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Anna Paquin rischia di essere candidata agli Oscar come miglior attrice non protagonista, sebbene in The Irishman reciti una sola frase


30 Nov

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Burlesca disamina delle sordomute anime, invero eloquenti da uomo iconico di tutti gli intro-versi, cioè i poeti che scrivono versetti e, per quanto ricattati, non ne vogliono sapere di adattarsi, non c’è (capo)verso

Sì, sarebbe un caso unico. Più unico che raro, una rarità, come si suol dire.

Perché non hai chiamato Jo?

 

Sì, questa è l’unica frase pronunciata da Anna Paquin in The Irishman.

D’altronde, Marlee Matlin invece vinse l’Oscar come miglior attrice protagonista per Figli di un dio minore.

Donna meno(a)mata di poche minigonne tolte lei dagli uomini, elevati o non, eppur dall’Academy in gloria elevata.

Marlee detiene ancora il record d’essere stata l’attrice più giovane, cioè a solo ventun anni, a vincere l’Academy Award pur recitando la parte di una sorda.

Mentre Adrien Brody de Il pianista, un intellettuale in un mondo violento, nazistico e ricattatorio, è ancora l’attore che detiene il primato d’aver vinto, per il suddetto film menzionatovi, l’Oscar come miglior attore a soli ventinove anni.

Secondo me, anche Alberto Sordi meritava di vincere. E Ornella Muti, no? Ornella possedeva una bellezza che parlava da sé, mozzafiato, senza bisogno di aggiungere altro. Anche se va detto che gli uomini, rimanendo di fronte a lei senza parole, volevano indubbiamente scoparla. Anche a costo di partorire la prole.

Di mio, posso dire di aver attraversato tutte le malattie psicofisiche possibili e immaginarie. Immaginabili!

Dagli altri definite ipocondriache e dunque da costoro, gli impostori, fui visto e vengo tutt’ora visionato, molto superficialmente, come un coglione, solamente semplicisticamente, assai sbrigativamente, fallacemente e scarsamente psicanalizzante la mia anima invero emotivamente elettrizzante.

Fui enfant prodige, quindi m’ammalai di elefantiasi, divenni muto e non spiccicai parola e, ricordate, non c’è peggior sordo di chi non vuole sentire.

Sì, io provai a spiegare le mie emozioni ma gli altri non mi stettero ad ascoltare.

Anzi, non vollero assolutamente auscultarmi. Cioè entrare in empatia col mio cardiaco, viscerale, profondo sentire. Preferendomi snobbare e liquidare con fare fanfarone e protervia da costoro reputata insindacabile, veritiera e assolutistica. Sì, non riceverò mai da codesti pusillanimi una benché minima assoluzione poiché sono convinti che io abbia mentito e la mia versione dei fatti sia del tutto inattendibile e figlia, per l’appunto, delle mie distorsioni mentali giudicate insanabili, addirittura pericolose e malsane.

Per forza, non parlavo, ah ah. L’abito fa il monaco, anche il monco. Infatti, per anni volli scopare donne come Renée Simonsen di Sotto il vestito niente ma, per l’appunto, essendomi chiuso nel mutismo poiché, vivendo libero da regole castranti e da dogmatismi genitoriali limitanti il libero, spensierato arbitrio puramente giovanile, fui paradossalmente reso limitato, angariato e psicologicamente minacciato, sessualmente inibito, represso e intimorito, venendo scambiato per uno psicopatico scemo più del film succitato e dei film di Carlo Vanzina.

Gli altri, essendo stupidi come Boldi & De Sica dei cine-panettoni, mi facevano le smorfie, in segno di compassionevole incomprensione ma, soprattutto, anche sotto e basta, si facevano infatti tutte le più smorfiose. Al che, dovetti aprirmi, giocoforza, in quanto umiliato e dunque sottostimato, vagliato e misurato soltanto come cosiddetto cacasotto.

A causa di questa stigmatizzante coercizione immonda, esplosi di pene… in modo furiosamente spasmodico. Tant’è che, a questo punto, dopo essere stato considerato un inetto, infetto, lebbroso e sfigato, fui patentato di un’altra immeritevole etichetta, quella dello psicotico-psicopatico con tracce indelebili caratteriali da perenne, penoso, insalvabile disadattato da cure psichiatriche e necessaria, consequenziale assistenza sociale. Fui però lo stesso scambiato per un maniaco sessuale. Sì, trovatomi che ebbi, dopo essermi perso in selve oscure, nel mezzo del cammin di mia vita che la retta via era smarrita, non essendo molti femminili retti(li) da me fottuti a causa del non poter comunicare loro d’averlo eretto, in quanto mi mostrai assai poco e ovviamente la gente pensò che fossi un mostro, appena mi tirai su, gli uomini e le donne con le palle, come no, credettero che volessi fotterli. Urlandomi: – Vai a prendere per il culo qualchedun altro, mica noi, testa di cazzo! Tu vorresti farci credere che eri muto solo perché reclusoti nell’essere elusivo? Hai finito di fare il taciturno con lo sguardo allusivo, non sei speciale, non sei un ragazzo che ha sul mondo l’esclusiva, sei un escluso. Capitolo chiuso!

Adesso, ti cuciamo la bocca e t’intimidiremo coi ricatti più mendaci. Vai a lavorare, porco, merdaccia!

 

In compenso, perseverarono senza vergogna a sfottermi, le donne, eh sì, togliendosi la gonna per mettersi a pecorina, in posizione su(p)ina da gogna, dinanzi e (di)dietro a bulli da loro visti come uomini lungimiranti. Delle loro prese per il popò, io me ne fottei, altamente me ne sbattei. Insomma, ricevetti inculate continue. Se fossi stato un omosessuale passivo, adesso sarei ricco. Invece, mi chiusi solo a riccio mentre anche le più brutte ricce mi chiamavano ciccio. Per quanto mi concerne, devo pubblicare il mio prossimo libro. Sì, sono un poeta al cui confronto Javier Bardem di Mare dentro è un principiante. Comunque, a parte gli schizzi, no, gli scherzi, non sono immobilizzato a letto. Sapete perché? Dopo essere stato ingiustamente sorvegliato speciale a vista da gente ignorante che non capì le mie apparenti chiusure e le mie immutabili introversioni da uomo non vanaglorioso e volgarmente appariscente, appena mi ribellai e con furore esternai la mia anima, come Bardem, però di Prima che sia notte, mi diedero solo più botte, anzi, pure della bottana da Uova d’oro. Detenendomi in libertà vigilata in attesa di giudizio. Ah ah.

Sì, sia come Anna Paquin che De Niro stesso di The Irishman, con lo sguardo loquace, senza bisogno di aggiungere troppi monologhi da Al Pacino, diciamo, ho detto tutto…

Marlon Brando, una volta disse a Jack Nicholson, sul set di Missouri, che un grande attore si riconosce dallo sguardo e dalla mimica facciale anche se non pronuncia una sola parola. Esperisce le emozioni della vita e le trasmette con la forza degli occhi. Quindi, posso affermare che, a furia di capire tutto ma dire quasi nulla, possieda io oggi gli occhi più espressivi del mondo e un carisma immane.

Comunque, per farla breve, Anna Paquin vinse a soli undici anni l’Oscar per Lezioni di piano. In questo film di Jane Campion, c’è Harvey Keitel. Ovvero Angelo Bruno di The Irishman. Uno che abusò del suo potere ne Il cattivo tenente e desiderò educare-imboccare Kate Winslet di Holy Smoke. Insomma, un povero coglione. Uno che non sa affrontare la complessa, sofisticata, stratificata realtà. Preferisce continuare nelle sue ottusità, nelle sue accuse relativistiche da figlio di puttana qualunque.

Va subito preso e in manicomio sbattuto.

Tornando invece a Lezioni di piano, che io mi ricordi, me ne sparai molte sul nudo integrale di Holly Hunter.

 

di Stefano Falotico

Ho rivisto THE IRISHMAN in sala, cioè al Cinema Odeon di Bologna in Via Mascarella: è meglio che lo riveda su NETFLIX


04 Nov

irishmanPrologo, lungo quanto quello di… The Irishman prima dell’entrata in scena di Al Pacino

Dovete sapere che il nuovo film di Scorsese non è di Scorsese. Bensì di Bergman. Assomiglia molto a Il posto delle fragole. Solo che, al posto delle metaforiche fragole, De Niro rimembra il suo primo incontro avvenuto con Pesci dopo aver consegnato la carne in macelleria e dopo aver raccontato tutte le sue pene a Joe, mangiando il pane. Che poi spezzerà, alla fine, in carcere come Cristo all’Ultima Cena.

Sì, oggi pomeriggio, dopo un incontro decisivo per il mio solito futuro incerto, un futuro per cui arranco, di frustrazioni m’annacquo, sostanzialmente per il quale alla bell’è meglio m’arrangio, per cui ancora inciampo eppure con la stentorea voce della mia anima sostengo, anche se a stento, campando di stenti, dicevo… tornai a vedere The Irishman dopo averlo già visionato alla Festa del Cinema di Roma.

A Bologna esistettero due Odeon. Uno fu a luci rosse e forse lì potevate incontrare De Niro/Travis Bickle di Taxi Driver, in trasferta felsinea, oppure Andrea Roncato di Acapulco, prima spiaggia… a sinistra.

Danzai tra la folla assiepatasi dietro la transenna. Sì, v’era molta gente, non pensavo. Tant’è che le maschere furono attorniate da quelli della sicurezza.

Di mio, ordinai un caffè dopo aver pisciato comodamente nella toilette per soli uomini.

Il film iniziò in perfetto orario e, al tintinnare dei primi titoli di testa, finalmente la gente s’azzittì. Rimanendo muta per tutta la visione di tre ore e mezza senz’alcuna interruzione fra il primo e il secondo tempo. Pubblico selezionato. Di bocca buona. Infatti, non mangiò nemmeno i popcorn. Ah ah.

Tutt’al più scolò bottiglie d’acqua a piccoli sorsi. Sennò poi tutte queste persone distinte e signorili sarebbero dovute andare in bagno, visto che il film dura infinitamente e cinematograficamente sazia parecchio ma, al contempo, bevendo così tanto, riempie anche le vesciche per pipì interminabili. Comunque, fra uno sparo e l’altro nel film, mi parve d’udire qualche schioppo sospetto. Ovvero qualche sottile flatulenza dovuta all’aerofagia. Ma peti comunque sempre rispettabili, sì, non troppo rumorosi. Ah ah.

Sul giornale, lessi che era doppiato, invece me lo sorbii di nuovo in originale sottotitolato.

De Niro m’è apparve gigantesco. Sia perché usa davvero i tacchi per sembrare più alto di quello ch’è, sia perché in molte scene è veramente grosso, iper-corpulento. Tant’è che, per l’adipe mista alla struttura muscolare del suo corpo senile ma ancora tosto, credo che durante le riprese soffrisse di colesterolo di due metri circa? No, sopra 200. Pare pure che abbia le gote gonfie come se avesse assunto del cortisone o, peggio, dei farmaci neurolettici.

Ve lo dico per certo. Non ficcatevi mai in corpo psicofarmaci come il Risperdal, Invega e porcate varie. Il vostro metabolismo ne risentirà. Assumeteli solamente se dovrete interpretare, di mimesi realistica, la parte di Frank Sheeran. Che fu, per l’appunto, un bisonte, un peso massimo.

I farmaci non servono a una minchia. Anzi, inibiscono la libido, alterano i testosteroni e, a forza d’ingoiarli, nel giro di pochi mesi diverrete un lottatore di sumo.

Per fortuna mia, dopo essere ingrassato come De Niro di Toro scatenato, sto velocemente tornando all’antica mia forma asciutta da Travis Bickle.

Tutto ne giova. Sì, assolutamente. Tant’è che volli immediatamente, dopo essere andato in bagno, entrare in sala poiché, alla vista di tutte le gran fighe in attesa d’entrare a vedere il film, vissi un’ormonale sauna.

Poi calarono le luci, altrimenti forse sarei stato denunciato per oltraggio al pudore e sarebbero calate solo le mie brache. Oh, avrei però incontrato il cugino di Russ Bufalino, interpretato da Ray Romano e lui m’avrebbe salvato grazie a un’arringa da Gregory Peck del Cape Fear di Scorsese. Ah ah.

Sì, comunque non è male come luogo… questo Odeon. No, non è come l’omonimo oramai decaduto ex cinema per adulti del quartiere Santa Viola ma è un posto ove, se non sai che cazzo fare a metà pomeriggio, qualcuna per farsi un film XRated si può trovare. Ah ah.

Comunque, era da tempo immemorabile che in tale cinema eccitante non mi recai. Mi ricordo che uno dei primi film che qui vidi fu Così ridevano di Gianni Amelio. Un film forse più tragico di The Irishman.

Sì, la storia di due fratelli emigrati al nord. Con un Enrico Lo verso che si sacrifica e si toglie tutto affinché suo fratello minore possa avere una vita migliore. Adora suo fratello e non vuole assolutamente che lui abbia una vita così dura come ebbe, forse ingiustamente, lui. Al che fa di tutto al fine che suo fratello possa diplomarsi al magistrale per garantirgli un futuro economicamente e socialmente più rispettabile del suo.

Il fratello però è parimenti troppo affettuoso nei riguardi del maggiore. Al che, Lo Verso/Giovanni ammazza un uomo ma suo fratello, Giuffrida/Pietro, si accusa di tale reato perché pensa che Giovanni abbia già sofferto abbastanza.

Insomma, una vita da Mio fratello è figlio unico. Ma non il film con Riccardo Scamarcio, bensì proprio da canzone di Rino Gaetano.

Sapete che io avrei dovuto chiamarmi Pietro? Ah ah. No, non scherzo. Infatti, all’anagrafe faccio Piero come secondo nome, modernizzazione di Pietro. Sì, avendo io origini meridionali, i miei genitori avrebbero dovuto chiamarmi, essendo il primogenito, peraltro figlio super unico a livello mondiale, infatti non esistono persone come me, cari fratelli della congrega, come mio nonno.

Mio nonno, Pietro, fu un uomo che non sapeva leggere, diciamo, benissimo. Però sgozzava le galline meglio di tanti fighetti bolognesi che s’attorniano di pollastrelle e fanno solo la fine di Joe(y) Gallo. Ah ah.

Intanto, oggi, già ieri lunedì 4 Novembre 2019, De Niro iniziò le riprese del suo nuovo film, After Exile.

La storia di un uomo che sbagliò tutto ma farà/fece di tutto per far sì che i figli non soffrissero/soffrano al pari di quanto lui patì.

Sì, De Niro rimane ancora il mio attore preferito.

The Irishman… voglio gustarmelo, libero da fighe fuorvianti, in casina. Quando lo ficcheranno su Netflix. Peccato che su Netflix non diano Casino.

No, non sono misogino come Sergio Leone di C’era una volta in America.

E non la penso come Francesco Alò riguardo il fatto che anche in The Irishman le donne abbiano un ruolo marginale.

Innanzitutto, è un film di gangster che fanno le prime donne, soprattutto Joe Pesci. Più permaloso di una con cui chattai ieri sera su Facebook.

Dopo tre parole, le scrissi che è un’ottima passerina e lei mi disse che sono un porcellino. Come lavoro, questa qui non è che faccia proprio la professoressa di Religione applicata alla Metafisica a Oxford, diciamo. Infatti, secondo me se la fa con tipi/topi come Russ Bufalino/Pesci. Sì, è viscidissima.

Meglio così. Avrebbe lasciato la sua puzza di Pesci, no, di pesce sul sedile posteriore della mia macchina come in un’oramai già famosa scena di The Irishman.

Anna Paquin è davvero una stronza. Non perdona suo padre per aver ucciso Al Pacino/Jimmy Hoffa. Che poi… lei si mette assieme a suo figlio adottivo, interpretato da Jesse Plemons ma, nella scena della festa, in cui per ben due volte balla con Al, lo va a raccontare a sua sorella, ah ah, che fra lei e Jimmy non fece la stessa cosa che fece Stephanie Kurtzuba in The Wolf of Wall Street con Leo DiCaprio.

Insomma Anna, pur di salvarsi da una vita di merda, diciamo che per facciata stette con Jesse e, dietro le quinte, con Al.

La Kurtzuba, invece, dopo aver leccato il culo al Berlusconi di turno, ovvero Jordan Belfort/DiCaprio, in The Irishman si salvò da una vita grama da modestissima cameriera, sposando Frank Sheeran. Uno che poté essere suo nonno.

Adesso, per farvi ridere, vi racconto questa.

Una donna su Facebook mi scrisse:

– Falotico, lei mi dice che mia figlia vorrebbe separarsi dal marito per frequentare lei. Lei è un fallito, mia figlia è, peraltro, sposata. Adesso, deve pensare solo a lavare le posate. Poi, deve andare a riposare.

– Lei, invece, è sposata?

– Sì, ma tradisco mio marito. Insomma, lasci stare mia figlia. Prenda me. Sono annoiata. Non so che cazzo fare.

– A me piace sua figlia.

– Mia figlia è sposata.

– Sì, ma sta divorziando. Suo marito è un violento.

 

Cioè, non capisco. La figlia è tenuta in scacco da una madre fedifraga che desidera il male del sangue del suo sangue?

E il matto sarei io?

Sì, a quanto pare, il marito della ragazza, sebbene sia un malavitoso cattivissimo, è un uomo duro e sua figlia ha bisogno di essere protetta.

Capisco…

Mah, adesso andrò al bar. Vedo se riesco a raccattare qualche Kurtzuba.

 

Epilogo per modo di dire. Non siamo neanche a metà del viaggio, cazzo

Finisco con quest’aneddoto biografico.

Via Mascarella, ove è ubicato l’Odeon, è una laterale di via Irnerio. Ove una volta c’era il negozio home video di Blockbuster.

Ha chiuso da tempo poiché lo streaming ha soppiantato il noleggio.

Lì vicino, invece, c’è però ancora lo Sferisterio della Montagnola, detto anche palestra Baratti.

Vi racconto quanto brevemente segue.

Quando frequentai la prima del Liceo Scientifico Sabin della succursale in via Broccaindosso, non essendovi la palestra, nella giornata di Educazione Fisica, noi della scolaresca dovevamo prendere l’autobus e recarci allo Sferisterio.

Un giorno, però, in una mattina piovigginosa e plumbea, l’insegnante di Educazione Fisica cambiò programma e andammo tutti alla Montagnola. Lui indisse una corsa per tutto il circondario della Montagnola.

Vinsi io. Presi pure nove.

Perché non dovete mai scordarlo. Sì, mi ammalai di gravissima depressione. Infatti, dopo aver mollato tutto, fu allora che divenni patito… di Taxi Driver e Interiors di Woody Allen.

Per me il tempo non esiste. Trovandomi in quei posti a me così tanto cari quando fui giovanissimo, è come se avessi vissuto un magico déjà vu.

No, non mi sento affatto vecchio come De Niro nell’epilogo di The Irishman.

Purtroppo, sono ancora belloccio.

Dico purtroppo perché mi sarebbe piaciuto davvero essere pazzo, brutto, scemo, rintronato o sfortunato.

Almeno, la vita sarebbe stata meno dura.

Invece, se fossi stato un idiota come molti oggigiorno, se fosse ancora aperto l’altro Odeon, vale a dire quello che programmò tanti porno, avrei campeggiato da stallone italiano sul cartellone a mo’ pubblicità della troiata in programmazione.

Sì, oggi gli attori e le attrici dei film a luci rosse vanno fortissimi.

Peccato che, come Scorsese, non mi sia sputtanato né affiliato alla mafia ma neppure abbia optato per una vita da prete.

Dunque, prevedo ancora molte gioie lungo il mio cammino ma anche altrettante inculate.

Questa è la vita di chi sa il fallo, no, il Falò suo.

Se non vi piace, fra poco più di un mese usciranno i cine-panettoni e a Natale reciterete la parte dei bravi zii falsissimi come Joe Pesci.

Ho detto tutto…

S’è fatto tardi. Ma non ho sonno.

Mi sa che scaricherò un film. Non so se western, poliziesco o un film diciamo non propriamente da Oscar con una (s)vestita da bagascia come la moglie di Pesci in The Irishman, sì, questa milf è uguale a Kathrine Narducci.

Donna terragna che pare molto ciuccia. Sì, eccome se ciuccia, miei ebetucci.75580377_10214880698433852_1927471190893395968_n74349036_10214880697673833_5635898661822005248_n

 

di Stefano Falotico75303394_10214880698753860_7401015368757542912_n

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Lo SHINING del mio viaggio alla Festa del Cinema di Roma per vedere THE IRISHMAN


23 Oct

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THE SHINING, Danny Lloyd, Lisa Burns, Louise Burns, 1980, (c) Warner Brothers

THE SHINING, Danny Lloyd, Lisa Burns, Louise Burns, 1980, (c) Warner Brothers

shining 3Ovviamente, tutti conoscete la tristemente celeberrima stanza 237. La stanza degli orrori ove l’orco Jack Torrance, incarnato con ghigno luciferino da un mefistofelico, grandguignolesco Jack Nicholson, celò più d’uno scheletro nell’armadio.

Molti di voi, invero, nei loro armadietti nascondono al massimo delle confezioni di profilattici che non mostrate però a vostra moglie. Poiché con lei, essendo bruttina come Shelley Duvall, da tempo immemorabile non più amoreggiate come una volta.

Quando, turbinosamente infatuati, a livello ormonale e non, della sua angelica, diafana atipicità di donna forse, per l’appunto, non bellissima ma affascinante, gustaste amplessi che partorirono Ewan McGregor di Doctor Sleep. Ah ah.

Ebbene, quel bambino oggi divenuto un uomo, eh sì, sono io. Un eterno bambino posseduto dalla luccicanza, gift donatomi da dio al momento della mia nascita in quanto cherubino precipitato in un mondo di folli e psicopatici alla Torrance.

Di mio, sono però uno scrittore esattamente come Jack. Per trovare l’ispirazione, m’isolo e mi segrego, allestendo romanzi dalla prosa barocca e dalle trame labirintiche. Poiché, assiderando nella realtà quotidiana, popolata da uomini cinici e aridi, solamente nello stellato firmamento della mia incontenibile fantasia alta e alata, solo nel turbamento della mia genetica creatività smodata, trovo me stesso.

No, non staziono nella red room, ribattezzata Red Rum. Tutt’al più, bevo fra una digitazione sulla tastiera e un’altra recensione cinematografica non del bourbon, bensì del Cuba Libre con ghiaccio.

Molta gente ipocrita mi dice che sono un barbun’ e talvolta, pur essendo un ragazzo colto, lascio crescermi la barbetta incolta.

No, non staziono in quella camera ove le due povere gemelline furono trucidate dal mostro Jack, bensì l’altro giorno andai semplicemente alla stazione. Quella di Bologna.

Per involarmi, no, non presi l’aereo, per imbarcarmi… no, non presi la nave, insomma per partire alla volta del Festival di Roma. Per visionare l’anteprima italiana d’un film da me atteso tutta la vita, ovvero The Irishman.

Giunto in tal loco, meglio in tal luogo (dai, evitiamo di essere burocraticamente aulici in questa sede), nel pomeriggio di domenica scorsa, gironzolai per Via Flaminia e bevvi molti caffè. Ma non incontrai nessun barista fuori di testa come quello di Shining. Sebbene, debba ammettere che quasi tutti i baristi di ogni città del mondo adocchiano le clienti donne più fighe con sguardo ingordo da lupi.

Sì, se entri in un bar qualsiasi e ordini, semmai, pure un cappuccino e non v’è nessuno al bar in quel momento, il barista vi servirà la bevanda in quattro e quattr’otto. Se invece penetri in un locale in contemporanea con una stangona in minigonna, a meno che tu non sia un pezzo grosso come Martin Scorsese, ammesso che un barista sappia chi sia Scorsese, il barista darà da bere prima alla gnoccona.

Sperando di sorseggiare, poi, al calar della sera qualcosa di caldissimo con lei. Per spalmarsi le labbra di rossetto…

A parte ciò, a Roma incontrai varie persone e amici. Incrociai perfino D. Stanzione di Best Movie. Col quale, tanti anni fa, scrissi un libricino intitolato Nel neo(n) delle nostre avventure, in vendita su lulu.com.

The Irishman è un capolavoro assoluto. Qualcuno scrisse che ha un unico neo, vale a dire la scialba colonna sonora.

La colonna sonora è invece molto bella. Direi che ogni film con De Niro ha almeno un neo. O no? Ah ah.

Se ha solo un neo, è per forza un masterpiece. Ah ah.

No, non alloggiai nella stanza 237 ma all’interno del numero civico 287.

Qui, conobbi perfino un cinese che, essendo stata abbandonata la reception, mi chiese gentilmente come poter accendere le luci della sua camera d’albergo.

Gli dissi che bastava infilare la scheda magnetica nell’apposita buchetta…

Peccato che, a forza di girare per Roma, smarrii la mia scheda magnetica. Probabilmente, mi scivolò inavvertitamente dalla tasca.

E dovetti pagare 50 Euro di rimborso.

Detto ciò, sono un uomo che appare e poi scompare ma non è certamente una comparsa.

Posseggo un carisma degno di Jack Nicholson di Qualcuno volò sul nido del cuculo.

Sì, spesso vengo scambiato per pazzo.

Ma con me la gente si diverte da morire.

Poiché non indosso maschere e non pretendo che l’altro possa io modellarlo a mia immagine e somiglianza.

Io sono io e lui è lui.

Invece, questo lapidario, facilissimo messaggio non viene capito pressoché da nessuno.

Tutti obbligano gli amici a pensarla come loro, costringono le donne a cambiare nell’animo e le donne, a loro volta, credono che gli uomini le ameranno solamente perché sono donne intelligenti e perspicaci, acculturate come Shelley Duvall ma, tra un film e l’altro, non guarderanno con desiderio Anna Paquin di The Irishman.

Che forse non è una strafiga ma a cui una botta va data.

Se v’illudete che non sia così, The Irishman non è un film che fa per voi.

Stasera, ridanno Torna a casa Lassie! Registratelo.

A me piacciono gli animalisti. Non mi piacciono gli uomini animali.

Invece, siamo attorniati da stupide galline, da elefanti, da pachidermi, da cornuti, da Bambi che non amano Il cacciatore di Cimino, perfino da stronzi come Joe Gallo.

E questo è quanto…

 

di Stefano Falotico

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Ebbi il presentimento e il sentore istintivo che The Irishman sarebbe stato il mio ultimo film definitivo, posso darvi ora l’addio, alla prossima s-figa


22 Oct

Anna+Paquin+Flack+UKTV+Premiere+Red+Carpet+SQe6nYkAZK0lFrase epica: di cento cose che dico, novantanove sono vere, solo una è falsa ma non mi ricordo nemmeno io quale.

Sì, ho completato il patto stipulato con me stesso anni or sono quando annunciai che, a visione terminata di The Irishman, quando tale opera magna fu ancora in fase d’iniziazione, ancora prima che si parlasse di pre-produzione, pochi minuti dopo aver letto la notizia su Variety in mento alla sua futura lavorazione, avrei posto fine alla mia vita.

Dopo aver visionato tale pellicola mastodontica, dopo un’attesa interminabile durata in modo spropositato, dopo aver assistito all’infinito scandirsi dei titoli di coda, dopo esser rincasato a Bologna post mio viaggio a Roma, dopo aver allestito un’epica, epocale, magniloquente recensione, giunto che son ora nella mia umile dimora, nuovamente asfissiato dall’autunnale incedere inesorabile della mia melanconia incurabile, asserisco testé e ivi che la mia esistenza non ha molto più senso ancor d’inoltrarsi e avanzare.

Mi pare logico e obiettivamente realistico abbandonare ogni utopistica illusione e far sì che la morte possa bussare presto alla mia porta. Le offrirò un dolce caffè e poi scivolerò via, scremato lievemente fra le mie essiccate labbra screpolate nei sepolcri della mia vita solo trasognata e mai davvero lambita, mai veramente voluta e ambita, probabilmente soltanto non capita, per crepare come un bacio di morbida panna nella calda cioccolata del mio squagliarmi lontano da ogni ansia zuccherata. Vivamente mi cremerò nell’estasi della perpetua dissoluzione senza chiedervi omaggianti, retoriche assoluzioni.

Poiché già patii una resilienza immane atta solamente a scagionarmi, in questo decennio abbondante, da vili e spregevoli, malvagie infamie proterve e stupidamente arroganti.

Dunque, dopo essermi inutilmente giustificato dinanzi ai più burocratici, frettolosamente e scandalosamente organi preposti alla valutazione psicofisica della mia interiorità morale, inviolabilmente sacra e mortale, dopo essermi vanamente sbudellato e scorticato le interiora al fine soltanto d’attestare la mia giammai contraffatta integrità a degli animali sesquipedali, affermo che è un mondo affetto da mentale, irreversibile infermità. Cosicché, dirimpetto a una mostruosità disumana dalle proporzioni spaventose forse maggiori del budget enormemente dispendioso di The Irishman, parimenti a questa titanica e indimenticabile, insuperabilmente sopraffina prova artistica improba e impari, decreto catacombale di tale iper-sintetica, poetica silloge la mia devastante dipartita monumentale. Oserei dire cimiteriale.

Ah, per forza. Una volta morto, tu speri davvero di ascendere al paradiso? Stai fresco.

Sì, sottoterra stai freschissimo. È caldo d’inverno e freddissimo d’estate. Stai di un bene…

Senza battere ciglio. Sono stanco delle incitazioni superflue e sdolcinate attuatemi affinché possa fingere di essere felice e di mischiarmi alla baldoria euforica d’un mondo che, dalla nascita, dannatamente non m’appartiene né mai allineato sarà al mio spirito metafisico super raffinato. Puniamola, pugnaliamola, no poniamola così, ah ah. Altrimenti, se dovessi essere obiettivo, mi dovrei suicidare e basta. Ah ah.

Questo è uno scritto di puro afflato sebbene mi senta molto affaticato.

So che posso indurvi a ridere, perfino a deridermi nell’esternare con indubbia fierezza ciò che potrebbe apparire come strafottente, ilare irriverenza o come un’antipatica posa figlia d’un mio momento imbarazzante d’assurda deficienza.

Sì, quando opto per uno stato deficiente, sono un uomo splendente, autentico. Quando invece voglio omologarmi alla contemporanea imbecillità corrente, in quei momenti assumo espressioni innaturali come se stessi fremente cagando la diarrea più puzzolente.

No, mi viene facile essere un uomo ostico, assai difficile. Mi riesce pressoché impossibile ballare e ridere come tutti. Poiché alle scimmie preferisco la solitudine coi miei salati arachidi.

A nulla mi servì la scienza. La psichiatria di fronte a un granitico macigno indissolubile come me, in quanto convinto assolutamente che questa terra a me non s’addica e mi dica da tempo immemorabile e assai spettrale un bel niente, s’arrese esterrefatta e disfatta!

Completamente putrefatta, sconfitta grazie alle fitte che le riservai coi miei metaforici pugni allo stomaco.

Costernata e perfino vilipesa, oltraggiosamente affrontata dal mio genio stupefacente che sfatò e sfondò ogni teoria cretinamente partorita da Freud il malato. Uno che non possedette certamente una bella mente a voler enucleare le psiche altrui quando invero avrebbe dovuto copulare con la sua anima connaturatamente irredenta. Irridendo a stretti denti la sua boria penosamente, sorridentemente vergognosa ed esecrabile nel ridente essersi presa gioco di me con tale orripilante strafottenza.

Poiché chi ardì solamente a voler studiare i meandrici cunicoli della nostra inconscia, ermetica, criptica e perciò non decriptabile sofisticatezza, meriterebbe il manicomio eternamente. Nel suo folle delirio da onnipotente, elevatosi per l’appunto a dio giudicante quest’umanità derelitta e spregiudicatamente, irrimediabilmente violenta anche solo psicologicamente, commise il madornale orrore d’un tragico, insalvabile e insanabile pregiudizio che, in realtà, avrebbe dovuto applicare alla limitatezza della sua ridicola demenza.

Avrebbe dovuto effettuare a danno della sua inconsapevole pochezza, per l’appunto nei riguardi della sua incoscienza, nei confronti della sua presunzione farneticante e immonda, tale abominevole stoltezza.

Vomitante solamente la tristizia della sua boriosità tremenda.

Mi sento come Frank Sheeran, un uomo materico che non soffrì sensi di colpa né ebbe da confessare a chicchessia, tantomeno a un ipocrita uomo di chiesa, la durezza della sua spericolatezza e della sua insopprimibile, folle fermezza.

Visse senza sapere di vivere, camminando strisciante come un fantasma della notte. Aleggiando macabro nel nitore dei suoi estemporanei ardori, dei suoi brillanti seppur rari fulgori.

Vedendo attorno a lui dei fantocci di cartapesta, dei moralisti senza ritegno che, semmai, quando non impauriti dalla sua cupa, ombrosa e lombrosiana grandezza, gli consigliarono solo di redimersi e di mostrarsi al prossimo con più contegno. Quella che, falsamente, denominarono come dignità.

Sì, la dignità di coprirsi dietro un lavoretto per celare tutte le magagne dei loro nascosti magnaccioni. Mannaggia!

Evviva chi s’arrangia e non è mai contento in quanto non è un frivolo uomo di panza.

Ma quale tornare indietro? Ma che state dicendo? Non vi penso nemmeno a infatuarmi di un’altra puttanella. Perderò la testa per lei ma anche i testicoli. Poiché, dopo avermi sedotto e concupito, dopo avermi svuotato le palle e soprattutto il portafogli, m’evirerà come quella bagascia che, tanti an(n)i fa, per mia disgrazia conobbi. Una tale Elvira, baldracca che si spacciò per direttrice d’azienda. So io invece, eccome se lo so, di cosa fu rettrice. Donna poco retta ma comunque amò pigliarlo tutto ritto nel suo ottimo retto.

Sì, pappammo assieme un filetto e poi degustammo una saporita cotoletta. Quindi, ci sparammo un filmetto e lei si ficcò tutto il mio pisello dal notevole infilarglielo come un rastrello, leccandosi pure i baffi con tanto di lamento.

Ma quale amore di questo par de palle. Semmai prendo una cotta per innamorarmi di una con cui mettere al mondo Anna Paquin. Attrice che, dalla faccia, è più stronza del padre.

Infatti, secondo me, tra lei e Hoffa ci fu una sessuale truffa che Gesù avrebbe svelato, scoprendo gli imbrogli d’una insindacabile scopata che non viene riportata nel film di Scorsese né ufficializzata da nessun atto depositato alla cronistoria degli autotrasportatori ma che io so che avvenne poiché Pacino, con duri colpi di bacino, riempì il suo vuoto pneumatico, sgommando anche d’amplesso furioso sulle sue curve mozzafiato da divetta di Hollywood.

Poiché sono The Irishman, l’uomo più cattivo di tutti. Un lupo solitario dallo sguardo di ghiaccio.

No, quello fu Iceman, il signor Richard Kuklinski.

Uno che, arrivato all’età della cosiddetta maturità, non ebbe più il tempo di farsi le seghe su Valérie Kaprisky.

Al che, prima la buttò in vacca come Charles Bukowski ma poi capì che Bukowski non lo caga nessuno perché tutti i ritardati odierni amano i selfie e leccarsi il culo.

Arriveranno all’età di Frank Sheeran col rimpianto di non aver davvero fatto quel cazzo che vollero ma, improntati al buonismo più fariseo, dopo essersi scambiati baci di Giuda similmente ad Al Pacino nei confronti di John Cazale de Il padrino – Parte II, non più avranno il coraggio di mentire a sé stessi e null’altro nelle loro anime vi sarà se non la magra consolazione d’una esistenza da figli di troia.

Di mio, non ho da scusarmi né ricuso le ripugnanti, immisericordiose patologie attribuitemi. Poiché figlie del vostro mondo che, come detto, non è il mio.

E ne sono felice d’estrema unzione ad averlo (s)macchiato con furente passione.

Sentite condoglianze da parte di un uomo forse sfortunato, forse fortunatamente mai nato. Dunque, ancor prima di nascere e morire, ammainatosi.

Su questa stronzata vi auguro una felice notte.

Ci sentiamo domani.

Se devo dirla tutta, The Irishman è un film magnifico.

E la scena in cui De Niro, a tarda sera, entra nel locale in cui v’è quel bastardo di Joe Gallo e lo ammazza a sangue freddo, cazzo, vale un’erezione superiore a quella che potresti avere quando vedi Holly Hunter, madre di Anna Paquin in Lezioni di piano, superbamente ignuda.

Ora capisco perché ad Harvey Keitel danno sempre la parte della merda. Non si riprese dalla figona di Holly. Una che, nel succitato film di Jane Campion, interpreta la parte di una muta ma che riesce a parlare a ogni uccello meglio di tante laureate. Da cui il famoso detto: sì, quella donna è molto colta ma, stringi stringi, non serve a un cazzo.

In The Irishman vi sono quasi solo uomini. Ora però Paolo Mereghetti deve spiegarmi perché C’era una volta in America lo reputa un film misogino mentre The Irishman… no. In The Irishman v’è solamente e molto sola Anna Paquin, figlia viscida di De Niro avuta da un matrimonio con una donna che lui disprezzò. Io so la verità, Paolo scrive recensioni a seconda di come gli tira.

Ecco, Anna Paquin è la classica femmina che non sai se è figa o racchia. Ma un’inchiappettata liscia ci sta a prescindere. Ma sì, fottetevene. Pensate alla salute. Ora vi saluto.

La vita comincia a farsi dura e non la vedo benissimo. No, non ne vedo molte ma so come uscirne.

Non è difficile. Basta che lei ti dica: levati dai coglioni.

Ah ah.

Ricordate: non fate i galli come Joe.

 

di Stefano Falotico

the irishman

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