Il trailer del nuovo film di Woody Allen mi ha emozionato, mi pento da romantico Henry Hill? No, da uomo semplicemente d’onore

17 May

rainy day new york

Giornata davvero intensa quella di ieri, sì, è già ieri, già oggi, dopo verrà il domani.

È scoccata la mezzanotte e questo A Rainy Day in New York mi pare molto bello.

Solitamente, non lo dico per Allen. Sono anni che i suoi film mi deludono profondamente.

Non sono stato neppure un grande estimatore de La ruota delle meraviglie. Film ampiamente sopravvalutato dalla Critica nostrana. Ma quei giochi spericolati, esagerati di luce di Vittorio Storaro, oh sì, magicamente si frastagliavano al luna park di Coney Island, nella mesmerica rifrangenza del rubicondo Jim Belushi, addolcendo le grazie d’una Kate Winslet indubbiamente troppo paffuta.

Ecco, dicevo, ieri è uscita sul canale YouTube di Bruce Springsteen la sua bellissima There Goes My Miracle.

Qualcuno nello spazio commenti ha scritto che è una canzone magica, eterea. Delicata. Che, in tempi bui, eretici, tempi moralmente abbruttiti dall’imperante squallore disumano, suona come una carezza angelica dal cielo.

Una canzone che incita alla speranza. Western Stars sarà un album incentrato sulla solitudine, sulla malinconia, sulla luce del sole che risorge nei nostri animi pietrificatisi nell’aridità. O solo nell’avidità. Nello scontento, nello scoramento, nel lamento, nell’apatia, nelle granitiche, banali certezze. Oppure nell’immobilismo della demenza.

Un album che rischiarerà i nostri cuori, illuminandoli di soave levità.

Aspetto con trepidazione il 14 Giugno. Anche perché, pur essendone fan, il Boss da molto tempo non usciva con qualcosa di veramente toccante.

Quindi, tramite mail, mi è stato comunicato che sono risultato fra i vincitori di un piccolo grande concorso letterario.

Ancora una volta, come accaduto già qualche mese fa, il mio racconto è stato selezionato assieme a quelli di altri diciannove “colleghi” ed entrerà assai presto a far parte di una pregiata antologia.

Non sono vincolato a comperare nessuna copia né devo adempiere a obblighi contrattuali di natura onerosa. Non devo pagare nessun contributo.

Ho semplicemente vinto. Non m’interessa se siano stati tanti o pochi i partecipanti. Potevano essere pure trenta. Ma dieci sono stati esclusi. E fra questi dieci non ci sono io.

Dunque, sempre in tema di pubblicazioni letterarie, ho terminato col mio fidato, puntualissimo correttore di bozze il mio nuovo libro.

Anche stavolta, per la cover, mi sono avvalso dell’immagine stupenda di una ragazza magnifica.

E già nelle prossime ore questo mio libro sarà disponibile in Kindle-Amazon.

Prossimamente anche in cartaceo e normale eBook.

Quindi, è uscito il trailer del nuovo film di Woody Allen. Un film disdegnato da Amazon. Ah, questi americani oscenamente puritani. E quest’eccessive femministe che, oltre a fare la crociata diffamatoria nei riguardi di Allen, ce l’hanno adesso pure col grande Alain Delon.

Sì, forse qualche magagna sia Woody Allen che Delon Alain, ah ah, l’hanno commessa. Ma che vogliono queste commesse?

Non è da qualche veniale peccato sessuale che si giudica un artista e un uomo.

Mi ha emozionato questo trailer. È come un petalo di rosa che sfiora le guance di una donna e l’avvolge nel suo manto profumato.

Allen, nonostante gli ottant’anni suonati, la sua senilità cavalcante, ama ancora la vita. E ha girato un film con protagonisti dei ragazzini. Ragazzi che hanno davanti ancora tanto da vivere. Pieni di dubbi, di paure con questo Timothée Chalamet che sembra la versione efebica di Bob De Niro dei primi film di Scorsese.

Immerso in questa piovviginosa New York poco alleniana ma quasi, appunto, scorsesiana. Plumbea, notturna come Fuori orario.

Poi, stasera ho rivisto Quei bravi ragazzi. Recentemente l’avevo recensito ma, più che altro, mi ero affidato ai miei ricordi adolescenziali.

È ancora un capolavoro. Scolpito nella faccia di Ray Liotta, l’attore che Riccardo Scamarcio vorrebbe imitare per via del taglio e del colore degli occhi praticamente identico.

Ma Riccardo pensasse a fare Lo spietato per Renato De Maria. E il camorrista in John Wick 2.

Secondo me, non vale un cazzo.

Invece Ray in Goodfellas è stato meraviglioso.

E mi spiace che Hollywood l’abbia ostracizzato. Nemmeno in The Irishman gli hanno trovato un ruolo.

Quei bravi ragazzi è un film molto triste. Con un mitico Paul Sorvino che, dopo Cruising, aveva trovato un ruolo decisamente corposo… ah ah. Un uomo corpulento, sanguigno. Però pacato. Che sbuccia col taglierino cipolle e patate ed elargisce prestiti da strozzino con la panza piena di quelli che fanno i nemici a polpette.

La mafia è come il peggior comunismo. Sì, guardate che gli intenti mafiosi non sono in verità malvagi.

In teoria, la mafia ha ragione. La gente che se ne affilia, eh sì, capisce che la società è sbagliata, che gli impiegati comunali avranno una vita tranquilla ma noiosa, capisce che i potenti sono più corrotti di loro.

È nella sua pratica, diciamo, che pecca parecchio.

Fra loro, come i comunisti, i suoi membri si appoggiano, si reggono il gioco. Ma tu prova a tradire un patto e vedrai che ti succede.

La mafia ha le sue regole, i suoi patti di sangue.

E non transige.

Se decidi un giorno di tradire e sputtanare gli “amici”, vieni protetto dall’FBI ma è una vita di merda.

I mafiosi non hanno una vita normale, hanno più soldi delle stelle di Hollywood ma devono sempre guardarsi le spalle. Non hanno amici veri.

La mafia vive di leggi tribali comunque non molto dissimili a quelle classiste de L’età dell’innocenza.

In una sola cosa i mafiosi sono normali. Come la gente comune. Sia gli uomini che le loro donne nell’amore sono come noi.

Tutti gli uomini, eh già, s’innamorano alla stessa maniera. Il primo appuntamento, come quello fra Henry Hill/Liotta e la sua futura moglie, Karen/Bracco, è fallimentare.

Lei pare non essere interessata. Lui nemmeno. Tanto che la seconda volta le dà buca.

Però si piacciono.

E succede esattamente questo.

Ciò, a meno che non si vada a puttane, succede a tutti. Mettetevi l’anima in pace.

E da Cannes mi dicono che Dolor y gloria sia un capolavoro. C’est la vie.

La vita è come un lungo piano sequenza. Con degli scossoni e qualche trombata. Di mio, non mi pento di nessuna scelta e non la pagherò…

– Tu che cosa fai?

– Sono un ingegnere astrofisico.

.- Ah, ottimo, wow. Allora mi porterai sulla luna?

– Non sono mica un astronauta. Speriamo di andare al settimo cielo.

Comunque, no, scrivo libri molto realistici, coi piedi per terra, diciamo. Tanto, anche se andassimo tutti a vivere su Marte, guarderemmo lo stesso i film.

– Cazzo, riesci a campare? Comunque, noi non guardiamo solo film.

– Sì, però non facciamoci un film. Non recensirmi troppo presto. Un grande uomo si vede nel finale. Fidati, più lungo e appassionante è un film, più spinge, tenendo alto il ritmo.

– Dunque, non sei ricco. E la prossima volta come farai a invitarmi al ristorante?

– Non lo so. Intanto, tu che ordini?

– Tu che mi consigli?

– La salsiccia. La salsiccia è buona.

– Cosa vorresti dire?

– Quello che ho detto.

– Toglimi una curiosità. A me sta venendo il dubbio che tu sia pazzo.

– Sì, hai indovinato. Questo ti scoccia?

– No, affatto.

– Bene. Allora arriva questo cazzo di cameriere o no?

– Perché tanta fretta?

– Prima serve, prima posso servirti.

– Direi di andarci piano.

– Sì, non sono un uomo molto forte.

– Però mi fai ridere.

– Solo questo?

– Il resto si vedrà.

– Il resto, ricorda, si dà al cameriere. Dunque, ora gustiamo il primo. Vuoi arrivare subito al dolce?

 

 

di Stefano Falotico

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