Archive for February, 2018

Siamo tutti dei clown, e si volteggia anche fra Wonder Woman con portamento da Clint e “punitore” dei moralisti e dei tonti


17 Feb

Shannon Tweed Clint+Eastwood+Clint+Eastwood+Jimmy+Kimmel+_A7jt6iGRwdl

Society molto strana. La gente attacca Attacco al treno, poi non capisco perché si attacchi alle piccine(rie).

Sì, piccini e Pulcinella. Ma la grandezza di Eastwood non va messa in discussione altrimenti prenderemo i detrattori e li obbligheremo a guidare solo i trattori. L’altra sera, invece, ero in trattoria e ho meditato sul mondo, applicando diverse mentali traiettorie. La mia mente, si sa, sfarfalla, gira e salta, alle volte stanca si adagia, va adagio e poi mal si arrangia, mannaggia, eppur soavemente si accascia. E gusta le cosce… di pollo o del mio ammirare Gal Gadot, planando di occhi giammai mesti sulla “durezza” che potrebbe nascere in quella succosa morbidezza. Sì, che lietezza “penetrare” in quella Wonder Woman, e volare “alti” di erotismo lontano dal moralismo.

Sì, io credo di essere un uomo di cultura eppure dinanzi alle gambe di Gal mi squaglio, qualcosa “densamente” fa sì che “scremi” la verità virile dalla retorica femminista. E non capisco un cazzo, o forse il mio sì. E osservo con far da voyeur un po’ volpino, solleticandomi di piccante baldanza del mio cor(po) ignudo, senza retorica, eppur “svuotato”. Ah ah.

Sì, lo ammetto, mi avete scoperto, son stato sempre un amante… dello “spogliatoio”. E tutte poco scopo eppur d’immaginazione bella-mente scopro.

A fine anni novanta, mi fissai e “lo” issai per la magnifica bionda Shannon Tweed, ed era auto-erotismo che del suo peccato “capitale” non si adontava eppur “ridondante” sguazzava ondeggiante… montante. Allegretto-andante.

Sì, la moglie di Gene Simmons, sebbene sia stata sempre rifatta, volevo farmela. Ero un collezionista dei suoi softcore molto “pimpanti”, soprattutto pippanti, in cui esibiva le sue poppe in “pompa magna”. Magnetica, sì, ah ah. Più che altro, stimolante una mano poco etica eppur godente quella splendida, statuaria estetica in maniera eretta, sciogliendosi… dirimpetto a quei “pettorali” che scendevan a valle, avvallando il mio puntarle il retto, stando ritto… di mira sulle sue colline tondeggianti. Come marinavo io gli obblighi dinanzi a quell’oceano di bontà cazzeggiante, lo sa solo il Cristo. E un giorno dovrò raccontargli che me la spassavo alla grande, un glande ripassato. Diciamo…

Sì, che cazzone… imbattibile, eppur mai son stato con delle battone, ma non batto la fiacca, sì, c’è gente presa, anzi, in modo masturbatorio, “rappresa” dalla figa e gente che si esalterà se Gary Oldman vincerà l’oscar. A ognuno la statuetta che merita. A me le belle statuine son sempre piaciute… A cui, eh che culi, “innalzarsi” in gloria, sì, io speravo sinceramente di elevarlo in maniera gol(os)a.

Rimasi a mezza strada, cercarono di (in)castrarmi ma ancor tira, ed è scomparsa anche l’ira. Tutto si aggiusta, e spero che “tutto” possa entrare o “inserirsi”, senza scorciatoie o vie traverse, in modo sghembo purché sia “collocato produttivamente” fra le gambe. Sì, di me tutto, appunto, senza punti, si può dire tranne che sia uno da canzoni di Annalisa… Non mi piacciono le melasse, vado “dritto” al sodo.

Concreto, tosto, come Clint. Quasi reazionario, non credo fascista ma in quelle… sfasciato. Senza (f)iato.

E, nonostante le stronzate che dico, il fascino classico di Eastwood mi appartiene.

Insomma, un uomo che ascolta Springsteen, un uomo Nebraska, un uomo al gelo eppur uccello… libero.

Ah ah.

Ma dove lo trovate uno “schizzato” più fuori di me, eppur spiritoso, gioviale, “fluviale?”.

Sì, proprio un fiume in pen…

 

– Falotico, ma lo sa che lei è l’emblema della sfiga e della fighetta incarnata?

– Sì, e tu lo sai che tua moglie è una zoccola?

– Come si permette?

– Mi permetto di dirlo perché lo so… Ho appurato con mano in maniera pura.

 

Freddura da uomo “monco”.

E ricordate: non sono un esodato, ma un “esondato”.

Sì, sono uno da Aspettando Godot. Ma intanto me la Gadot!

 

di Stefano Falotico

 

Punisher

di Stefano Falotico

 

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TRUE CRIME, Clint Eastwood, 1999, (c) Warner Brothers

TRUE CRIME, Clint Eastwood, 1999, (c) Warner Brothers

 

Per un mondo migliore, il 4 Marzo vota la lista Falotico, uomo contro ogni luogo comune, insomma, uno non da comunali e pettegole comunelle


13 Feb

Pop Bowie Mosca

 

Ecco il mio programma elettorale. Bando alle ciance.

Innanzitutto, la sera prima delle elezioni, riguardate i film di Jim Jarmusch e, incantandovi in minimalista poesia amabile, il vostro cuore ne gioverà e sensibilmente, toccati emotivamente nell’animo da istanze più positive e romantiche, andrete alle urne rinnovati, dunque saprete ove mettere la crocetta. Prima, fate un esame delle urine!

Ora, mi presento, sebbene alcuni mi conoscono bene, o forse fingono di conoscermi.

La mia strada, spesso solitaria, è stata travagliata quanto un parto dalla sofferenza acutissima, eppur mai mi arresi dinanzi alle false illazioni sul mio conto. In quanto, nel bene e nel male, son amante del coito, con buona pace dei miei detrattori che sostengono che sappia amare solo me stesso. Devo dire la verità. Amo meglio da steso. Sì, quando sei sdraiato a schiena all’ingiù, lei ti cavalca e tu devi solo avercelo duro. Sì, a me far fatica non è mai piaciuto. Dunque, per una società che se la goda, propugno l’emancipazione da ogni tipo di lavoro fustigante, castrante e anchilosante. Viviamo in una società ove l’avanzamento tecnologico permette a chiunque di usare la mente, e dunque basta con questi lavori manuali, aprite la coscienza e scrivete storie fantastiche. Non addoloratevi in quest’immensa falsità dell’inserimento lavorativo. Dobbiamo smetterla di guardare al prossimo come un “elemento” produttivo, ché già la parola elemento elementarizza invero la complessità delle nostre grandiose potenzialità. Non siamo nati per produrre “industrialmente”, ma per vivere piacevolmente, gustando la lietezza del nostro passaggio in questa Terra per far fruttare la meraviglia d’idee brillanti. Dunque ben vengano i “pazzi”, i sognatori, coloro che non si pensano e penano come automi e pezzi di una catena di montaggio frustrante, che logora i nostri io profondi e ci appiattisce in dimensioni squallidamente mortificanti, in cui veniamo giudicati, valutati e quindi livellati solo secondo la nostra “efficienza” capitalistica. Stringiamoci le mani e rimbocchiamoci le maniche soltanto per rendere la vita un’esperienza irripetibile. Non si nasce per lavorare come coglioni, per sposarci con una donna che non amiamo solo perché gli altri possano dire che siamo “brave” persone, si nasce per essere. Dunque esplorate il vostro sangue, fatelo schizzare, issatevi in progetti che magnifichino la bellezza del contemplare, l’estasi madornale dello stare e non del ricattatorio “fare”. Non è una cultura, la mia, né negazionista del sistema e neppure nichilista, neanche fancazzista. È la visione sana del mondo. Anche un po’ santa. Quanti giovani ancora dobbiamo far soffrire dietro false induzioni meramente scolastiche, dietro indottrinamenti fascisti, tesi solo a voler oscenamente controllare le stratificazioni splendenti del nostro sentire vivo, del nostro patire, ripartire, emozionarci con calore e puro candore?

Quello che ho capito è che la gente che ti vuole male ne avrà sempre una per demoralizzarti, per spegnere le tue pulsioni, per castigare la nostra spontaneità, per irreggimentarla in facili giudizi legati soltanto all’apparenza e all’orrendo culto dell’esteriorità. Semmai, da adolescente, eri ritroso e rifiutavi la compagnia dei tuoi coetanei perché indubbiamente erano dei cretini. Così ti prendesti le peggiori e più derisorie patenti, ti dissero che eri afflitto da fobie sociali, che eri inetto, e non sapevi affrontare la realtà.

La realtà, amici cari, la costruiamo noi. E se la realtà dei nostri padri è stata una realtà piena zeppa di regole assurde, demagogiche e stupidamente “pedagogiche”, ben vengano gli artisti, che fan cambiare le mentalità, che si prodigano e si sacrificano per ideali superiori, per volontà ecumeniche di pace ed eguaglianza. Perciò, se qualche stronzo vi darà del fallito, del mentecatto, dello sfigato e del perdente, c’è una sola soluzione con una merda di questo genere. Mandatelo a fanculo e, se preferirà un film di Muccino a Heat di Michael Mann, chiamate un centro di salute mentale e curatelo a base di pellicole di William Friedkin.

Voi, che avete creduto di essere diversi, non avete mai pensato che la vostra diversità è un privilegio, una forma mentale e psichica elevata, superiore all’andazzo carnascialesco e puttanesco di un mondo porcellesco? E che le vostre malinconie sono solo l’avamposto di un punto di vista più sofisticato? Meno aderente alla putrescente realtà figlia di puttana?

Edgar Allan Poe era “pazzo”, Martin Scorsese è “aggressivo” nei suoi film, e perfino David Bowie preferiva scoparsi una nerona piuttosto che una scema col cervello proteso alle smancerie e alle melensaggini figlie della dolcezza più finta.

Insomma, leggete qualche mio libro. Alla fine della lettura, la vostra mente avrà esperito sensazioni che avranno dilatato la coscienza, così come Lynch ha reso il mescolar realtà e finzione qualcosa di stupendamente delirante.

Il resto è questo critico che andrebbe preso e sedato!

E ricordate: Qualcosa è cambiato è secondo me un capolavoro. Che classe quel “matto” di Nicholson!

E, tornando ai programmi elettorali, io una bella botta a Tiziana Panella gliela darei.

Il resto sono chiacchiere paracule.

 

di Stefano Falotico, incurabile, non inculabile, sostanzialmente unico

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Tiziana Panella

The Disaster Artist od Orson Welles-Ed Wood deniriano: la mia performance in Euridice nel tempo di un attimo, vedere questo “reperto” per credere


12 Feb

Femme Publique

 

Sì, quanti anni son passati e, da allora, il mio cervello visse attimi che non raccomando a nessuno. Eppure quella purezza di allora è incontrovertibile. Vi mostro un video che ho caricato proprio oggi, non in elenco, estratto dal canale ufficiale YouTube del suo autore. Lo posto io perché, si sa, le cose altrui potrebbero cancellarsi e dunque mi piace conservarle nel mio archivio, anche dei ricordi, delle piacevoli bizzarrie personali, di quei trascorsi irrimediabilmente ingenui da lasciare comunque il segno.

Credo fosse l’anno 2005, circa, giù di lì. E sicuramente fu un anno per me miracolistico, oserei dire. Dopo un periodo immemorabile di buio, di ansietà immani, di notti scambiate per giorno, di vampiristiche depressioni allucinanti ma giammai comunque allucinatorie, eccomi a ridanzar nella vita, con esuberanza quasi cafona e spigliata armonia di superate “fissità” del mio adolescente ancor burrascoso, inquieto e talvolta inquietante, strano, lunatico ma romanticamente lindo nell’anima come potrebbe esser chi, nuovamente catapultato nella realtà giornaliera, rivede ancor il mondo nella sua fresca giovialità, disancorandosi da tante indubbie melanconie glaciali di un me, ripeto, maestro dell’atimia, ringalluzzitosi in maniera ruspante, come lo spumante tenuto in frigorifero che ribolle effervescente, schizzando… dappertutto, bagnando di euforia contagiosa anime, come la mia, empaticamente fervide di emozioni.

Ora, riguardiamo questo “film”. Vi racconterò il dietro le quinte, e di aneddoti romanzerò quel mio balenar baluginante in tanta spontaneità innocente, quasi patetica. Ah, candori irripetibili, che rimpiango nella mesta consapevolezza del mio presente così farlocco, ancor balzano, saltellante di qua e di là con far però mai da furfante ma da (ele)fantino sempre dirompente nella sua sincerità magniloquente e alle volte indisponente. Il Sole, in questo video, tramonta a levante o a ponente? Mah.

Sì, conobbi il Romano grazie ai miei scritti, pubblicati su FilmTv.it. Lui, affascinato dalla mia prosa folle ma saggia, cercò il mio contatto telefonico e m’invitò a casa sua. Presi su la macchina e c’incontrammo al casello di Padova. Poi, mi disse di seguirlo e mi ospitò nella sua magione. Sì, ricordo che indossava un maglione. O era Estate? Qui il mio rimembrar sfarfalla…

Da buoni amici, ci frequentammo puntualmente, e lui veniva a trovare me e io andavo da lui. Parlavamo dei nostri “dissenna(n)ti” progetti. Quindi, un bel giorno si comprò una videocamera e decise di girare un cortometraggio. Nelle ore precedenti, anche se forse fu prima, perdonate l’incertezza della mia labile memoria, mi fece il lavaggio del cervello col Cinema di Andrzej Żuławski e mi costrinse a rivedere, pur avendolo io già visto, Amour braque – Amore balordo. Sì, era ossessionato, alla pari della sua ammirazione maniacale per Brian De Palma, da questo regista. Tant’è vero che il suo nickname era Lucas Kesling, ben memore de La femme publique. Peraltro, rimanga fra noi, non credo si offenderà se qui gli rammento che l’idolo imbattibile e non “sbattuto” delle sue fantasie erotiche, proprio Valérie Kaprisky, lo consumava in onanismi “normalissimi”. Spesso “vulcanici” e incontenibili!

Ebbene, mi obbligò a studiare la parte, e non dormii la notte, si fa per dire… Il giorno dopo andai sul set…,
cioè il mini-ambulatorio casalingo del padre. Nelle ore antecedenti avevamo “filmato” scorci paesaggistici a base di steppa, campagna, arbusti, rovi e qualche inquadratura sghemba parimenti “distorta” come le nostri menti bislacche.

Il resto è quello che vedete. La mia recitazione, possiamo dircelo in tutta onestà, è acerba, per non dire pessima, anche se, nonostante il lungo bulbo crespo e già sfiorente, è “ravvisabile” un certo carisma alla Bob De Niro che c’è, indubitabilmente, eh eh, e sono da annotare anche alcune mie “speciali” inflessioni emiliano-meridionali fra il Totò più verace e un ragazzotto che si capisce è cresciuto con tagliatelle al ragù e la “panna montata” dei suoi neuroni intrecciati come tortellini raffinati. No, dico, riguardiamo il min 3 e 46 quando Falotico, cioè il qui presente-assente, con sfacciata sfrontatezza e faccia tostissima afferra il coltello e orgogliosamente inveisce sul “maledetto”. Cult istantaneo! Ah ah.

E perché mai la ragazza si spoglia e rimane in costume da bagno? Sì, invero il Romano morbosamente desiderava “ardentemente” un nudo integrale, ma lei si negò e la nudità fu parziale, assolutamente casta.

Quindi, il Romano, nel finale ha voluto fare qualcosa di “geniale”, giocando col tema del doppio, dell’occhio registico che guarda, “pugnala” lo spettatore, che è al contempo amante e voyeur. Demoni…

 

Insomma, perché poi nel piano sequenza a tre si vedono le mutande del mio antagonista?

Su questo dubbio, la vita va!

Cantore, villico, falso!

Eh, si capisce…

 

di Stefano Falotico

 

Ore 15:17 – Attacco al treno, recensione di Antisistema, utente di FilmTv


12 Feb

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Visto che porto l’avatar di questo mito del cinema, direi che è giunto il momento che parli finalmente di qualche film di Clint Eastwood, che a oggi volenti o nolenti resta il miglior regista vivente che ci sia ad Hollywood, nonostante gli sparuti detrattori che da American Sniper in poi stanno aumentando sempre più.

Con Ore 15:17 – Attacco al Treno, il regista conclude la trilogia filmica dedicata agli eroi recenti della storia americana; e tutto si può dire di quest’opera tranne che sia un brutto film come la gran parte della critica mondiale ignorante (in primis quella americana) vuole farci credere. Il massacro critico è presto spiegato, come i ben informati sanno, il signor Clint Eastwood sin dagli anni 50 è un sostenitore dichiarato del partito Repubblicano (è registrato come elettore), che ha sempre sostenuto in prima persona (anche con cospicui finanziamenti), e non da ultimo, ha dato il suo appoggio a Donald Trump. Ora da quando questo controverso presidente è riuscito a salire alla Casa Bianca, la reazione delle élite della cultura critica cinematogafica e di Hollywood è stata di totale chiusura verso questa novità. Tutto questo ha portato nell’ultimo anno a una repressione da parte della critica di tutti i film che non seguissero certi dettami come : il politicamente corretto, il femminismo, adeguata rappresentazione delle minoranze etniche, favore verso i diritti civili etc… in sostanza la solita solfa sterile di idee di sinistra… ma rigorosamente quella educata e “borghese” (chi spiega a questi geni che se non si raggiunge in primis una prequazione economica, i diritti che in astratto avrei non potrei ma farli valere nel concreto?). Il cinema di Hollywood oramai (quello impegnato in primis, ma anche il mainstream), sembra essersi ridotto per lo più a sterili spottoni di propaganda sulle pari opportunità e sui diritti civili affrontati in modo scolastico e con pensierini da terza elementare. Non dovrebbe stupire quindi che un regista, il cui cinema sin dagli anni 70 trae molta forza dalla rabbia, dall’insoddisfazione e dalla rappresentazione della lacerazione degli Stati Uniti, venga accolto molto male con questo film che non si preoccupa di seguire alcuna moda imperante del pensiero ed affronta in modo controverso la trattazione della materia in questione.

Affrontata questa doverosa premessa; c’è da dire che la trama è molto semplice e stringata, nonché nota poiché tratta da un fatto di cronaca molto recente e a cui è stato data ampio risalto.

Skarlatos, Stone e Sadler; sono tre ragazzi (i primi due sono anche militari in licenza) in vacanza nelle capitali europee che, durante un viaggio in treno verso Parigi, si troveranno loro malgrado ad affrontare e a sventare un attentato terroristico di un affiliato dell’ISIS.

 

Il film è semplice, schietto e diretto; questi tre giovani sono di forte ideologia Repubblicana e Clint Eastwood senza alcun timore reverenziale ce lo sbatte subito in faccia. Stringatezza e essenzialità nella narrazione della storia sono i due elementi cardini su cui si fonda quest’opera, che inizia dall’infanzia dei tre giovani per poi mostrarci di tanto in tanto dei flashforward dell’attentato al Treno del 21 Agosto 2015. Skarlatos, Stone e Sadler (Eastwood si focalizza specialmente sulla figura del secondo), sono tre giovani percepiti sin da piccoli come “anormali” e poco disciplinati. La loro vita è pura frustrazione per via di una società che punta a inculcare idee senza però spiegare il perché di esse (in primis i valori religiosi della scuola cristiana in cui i nostri tre ragazzini fanno parte). L’unico collante che li unisce è per assurdo la guerra… infatti passano lunghi pomeriggi a giocare a essa che, lungi però all’essere vista come demoniaca, è l’unico elemento che consente a questi tre ragazzini emarginati dal sistema di fare del cameratismo tra loro.

Come detto in precedenza, il cinema di Clint Eastwood sin dalle origini (e anche in veste puramente di attore) è cinema fatto di rabbia contro qualcosa o qualcuno… le istituzioni, i politici, la società, certe idee finto progressiste utopiche etc… ed Eastwood con quest’opera mette in piena luce tutto questo. Scegliendo di far interpretare il film ai veri protagonisti della vicenda reale, il regista cerca un’urgenza espressivo-formale che dei veri attori non avrebbero mai potuto dargli. Quello che la critica ha scambiato per appiattimento, semplificazione e inespressività degli attori, non è altro che la messa in scena della vita vera in tutto e per tutto. Per Eastwood i veri eroi non sono quelli che la Marvel ci vuole propinare con i suoi esseri fascisti di plastica e cartapesta, né gente dall’alta integrità morale e ideologica che spopolano in tanti biopic celebrativi (anche degli ultimi anni purtroppo); ma l’eroe per il regista è chi riesce a reagire immediatamente (anche incoscientemente) innanzi a un problema di grave entità e riesce ad affrontare in modo pragmatico quanto diretto tutti problemi della vita che sembrano volerti solo stendere. Interessante il discorso sull’immagine che il regista ultra-ottantenne riesce a compiere (e qua si collega alla TV di American Sniper che mostra le immagini dell’attentato alle Torri Gemelle) nella seconda parte di film molto criticata, dedita al turismo.

La vita di questi giovani e della loro generazione è fatta di immagini e indottrinamento tramite di esse. L’unico modo di potersi sentire qualcuno è replicare battute di film di scarso valore come quelle del Gladiatore nel Colosseo, oppure fare continui selfie (autoscatti) per condividere le proprie foto con gli altri… è l’immagine di sé che conta e non l’esperienza che si sta vivendo. In questo modo, questa generazione di esseri anonimi, pensa di poter uscire dalla massificazione egualitaria a cui sembra condannata, pensando di trovare la propria affermazione nel mare magnum della rete. Non a caso la regia, nella parte turistica del film, fa molto uso di stereotipi buttati in faccia allo spettatore e riprese tipiche da video condiviso da Instagram. Una generazione superficiale di americani che quando vanno in vacanza sono sempre i soliti cafoni (che poi per inciso, quando vado in vacanza, in un posto mai visto, vedo i monumenti, non è che vado nei luoghi quotidiani… sennò che viaggio a fare), che pensano che tutto ruoti intorno a loro e che la storia sia stata fatta da loro (un sapiente uso dell’ironia da parte della guida tedesca a Berlino fa capire che non è per niente così perché in effetti gli americani si prendono tutti i meriti, anche quelli che non sono i propri… come dire… se vi sono registi che pomposamente e didascalicamente celebrano gli Usa, il nostro vecchio Clint con una maestria da veterano demolisce il suo paese con una battuta politicamente scorretta).

In tutto questo vissuto normale di quotidianità vacanziera, il protagonista Stone ci dice ad un certo punto che forse pensa di poter essere destinato a qualcosa di più, ma è una riflessione giovanile superficiale, che viene subito derisa dal suo amico Sadler; ma la ripresa panoramica di Venezia fa capire come in realtà ognuno di noi, pur essendo interconnesso in un flusso vitale (in questo caso i calli di Venezia), cerca di trovare il modo di potersi realizzare uscendo da esso. A Eastwood non interessa il momento del treno, quello è un episodio che casualmente faceva parte del flusso della vita dei nostri tre amici e in cui, partendo da un semplice viaggio quotidiano, sono riusciti a salvare la vita a tante persone. Inoltre al regista non interessa minimamente creare momenti memorabili, perché tre amici che vanno in vacanza si comportano veramente così e non c’è bisogno di forzare l’espressività dei protagonisti, né di romanzare qualcosa dietro a questo viaggio e né di rendere il tutto artificioso con la recitazione di veri attori che, pur immedesimandosi nei veri protagonisti, non potranno mai far vivere la vera esperienza di quell’evento. In sostanza Clint Eastwood fa sembrare con questa sua scelta artistica invecchiati all’istante molti biopic contemporanei che puzzano di classicismo obsoleto, vecchio e stantio. Questi tre ragazzi (più un’altra persona) sono dei veri eroi; perché in quel preciso momento non c’era un’ideologia politica da difendere o quant’altro, ma si doveva solo agire e basta. Non c’è bisogno di approfondire il personaggio del terrorista di cui Eastwood sino all’ultimo non ci mostra il volto, poiché il pericolo è rappresentato da chiunque e ci passa accanto nella nostra vita e noi neanche ce ne accorgiamo (illuminante la scena del tizio di colore nel treno, e di fuori c’è il terrorista che tranquillamente cammina con il trolley). Un attentato sventato in modo secco, asciutto e senza retorica enfatica… realismo estremo e nessuna costruzione… non siamo assistendo alla recitazione, ma ciò che vediamo è un vero pezzo di vita. Il terrorista è solo un invasato che voleva fare una strage e saggiamente Eastwood non si addentra in una stupida quanto razzista critica contro i musulmani (l’ISIS viene citato di sfuggita da Skarlatoa in una conversazione internet… tutto viaggia verso il mare magnum della rete).

Che potrei aggiungere… l’ennesimo grande film di Clint Eastwood demolito da un’ignorante critica tesa a esaltare prodottini ordinari e demolire i veri film di qualità come questo… ce ne faremo una ragione e chi apprezza il vero cinema se lo saprà godere tranquillamente.

Sono un ottimista, quando dormo


11 Feb

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Eddie Brock (Tom Hardy) in Columbia Pictures' VEMON.

Eddie Brock (Tom Hardy) in Columbia Pictures’ VEMON.

Sì, la realtà è abominevole, è qualcosa da cui gli uomini dotati di intelletto devono starci lontani. E gustarsi dei bei sogni a letto. Ah, i letti. Ricordate: le notti in bianco sono meglio di quelle in branco, e le donne sono esseri che ti dissanguano, succhiano il miele e anche “qualcos’altro, e poi vanno in bagno a pulirsi, lasciandoti nudo dopo averti spogliato.

Oggi, su Facebook uno ha scritto che non vede l’ora di ubriacarsi di nuovo e limonare la sua bella. Di mio, mi basta il Limoncello, bevanda meno aspra del retrogusto amaro delle “trombate”…

Aspettatevi sempre di riceverle, anche se sarete invitati a un ricevimento. Se fosse per me, la crescita demografica non esisterebbe e sarebbe un arido censimento, essendo io uno che non abbisogna dei “tamponamenti”. Eh sì, state sempre a tamponare qualcuna, a tampinarla, di bocca tapparla se dopo l’orgasmo vi prende in quel posto. E allora comunque nascono i figli, scaraventati in questo mondo oggi dominato dalle citazioni su Facebook, ove ogni uomo medio, con tanto di sfondo “colorato”, elargisce quotidianamente perle di “saggezza” ad altri porci, calmando i suoi spiriti bollenti nell’istante di quel post fugace come la sua anima poco rapace. Sì, siamo pieni d’incapaci. Ah, che “godimento”, vero, ricevere i famosi Mi piace. Una magra consolazione per una patetica condivisione. E condividendo ecco che spopolano i dementi, e tutti si sentono re per 15 secondi di celebrità triste quanto il trailer di Venom, l’unico trailer su un “mostro” che non vediamo, perché non hanno avuto tempo per ricrearlo a computer, in cui però sentiamo solo la voce di Adriano Giannini che recita delle banalità dostoevskiane degne del teenagerismo più scioccamente ruffiano. Sul Giannini ho molte riserve. Doppiò talmente “bene” McConaughey in True Detective che ad ascoltarlo mi venne sonno. Sì, questo qui fa la voce del duro stereotipato, e carica le sue corde vocali d’intonazioni sfumate quanto un film di Andy Warhol. Cioè di una monotonia emozionale da lasciar senza parole. Sì, stia zitto questo Adriano e impari a usar la voce come Celentano, uomo scimmiesco d’ignoranza fenomenale e qualità attoriali da asilo infantile eppur “carismatico” di sfacciataggine imbattibile.

Sì, in Italia abbiamo l’Ambra Angiolini, una che s’è messa con Allegro Massimiliano, allenatore che se la deve vedere con la città del Maschio Angiolino, cioè con la squadra del presidente più “intellettuale” del “belpaese”, De Laurentiis, uno che col pizzetto “snob” vuol farci credere che è un produttore cinematografico, quando invero è solo uno che fa soldi grazie a De Sica Christian.

Ma d’altronde tu segui la Liga Spagnola o la f… svedese? Sì, scommettiamo sulla vittoria del Barcelona, e diamo il Pallone d’oro a Ronaldo Cristiano, mentre perderete un’altra bolletta della SNAI e i calciatori vivranno in ville di lusso. Voi invece avrete una vita piena di “lussazioni”.

Ah, poi c’è la lussuria. Le donne, sempre loro, non lo dicono ma amano essere molto “amate”, basta che l’uomo che “amano” abbia i soldi, e stanno con te. Sì, infatti non ho mai capito tanto la differenza fra una pornoattrice e una meretrice e una “seria col cervello” che sta con Berlusconi. Una viene considerata la feccia, l’altra una presentabile faccia. Quasi “votabile”. Che poi è vero, infatti in Parlamento è pieno di puttanoni.

Tutti sono presi dalla progettualità. Son sempre impegnati, e lavorano, lavorano, lavorano, tant’è vero che aspettano la domenica per “divertirsi”, giocando a tombola. Insomma, persone già nella tomba, vite davvero “eccezionali”, ma sono “brave” persone, infatti hanno tutti i dvd dei film di Muccino Gabriele. Ho detto tutto…

Mah, sarà. Hanno accusato Kevin Spacey di avere una predilezione troppo “pronunciata” per i ragazzini, invece Piccolo Grande Amore del Baglioni è considerata una canzone “dolce”…

 

Quella sua maglietta fina

Tanto stretta al punto che mi immaginavo tutto


E quell’aria da bambina

Che non gliel’ho detto mai ma io ci andavo matto…

 

Di mio, talvolta mangio i tortellini della Fini.

Non so se sono fine e se è la fine, non m’impiccherò con una fune ma ho una faccia da culo come quella di de Funès.

 

Sempre meglio di Bova.

 

Sono un cinico, sì, ma amo il Cinema di Michael Mann.

 

Miei bovari, sembro di emozioni avaro, ma non bisogno del VAR per sapere se in un bar ci sono i bari.

Alle volte, ci sono anche i baresi assieme alle donne bavaresi.

E su questa stronzata permettetemi di andare ora a cagare. Che indigestione!

 

di Stefano Falotico

Le tatoué Year: 1968 Director: Denys de La Patellière Louis de Funès

Le tatoué
Year: 1968
Director: Denys de La Patellière
Louis de Funès

 

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Ore 15:17 – Attacco al treno secondo Stanze di Cinema


10 Feb

Attacco al treno Eastwood

Arrivato alle soglie dei novant’anni, Clint Eastwood ha deciso, con i suoi ultimi tre film, di ritornare su uno dei temi chiave della sua riflessione di regista, raccontando l’eroismo inconsapevole dell’uomo comune, di chi al momento giusto decide di agire, di prendere in mano il proprio destino e quello degli altri.

E se Hollywood dopo il crollo delle torri si è sempre più focalizzata sui superuomini in calzamaglia e maschera, Eastwood ha deciso di raccontare una faccia diversa dell’american way.

Come sempre nelle sue riflessioni, l’ideale libertario e l’individualismo di stampo liberale e ottocentesco hanno un peso che si declina diversamente a seconda del momento storico e degli accenti che Eastwood intende porre al suo discorso.

E allora ogni tanto sembra spostarsi più a destra come nel patriottico e semplicistico American Sniper, oppure più a sinistra quando racconta il desiderio di fare la cosa giusta a prescindere dalle buone regole, imposte dalle istituzioni, come in Sully.

In questo nuovo film Ore 15:17 – Attacco al treno, sceglie di mettere in scena la storia vera di tre amici di Sacramento, in viaggio alla scoperta dell’Europa, capaci di sventare un attentato terroristico sul treno da Amsterdam a Parigi, il 21 agosto 2015.

Due dei tre sono soldati di stanza nel Vecchio Continente, Spencer e Alek, un terzo, Anthony, è invece arrivato dagli Stati Uniti, apposta per passare una vacanza indimenticabile, con gli amici d’infanzia.

I tre ragazzi sono i protagonisti anche del film. Eastwood ha scelto di affidare a loro i ruoli principali del suo film.

È una scelta non nuova nella storia del cinema, ma piuttosto inconsueta all’interno dell’industria americana, dove il professionismo impera.

La sceneggiatura di Dorothy Blyskal è tratta dal libro che i tre hanno scritto per raccontare la loro storia.

Il film però non è un thriller sul treno, ma grazie a lunghi flashback, racconta l’incontro dei tre alle scuole medie cattoliche, la loro amicizia, la separazione dovuta alle diverse scelte delle loro famiglie.

Seguiamo in particolare Spencer nel suo tentativo di arruolarsi negli aviotrasportati, i suoi sacrifici, i fallimenti.

E poi seguiamo i tre nelle tappe del loro viaggio europeo. Prima Roma, quindi Venezia, Berlino, Amsterdam.

L’attacco al treno occupa solo l’ultimo quarto di un film breve, lineare, che cerca di evitare la retorica, in nome di un minimalismo assoluto.

Eastwood prosciuga ancora il suo stile, sceglie la semplicità più radicale, che fin dalla scelta di un gruppo di non-attori spinge il suo film verso un’essenzialità che forse non farà contento il suo pubblico, ma che invece racconta bene la sua idea di cinema.

Non siamo di fronte ad uno dei suoi film migliori, questo va riconosciuto: la sceneggiatura ha qualche buco, qualche caduta di tono, cerca di costruire attorno ai protagonisti una storia che forse va cercata più nelle pieghe del racconto che non nel suo sviluppo esplicito.

Eppure Eastwood, come accade spesso nel suo cinema, disattende ogni premessa e ogni illusione.

Il romanticismo, con cui Spencer e Alek immaginano la guerra e la vita del soldato, si scontra con una realtà tutta diversa: il primo scartato dalla burocrazia e costretto a imparare a cucire e fare l’infermiere, come addestramento alla sopravvivenza, il secondo da solo in Afghanistan a chattare via skype con gli amici lontani, isolato in un posto di cui non frega più niente a nessuno, perché il nemico ora è cambiato ed ha le forme sfuggenti dell’ISIS.

Non c’è più un territorio da conquistare, un campo su cui misurarsi, un obiettivo a cui dedicare il proprio coraggio. Come gli dice una guida turistica a Berlino, sarebbe ora di finirla anche di raccontare la Storia dal punto di vista del pensiero dominante americano.

È appunto nelle pieghe di questo Ore 15:17 che il cinema di Eastwood si manifesta più chiaramente e la storia semplice e lineare non è davvero così diretta, come sembrava all’inizio.

Anche nel finale all’Eliseo, con il vero Francois Hollande, la malinconia e l’anti-retorica prevalgono sulla celebrazione, in un film lontanissimo da ogni cinismo, che continua ad interrogarsi sulla natura umana, sui suoi motivi, sui sentimenti che la muovono.

Ore 15:17 – Attacco al treno, la questione Eastwood


10 Feb

Attacco al treno

L’ultimo film del Maestro fa discutere, la Critica in maniera pressoché unanime l’ha stroncato, definendolo il peggior film in assoluto della sua comunque indiscutibile carriera. E fioccano gli insulti, tutte le ombre che Eastwood aveva cancellato attorno alla sua persona “equivoca” e ambigua ecco che rifioccano. E la gente, in maniera unforgiven, si accanisce, coprendolo di vergogna. Io risparmio il mio giudizio a visione avvenuta che, in quanto ancora non successa e credo che accadrà Lunedì pomeriggio, non può esternare il suo parere.

Mi limito a osservare questo costernante bombardamento senza precedenti, rimanendo basito. Sì, io, essere vagante e alle volte vacante ma giammai vacuo, che ho elevato la perplessità a mio sguardo sul mondo, che è sempre suscettibile di dubbi, qui copio-incollo alcune recensioni che mi hanno indotto a pensare. E pensare non fa male, amici che sparate a zero, sentenziate con faciloneria degna dell’Inquisizione più mendace, e oscurantisti votate Salvini per un mondo poco fraterno ma invero, vi dico, assai ostile alla convivenza pacifica e al rispetto democratico delle opinioni che possono turbarvi.

Titolo originale: The 15:17 to Paris, durata 1h e 34 min

 

Mi duole il cuore vedere come un regista che mi ha emozionato decine di volte con i suoi film riesca a fare qualcosa di così atroce come Ore 15:17 – Attacco al treno.

Nonostante il nome altisonante di un Maestro come Clint Eastwood, non posso difendere un lavoro talmente retorico, reazionario, razzista e così modesto nella messinscena e nella narrazione da far accapponare la pelle.

Un film che passa costantemente il messaggio che la guerra sia una cosa bella e giusta non merita rispetto.

 

di Sharif Meghdoud, mio contatto Facebook, abrasivo, pungente, alle volte nullafacente, in qualche ora del giorno dormiente, come tutti

 

“Ore 15:17 – Attacco al treno” di Clint Eastwood, in sala da oggi, è purtroppo una sonora e spiazzante delusione.

È come trovarsi di fronte a un film di Eastwood privato della grandezza di Eastwood, un’operazione dove la “retorica” e il “patriottismo” connaturati e incorporati al suo cinema (qui, purtroppo, sono senza virgolette) non fanno i conti con le zone d’ombra che da sempre lo abitano e lo rendono grande.

Come nel caso dell’automa Chris Kyle di “American Sniper”, il più controverso degli esempi recenti: cecchino divenuto automa, sensazionale racconto della genesi di una macchina da guerra da una prospettiva ideologica tutt’altro che contraria e dunque illuminante, non giudicante.

La sospensione repentina e agghiacciante del chiaroscurale discorso eastwoodiano è invece in questo caso piuttosto sconfortante e si abbandona alla superficie letterale dell’eroismo con una serie di scelte sorprendentemente pigre: l’interminabile racconto dell’infanzia degli eroi non per caso ma già per desiderio, il viaggio in Europa alla «To Rome with Love», la piattezza formale da far cadere la mascella, la voce off evangelica del più militarizzato dei tre protagonisti.

Il fatto che il film sia interpretato dai veri, giovani uomini che sventarono l’attacco jihadista su quel treno diretto a Parigi da Amsterdam aggiunge un coefficiente di ambiguità che Eastwood non affronta, non risolve, non getta sul piano dell’esperienza di un momento di tensione irripetibile.

Il re-enactment avrebbe potuto fornire possibilità nuove e inattese, invece restano soltanto i fantasmi di un progetto sfuggito di mano, a cominciare dalla sceneggiatura di Dorothy Blyskal: un vistoso tallone d’Achille che i detrattori più ostinati potranno impugnare con foga e a futura memoria, ma anche con effetto retroattivo.

Un film sbagliato come questo non cancella invece la grandezza di Eastwood, ma chi ha rifiutato “American Sniper” qui dovrebbe come minimo levare gli scudi.

È il suo film peggiore, senza appello.

Tristezza.

di Davide Stanzione, redattore di Best Movie e mio amico a fasi alterne, forse altere, che non conosce la pizzeria Altero

 

E così, tra Il Fatto Quotidiano che lo definisce bellissimo, e Alò che sostiene sia geniale, aspetto il mio responso, in quanto uomo oggi stronzo, domani come questo McConaughey.

 

E ricordate: di Falotico ce n’è uno, ma Santamaria mi imita in maniera dubbia.

E, a proposito di cecchini, la mia vicina di casa, Angela, che di cognome fa appunto Cecchini, stamattina, in mia assenza, ha ritirato il mio Blu-ray di Ronin speditomi da Amazon.

Perché io sono uomo come Sam, segretamente so cosa c’è nella vostra valigetta, e lo sapevo anche prima di guardare Pulp Fiction.

Su questa stronzata, vado a vedere che posso cucinarmi a pranzo. Credo che mangerò dei maccheroni o forse degli spaghetti western.

Sì, nella vita si può perdere il treno, ma io guido la macchina. E lei, signora, si attacchi al tram. Lei, invece, che ha gusti sessuali che non mi appartengono, si faccia il trans.

 

di Stefano Falotico

 

Santamaria Stefano mcconaughey

Il corniciaio che son io, pittore delle emozioni e amante fuori dalle convenzioni non inquadrabile


09 Feb

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Oggi pomeriggio, ero seduto in macchina fra gli “ospiti”, cioè sul sedile dei passeggeri, e mi stavo recando a un bar “raffinato” per bere un caffè pomeridiano senza dare nell’occhio. Eppur il mio occhio indiscreto, memore di quello di Pesci, fotografò una vetrina su cui passo “di striscio” ogni giorno. Come potete vedere dalla foto scattata di semaforo rosso che mi permise d’inquadrare il marciapiede “ruvido”, frastagliato, oserei dire, insudiciato, in un’inquadratura asciutta ma sghemba che catturò il bidoncino dell’immondizia “ben” intonato a un quadro bellamente esposto di panorama forse caprese, quasi campestre, forse di costiera amalfitana, rustico come lo sono le trattorie marinaresche nel tramonto dei nostri sogni perduti, quando lì gozzovigliamo come goodfellas, sentendoci come fossimo da mammà.

Sì, un attimo inequivocabile di poesia in immagini, dunque immaginativa, ah ah, pittoresca. Quindi, a pochi metri da là, ecco il bar, gestito da una famiglia cinese da Anno del dragone. Quasi nessun cliente, d’altronde l’ora era moscia, ma d’improvviso ecco entrare una coppia che non ti aspetti. Un giovinastro ben pasciuto, di stazza, dimensioni simili a quelle di Meat Loaf in Fight Club, che s’accompagnava con la madre, decrepita e molto più bassa di lui di statura. In maniera ancora furtiva, mentre delicatamente mi scolai tutto l’aroma zuccherato mescolato all’umore marrone del mio essere uomo deliziosamente cremoso e umorale, ch’eppur screma ciò che non piace alle sue pa(pi)lle gustative, li osservai. E ne rimasi incantato, sì, mi mossero alla commozione in un istante d’inusitata tenerezza, perché questo ragazzone mi stupì per la maniera estremamente gentile, sinceramente affettuosa, quasi infantilmente creaturale, con cui porse alla madre, vecchia e forse malata, la bevanda che per lei aveva ordinato. Pagai, e uscii con far felpato, con gli occhi inumiditi da tanta morbidezza, da tanta purezza, da tanta cauta dolcezza.

Sì, la poesia nasce da piccolissimi gesti. Quindi, riappropriatomi del mio “abitacolo”, osservai il cielo nuvoloso che, scivolosamente precoce nell’imbrunire, si stava squagliando in poetica celestialità d’un Sole scioltamente sbiadito. E, nel viaggiare vellutato, il mio animo fu pervaso da una restaurata lietezza, una ritrovata armonia di gioia e letizia, di pace col mondo. Al che, ecco balzarmi alla mente il volto di Willem Dafoe, un viso scolpito nel marmo, amato da tutti i più grandi registi del mondo. Sì, vi basterà scorrere la sua filmografia per accorgervi che pochissimi possono tenergli testa in merito a collaborazioni autoriali di rilievo assoluto. Dalla Bigelow a Scorsese, da Walter Hill a William Friedkin, da David Lynch a David Cronenberg, da Wes Anderson a Wim Wenders, da Spike Lee ad Abel Ferrara, e tantissimi altri. E sarà presto van Gogh per l’impressionista Schnabel, e ciò apre la porta dell’eternità… del mio cuore molte volte inariditosi, spentosi, così adesso vividamente colorato in schizzi meravigliosi d’un florido risveglio.

Sì, Dafoe è un attore che artisticamente mi assomiglia. Spigoloso a e nei tratti, camaleontico, spaventosamente sé stesso anche quando fa la parte del gonzo per un film di Paul Schrader, ghignante, metafisico, oggi villain e domani villano, buono e tenero, duro e merdoso, quindi dentro la Colagrande nel suo “villeggiare” di orgasmi strani e di rizzo, enfiato glande. Qui non sono poeta ma indubbiamente un po’ “piccante”. Ah ah.

Così, tornai indietro e mi recai in quel negozio di cornici. Il quadro da me fotografato costava troppo ma io capisco l’Arte. Come Joe Pesci. Lo sai che mi piace? Un cane va da una parte e l’altro da quell’altra… e quello sta dicendo… ma che volete da me?

Giunsi finalmente di nuovo a casa. E aprii le notifiche di Facebook. Una donna mi aveva scritto che voleva che la fotografassi ignuda in maniera gratuita, senza darmi una lira e senza darmela. Una bella fregatura. Così, la mandai a fanculo e andai a leggere un libro di Charles Dickens.

di Stefano Falotico

 

goodfellas

THE PUBLIC EYE, from left: Joe Pesci, Barbara Hershey, 1992, © Universal

THE PUBLIC EYE, from left: Joe Pesci, Barbara Hershey, 1992, © Universal

Cercasi milfona bionda


08 Feb

Ma chi è questa modella cinquantenne assolutamente sexy?

Sexy mature woman relaxing

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Il genio e l’artista devono essere folli, lontano dalla folla


07 Feb

Fuori orario

Col passare del tempo, capisci che la vita è una tribolazione. Non che prima non lo fosse stata. Insomma, si comincia da quando ti tolgono il ciuccio e ti dicono subito di non far la femminuccia.

Da lì inizia l’opera di svezzamento, che è tremendamente violenta, agisce a livello psicologico e sei preda, schiavo, vittima dei condizionamenti esterni. Si parte con l’asilo, ed è già un assillo, quindi con la scuola che ti fa studiare l’ABC dell’imbecillità e delle induzioni più manichee, inducendoti dapprincipio a falsi buonismi figli di maestre fallite, uscite dalle magistrali perché il loro piccolo cervello era irreggimentato nelle volenterose pedagogie da ragazzine tristi e adolescenti problematiche che, raggiungendo quel diploma “giusto”, si erano illuse di aver risolto i loro conflitti e anche, spesso, le loro disarmoniche forme sgraziate da bruttine schiacciate da un’età acerba spropositatamente faceta e scioccherella.

Quindi, ci sono i laureati, categoria da starci lontano. Altre persone estremamente disturbate che si sono illuse attraverso il pezzo di carta “autorevole” di aver appianato ogni cosa, seppellendola sotto la coltre di credenziali boriose e cattedratiche. Accademici solo del bel parlare sciolto e del saper dottamente argomentare, ma raffreddatisi nelle emozioni vere e veraci, oramai impigritisi in lavori impiegatizi, mercantilmente agganciati a una cultura di massa di apparenze stolte e “sagge” frivolezze. Scherzosamente antipatici, così li definirei.

Ecco, l’artista, e io naturalmente, senz’ombra di dubbio lo sono, è un tipo di persona assolutamente fuori da ogni schema, imprevedibile, umorale, caratterialmente “ingombrante” e ostico, difficile per via della sua complessa, sfaccettata emozionalità sempre suscettibile di dubbi. L’artista s’interroga sulla realtà e, prima di giudicare il prossimo, passa al vaglio tutte le opzioni possibili, senza lanciare sentenze affrettate. Mentre oggi siamo invasi da invasati, da tuttologi delle anime altrui, da classificatori delle genetiche, da idolatri del viver “corretto” che dunque, dall’alto presuntuoso delle loro saccenterie superficiali, eseguono “diagnosi”, anche psichiatriche, sul primo che incontrano per strada, perché non hanno tempo per approfondire, per entrarvi davvero in vivo, sentito, empatico contatto. E, in questa fiera delle tracotanti immodestie, ecco che trionfa la boria più vanesia e ciarliera, vince il pettegolezzo più atroce e abominevole da club delle prime mogli, e allora via col guardare culi e donnette discinte all’Isola dei Famosi, le cosce vellutate delle più sceme formose e burrose, odiose, già deformate in bellezze plastificate e televisive, e adesso puntualmente ci ammorbano con questa tradizione “popolare”, nel senso peggiore più credulone e tonto, del festival di Sanremo, sagra paesana trasmessa in diretta nazionale, con un Baglioni tanto “figo” da essere la controfigura di un manichino squagliato nella chirurgia più depravatamente, sì lo è, “cremosa”. Sì un cremino che sgocciola di pezzi di pelle tenuti su con l’Attack.

L’artista è un “cretino”, un idiota dostoevskjiano, uno che non ha capito un cazzo della vita e rischia, sbanda, caracolla, sente, patisce, poi euforicamente gioisce, quindi in maniera repentina, con mentali serpentine degne di uno Slalom Gigante, s’immalinconisce, si deprime, si abbatte, si penalizza da solo, quindi si rialza, ha delle strane idee che gli frullan in testa e allora ecco che spunta il colpo di genio che non ti aspetti, lo “svignarsela” nella creatività, la fuga vulcanica in una realtà da uomo del sottosuolo, che inghiotte il mondo nei suoi orrori e nella sua fantasia lo ricrea, in esso trasmuta, mutevole trasla le ovvietà in voli pindarici di estasiante meraviglia. Allietando le menti ottuse, assopitesi nella carnascialesca vacuità, nello squallore mortale, moralmente inappetibile per la sua mente da pasto nudo devastante.

Sì, è necessario un atto di forza!

Sì, il genio è sfigato, sfuocato, inculato e dunque alato.

Lasciamo pure che i “normali” s’imputridiscano e nella putrescenza riverberino le loro finte, rifatte facce da “beautiful”.

 

 

di Stefano Falotico

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