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Un boss sotto stress, recensione


02 Aug

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Ecco che ricomincia la terapia. Seguito dello spassoso Terapia e pallottole, nel 2002 approda nei cinema il seguito, Analyze That, ancora una volta diretto dal compianto maestro delle commedie leggere Harold Ramis, e interpretato nuovamente dall’affiatatissimo duo formato dal grande Bob De Niro e dal raffinato Billy Crystal, attore con la sordina di prodigiosa levità.

Non fa scintille come il primo, ché era fresco e originale, e sapidamente mesceva Woody Allen tritato in salsa “volgarotta” con Martin Scorsese diluito in più “cervellotica” baldanza.

Ma diverte, nonostante tutto. E le critiche che (ci) furono alla sua uscita sono, “riviste” oggi, immeritate e forse troppo smisurate.

Paul Vitti è in carcere ove, non resistendo alla dura vita carceraria, entra in un forte esaurimento nervoso che lo fa precipitare in un allucinante stato catatonico misto a momenti eclatanti d’euforia in cui, “infantilizzato(si)”, canta a squarciagola e senza freni inibitori le canzoni più celebri di West Side Story.

Con tutta probabilità è un artifizio, una messa in scena atta a volersi liberare della condanna. Nonostante tutto, viene affidato alle cure del dottore psichiatra di Manhattan Ben Sobel, che ora abita alla periferia ricca di New York, in una villetta home sweet home. In custodia cautelare, però Vitti contravviene alle disposizioni, tenta “disperatamente” di coprirsi dietro lavori onesti per dimostrare, con esiti nefasti e fallimentari, il suo reintegro sociale, ma la sua indole è sempre costituita da un temperamento criminale, eh eh, assai poco curabile. E, infatti, nella sua libertà vigilata, anziché attenersi alle prescrizioni e al programma di “cura”, orchestra di nascosto maneggi per ritornare sulla scena.

Ne nasceranno delle belle, fra equivoci “svolazzanti” e solite battute a raffica di mesta compostezza, non troppo spinte né infastidenti lo spettatore esigente.

Spettatore che deve accettare la “farsaccia” senza troppe pretese, accontentandosi di uno svagato spettacolo di circa due ore, ammaestrato da Ramis con elegante “discrezione” che non dà nell’occhio ma, spesso, ammettiamolo, induce al sorriso con gioviale nostra disarmata partecipazione.

 

di Stefano Falotico

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