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Venezia 77: stupendo (ovviamente, è ironico): andare da accreditati, stare due notti e vedere solo due film, beccando pure una pioggia torrenziale


10 Sep

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Sì, amici cinefili e non. Questa volta, la mia trasferta al Lido è stata un disastro.
Dopo le tragicomiche mie disavventure per trovare parcheggio, alla fine sono riuscito a vedere solo due film. Ovvero quelli da me recensiti, vale a dire Mainstream e The World to Come.
Addirittura, 72 ore prima della proiezione per gli accreditati (ciò dovrebbe presupporre, insomma, ah ah, un accreditato non dovrebbe prenotare nulla in quanto il film gli dovrebbe spettare di diritto), eh già, bisognava collegarsi al sito Boxol.it e inserire prematuramente il codice asegnato nella tessera da giornalista.
I miei dati anagrafici non corrisposero al mio codice fiscale. Invece, erano esattissimi. Contattai quasi un esattore. Dopo essere stato tartassato a vita, adesso pure devo pagare la soprattassa? Allora evviva Torquato Tasso e i tassinari.

La mattina del 7 Settembre mi beccai anche un acquazzone storico e dovetti rifugiarmi al Vincent Bar ubicato in Parco delle Rimembranze. Il barista è comunque un grande, assomiglia a David Lynch ma è circa 20 anni più giovane.

Inizialmente, essendo io nuovo del luogo, lui e sua moglie mi guardarono con diffidenza. Poi mostrai loro la tessera a voi mostrata qui sotto e scomparve ogni sua diffidenza. Come dire: ah, è una persona seria, non è un forestiero giunto a Venezia per derubarci.

Ah ah.118836878_10217422021765347_7936391963780681082_o

A volte, capisci che Il cielo sopra Berlino è un grande film. E spesso la gente dovrebbe capire che le persone diverse lo sono realmente. Non fingono né mentono a sé stesse.
Sono dei poeti e forse è giusto che presto volino altrove. In un mondo migliore, più bello, colorato, il mondo degli dei.

Questa è Venezia e Hook di Steven Spielberg, checché ne dicano i cinici e gli incompetenti, è un capolavoro.

Anche Cortesie per gli ospiti.

Ora, non è colpa mia se voi non ci arrivate.

Dobbiamo anche dirci la verità. Il Cinema di una volta era più bello perché la gente sognava.
Oggi, abbiamo Instagram. Si credono tutti fighi e simpatici come Robin Williams.
Ma di Williams ve ne fu solo uno.

Poi, non è vero che i Backstreet Boys facevano schifo. Così come gli 883.

Vi saluto, amici. Al prossimo anno, tutti al Lido di Venezia. O lassù.

Buona vita, buon Cinema. Ciao.

di Stefano Falotico

THE IRISHMAN di MARTIN SCORSESE – Pubblicità non occulta da Professor Cornelius Occultis


29 Nov

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Be’, chi non conosce un bel paio di cosce ma soprattutto il professor Occultis, miei uomini oramai senza culo, no, volevo dire culto?

Occultis, uno dei protagonisti del mitico, oserei dire leggendario fumetto Il grande Blek.

Uomo colto ed erudito, però meno del sottoscritto Stefano Falotico, detto Genius-Pop, alias Joker Marino, intrepido avventuriere delle sue scorribande cinefile, uomo non ammanicato né affiliato alle mafie della piccola borghesia italiana, vive d’estasi mistiche e di purezza adamantina, dispensando perle di saggezza offerte anche ai porci affinché, di resipiscenza, si ravvedano dall’averlo visto assai male.

Durante l’adolescenza, da sé stesso poco amata, il Joker Marino visse sprofondato nelle tenebre, colorandole di visioni pindariche, ammaliandosi nel Cinema più splendido e roboante, oserei dire, sì, tonitruante.

Immersosi nella sua passione viscerale senza pari, il Joker divenne amante sesquipedale di Scorsese, adorando ovviamente il suo pupillo per antonomasia, ovvero Bob De Niro.

Tanto da dedicare a entrambi due saggi monografici celestiali, Martin Scorsese – La strada dei sogni e Robert De Niro, l’intoccabile, in vendita nei vari formati cartaceo e digitale sulle maggiori catene librarie online, scritti con acume, dovizia di particolari, pieni di aneddoti interessanti e scevri d’ogni tronfia, trombonesca prosa cattedratica o noiosamente accademica.

Sarebbero adesso da aggiornare, aggiungendo alle loro rispettive filmografie, per l’appunto, The Irishman e quant’altro.

Il Genius-Pop volteggia sulle teste dei miserabili, alla realtà si riagganciò con grinta enormemente ammirabile, lodevole e grandiosamente, ancora una volta, carismaticamente invincibile. Egli, senza sprezzo del pericolo, senz’alcuna remora d’incorrere nel ridicolo involontario, affronta in maniera impavida il mondo quotidiano, accarezzando le labbra di una bella donna, incontrata al bar, solamente aggrottando la fronte e porgendole lo zucchero macchiato caldo dei suoi occhi imperscrutabili, neri come The Night Of, diretto dallo stesso sceneggiatore di The Irishman, vale a dire Steven Zaillian, pregustando l’amplesso, già da lui caldamente sorseggiato, che con lei avrà a mo’ di cappuccino con la schiuma e tanto di leccarsela sotto i baffi.

Sì, per anni fu scambiato per Il grande Lebowski, fu preso per Jean-Marc Barr di Le grand Bleu, per un sempliciotto alla Jovanotti da filmetti come Jolly blu e per un tipo dolce e simpatico come Max Pezzali degli 883. Che io mi ricordi, durante il periodo delle scuole medie, me ne sparai molte su Alessia Merz, una che comparì nel mio “lungometraggio” ma anche in una pubblicità di David Lynch, uno dei miei registi preferiti in assoluto. Sì, la mia vita fu una Mulholland Drive, si crogiolò nell’Inland Empire, si appartò talmente tanto nel suo appartamento che molti pensarono che soffrissi di agorafobia e attacchi di panico come un’altra che appare nel film succitato, quel pezzo di gnocca di Nicole Grimaudo, attrice di Liberi.

Di mio, continuo a pubblicare libri, malgrado tante persone dicano che assomigli a Elio Germano. Quale? Quello de La tenerezza di Gianni Amelio, ovvero Giacomo Leopardi? Ce la vogliamo dire? Leopardi non soffrì di malinconia né la sua poetica fu basata sul pessimismo cosmico.

Silvia non la diede a Leopardi e allora Giacomo fantasticò sugli orgasmi mai da lui con lei avuti, sublimando di non averle strappato il costumino leopardato. Insomma, un poeta della minchia, ah ah.

Poiché ricordate: il Genius-Pop ne sa una più del diavolo de L’esorcista. Egli, nella notte, s’incunea di nascosto ove sapete, uomini e donne, mandando a farsi fottere, inculando ogni moralismo giudeo-cristiano con far da bastian contrario dei percorsi a tappe, miei tappi, nani e beoti.

 

di Stefano Falotico

Siamo tutti Western Stars in questa luce del sole springsteeniana


30 Apr

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Sì, io son sempre stato un fanatico del Boss. Perché lui è il Boss.

So che voi di questa generazione poco cazzuta ma di cazzoni, ah sì, lo so, andate matti per l’Acqua su Marte di J-Ax.

Mah, più che da Tormento, voi non siete manco tormentati. Siete semplicemente da voi stessi trombati.

Basta, canzonetta simpatica, ma siamo stanchi di questa musichetta italiana fighetta, figlia della cultura alla De Filippi.

Di giovinastri che rivendicano con banali filippiche le loro giovinezze perdute. Almeno, Max Pezzali degli 883 aveva ed ha una bella voce.

L’Italia, ah, Paese di moine, di mona come dicono a Padova. Di catene di Sant’Antonio, di cantilene, di vite mediocrissime che ciclicamente, dopo qualche sparuto battito di Sole, ritornano appunto a tormentarsi da sole… ah ah.

Siete solo delle sòle! Diciamocela! Delle sogliole. Degl’imbroglioni. E volete pure mangiare la mozzarella di bufala.

Ah, m’imbufalisco! Ah ah.

L’unico che salvo è Ermal Meta. Degno di note e di nota, anzi dignitoso. Sì, va denotato che è bravo.

Dite invece a quella Mariangela Fantozzi di Elisa che sconcentrare non esiste in italiano. Si dice deconcentrare. Ma questa, con le sue fragilità da riccona viziatissima, perché non l’hanno ancora assunta come lavapiatti della lavanderia Lava, stira e ammira ma sinceramente poco tira, sta giù, a novanta, e spera sempre di tirarsi su?

Ma questa non può aiutarla neanche Daniele Silvestri con la sua epocale Salirò.

Peraltro, come detto, Elisa è solo acida, salata, non gliela può fare neanche Andrea Roncato/Loris Batacchi.

No, con questa non sale. E non è neppure dolce. È una stronza.

Sì, Anche Fragile? Anche racchia da competizione, appunto, no?

Comunque fra lei, Laura Pausini e Alessandra Amoroso è una bella gara di frustrate.

Questa Elisa, più che sconcentrare, con le sue canzoni lagnose mi ha ricordato il verbo, assai desueto, sconcertare. Andate pure a vedere i suoi concerti? Eh sì, siete proprio sconcertanti.

Di mio, sono un uomo ombroso. Rinasco e poi ricasco. L’altro giorno ero a Castel San Pietro Terme. A fotografare fontane e chiese. Mentre voi zampillate e siete potabili come l’acqua pura e non indigesta? No, come la gramigna più funesta. Forza, un salto giù dalla finestra, basta con le vostre riscaldate minestre.

Ah, occorre una bella abluzione. Tuffatevi nel Giordano e stantuffate Giordana. Giordana è donna che, dopo tanti esistenziali tormenti, dopo tanto buio cosmico e anche tragicomico, desidera un uomo profondo che in lei sprofondi e le infonda solarità al crepuscolo. Con cui screpolarsi di amore e vivere di calore maggiore d’una scottatura a mezzogiorno a 45 gradi all’ombra.

Sì, Bruce Springsteen rimane il più grande, bambagioni.

di Stefano Falotico

Il terremoto scala 883 sta devastando il mondo


22 Jul

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Ogni giorno, notizie di nuovi terremoti ci allarmano e mettono in dissesto e zona tettonica la nostra visione godereccia della vita, improntata al farsi piacere solo le tette basculanti.

Sì, gli 883 avevano visto giusto.

 

Lasciati andare e vedrai 
Che anche se non cambia niente è lo stesso 
Tu ti divertirai 
Nella notte 
Un ritmo che ti prende 
Nella notte 
Ti sembra di volare 
Nella notte 
Che batte, batte, batte 
E che ti porta via lontano

 

Questa è una stronzata, ma sappiatelo: godiamoci la vita finché le nostre certezze non tremano.

di Stefano Falotico01050606 tr15

 

 

di Stefano Falotico

Orson Welles era come me, un genio della stronzaggine, stronzo puro, formato Moby Dick


13 May

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Introduzione copia-incollata, se vi annoia, saltatela, salatagliela, e non mi rompete i coglioni.
Donna, svestiti, ho fretta, fattelo/a alla sveltina, e poi sudatela, la giornata si fa dura e il mio, a forza di aspettare, si sta facendo moscio.

Da Il Foglio

Orson Welles lasciava la sedia a rotelle accanto alla porta sul retro del Ma Maison, il suo posto preferito a Los Angeles, e faceva il suo ingresso maestoso, zoppicante, dalla cucina del ristorante. Un uomo gigantesco, con gli occhi fiammeggianti e un barboncino in braccio, Kiki, grande quanto una scatola di Kleenex. Si sedeva sempre allo stesso tavolo, su una sedia enorme, il suo trono all’ora di colazione. Secondo Gore Vidal, che spesso pranzava con lui, Welles si vestiva “con delle tende riadattate, a cui attaccava il bavero, le tasche e i bottoni per dare l’illusione di un abito normale”. Negli ultimi anni della sua vita era a dieta strettissima, mangiava solo insalate di granchio, ma invitava i commensali a ordinare di tutto. “Assaggia e dimmi com’è, mi chiedeva – ricorda il suo amico Henry Jaglom – Non immaginavo che al ritorno in albergo avrebbe svegliato lo chef nel cuore della notte per farsi portare quattro bistecche, sette contorni di patate arrosto e un sacco di altra roba”. Dal 1983 al 1985 (quando Orson Welles morì, di notte, abbracciato alla macchina da scrivere su cui stava scrivendo una sceneggiatura) questi pranzi, in cui Zsa Zsa Gabor, Richard Burton e tutta Hollywood andava, reverente e intimidita, a rendere omaggio al genio di Quarto Potere, all’uomo con il carattere peggiore del mondo, a vedere quanto era ingrassato, vennero registrati con il vanitoso consenso di Welles. Tre anni di insalate di granchio, capesante, grugniti, risate mefistofeliche, un barboncino che abbaia agli avventori, la voce di Welles che risponde: “No. Come vedi sto mangiando” a Richard Burton che vuole presentargli Elizabeth Taylor. Il registratore restava nascosto nella borsa di Henry Jaglom, regista, critico cinematografico e cultore assoluto di Orson Welles, venticinque anni più giovane di lui, e quei quaranta nastri sono poi rimasti chiusi in una scatola da scarpe per decenni. Ora Adelphi ha pubblicato “A pranzo con Orson”, a cura di Peter Biskind, tutte quelle conversazioni in fila, un pranzo dopo l’altro, e leggerle è quasi origliarle, tanto sono intime, pazze, torrenziali, sembra di sentire le mascelle di Orson Welles muoversi, le posate sbattere, e Welles raccontare l’aneddoto di quel critico teatrale famoso che non lasciava mai mance e a cui il cameriere, in cucina, pisciava dentro la tazza di tè. “Oddio! L’arrosto di maiale con questo caldo? Non posso mangiare maiale, sono a dieta. Però lo ordino lo stesso, solo per sentire il profumo”. A quasi settant’anni Welles non aveva più il tempo, né la necessità, di diventare adulto: girare, produrre e interpretare Quarto Potere a venticinque anni l’aveva immortalato come enfant prodige, pazzo geniale impossibile e scorretto, e così visse per tutto il resto della vita. Maldicente in un modo irresistibile, generosissimo anche nelle bugie, e nella costruzione della leggenda di sé. Se un uomo ce l’aveva con lui, se Jean Paul Sartre stroncava il suo film ad esempio, era di certo perché Simone de Beauvoir era pazza di lui, e Sartre era geloso. “Come Peter Sellers. Per quello non ho mai potuto dividere il set con come-si-chiama…la pin up che aveva sposato… Britt Ekkland, in Casino Royale. Pare che lei avesse detto: ‘Però quell’Orson. L’uomo più sexy che io abbia mai visto’”. L’uomo più sexy, così super intelligente da finire le scuole superiori in due anni e vincere una borsa di studio per Harvard, alto e biondo, colto e pazzo, felice di litigare, autodistruttivo, per niente attratto dalle buone maniere e dalla patina di fondotinta che le star di Hollywood si spalmano addosso per non dire mai la una cosa vera. E per non dire cose indicibili. “Se per me Bette Davis è inguardabile, non voglio nemmeno vederla recitare, Woody Allen mi ripugna fisicamente; detesto gli uomini fatti in quel modo”. Sapeva benissimo che c’era un registratore nella borsa, e che il suo amico si sarebbe scandalizzato e gli avrebbe chiesto spiegazioni. “Non sopporto nemmeno di parlarci. Ha la sindrome di Chaplin. Quella combinazione unica di arroganza e insicurezza che mi dà l’orticaria”. Orson Welles aveva delle fissazioni sull’aspetto fisico: “Se penso che una persona sia brutta, non mi sta nemmeno simpatica. Sai, io non credo nell’eguaglianza tra le razze e tra i popoli. Sono profondamente convinto che sia una menzogna bella e buona. Secondo me le differenze ci sono eccome. I sardi, ad esempio, hanno le dita corte e tozze. I bosniaci sono senza collo”. A questo punto qualunque conversatore di buon gusto era tenuto a rispondere: Orson, ma è ridicolo. E così Orson poteva andare avanti ore con esempi, e spiegare che Marlon Brando era intollerabile perché “senza collo. Sembra un salsiccione. Una scarpa fatta di carne”. Non voleva conoscere Elizabeth Taylor per lo stesso motivo, per via del collo (“le orecchie le toccano le spalle”), e perché riteneva avesse trasformato Richard Burton in una barzelletta, “l’appendice di sua moglie diva”. L’aspetto fisico lo ossessionava a tal punto che non avrebbe mai ingaggiato per un film Dustin Hoffman, Robert De Niro o Al Pacino: “Niente nani etnici. Non voglio gente scura con la faccia strana”.

 

Continua, etcetera, ecc, ecciù, orologi a cucù, se volete, perseverate sul giornale, di mio mi sfog(li)o, vado a (s)tirare a campare, poi berrò un Campari e me la (s)tirerò, son nato con la camicia.

Tu, uomo da quattro soldi, vai ad ascoltare gli 883, di mio son ottomano alla Totò, cioè non ascolto le canzonette né le mezze calzette, eppur la donna mi dà la calza, io non do a lei un cazzo, avendone cinque.

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Genius-Pop

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