e aveva un nasone da bugiardona, perché il gobbo Berlusconi gliela leggeva, non tanto alla leggera, da cui ogni analfabeta è bello a papà suo.

Imparate a leggere, bugiardoni. Partite dal bugiardino più bravo a fregarvi, Silvio.

Sì, dopo an(n)i d’impal(lin)ato, inculate a raffica a causa di fighe in case con “altri” cazzi per la testa, Dracula l’impalatore mi fa un baffo e me “lo” arriccio, altro che eleganze dei ricci e sfumature di grigio, son nero letterato a cui dei vostri bestseller importa un “fico” di quella scema non secchiona che dà sempre via ipocritamente il culetto, alla faccia di voi stronzetti che mi (mal)trattate da Qualcuno volò sul nido del cuculo.

Io volo alto e di buon alito, miei brutti (av)volt(o)i, cari miei (dis)illusi, ché penarmi per bagasce non son affari del mio “affare”. Prevedo per queste solo pene, e un’altra “presa” per il popò, “ahimè”, che dolor’.
Son pesante, un peso, un calpestato.

Abbiamo Michele Santoro che fa il tuttologo con quell’altro impotente di Travaglio, due polli politici contro il Polo, s’accaniscono vs la Destra ma a tali qualunquisti polemici… preferisco Costamagna Luisella sullo sgabello. Bella è bella e vorrei che con me “belasse” nel partito “democratico” del “fancazzismo” di mio “martello” in sua “falce” rossa ché avanti oh popolo alla (ri)scossa e dalle una “mousse” se dolce di “stracciatella” non le hai segnato una “crocetta” su La7, lasciandola licenziata dopo che, essendo Luisella una perversa, volle da me anche una “testata” di post la gran linguina allo sco(g)l(i)o della scopata “sc(r)osciante”.

Sì, sono un paraculo come pochi, miei comunisti porci. Ché, a forza di tenere il santino di Stalin in mano e a “giravi i pollici” di dar giù a chiunque nel vostro credervi Che Guevara delle guerre inesistenti, vi siete (s)posati con una destrorsacchiotta santina e personcina, che severa prima vi dà il “sederino” e poi, per farvi… cont(ent)i, vi riverisce con un triste tiramisù della sua fighetta (s)caduta nella muffa di Pannella, da cui i radicali liberi delle budella, detti fe(ga)tini amari e du’ fettuccine della mia facciona con tanto delle ciliegine sulle torte e tutta la fetta d’in(f)etto.

Internatemi, in manicomio noleggerò The Intern con De Niro e Anne Hathaway, film su un “vecchio” che lo sbatte in quel posto a quella giovincella, o(r)ca e carnivora tanto caruccia, miei ebetucci, pigliatevi questa da “ciucciotti”, statem’ boni/e voi, che mi date del lei, pensa tu in che Stato vi siete (ri)dotti, che tette, pensavate d’esservi meritate/maritati una vita “(d)a nobili posteri(ori)” e foste (s)battuti dall’arzillo Bob, uno da tè, in camicia slacciata in tiè. Altro che farle nere, “puro” neo alla Max Cady. Ti faceva male così?

Anne, di seno annamo bene, di senno no. Di seggio(lino), vai “imboccata”, inchiappettata e “segata”.

Insomma, sono atterrito da questa società terragna. Terroni, fottetevi le nordiche, sudisti, guardate un western e capire che Clint Eastwood amò i mezzogiorni di fuoco alla Sergio Leone.

Da cui Unforgiven, miei (s)freg(i)ati, e i vostri “viados” del tramonto. Sì, dopo giornate di “duro” lavoro, ve lo fate… “tosto” di nascosto, la moglie non vede, infatti vede quello di un alt(e)ro, da cui l’adulterio dei (di)versi di Uccellacci e uccellini, ah ah, miei pisellini da I soliti ignoti, le vostre notti son uno “scasso”, che spasso, che passero/a, per il mio Totò.

Evviva Pasolini!

Salutam’ a sorrata! E fu Cimin(o).

Da cui Il cacciatore e Verso il sole.

Uno in radio fa il radioso di loghi e ragionamenti (il)logici, invero, si finge amico di tutti perché la radioattività l’ha reso “elettrico” nello sparar cazzate da malato di “etero”. Sì, a forza di star nell’etere, è diventato un extraterrestre, alien(at)o, asessuato e senza sesso, né etero, né carné né pesce, le modulazioni di quelle cattive frequenze l’han raso, (ar)reso al s(u)olo del microfono e d’un paio di cuffiette a leggere le notizie per le casalinghe e ad annotar un altro morto “locale”, da cui il prendilo in (lo)culo.

Sapete che vi dico?

Di là, ho un piatto di gnocche/i di patate da metter in “fornicazione”.

Non voglio “informarmi”, sformatemi pure. Meglio essere uno sfornato che (non) esistere come voi, i deformi.

Che splendida “forma”.

Sì, sono un topo.

Meglio di voi, le zoccole.

Giù la pasta!

Hai la faccia, feccia, come il Cohle. (Borghe)sia mai si(gnor)a!


19 Nov
Ehi puttana, che cazzo fai?

Ehi puttana, che cazzo fai?

 Se rinascessi, vorrei essere un tonto per non soffrire, invece sono un genio e devo patire l’idiozia del mondo, gioendo del mio Rust Cohle e del mio “gioiello”


Incontro una donna, guarda le mie foto e sbava, sognando in “cul” suo di ciucciarmelo. Così, mi chiede subito un appuntamento, dopo avermi puntato. Agli “appuntati”, preferisco prendere appunti. Sì, quei carabinieri van sputtanati. Mettiamo i puntini sulle i, mettiamo note alle lor notti da “fiamme rosse”.

Io però la rifiuto, lei mi fiuta, pen(s)a di “accerchiarmelo” nel provocarmi ma riceve una “serena” sederata di quelle pazzesche, peggio della Monaghan nell’episodio “clou” di True Detective. Quando lei s’intrufola nel covo, non di Carcosa, ma della casa di Rust e se la “fotton” rossa. Finge sempre quella… con Harrelson lo prende pe(re)n(nement)e nel didietro, Marty la tradisce “in fallo” matrimoniale, congiunto infatti poco coniuge con quella “semi-minorenne” maggiorata, e chissà da quanto non gode la nostra “mostra?”. Così, a tarda notte, vuol esser messa in “bianco” da quella faccia di cazzo di Cohle, il lupo nero. Va da lui, gli s’inginocchia metaforicamente, “mortificata”, presto pestata, “conficcata”, altro che confettini, “pregandolo” affinché “gliela” (s)pieghi perché non l’ha “capita”. Al che, Rust, si rompe le palle di tal frustrata-depressa-frigida, una rotta in culo come poche porche, e le dà una botta di quelle che non si scor(d)ano. Lei lo bacia “delicatamente”, quindi lui tentenna e dunque, “innalzatosi” secco su strabuzzato anch’egli sul “moscio” umorale, divien ancor più “duro” e “tosto” di “nascosto”. Eccolo lì, bello e “aizzante”, arzillo l’uccellino scivola bricconcello nel buchin’ e la farfallina birichina urla ancor di più da battona nel cucinotto, insomma una alla Cucinotta Maria Grazia, ché sembrava santa e invece, con du’ tette così, a bestia, puttana devi esser’. Tutto messo, basta con le suorine da mess(alin)e. Michelle di grande uncell’ scopata “vien” quasi svenuta nel “casino” della casina peperina, un po’ di sano peperoncino non tanto “svenevole” ma assai “rizzato”. “Spazzolata” e quindi buttata a terra, nel sen(s)o che Rust, dopo essersela sbattuta liscio, “vellutato” da vero rude che non ci pen(s)a due volte, la macella psicologicamente e la manda ancor a fanculo.

Sì, quella… una mezza scema, cosa potete aspettarvi dalle (im)piegate amministranti i cazzi loro?

Sempre “fottute”, nel tirarsele di tailleur (s)tirato su, sempre più su “tirartelo” ché ti sembrano Cristina Parodi su La7, non portan neppur la terza eppur scosciano, diciamocela…, son delle scocciatrici. Sì, con donne con le “palle” così, la vita in “diretta-dritto” diventa pallosa. Ma quale Giorgio Gori?! Vi faccio il “ricamo”, il ghirigoro!

Parlan da palloni/e gonfiate e in verità voglion solo “gonfiartelo” più di quelle sui vi(t)ali. Evviva la Rai!

Carosello mio! Zoccole così stanno al potere e le brave donne invece vengon fottute da Lilli Gruber che “smanetta” di (stilogra)fica a cinquant’an(n)i sonati.

Di “mio”, me ne fotto.

Sì, meglio lasciar perdere, il desiderio… c’è ma io vivo in un altro mondo, scrivo libri e sono eremitico, oramai i rapporti col prossimo mi tediano, angosciano, mi provocano stati enormemente ansiogeni e non ho punto voglia di soffrire né per amore né, mascherandomi, per dar conto della mia anima a chicchessia, privilegio uno stato brado, amniotico, liquido, congiunto, giudicatemi unto e (in)felicemente non unito a voi, gli untori, con la serenità della mia trascendenza, ripugno le carnalità, il sesso (in)teso in ogni (a)lato, ché dei culi me ne fotto e, da queste ridanciane allegrie (s)porche, voglio star (re)moto in me anomalo, alien(at)o, fottutamente per i cazzi miei. Si fotta(no)!

Con me, si può solo conversare di Cinema, di poesia e letteratura. Del resto, delle aspirazioni, dei sudori, delle lenzuola riscaldate dai membri (a)sociali in cerca di consolazione da tal mondo di pene, sì, mi st(i)a (lont)ano.

Nessuna amnistia, s’inculasse la borghesia. E quella signora veda di non rompermi le palle, altrimenti le sarà “coglione” di spaccarle la faccia e pur la figa di legno con colpi di “acacia” perché alle (bag)asce preferisco le mie notti alla dia(vol)accio.

Volete aiutarmi? Ma perché non ve ne andate?

Cioè, queste donne m’han traumatizzato talmente tanto che ora son in “carrozzina”.

Basta(rde)! Portami via, Marty, da queste luc(c)i(ole), basta con queste “selve oscure”, rivoglio la mia oscurità.

Prima non capivo un cazzo, spegnete la luce!

 

Sì, Pizzolatto è diventato famoso per aver scoperto l’acqua calda.

Divenuto celebre col monologo da lui scritto dell’episodio 3, “La camera blindata”. Da mongoli/ne d’oro

Quello in cui Rust sostiene che la vita è solo uno stato mentale.

L’aveva già detto Andy Warhol, Pizzolatto… hai scoperto l’acqua calda.

Di mio, continuo a preferire la pizza.

E, se non ti sta bene, beccati queste pazze. Se non stan bene neppure a te, du’ pizze in compagnia e suoniamole.

 

 

di Stefano Falotico

Federico Frusciante è un recensore nazista dei film?


19 Nov

Federico Frusciante

Provocazione di oggi. A me sta venendo un forte, lancinante, atroce, terribile dubbio che non mi fa prendere sonno. Notando che Fede inserisce, da mesi a questa parte, i voti e le stellette da lui assegnati ai film visti, ad alcuni non dà il visto, sia messo per inciso, temo che tale suo atteggiamento sia la (non) dichiarata espressione (in)conscia di un suo implicitamente ammetter(ci) che si è imborghesito. Sì, far vademecum catalogante dei film, alla manier(istic)a dei dizionari, è un comportamento sfacciatamente borghese. E ciò tosto mi rattrista.
No, Fede, non perderti in banali, didattiche classificazioni e non assegnare anche tu i voti. Ti vogliamo ghezzianamente te stesso, non diventarci un semplice, non necessario votante. Lasciamo le palette agli X-Factor e tali cagate di sorta ai reality. Tu meriti altro e John Carpenter, ricorda, i voti ai film non dà mai. Il seme della follia!

De Niro a Roma per omaggiare suo padre, Remembering the Artist Robert De Niro, Sr.


18 Nov

De Niro Artist

From Sentieri Selvaggi

Il documentario ripercorre la vita e la carriera di uno dei pittori figurativi più eclettici del secondo dopoguerra attraverso diari privati, interviste a familiari ed esperti d’arte, immagini di repertorio e soprattutto il ricordo di un figlio che rimpiange di non aver mai dato il giusto peso all’opera del padre e di non essergli stato accanto durante la malattia.

Robert De Niro ha presentato, in anteprima al MAXXI di Roma, il documentario Remembering the Artist Robert De Niro, Sr., dedicato alla memoria di suo padre, pittore figurativo dalle grandi ambizioni ossessionato da un successo mai raggiunto e da un’omosessualità vissuta nel silenzio e nella disperazione.

Dalla formazione nella scuola estiva di Hans Hoffmann, dove conosce Virginia Admiral, sua futura moglie e madre di Robert, all’esposizione alla galleria di Peggy Guggenheim insieme a Jackson Pollock, Mark Rothko e Robert Motherwell, fino al soggiorno a Parigi negli anni ’60, che gli permette di maturare uno stile sempre più personale e distante dai movimenti artistici del periodo come la pop art e il minimalismo, il film ripercorre la vita e la carriera di De Niro attraverso diari privati, interviste a familiari ed esperti d’arte, immagini di repertorio, e soprattutto il ricordo di un figlio che rimpiange di non aver mai dato il giusto peso all’opera del padre e di non essergli stato accanto durante la malattia: “All’inizio il progetto non mirava a una diffusione al grande pubblico, poi è diventato qualcosa di più ampio”, hanno dichiarato i registi Perri Peltz e Geeta Gandbhir. “Abbiamo cercato di raccontare la storia di un padre e al tempo stesso di uno degli artisti più eclettici del secondo dopoguerra”. Il documentario, proiettato al Sundance Film Festival, andrà in onda su Sky Arte HD domenica 28 dicembre.

 

Perché ha scelto di realizzare questo film?
Per portare avanti l’eredità di mio padre e perché l’ho sentito come qualcosa che gli dovevo. Ho mantenuto il suo studio per far vedere ai miei figli e ai miei nipoti cosa il loro nonno, e bisnonno, è stato in grado di fare.

Perché suo padre non è riuscito a ottenere un vasto consenso?
Penso che sia stata una combinazione di tanti elementi, come il fattore temporale e la presenza di altri movimenti artistici. Questo indica che si può essere bravi anche se non si arriva a un ampio successo. Mio padre ha ottenuto fama con i suoi pari e con il pubblico, ma non quello che meritava davvero.

Come ha vissuto la scoperta dell’omosessualità di suo padre?
Non ne sapevo nulla da piccolo, l’ho scoperto da adulto. Mio padre non me ne aveva mai parlato, era un uomo di un’altra generazione.

Com’è venuto in possesso dei diari di suo padre?
Dopo la dipartita di mio padre, sono andato nel suo studio insieme ai miei collaboratori che hanno archiviato il materiale presente. Io non ho letto tutti i suoi diari. I produttori del film mi hanno chiesto se ero disposto a leggere alcuni brani che avevano selezionato. Leggerò i diari quando arriverà il momento giusto, probabilmente lo faranno prima i miei figli.

Qual è stato il rapporto di suo padre nei confronti del suo mestiere di attore?
Mio padre non faceva molti commenti a riguardo e raramente ne parlavamo. Ogni tanto diceva qualcosa, ma non a me. Lo stesso facevo io nei confronti della sua arte. Amo la sua pittura, posseggo solo dipinti di mio padre che espongo a casa mia, nei miei ristoranti e hotel.

Ha pensato di dirigere questo documentario?
In realtà no. Se l’avessi fatto sarebbe stato molto diverso. Comunque ho dato il mio contributo alla realizzazione.

L’esperienza artistica di suo padre l’ha condizionata nella sua carriera?
Penso che crescere in una famiglia di artisti abbia influito un minimo nel mio percorso. Chi entra in questo mondo, di solito, lo fa per sfuggire a una vita soffocante, a una famiglia classica o comunque per esprimere sé stessi. Nel mio caso sono stati i miei genitori, che si sono trasferiti a New York per esprimere loro stessi. Sono un loro prodotto. Quando ho detto loro che volevo fare l’attore non mi hanno scoraggiato. E credo che la cosa più importante sia fare ciò che si ama.

Si è mai sentito in colpa per aver avuto più successo di suo padre e per non essergli stato accanto durante la malattia?
Non ho sensi di colpa. Ero consapevole di questo fatto. Lui era molto orgoglioso di me, anche se tra di noi c’erano sentimenti misti. Da parte mia posso dire di essere stato molto fortunato ad aver avuto successo. Per quanto riguarda la malattia, quando siamo andati dal medico non è stato molto delicato nel descriverci le conseguenze. Mio padre era terrorizzato all’idea di doverla affrontare. Io l’ho spinto a farlo, forse non abbastanza. Col senno di poi l’avrei dovuto forzare ad andare agli appuntamenti, accompagnandolo io stesso invece di chiamarlo al telefono. Magari sarebbe ancora qui con noi.

C’è un quadro di suo padre a cui è affezionato?
Ci sono quadri che adoro, ma non riesco a sceglierne uno.

Se le chiedessero di interpretare suo padre in un film, accetterebbe?
Mi hanno chiesto se volessi scrivere un’opera teatrale sulla vita di mio padre, ma per ora ho detto no.

De Niro Sr.

 

Nel rapporto con i suoi figli sente di somigliare a suo padre?
Ci sono similitudini ma sono troppo personali per parlarne. Sicuramente mio padre era molto affettuoso e io lo sono nei confronti dei miei figli.

Nei suoi film ha interpretato spesso il ruolo del padre, anche in modo iconico. Ci ha mai messo qualcosa di suo padre?
Come attore c’è sempre qualcosa di tuo, lo fanno quasi tutti gli attori, personalizzano il ruolo, attingono dalla propria esperienza di vita per renderlo specifico.

 

Interstellar review


17 Nov

Mi guardo allo specchio, “spacco”, sono un incrocio fra Johnny Depp e questo Pattinson così “rasato” di (c)rapa e credo di meritare la mia faccia da “cu(cu)lo”


17 Nov

CASAMIGOS+Tequila+Hollywood+Film+Awards+Os0Y2plXS2ol

Non so se avete seguito la diciottesima edizione degli Hollywood Film Awards, manifestazione annuale, anzi “anale”, come dico io, in cui il teenagerismo la fa da padrone/a-matrona, riverendo le star cool, quelle che han più soldi e gran cul’, inteso in sen(s)o “altamente” (a)lato, (s)fig(urat)o di sfacciata “faccetta” fortunatissima da Gastone della Disney, “sfondato” di danari e “tutte” ai cui (at)tori, di lor “culi” da sfigate, sognano di dargliele…, non mi riferisco alle palate ma alle botte di “patatone”, delle “mostre” insomma all’insegna del “fig(liol)o” presentatore maggiormente “tronista”, un po’ “troia/e”, presenzialista/i di bell’aspetto e “pettissimo” in “f(u)ori”, che fiore(llini), falli(te) e farfallino/e, su sfog(gi)ante appar(isc)enza scatenante il “luccichio” negli occhi delle (ra)gazze palindrome, quelle dalle pizzette in puzzone e peti di puzzette, “ambiziose” a desiderar i cazzi “rispettivi”, “scaldanti” di “t(ermos)ifo(ne)”, le tardone che si “sciolgono”, “gocciolanti”, dinanzi a (co)tanti maschietti, alle quali quaglie anelan di “ciucciarli”, inumidendole più del “muschio” delle zone “selvatiche” delle tundre australiane, da cui i “canguri”, famosi mammiferi coccolati dalle “mamme(lle)” e tutte le o(r)che plaudenti gli squa(g)l(iat)i ambiti, lambiti manco per il cazzo, minchia che (s)figa, oserei dire, con osé sbavante i “rossetti”, quelle… più sc(r)oscianti, (in)felicemente di pene(trante) pendendo dalle labbra nel volerli gustar a lor “slabbrate” già “aperte” in tutto (ac)coglierli in “flagrante”, nella frust(r)ata “incarnazione” delle racchie “fragrantissime”, non frenanti ma “sfrenate” a “toccarsele” da tocche e poco tocchi di (g)nocche (s)crocc(hi)anti, “donne” che, “volenti” o nolenti soprattutto, lo piglieranno sempre in quel posto, cioè nel posteriore e non posson sedere… neanche in “diretta” nei posti di prima fila perché son le ultime “fighe”, desideranti che quell’attore di retto (mezzo)busto sia in mezzo a lor “(d)ritto” e invece si beccheranno sol la boccuccia delle represse sul (di)vano d’una casina (s)vuota(ta), rimanendo con un “casino” d’ormoni scombussolati, (s)fottute a mo’ di cagnoline domestiche e (s)battute a (lo)culo di quattro mura da (o)nan(istich)e.

In “alto” le mani, sì, “sollevatele” e fate clap clap al Depp Johnny e al bel Pattinson, ragazzo a cui volete aprir la patta. Robert non accetterà mai il “patto” della vostra patata ma v’inchiappetterà, donandovi “al massimo” un’amicizia lunga e “dandolo” (da) “lungo” a donne migliori di lingua.

Care coglione, eppur se li taglia…, “indossando” questo caschetto “tirato su” di gel(o) simil Tutti pazzi per mary.

Un look da “cascamor(t)e”, da marinaio per le (ciam)belle, da “mariuolo” Mery per sempre, essendosi i (cap)pel(l)i strappati per copione… di (s)cena e specie… di “cerniere”. Stava infatti girando il film Idol’s Eye, in cui doveva interpretare un ladro che si fotteva Rachel Weisz ma, pen(s)ando di fottere De Niro, fu fottuto da vero cazz(ut)o. Che gioiello, che occhio! Le riprese son state cancellate, voi donne invece mai ve lo prenderete perché non ci sarà nessuna (ri)presa, pigliatevelo, e Pattinson (ci) è rimasto secco, allampanato, con questi occhi strabuzzati, languidi e ten(d)enti però ancor al “duro” album(e), insomma, neanche nel finale di Cosmopolis appariva più “agghiacciante” da “Non se po’ vede’… ma ancor me lo farei, gli si vuol bene, è bono, ammazza, questo te (di)strugge, da letto di chiodi su bulbo a(tt)izzante, che galletto, noi donne siam galeotte e molto galline fan brodo di giuggiole su (u)gole spappolate d’orgasmi auto-erotici e spacc(i)ate non tanto eroiche”…

Quindi, mi guardo allo specchio. Assomiglio a Pattinson e pure a Johnny Depp.

Controllo quanti soldi ho nel portafogli. Non tante banconote sfoglio. Sì, son povero in “canne”, come dico io. No, non me le “faccio”… ma(i) fumato erba in vitarella mia. Insomma, le donne voglion lo stesso il mio ca(na)rino eppur non son una stella e non son da stalla.

Prevedo il suicidio, me la son succhiata, e voglio, che matta voglia, piazzare, che pazzo, un “colpo” in canna del mio bang, poco da “Ciak” e molto da Crack, non la droga omonima, bensì il mio cranio che farà anche cric…

Buon “grilletto” a tutti/e.

Questa si chiama (s)porca “sparata”.

“Finiamola/e” così:

alla pastura delle “pecorine”, ho sempre preferito il pastore del mio “bastone” nella ca(mpa)gna.

E, a tali tosat(ur)e da lan(guid)e, il mio “cane” da Gaetano Rino.

Berta filava!

Tu, ringhi?

 

di Stefano Falotico

 

Robert+Pattinson+Backstage+18th+Annual+Hollywood+s3gqlpg_UAEl

 

 

 

Un cesso di De Niro enigmatico in stile Falotico pensieroso


16 Nov

Preferirò sempre essere un poeta coi miei scritti e la sigaretta in mano, piuttosto che entrare nel porcile. Se mi giudicherete un (c)esso, so di (non) esserlo. Buona non vita a te, che capisci solo di cazzi, e buona troie a quella zoccola di tua sorella, nata da suo fratello, un troione.

Tre sorelle di Anton Čechov e Gianluca Marzani


15 Nov

Gianluca Marzani Tre sorelle

Ecco la splendida recita teatrale del celeberrimo dramma di Anton Čechov, qui recitato da questa bravissima, affiatatissima compagnia di attori, fra i quali spicca e primeggia il mio grande, istrionico amico Gianluca Marzani, in arte glm, fervido appassionato inoltre di Cinema, come attestato appunto in tal nick da lui utilizzato sul sito FilmTV.it, in cui, senza inutili attestati né superflue referenze, ma con sanissima passione viscerale e furente, inserisce magiche recensioni personalissime, opinioni e post brillantissimi, contribuendo così, in modo stupefacente, ad arricchire la Settima Arte, dispensando saggezze imperdibili, pillole proprio cinefile da fantasioso architetto delle sue strambe bizzarrie lessicali senza nessun limite, frutto dello scibile suo impareggiabile, folle, liberissimo, creativo, immensamente autentico in quanto Gian è eterno, tremendamente, bellissima-mente sempre sé stesso, rifiuta i luoghi comuni, rompe gli schemi vetusti e noiosamente tradizionalistici col suo far innovativo, pindarico, fenomenale davvero. Imprendibile e lucente. Che magnificenza!

Dunque, tornando alla trasposizione della famosa opera immortale di Čechov da parte di questa fantastica compagnia coraggiosa e intraprendente, ammiriamo, incens(iam)o di lodi il nostro Marzani Gianluca.

Gustiamoci e godiamo Gian che sfog(gi)a una grande interpretazione.
Gianluca Marzani, qui in forma ribalda, splendida, da titan(ic)o Čebutikyn, il dottor nichilista delle sue rabbie alcoliche, a oltranza fancazzista nella vita reale, lui, regalmente qui servito in magnetico show che, dal minuto 59, spacca gli avversari, da assoluto dominatore della s-cena. Attore di raro prodigio e sofisticato puntiglio, interprete prodigo al suo e solo suo Metodo, immenso pagliaccio alla Belushi. Incontenibile!

Nessun lo può fermare, irrefrenabile recita con far ferino e magnetico, mangia tutti, imbattibile, di (ca)risma inoppugnabile, tagliente agguanta le parole del maestro Anton da ruspante, nostrano russo in terra italica. Non è uno scalzacane come tanti sopravvalutati cani italiani, ma un vero gatto del palcoscenico che, con scarpe simil stivali, cammina felpato a nitore della sua ugola adirata, ridente e quasi ballando, Marzani non è un attore di marzapane, ma un tosto di gran classe.

Egli insaporisce lo spettacolo teatrale e sa(le)!

Applauso!

E ricordate: il mio ring è la strada.

Ma soprattutto: se io posso cambiare, e voi potete cambiare, tutto il mondo può cambiare, ma io non cambio.

Mi piace vivere da folle col cappello da cappellaio.

 


Ah ah!

Interstellar? Di mio, preferisco la “Via Lattea”. Battiato? No, sono Batman con le catwomen che mi allattano


14 Nov

Interstellar McConaughey

Interstellar e alle vostre illusioni “spaziali”, preferisco le “stelline” della mia vita di “buchi neri”, in quanto “ermetico” d’irresistibili orbite” oculari, ammiccante d’iridi scure, a “schiarir” tutte le donne frust(r)ate, anzi, oculato tutto inculante, spalmante, fra solari amplessi e universali stronz(at)e, incantato da come incaute mi rendon scatenato, tirandomi le orecchie da SpockStar TrekMah, a Leonard Nimoy, ho sempre preferito il limone e al melone, che sei tu, i pompelmi. Son spocchioso, lei mi fa il succhiotto, pure il sugo oltre al filo, adocchio e poi lecco… Lei mi tocca… il pomo, quindi, spingendo fa la salsa di pomodoro in me che la gusto di saliva, a te invece non sale più, dolcemente in Eva e poi in Anna, di ano tutto l’anno, il “mio” alla grande va, alla faccia d’un (im)piegato e di mio culo alla segretaria che nasconderà tal “segre(ga)to” al marito cornificato, mentre di “tiramisù” timbro il cartellino di pelle e ti espello. Le spelo nel peletto di pisello. Tu, dal disgusto, mi sputi e io non getto però la “spugna”, assorbendomene un’altra. Adult(er)a e milf, ecco il fall(it)o che non t’aspettavi, il quale, mie “quaglie”, questa società, che sogna la fantascienza, sputtana, volando “basso” a “innalzato”, infil(z)ato vol(t)o da sberlone… nel quagliarle di “squa(g)l(iat)o”. Voi, invece, avete il corto… fiato e d’ernia agl’iati fate… vomitare. Cari porcellini, spolverate quelle di porcellana. Dammi una “penna” e, di “Verga”, le sarò “Malavoglia”, non perché non mi vuole ma perché ancor più bene, nonostante le diedi pene e poco “vino”, io mi fotterò una ancora e ancora alt(r)e, lievitando di “burro” dopo una birretta, mentre lei piangerà il mio “duro” tanto amante, diamine, le fui di amianto, oramai di sborra mia in una tutta “sol(id)a” non molto adamantina per farla “incazzare” di brut(t)o e di (s)monta(ta) panna, sapendomi fra le cos(c)e d’una non in periodo mestruante e quindi disponibile ai miei giochi basculanti, “tutto” spingente in lei pun(i)ta mentre voi andate a “pute” di pugnette. Ingrassando, come se foste incinte/i. Ma che allacciare le cinture?

Slacciatelo! Ma quali ghiacciai!

Sì, difficile battere il mio “zoccolo”, sempre meglio che votare per il tricolore, in questo Paese son tutti “santi, poeti e navigatori”, tutti “eccitati” appena esce Nolan ma io noto che la lor notte sta (a)scendendo sempre più in crisi nera, eh già, siete cazzoni amari, incoscienti, sul mio scoccarlo a un’altra che scoscia per venir… imbiancata di “bagn(at)o” oceanico, titanico e di titanio, marinando le vostre regole fottute, sempre nei (rim)pianti e vai piano e vai poco (lont)ano,che scoccianti più di Cocciante, ecco, io di cocc(i)o rendo le donne dolci come i cachi, frutti prelibati di polpe rosse alle poppe succhianti, miei piantagrane, io sono quindi melograno, grammo dopo grammo del lib(e)rarlo, placidamente va a “razzo” eppur non eiacula precoce, nonostante sian fighe galattiche, non da vibratori per frigide, e a voi questo brucia perché a me arde a fuoco “lento” del cuocer’ strapazzandole, cari uomini da sveltine, siete delle uova e, a forza di riempirvi la testa di cazzate “intellettuali”, non i testicoli (s)premete nel “vuoto”, mentre io lecco il femminile menisco e tu, di meningi, non ottieni proprio una minchia, neppure la tua, “partita” da un pezzo da pazzo qual sei. Sì, mi scoreggi e fai le puzze perché mi consideri (s)porco, allora, per altra (stra)fottenza irriverente, ti porgo una “riverenza”, ti chiamo Reverendo e ti cucino una pizza a mo’ d’altre capricciose della tua crosta secca.

Domenica, segui il Papa, eh? Mi raccomando, stai ai posti dei (tele)comandi. Io intanto me la pappo ai posteriori. Al tuo balcone, preferisco il balconcino. Da cui il tuo esser sbiancato, attaccato al muro come un posterone. Fammi la faccetta. Sì, continui a dann(eggi)arti perché il moralismo t’ha infornato nella malinconia più da compresse. Invece, io mi prendo pure, col purè”, delle represse, loro mi danno le pazze che sono, ma è meglio una ninfomane oggi di una tua “femmina” vera.

Sì, a forza di “elevarti”, ti sei (in)castrato e, al “massimo”, dunque tuo minimo storico, poco “stoico”, raccatterai una che canta oltre alle gambe c’è di più.

A esserle sincero, poco “signore”, io vedo soltanto una racchia. Di uccelli, sta messa male, anche il suo cervello non mi stim(ol)a.

Avete notato? Quelle brutte la buttan sui “neuroni”. Ah, per forza. Danno a tutti/e delle buttane ma io le butterei e basta(rdo), non le sbatterei nemmeno se dovessi bruciarmi l’uccello, volevo “ardere”, no, dire cerv(ell)o.

Sì, pigliati l’ultimo film di Nolan e un libricino di (d)istruzioni, io mi rendo sempre più “libero”.

Mi piscerete e, da intellettuali della minchia, ve ne scompiscerete. Sì, pisciandomi, continuate a capire un cazzo e a tirarvela. Sappiatelo: può anche tirare, ma finirete a stirare.

Di suo, McConaughey è sposato, di mio son più bello e dubito che mi spos(s)erete.

Questo si chiama (s)pompato.

Allora, è nata una stella?

No, uno stallone…

Sempre meglio che finir come Battiato…

Un rincoglionito a trent’anni, di suo, Franco non credo abbia mai usato il “pipistrello”.

Di mio, ora vado a cagare, per oggi ho già (t)rombato troppo.

Morale della fav(ol)a: dopo anni di “evoluzione”, gli uomini scopano meno di quand’erano scimmie e sognano di più, rimanendo con un pugno di mosche(e) nelle città “religiosamente” democratiche, “spiritualmente” razzisti a voler i musulmani fuori dai coglioni ma pagando una magrebina affinché renda la lor vita meno magra, sì, scelgono l’“accompagnatrice” da portar al cinemino perché, se v’andassero con una bella “bambina”, li prenderebbero per bimbi-minchioni.

Così, in questo “spielberghiano” fottersi a vicenda, io me ne fotto.

Buona (s)cena.

Trovo una di buon culo che vorrebbe vedere Interstellar ma non ho bisogno di farla sognare nel darle da guardar le stelle. Me la faccio nella stalla e lei vede oltre…

Da cui L’infinito di Leopardi.

Famoso e affamato, grande testa… di cazzo.

Giacomo però rimembrava Silvia, poco dandoglielo nella “selva”, di “mio”, son un “membro” diverso dai soliti depressi.

E va in “sella”.

Vai di ca(mpa)gna pubblicitaria, meglio le cagne pubiche.

Ricordate: Balle spaziali è più bello.

 

di Stefano Falotico

De Niro è Frozen, io sono freddo, tu sei nella bambina calda che (di)segna la tua (f)alce?


14 Nov

Robert+De+Niro+Stars+Disney+Ice+Presents+Frozen+1GjtxE-YYpOl

Poesia d’un eterno uomo stand by me

Nostalgia incarnata, incatenami perpetuamente nel nostalgico torpore che sciogliersi non vuole, sì, così duole ma io non mi voglio, tu non mi vuoi, e il volere non è potere, chi afferma il contrario, ecco, può andare a prenderselo in quel posto, cioè nel plateale sedile posteriore del su(in)o guardarla sempre a posteriori, facendosene… una ragione della “regione” (s)fottente, da fottere assolutamente, d’un falso “proiettarsi” (in) avanti, meglio invece il (di)dietro, ché dello scendere a patti e a “patte” di “quelli” con le (s)palle nel mai addolorarsi a fin(t)i “ficcati”, del non desiderar la sacra “sofferenza” per bugiarda scappatoia e un’altra squal(lid)a scop(pi)ata, assai mi rattrista, van presi a sassi, semmai pure “assassinati”.

Adoro quel film, Assassins, la storia di due stronzi che se lo fanno a vicenda, e son arme letali solo per “mirar” la Moore, bella donna, ma Donne(r)… suvvia. Questa frase è una boiata, sempre meglio della tua “bona” vita. Sì, siete dei morti viventi, mai vis(su)ti, quindi non foste sebben andiate alle feste, non sarete e non pretendete di stare da qualche parte, e il  vostro “godere” è, a mia vi(s)ta, a mio avvisto e non dar voi nessun vis(t)o, non vi do neanche del lei, non darmi del tu, non sono vostro amico, tuo, donna, non sarò, ecco(lo), questo non gode, (non) è niente, vita non è vedere, ancor più controproducente, deleteria, stupida, doppiamente addolorante consolazione, ché chi non ha rimpianti è solo un fantasma , io mi sven(tr)o mai davvero vivendo neppur (s)vend(endol)o, mai sentì e, detestando il g(i)usto del sanissimo piangersi addosso, la puttanesca vita sputerà solo sul prossimo in quanto di sé vive la superficie del lasciar che scorra “a culo”, mentre con me stes(s)so, “placidamente torment(at)o” di addo(r)me(ntato), persevero, ostinato e masochisticamente “godendo” da saccente, da sal(i)ente del dolce, saggio viaggiar, sì, presto la mia anima ritornò furente, nel vento scalpitando, da scalfita, arrossita, intimidita, da tante paure grandiosa-mente risorta, gemette e, dai gemiti inascoltati d’un gelo che parve interminabile, oggi si riasse(s)ta, eppur mai trovo tutt’or pace né dottori e nemmeno voglio l’or(t)o, ripudio la serenità, questo sentimento così da tanti inseguito, illusoriamente asserisco io, perché reputo la calma e la pacatezza soltanto un alibi consolatorio d’una ricerca utopica dell’inattingibile felicità, ché la felicità perenne non (r)esiste ed è dunque sol la parvenza mentitrice del sé più ingannevole nel rifuggire dal vero dell’essere, anzi, dai “vetri” degl inevitabili, inne(r)vati, piccoli grandi dolori permanenti. Che tanto vi scheggiano quanto v’illudete, appunto e “(r)affinati”, d’asciugar d’ogni ferita.

Meglio i vol(t)i pindarici e riscender in “basso”, tra “magnifiche” periferie fatiscenti. Ma quali psichiatrie e (fanta)scienze. Adoro la mia vera pulsione da “barbone”, io stesso, ancor prima che voi possiate (s)pos(s)sarmi, mi emargino. E non voglio rimarginami. Ancor più m’emarginerete, urlando “Man(na)g(g)ia!”.

Ma io vi bevo e incontro Rino. Abita sempre in Via Agucchi, è un cucco, un cocco, uno di cu(cu)lo parato, oppure è soltanto uno senza un soldo che, rivolgendosi all’assistenza sociale, “allieta” le sue (r)esistenti (scon)fitte con l’illusione, eccola là…, dell’underground solidarietà in “marc(i)a” di tanti altri “(ri)dotti(si)” a solidarizzar da “polli”, politici, un(g)endosi “ver(d)i” nel radical part(it)o del loro polar esser nostalgici come in Solaris e addio Sole ma vai di “Margherita?”. Uomini Cocci(ante). Falce e martello, un altro matto impazza nelle p(i)azze, lo accusano, per (in)castrarlo, di esser manesco perché l’accusa di mani(a)co l’ha (ar)reso sol più “duro”.

Ecco i fascisti, i razzisti che davvero credono che a Milano tutto funzioni, invece anche lì non funziona un cazzo.

Alcuni, allora, in preda al panico, d’attacchi da Robespierre, incitano alla Rivoluzione, intanto metton incinta una sicula scimmia come Cita. Lei partorisce il figlio, s’intuisce subito che non sarà un figo alla Tarzan, ché oggi van di moda i selvaggi, allora, di comun accordo, col marito “matto”, la “sana” porta il fe(ga)to ai centri di salute mentale, poi va in centro, facendo shopping con una che ama il centrino. E, in questo centrarsi, io che c’entro? Taglia e cucimi la bocca se (ri)esci. Stai dentro? Coglione!

Lui entra, “penetrante” scappa e scivola, mentre tu sei una schiappa. Mangiati una scaloppina e quindi al galoppo, fra groppi e in gola delle grappe, un’altra (v)u(l)vetta passera… e la volpe col suo “grappolo” che tifa Roma, mentre una lupa va col lupo ed è, secondo me, (preferi)bile una birra di buon luppolo. Grappini, comunisti, tappi, un altro topo, e tutto va a zoccole.

Sì, l’inizio era poetico, poi abbiam “sbandato”, si chiama sbraco. Che sbadato.

Ho sba(di)gliato. Ci ho preso?

Si chiama stronzo.

E lo stronzo si reca al bar. Vede una scema che gioca a carte con un nonnetto. Porge al nonno uno schiaffo e lo consegna al becchino, si becca la sberla di bocca e bocchino, quindi le dà la nona di Beethoven, mentre lei glielo fa partire in quinta nell’Arancia meccanica d’una macchinetta automa(tica), distribuente a voi dei caffè amari e a me la sua schiuma, zuccherandola liscia di “espresso”, sbavante, sbrodolandole, liso, di ass(o) a getto(ni).

Dunque, con altri cessi la/o getta. Tirandoselo/a con altre sciacquette.

Sciacquatela!

Insomma, era, è e sempre sarà una puttana.

Sono un uomo “assorbente”. Lei me lo sorbisce, tu beccati il sorbetto.

Sorbole!

Che faccia da culo. Anche voi (non) ce l’avete, mer(de).

Evviva gli Asinelli!

Non ha sen(s)o, fate i seni?

 

di Stefano Falotico

Genius-Pop

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