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Il trailer di Le Mans ’66 di Mangold mi ha ricordato di essere un futurista amante di Michael Mann


03 Jun

alì smith mann

alifaloticoInnanzitutto, prendiamola molto larga di curve pericolose.

Stamattina, son stato contattato da una ragazza su Facebook. Di nome Veronica.

Al che, adocchio le sue foto e intrattengo subito una conversazione per arrivare, sgommante, al Rush finale di piacevoli veroniche. Lasciate perdere invece il film omonimo di Ron Howard, sopravvalutato e, comunque, mi spiace per la morte di Niki Lauda.

Lauda è, oramai era in verità l’antitesi di Freddy Krueger. Sì, entrambi avevano il viso bruciato. Ma mentre Niki, con le sue prodezze automobilistiche, ardeva i nostri cuori di radiosi sogni in mezzogiorni infuocati, Freddy fu il re di Nightmare, il babau che, dal profondo della notte, frenava subito i giovani ardimentosi e frementi di romanticismi bollenti che volevano avere, semmai, una vita da motociclisti come Valentino Rossi, sognando di fare l’amore a tutto gas con tutte le ragazze-vallette scosciatissime del Motor Show.

Sì, povero Freddy. La sapete la sua storia, no? Freddy fu bruciato vivo, appunto, perché incriminato dalla comunità bigotta del suo paese di perversità o qualcosa del genere. Invero, era solo uno scalcagnato disoccupato preso di mira da degli ipocriti moralisti mai visti.

Era interpretato, non so se lo interpreterà ancora, da Robert Englund, paladino di questa saga magnifica di Wes Craven e protagonista anche di uno dei migliori film di Tobe Hooper, regista compianto dell’epocale, allucinante Non aprite quella porta e di Poltergeist, ovvero The Mangler – La macchina infernale.

Film che avercene e invece, inspiegabilmente, ha ottenuto dal poco credibile metacritic.com, aggregatore di medie recensorie che non stanno né in cielo né in terra, un agghiacciante 8% da gelarti il sangue, un voto paurosamente orrido che grida vendetta come il Krueger nei confronti di chi essiccò ogni sua chimera.

Dico, scherziamo?

Comunque, non perdiamoci in critiche horror.

Torniamo a cosce, no, cose più gradevoli, più dolci e serene, cioè a costei da me messa incinta, no scusate, citata a inizio scritto.

La scruto, noto all’istante la perfetta sua carrozzeria da Alexandra Paul di Christine del John Carpenter e con lei desidero immantinente sbullonare ogni inibitorio freno per spingere come Bruce Springsteen del video I’M On Fire. Ma so che sarà solo una mia ballata nella notte in solitaria da sfigato Jamie Foxx di Collateral e, arrivato all’uscio della sua porta di casa, desisterò dal diventare Colin Farrell di Miami Vice.

Lei è stupenda, le sue gambe sono chilometriche e non presentano alcun segno di cellulite. Possiede una pelle morbidissima, liscia come l’olio, con questa mi scaldo, ingranando la quinta e accelerando con una brusca, rovente sterzata in chat:

– Piacere, Veronica.

– Piacere, Stefano. Ti do il mio numero di telefono.

– Ehi, calma. Mi pare che tu stia correndo troppo.

– Sì, vero. Mi son lasciato prendere la mano.

– Nel senso che su di me ti stai già tirando una sega?

– No, ho sbagliato, perdonami. Tu sei una donna diesel. Devi prima carburare. Solo quando i motori dei tuoi ormoni saranno belli che su di giri, potrò essere per te Diesel, appunto, però il Vin di Fast and Furious.

– Scusa, chi credi di essere? Una sex machine?

– Macché. Sono il film mai realizzato da Michael Mann, The Winter of Frankie Machine. Forse adesso lo realizzerà William Friedkin, specializzato negli inseguimenti, vedi Il braccio violento della legge, Vivere morire a Los Angeles, Jade, The Hunted. Con te vorrei esserti solo franco, fianco a fianco nei tuoi fianchi per notti afose come l’estate di un amore selvaggio mai stanco.

So che invece farò la fine di Franco Franchi.

Non biasimarmi, non compatirmi. Sono un iper-romantico quasi patetico, l’ultimo dei mohi(ri)cani, come dice Giancarlo Giannini alla fine di Carlito’s Way quando doppia magistralmente Al Pacino, protagonista di Bobby DeerfieldUn attimo, una vita e tu potresti essere già partita.

Ti supplico, non voglio ridurmi a cantare Binario di Claudio Villa:

Binario, triste e solitario

Tu che portasti via col treno dell’amore

La giovinezza mia

Odo ancora lo stridere del freno

Ora vedo allontanarsi il treno

Con lei che se ne va

Binario, fredde parallele della vita

Per me è finita…

Prima di fotterti con la droga, bellissima, fottiti con me e ci ubriacheremo sin all’alba in momenti di gloria, soprattutto di gola.

– Senti, Stefano. Sei uno a scoppio ritardato. Sei lentissimo per i miei gusti.

– Meglio. Come dice il detto, chi va piano va sano e lontano. E il rapporto sessuale non voglio che sia un’eiaculazione precoce. Abbiamo tutta la notte e anche tutto il giorno. Tanto io domani non faccio un cazzo, sono libero.

– Benissimo. Sei in ferie? Di solito, invece, che fai nella vita?

– Non lo so. Partirei dal farmi te, ci stai? Il resto, ripeto, verrà da sé…

– Ok, ci sto.

 

Sì, l’alta sera a un mio amico ho mostrato una ragazza con cui le notti mie e sue, suine, furono ardenti. E lui:

– Dai, stai scherzando, vero? Questa sarà una che passava per strada, anzi, non vorrei dire altro. Tu ti sei fermato e le hai chiesto di scattare assieme a te, a lei un selfie.

– No, non credo.

– Prendiamo per buona la tua versione.

– Ah, più bona di così si muore.

– Infatti. Tu fai veramente schifo, sai? Sai che io, per stare con una così, mi devo fare il culo e prendermi cinque lauree? Tu, invece, fammi capire bene… l’hai vista, le hai detto due parole e questa è venuta con te senza battere ciglio? Che tu sei più bello?

– Mi pare visibile che sia più bello, non credi?

– Non me ne intendo di bellezza maschile, non sono omosessuale.

– In verità, credo che tu non te n’intenda neanche di bellezza femminile.

– Ah, ricominci, Stefano. Toglimi una curiosità. Quand’è l’ultima volta che sei stato dallo psichiatra?

– Ma non ci vado più da una vita. Mi hanno dimesso.

– Smettila. Nessuna persona che si piglia un ricovero per turbolenze mentali, suvvia, viene dimessa. Non è mai successo. Tu sei più bello? Perché gli altri non vengono mai liberati e tu sì?

– Ma te l’ho già detto.

– Cosa? Che sei più bello?

– Già. Questo ti turba?

– Mi sta sul cazzo.

– Lo so. Io pensavo che…

– Tu pensi molto male. Sei come i giornalisti che pensavano: Alì non potrà mai battere Sonny Liston.

 

Sì, la mia vita è sempre stata troppo avanti. Fin dai primi scalpitanti battiti tonanti della mia adolescenza, priva dei vuoti pneumatici della mia generazione già morta dentro, tutti quanti, adulti e coetanei hanno cercato vanamente di fermarmi. Castigarmi, perfino castrarmi, psicologicamente e non, trattandomi come Massimo Troisi di Scusate il ritardo. Ora si sono accorti davvero che sono, nonostante tutto e le multe, sempre il più veloce, Driver l’imprendibile. Quando incontri uno così, se sei una donna, devi ringraziare iddio.

A proposito anche di Heat di Michael Mann e di altri calori vari… quand’è che Michael Mann girerà il suo Ferrari e sapete, vero, che Bob De Niro doveva essere il primo attore nella storia del Cinema a interpretare il commendatore di Maranello? Ma forse lo interpreterà lo stesso per la regia di Barry Levinson.

Amici, come dice Jon Voight, con me ogni previsione va a farsi friggere.

Mi spiace per voi. E per quel coglione che continua a volermi buttare giù, scrivendomi:

– Stronzo, bastardo. Perché esisti? È meglio che tu non lo sappia.

– Già, è meglio che non lo sappiamo, entrambi.

– Perché mai?

– Perché tu capiresti chi sei e io non voglio essere cattivo. Mi pare che ti abbia già massacrato abbastanza. Ne vuoi ancora? Se però desideri, accendo di nuovo il turbo.Marliece Andrada ali will smith

 

di Stefano Falotico

SMOKE: Avventure di un uomo invisibile che ha scritto una monografia su John Carpenter ma è meno ricco di Harvey Keitel del film di Wayne Wang


30 May

keitel smoke

Sì, sono io l’autore di John Carpenter – Prince of Darkness, opera oserei dire capitale e magna della bibliografia del Falotico. Puro masterpiece che ogni amante della letteratura complicata e raffinata dovrebbe possedere in casa sua se non vuole impazzire e finire come Michael Myers di Halloween.

Vi conosco, sapete? Voi non amate voi stessi e ora passate il tempo a fare gli spaventapasseri, spaventando ragazze super passere come la Jamie Lee Curtis di True Lies.

Non dovete raccontarmi bugie. So che gironzolate nei quartieri periferici, spuntando da dietro i cespugli come il Pennywise. Ma non terrorizzate nessuno, solo voi stessi, sempre più idioti.

Di mio, sono un essere altamente pagliaccesco. Riesco perfino a essere e a incarnare Harvey Keitel, William Hurt, Forest Whitaker e il ragazzino in cerca di un lavoro di Smoke.

Cioè quattro characters in un colpo solo: il tabaccaio cafone che filosofeggia, l’intellettuale sobrio, il mezzo storpio e lo sfigato.

Sì, grazie alla mia visione neorealistica alla Paul Auster, minimalista alla Jim Jarmusch, amante dei piccoli gesti quotidiani che riscaldano il cuore e forse donne più sexy di Jamie Lee Curtis, pur non essendo laureato a Oxford, ho già pronta pure la falotica versione factotum in inglese del suddetto saggio monografico su Carpenter. Con traduzione di alta scuola, pregiata e da fuoriclasse che mi ha fatto sudare sette camicie. Un lavoro estremamente certosino e improbo. Terminato che lo ebbi, stavano per ricoverarmi in un ospedale psichiatrico come Sam Neill de Il seme della follia.

Un libro alla Sutter Cane, sì, di In the Mouth of Madness. In cui sviscerando, scorporando in maniera cronenberghiana la poetica carpenteriana, ho enucleato perfino me stesso, arrivando a percezioni della realtà talmente elevate da non riuscire più, adesso, a vederla con occhi da Roddy Piper di Essi vivono prima che indossasse gli occhiali magici.

Cazzo, un bel macello, che casino.

Per molto tempo, fui scambiato per Nick Halloway/Chevy Chase, appunto, di Memoirs of an Invisible Man.

Tutti pensarono infatti che fossi un nababbo e un cocco fortunato che poteva permettersi il lusso sfrenato di ciondolare nella noia e nel dolce far niente. 

Già, fui preso per il figlio di Berlusconi quando invero, amici, fui solamente un grosso coglione.

Sì, anch’io bramai la mia Daryl Hannah. Di questo ve ne parlai già, giusto? Il mio primissimo, grande, irripetibile amore platonico si chiamava Tiziana ed era bionda come Daryl, forse perfino più bella di questa sirena a Manhattan.

Ma cominciai a deprimermi fortemente, splash, a eclissarmi, a perdere di vista la realtà e anche Tiziana. Che oggi è sposata col mio amico delle elementari e ha pure avuto da lui dei figli.

Mi consolo da questa (s)figa clamorosa, ammirando le scosciate dell’omonima Tiziana Panella di Tagadà. Donna, a differenza di Tiziana la biondina, corvina. Ma che riesce sempre ad alzare il mio umore un po’ supino e anche qualcos’altro da volpino nei miei momenti di massimo languore da lupino, attimi paradisiaci in cui per un po’, lontano dai libri, come un uccello in volo libro, mi libero con atroce, onanistica mancanza di pudore, sfoglio una donna che mi fa battere il cuore e che vorrei sbattere di gran calore, (s)fregandomene di ogni residuo candore.

Sì, appena la vedo, mi ricordo di essere un uomo.

Che io mi ricordi, ho sempre voluto fare il gangster come Ray Liotta di Goodfellas?

Macché!

Sì, credo che gli altri mi vedano parecchio bene, mi sappiano inquadrare alla prima occhiata. Anche Tiziana, non la Panella, bensì quella bionda della mia primissima, virginale infatuazione, ah, che magnifica fata, che lievissima patata, a 13 anni voleva rendermi corporeo, assai tangibile con lei.

Ma io, non so perché, la mandai a farsi fottere.

Sì, finalmente ho compreso la verità. Potevo essere l’uomo con più amici, soldi e donne della storia. Ed è stata solo colpa mia se non ho il conto in banca del marito di Tiziana Panella. E dunque non posso regalarle una vita da elegante signora.

Se dovessi, mai sia, essere invitato alla sua trasmissione, lei potrebbe ammiccarmi di occhiolino, forse verrebbe anche in diretta, fissando le palle dei miei occhi. Ma finirebbe lì.

O forse interromperebbero momentaneamente l’imbarazzo mio e di Tiziana, bagnatissima, con i consigli per gli acquisti degli assorbenti, miei conigli.

La mia vita è stata spesso un’inculata, una mega-sfighissima da figone sfigatissimo, no, una foga, The Fog, una fuga non solo da New York bensì dal mio The Ward. Lasciate che mi sfoghi.

Sì, come Amber Heard, trascorsi praticamente tutta l’adolescenza nel nosocomio delle mie ipocondrie.

Una volta che io stesso mi dimisi, capii che la realtà vera è un manicomio. E che i pazzi sono quelli che si credono sani. Per forza. Più che pazzi, sono scemi. Non capiscono nulla e pigliano tutto a culo.

Al che, per via della mia eccessiva sensibilità, del mio romanticismo alienato rispetto alle triviali animalità dell’uomo assai medio, vengo tuttora preso per Starman.

Alcuni miei amici, quando m’isolo troppo ancora, sospettando della mia buona fede, mi dicono che sono/sia Il signore del male. Sì, pensate, ora devo stare attento a non fare la fine invece di Keith Gordon di Christine. Dopo una vita da nerd mai visto, appunto, vengo corteggiato da pezzi di carrozzeria femminile al cui confronto Alexandra Paul dei tempi d’oro è una Cinquecento.

Comunque, molte donne sono da rottamare. Sì, che palle queste qui. Aspettano sempre l’estate per farsi il bagnetto. Come se poi durante l’anno facessero altro…

Sì, su Facebook, Instagram e altrove, donne stupende mi contattano affinché io possa avere subito con loro fisici, potenti contatti. Ma che è successo? Ho indossato delle miracolose lenti a contatto o, per troppo tempo, la gente subdola, meschina e ipocrita, rivolgendomi a me senza tatto, non capendo del sottoscritto un cazzo, mi aveva scambiato per David Lo Pan e invece oggi tutti scoprono, compreso me stesso, che è stata solamente una Big Trouble in Little Bologna?

Non facciamone, suvvia, una tragedia. Potevo scoparmi pure Kim Cattrall ma rimango una testa di minchia come Kurt Russell. Basta, adesso.

Sì, Smoke è un capolavoro. Il miglior film di Wayne Wang. Mentre io, diciamocela, rimango un bravo ragazzo soltanto come Dennis Dun, ovvero Wang Chi.

Forse, la mia vita non è il racconto di Natale di Smoke, bensì quello di Dickens filtrato dalla visione simile a Ritorno a futuro di Robert Zemeckis con Jim Carrey.

Uno Scrooge così giovane nel cuore da rendervi tutti misantropi.

Signore e signori, spero di avervi allietato col mio libro e con questa bella storia. Adesso, se vorrete tradirmi ancora fottetevi.

Fra amici ci si scambiano confidenze e favori. Dunque, a tutti i cattivoni, or dico ma fatemi il piacere!

 

Firmato Paul Auster?

No, Stefano Falotico

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smoke keitel hurt

 

 

christmas carol

2019: Fuga da questo mondo di sogni che invero non più sogna, W Carpenter ed evviva il Genius-Pop!


10 May

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newyorkfalotico

 

 

 

 

 

 

E ora la sparo fenomenale!

Sì, mi piacerebbe essere eiettato dal Gullfire al centro della Grande Mela di questo mondo ghettizzante che esclude e dunque reclude, recrudescente, coloro che non si adattano facilmente ai suoi parametri fascisti e parafrasare, traslare questo celeberrimo incipit di uno dei capolavori del grande John Carpenter all’interno di tal folle società imprigionata, lobotomizzata fra le sbarre edonistiche di Instagram ove la regola basilare, adesso, per avere follower, anzi, con la s plurale che fa tanto unanime imbecillità poco pluralistica bensì omologata alla cretina grammatica scolasticamente più elementare per procacciarsi fan, cioè perfetti sconosciuti semianalfabeti a cui tu metti like e loro parimenti corrispondono di altrettanti cuoricini stupidi, recitando e declamando in piena notte, turgidamente cupissima e infettata dalla luna più barbaricamente tetrissima, con la mia voce narrante, un devastante monito contro quest’umanità a dir poco costernante e oramai sprofondata nell’idiozia altissima, cioè nella più miserabile, pusillanime, egoistica celebrazione folcloristica di manichini esibizionistici:

«2019: l’indice di deficienza non solo negli Stati Uniti raggiunge il 400%. Quella che un tempo fu la libera città di New York e l’umanità ellenica diventa il carcere di massima sicurezza per l’intero globo terrestre. Un muro di cinta di 15 metri viene eretto lungo la linea costiera di Jersey, attraverso il fiume Harlem e giù lungo la linea costiera di Brooklyn. Circonda completamente l’isola di Manhattan, tutti i ponti e i canali sono minati. La forza di polizia statunitense, come un esercito, è accampata intorno all’isola. Non vi sono guardie dentro il carcere. Solo i prigionieri e i mondi che si sono creati. Le regole sono semplici: una volta entrati, non si esce più».

Sì, una regola ferrea che non vale solo per Nuova York.

Una volta iscrittivi su Instagram, siete fottuti.

Ma soprattutto chi non s’iscrive appartiene di diritto anticostituzionale al mondo degli emarginati e dei vinti.

Sì, oggi per vincere e avere amici, peraltro virtuali e soltanto voyeuristici, dovete farvi cento autoritratti al giorno come dei pirla, inserendo i seguenti tag irrinunciabili:

#love, #photooftheday, #followme, #like4like, #instadaily, #summer e stronzate varie.

Sì, anche se sarete in pieno inverno al Polo Nord, anzi, al Polo Sud come in The Thing, se non volete rimanere soli come dei cani al pari di Kurt Russell e Keith David, guardandovi negli occhi, pensando… ci siamo salvati dall’omologazione che tutto assorbe ma ora che facciamo, c’inculiamo a vicenda, ecco, ficcate… la foto di voi sul cesso al buio con l’hashtag: #chicagodinotte.

Come in una celebre, pessima battuta di Pierino/Alvaro Vitali.

E vedrete che, pur essendo delle merde d’uomini, tutte le donne più fisicamente bone ma più vuote di un water di un albergo senza clienti, appunto, vi cagheranno.

Che bellezza di mondo, eh?

Come abbiamo fatto a sputtanarci così?

Quando è partito questo delirio escrementizio?

In quale superomismo becero da Essi vivono?

La gente non legge più i libri e pensa perfino che Il seme della follia sia una malattia genetica tramandata per colpa di un commento sbagliato.

Sì, oggi, se sbagli intonazione in un commento, ti arrivano addosso altri commenti molto nobili:

ammazzati, ritardato.

Oppure: sparati in bocca ché non sei Iron Man, seguito da #avengerssupercool.

In tale Fog crescente, in questo The Ward allucinante di morti viventi, fra questi Vampires ridicoli, in questo Grosso guaio non solo a Chinatown, mi tengo stretto il mio Distretto 13.

Il mio isolazionismo pop. So che mi accerchierete, voi, brigatisti della morte disumana, voi, edonisti con le vostre macchine infernali come Christine, voi bimbi insensibili da Villaggio dei dannati, so che le mie saranno le Avventure di un uomo invisibile, parecchio inviso, ma ci tengo alla mia “diversità” da Starman.

In un mondo senza più religione, io sono ancora fra quei pochi che si pongono dubbi teologici, cosmogonici. Ovvero se dio e il diavolo siano la stessa persona come ne Il signore del male.

Mi domando perché vivo e perché noi tutti viviamo così.

Mi domando se siamo solo dei Fantasmi da Marte di una società ridotta peggio d’un martire, alienata, disintegrata come ne La Fin Absolue du Monde.

Sì, è per questo che John Carpenter è uno dei più grandi geni non solo della storia del Cinema.

E questo libro, me ne frego delle vostre invidie, è forse il migliore, a livello mondiale, sul Maestro.

Compratelo e ricordate:

tu leggi Sutter Cane?

Ah ah!

carpenter falotico

 

di Stefano Falotico

cigarette burns

Genius-Pop

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