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5 è il numero perfetto? Chi nasce tonto non può morire (in)quadr(at)o, forse farà l’impiegato o cassaintegrato, emarginato e frustrato, chi nasce ROCKY BALBOA non può morire sfigato…


07 Mar

rocky stallone

In questa tetraggine indotta dal Covid-19, mentre la gente sta crollando, arriva uno strano tipo che è rispuntato dal nulla. Dio bono. Ma che roba è? Fa pure il figo con quella faccia da pesce lesso. Le espressioni sono da migliorare, è espressivo come il peggior Sylvester Stallone. Ma cos’ha? Una paresi?

Sì, è uno scemo, lo scemo del villaggio. Un povero disgraziato maledetto con un “gancio sinistro” che fa però paura. Credo che nessun uomo abbia preso così tanti pugni in vita sua, metaforici e non. Cavolo, pare “cerebroleso” come Rocky dopo l’incontro con Ivan Drago. È lento, abulico, è finito, è malato…

È un disgraziato malandato, un “pazzo” accertato e acclarato, perfino diagnosticato. Caspita, capito?

È una facile preda, non sa muoversi, è ridicolo e imbarazzante, che tristezza, fa pena. Ah, inutile dargli più addosso. Sarebbe come sparare alla croce rossa. Che mezzo uomo, mio dio. Va compatito, oramai è partito. Ma è un gran pagliaccio, dai. Ma ha almeno non un briciolo di dignità per sé stesso? Che vergogna!

Invero, costui comincia a saltellare come Cassius Clay, sta cominciando ad accelerare in maniera vertiginosa, George Foreman non capisce più niente, vacilla mentre Muhammad Ali gli balla attorno come Michael Jackson, che diavolo sta succedendo?

Il detto dice che a frequentare gli zoppi s’impara a zoppicare. A forza di farsi prendere in giro dagli idioti, invece, ci si convince di essere sbagliati.

Trovando la persona o le persone giuste, tutto ciò in cui avevate falsamente creduto va a farsi fottere in un istante. È come quando uno pensa di essere un gigante ma viene all’improvviso destabilizzato da un colpo di genio devastante. Il gigante è ferito, non è possibile. Urlava a tutti di essere dei nani e di avere il cervello piccolo, gridava entusiasticamente di aver capito tutto. Cavolo, ne era sicuro senza neppur battere ciglio. Si credeva un comunista, invece è un capitalista al limite dell’edonismo più esecrabile. Non è che assomiglia al “critico” youtuber Federico Frusciante? Solo lui sa tutto, non solo di Cinema. Non crede a Netflix e allo streaming. Poi, nelle descrizioni, sotto i suoi video, inserisce i link per acquistare i dvd da Amazon.

Ah, capisco, odia pure Prime Video… Bene… è molto coerente… di una credibilità disarmante…

Il gigante riceve una lezione di vita impressionante, memorabile. Scusate, offritegli una tisana, lo vedo sull’agitato. Sta bene? Che fa? Delira come un bambino di dodici anni? Ma allora è un infante!

Chiamate l’ambulanza, la sua situazione psicofisica è preoccupante, dategli almeno un calmante.

Cavolo, faceva tanto l’arrogante brillante e ha rimediato invece la figura del demente. No, non parlo di Frusciante, Frusciante semplicemente non crede a Netflix solo perché, altrimenti, senza la videoteca, finirebbe in mutande? O no? Non raccontiamoci stronzate, ah ah. Abbiate Fede…, ah ah.

Mi riferisco a un altro, un imbattibile gigante? Invero, fu sempre un gran cafone assai ignorante. Davvero, credetemi, un deficiente sesquipedale. Ammazza. Ancora diffama la gente… questo squallido mostriciattolo che abbisognerebbe solamente di psichiatriche cure pesanti?

Eh sì, a volte arriva uno che ogni certezza dei cretini annienta in un sol frangente, grazie alla sua forza illuminante. Un uomo considerato patetico e malinconico, da manicomio, invero raggiante più del Sole che sorge a Levante. Insomma, questo Falò è veramente uno che guarda il mondo da una prospettiva distorta e sbagliata, non sa leggere, non sa scrivere, non sa argomentare, direi che è proprio ineludibilmente così. Insindacabilmente!

Che dite? Siete d’accordo? Non si può vedere… ma sentitelo, quante incertezze che possiede, s’intravedono e scorgono visibilmente delle oscene timidezze insanabili. Per caso, è Adriano Celentano? Suvvia, fa ridere i polli. Sì, è al mille per mille, indiscutibilmente, un tonto. Be’, se lo dite voi…, si capisce…

A dircela tutta, la gente calunnia il prossimo in quanto incapace. Racconta fandonie.
Non sa affrontare la realtà, non capisce nulla di Cinema, di donne e della vita.
Finalmente, il Falò ha fatto capire a tutti come si sta al mondo.
Sì, per anni fui screditato. Mi accusarono di fobia sociale e varie malattie mentali, pensate.
Sì, andavo a Venezia per vedere solo gli attori. Frequentando nel frattempo, come il grande Depp con Brando, gente che aveva il doppio della mia età.
Sapete, i libri che scrivo, ah ah, non li ho scritti io. Certo! E gli accrediti da critico ufficiale di due riviste di Cinema, ah ah, me li danno perché sono un tonto a cui fare i regalini.
Certo, imbecilli!
https://www.ibs.it/libri/autori/stefano-falotico

 

di Stefano Falotico

Dario Argento è tornato alla regia e io son tornato a essere quello per cui sono nato


17 Mar

argentotop

 

Ora, sento dire da voi di questa generazione che definire Maestro il signor Dario Argento significa peccare di generosità. Di troppa magnanimità. Perché Argento, al massimo, secondo voi, è un discreto artigiano e uno che da più di trent’anni non ha più girato un grande film.

In questo posso darvi ragione. In effetti, Dario, essendo figlio di un’altra epoca, così tanto è stato innovatore e rivoluzionario della stessa in ambito cinematografico, quanto, non sapendosi rinnovare nei suoi, diciamo, canovacci a loro volta passatisti e anacronistici, ha poltrito in un modo di fare Cinema forse sorpassato, senonché macellato da giovani resisti certamente più svegli. Come se fosse stato colto spaventosamente da un sortilegio stregonesco alla pari della sua eroina di Suspiria. E si fosse incantato, in senso lato.

Ma arrivare a dire che l’appellativo maestro bisogna adoperarlo soltanto per gente come Hitchcock, lui sì, oh, maestro vero della paura, delle ossessioni umane più profonde, perverse e recondite, mi pare alquanto irrispettoso.

Come disse, infervorato e adirato a morte, il giornalista calcistico Franco Ordine, quando a Controcampo, la platea a furor di popolo urlò che Figo era una scamorza, Ordine, con urla disordinate e molto arrabbiato, richiamò appunto all’ordine. E declamò, dico declamò, oserei dire sbraitò, gridò un…ma  sapete di chi state parlando? Di un pallone d’oro. PORTATE RISPETTO!

Quindi, si rivolse a Piccinini e gli disse: – Piccinini, ma perché io devo parlare con dei piccini?

 

Ah ah. Invero, questo non lo disse ma lo dico io. Ah ah.

Un momento comunque, oserei dire, epico.

Dunque, a chi, con ignoranza abissale dice che Dario Argento è un semi-cazzaro, io dovrei suonargliele.

Ma lo perdono perché è incosciente. Sì, non ha coscienza di chi Argento è stato negli anni settanta. E di cosa ha rappresentato, non soltanto a livello cinematografico.

L’unico, insuperabile “folle” che ha avuto il coraggio spropositato, dunque ammirevole allo spasmo, di scardinare totalmente i canoni vetusti del Cinema italiano. Fregandosene di quel Cinema amarcordiano, dunque bolso e felliniano, ripiegato su patetici ricordi di gioventù, sul farlocco concepir la Settima Arte come un diario di memorie personali a magnificazione del proprio piccolo mondo sempliciotto e provinciale sin all’osso. Sì, Fellini aveva rotto.

Non fraintendetemi. A Federico riconosco meriti immani, oserei dire disumani. Ma il Cinema italiano, parimenti alla statunitense New Hollywood, appunto, dei seventies, doveva fare il salto di qualità.

Ovvero emanciparsi da storie, sì, belle, lodevolissime del neorealismo, dalle tragedie del dopoguerra ed esplodere, oserei dire, fiammeggiare turbolento in maniera artisticamente invereconda e potente.

E allora ecco che Dario fa una cosa che nessuno, perlomeno quasi nessuno, aveva fatto sin a quel momento.

“Parlare” di storie dell’orrore, aprirci gli occhi sull’incubo chiamato vita.

Se negli States, il grande John Carpenter inventava e tirava fuori dal cilindro il suo archetipico psicopatico per eccellenza, cioè Michael Myers, con Halloween, datato 1978, il signor cazzaro Argento, come dite voi, aveva già girato “filmetti” come L’uccello dalle piume di cristallo4 mosche di velluto grigioProfondo rosso e, appunto, Suspiria, datato 1977.

Vero? Ora io che dovrei farvi? Spaccarvi la capa e accoltellarvi alla mannaia, no, maniera di Myers?

No, sono clemente e vi scagiono da ogni colpa, figlia della vostra smemoratezza, della vostra avventatezza, della vostra impavida, diciamocelo, scemenza. Ah ah.

Sì, Dario Argento, peraltro, sta preparando, a essere precisi, una serie. Ancora le riprese non sono iniziate.

E in streaming, forse su Netflix, la vedremo.

Se dite che Netflix non è il futuro, pigliatevi il drivein. E smettetela.

Sì, dovreste veramente finirla. Andare al cinema è bello, è bello gustarsi i grandi film sul grande schermo.

Ma lo ribadisco, senza vergogna. Le sale d’essai son sempre meno, soppiantate oramai da un ventennio abbondante dalle multisale. Che hanno un parcheggio spazioso e poltroncine confortevoli. Ma devi sorbirti mezz’ora di pubblicità, la folla che, mangiando patatine e popcorn, non capisce niente del film e ti distrae con la sua sguaiatezza.

Poi, la sala, diciamocelo, ha perso oggigiorno valore. Sì, non sto bestemmiando. Un tempo le coppiette andavano al cinema per potersi baciare, lontane dagli sguardi malevoli dei genitori e del film se ne fregavano. I ragazzi marinavano e, quando ancora c’erano gli spettacoli mattutini, s’infilavano in una sala per passare due ore in compagnia dei loro eroi.

Il Cinema, non scordiamolo mai, è nato come intrattenimento popolare. Le sale erano un luogo di ritrovo, di aggregazione. Questo valore le sale l’hanno perso per tante ragioni.

Quindi, è inutile che vi ostiniate, duri come delle capre a combattere Netflix e Amazon.

E ripeto: portate rispetto per il signor Argento.

di Stefano Falotico

True Detective, il cofanetto è mio, le copie si stavano esaurendo ma io giammai mi esaurisco


26 Apr

True Detective

Sì, sto rivedendo e rivedendo True Detective, soprattutto la prima stagione perché la nostra vita si ripropone ciclicamente come dei kart su una pista. Tutto quello che è al di fuori della nostra dimensione è eternità. L’eternità ci osserva dall’alto. Ora per noi è una sfera ma per loro è un cerchio.

Sì, vado matto per il piano-sequenza finale dell’episodio 4, Cani sciolti, e riguardo ogni fotogramma con perizia chirurgicamente antropologica da vero esploratore della giungla disumana alla Ledoux. Sì, ipnoticamente le scene nella mia mente si addensano e in questo caleidoscopio immaginativo mi ricreo come in stato amniotico, rinascendo a ogni attimo di un Fukunaga ispiratissimo e “bioetico”.

Sì, uomini che tradite le vostre Monaghan per qualche mentecatta di buone tette, rifocillatevi dopo una giornata satanica in cui avete tagliato il prato, assurgendo a esistenza linda libera da ogni crocefissione della vostra anima. E filosofeggiate pure di sana pianta, perché il mondo è animalesco e i più bassi istinti, lo so, spesso vi depistano.

Anche a me succede. Dopo aver visto un porno, mi sento sempre in colpa, al che devo rigenerare la mia anima insozzata nel rilustrarla a base di poesia incantata.

Sì, io nella mia vita molte volte perii, patii, mi prosciugai e, ansimante, mi persi. Ma il mesmerico mio risplendere è qualcosa d’inaudito.

Io non ingrazio nessuna donna ma le donne si deflorano alla mia vista, squagliandosi ancor prima che possa sfiorarle. Il mio non è il delirio florido di un pazzo ma la presa di cosc(i)e(nza) di un uomo saggio che, dopo tante lotte, la luce or rivede brulicante in questo folle, universale mio enorme viaggio.

Sì, avevo già l’edizione americana, ma la comprai per puro collezionismo. E da tempo adocchiai il Blu-ray italianissimo della prima stagione. Ma stamane trovai tutte e due le stagioni “cofanettizzate” su Amazon.it allo stesso prezzo della singola stagione su IBS.it e senza spese di spedizione. E cliccai. Sì, perché io clicco. Qualche volta cicco ma non amo né la Madonna né la Ciccone.

Soffrii molti nervosi esaurimenti e ancor spesso son uomo nevrotico ma recito nella vita con lo stesso carisma nervoso di questo McConaughey bellissimo.

Io ce l’ho… “profumato”. Anche se alle volte, come Rust, sono un tantino scriteriato.

di Stefano Falotico

L’estraneo nello specchio di Vincenzo Abate, recensione libro


06 May

L’estraneo nello specchio

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Vincenzo Abate, con ardore “violento”, ci “divora” in quest’allucinante corridoio immaginativo della paura, narrandoci della storia cupa e macabra di un uomo “malato”, inghiottito dalla sua follia o, forse, e questo è fascinosamente raccapricciante, da una verità oscura che si annida nell’asma della sua meandrica mente probabilmente nel giusto, squarciata dal brivido dell’aberrante ingiustizia disumana. Costretto in un manicomio, “gioca” con gli specchi della memoria, che partoriscono tanti mostri della coscienza e l’ineludibile approdo alla tragica (ir)realtà. Una narrazione scorrevole, ottimamente orchestrata di virgole al posto (mal)sano, saltellante nelle “meningi” di quest’uomo “sconsacrato”, disturbato, alienato, in verità vi dico nel savio. Chi lo salverà? Precipizio, urto, urla, schiamazzi del cuore ibernato, (non) liberato, ricordi aprenti il buio dell’anima e un inseguirsi armonico d’abissali, profondissime incognite. Pian piano si disvela il vero, le vene “gridano” la loro sacralità rubata della vita spezzata. E non s’argina il tempo, appunt(it)o, della memoria, che non fa sconti, rosicchia, urtica, mangia, squama, si fa luce o forse fievole, speranzoso crepuscolo. I capitoli “sorseggiano” inquieti l’inquietudine più “vitrea”, ed è un viavai nosocomico di tensione “tagliata” in una prosa forte, decisa, senza fronzoli né voli pindarici, che Abate “delinea” con indubitabile talento da scrittore che sa come “dirigere” un libro “horror”, sa come guidarci nell’abisso e oltre, nella sospensione e riapertura dei lancinanti, ferini dubbi strazianti, un libro “strangolante”. Il libro si “spacca” fra mille “usuranti” ricordi, un foreporter in Corea, confessioni di Dracula, il Mystic River…, Satana che è figlio di Bram Stoker, il celeberrimo delirium tremens, etc, in un flusso ininterrotto di stream of consciousness, ben delineato, “incorniciato” dall’autore, Abate, in modo elegante e senza sbavature, ché si legge tutto d’un fiato, “a bocca aperta” spalancata così com’è vivido e palpabile, lo possiamo annusare, respirare, inalare, introiettare e robustamente sentire, l’em(p)atico, cristallino bri(vid)o di aver “plasmato” la narrazione a sua volontà. Particolarmente riuscito e squisito il capitolo intitolato “Ombre del passato”, in cui Abate fa riecheggiare molte verità inaudite del nostro pazzo mondo e, dietro la figura di Tom, scaglia colpi bassi e “sacri(leghi)” contro la psichiatria, finto “deterrente” per (non) curare l’anima, anzi, intenerendola nella “lobotomia” della coscienza, anziché alleviare i demoni interiori, li soffoca pericolosamente, pronti a riesplodere in furia manifesta appena riaffiora appunto il passato marcio e non lenito. Ed ecco poi la perdita dell’innocenza, la paura del buio, i mostri adulti, immancabili in un romanzo di questo tipo. Il tutto, come già detto, sempre narrato brillantemente e con maturità, acume sottile. Un altro capitolo secco e riuscito è quello del colloquio, ove una giovane donna idealista e dai pugnaci valori vien costretta ad “adattarsi” all’andazzo lavorativo, soffocando tristissimamente le sue ambizioni da letterata…, un bel pugno allo stomaco alla società cannibalistica, fascista e dominata dai soldi più capitalistici. Perché questi capitoli-racconti che appaiono così slegati fra l’oro? Il rebus sarà rivelato alla fine…

Leggetelo.
Lo trovate in Kindle su Amazon.

 

di Stefano Falotico

Genius-Pop

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