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Clint Eastwood è proprio un mule. Come me, incarnazione del fascino superbo della nichilistica arroganza


07 Dec

eastwoodmule

Eh sì, ieri alle candidature dei Golden Globe Awards, son state commesse due gravi dimenticanze, a mio avviso.

Aver innanzitutto trascurato vergognosamente la performance di Ethan Hawke in First Reformed. Film, come detto, dal finale assai discutibile, ma Ethan ha sfoderato nella suddetta pellicola forse la sua migliore interpretazione in assoluto. E dunque, ripeto, mi par alquanto scandaloso averlo messo in disparte. Speriamo negli Screen Actors… e naturalmente negli Oscar.

E poi ovviamente Clint Eastwood di The Mule. Il film non l’ho ancora visto. Da noi uscirà soltanto a Febbraio. Ma credo, in tutta onestà, che neppure i giurati dei Globes l’abbiano minimamente guardato.

Perché basterebbe questa clip, a prescindere dal valore ultimo, definitivo, complessivo dell’opera, per poter attestare che Eastwood, fosse solo per la sua commovente faccia raggrinzita, tenera e dolcissima, avrebbe meritato la menzione speciale…

Sì, devo confidarvi quanto segue, carissimi e anche acerrimi nemici (in)validissimi.

Io, da tempo immemorabile, mi son appartato, molto schivo, refrattario alla vita sociale, in una sorta di eremitica, perciò virtuosa, vita iper-coscienziosa al di sopra delle squallide piccinerie, oltre le regole falsamente basiche di un mondo ipocrita e pusillanime. E tengo a distanza le chiacchiere, le possibili calunnie che, inevitabilmente, proprio a ragione di questa mia anomala, bellissima scelta esistenziale, mi attiro addosso. Cattiverie inaudite sputate da vomitevoli bocche stomachevoli. Ché m’han stancato, quindi stomacato, disgustato, in una parola stufato. Anche nauseato.

Beceri luoghi comuni atti a prescrivermi istruzioni per l’uso… di questa vita. Come se la vita fosse un casellario, un questionario, un quiz a crocette, una battaglia crociata di rigidi percorsi a tappe per non venir sbattuti al tappeto. A cui adattarsi, improntarsi conformemente remissivi senza battere ciglio, senz’opporci con la nostra, vivaddio, unica, personalissima anima, perfino impura, masturbatoria in ogni senso, autoreferenziale, ombelicale. E semmai omologarci a narcisistici, morettiani precetti malati di solipsismo.

Sì, è stato immenso Goffredo Fofi quando ha bellamente, sottilmente sputtanato Nanni Moretti e il suo accalorato pubblico di pecoroni finti sinistroidi. Personaggini da CGIL che pendevano dalle labbra di quest’autarchico post-sessantottino e hanno sempre aspettato i suoi mediocri, blandi filmetti come fossero irrinunciabili appuntamenti da concerto di Woodstock. E si scompisciavano dinanzi alle sue battute, alle sue tirate d’orecchie, ai suoi “girotondi” in Vespa, a questa sua magnificazione della piccola borghesia apparentemente schierata politicamente ma invero più fascista della maggioranza del sistema da costoro aspramente criticato, osteggiato ma in realtà accettato, a cui sono stati i primi ad abdicare, celandosi dietro ribellioni di maniera, retorici discorsi pazzi in piazza e sventolio di bandiere rosse, dietro trasgressioni fasulle da uomini insinceri, tristi, appagati, facendosela sotto nella facciata tediosamente intellettualistica di una vanagloria ancora più pericolosa e barbosa della Destra più facinorosa.

Sì, so bene io chi è Moretti. Non fatevi ingannare. È uno che, memore delle scopate che aveva con Bianca, ha ficcato… Laura Morante ne La stanza del figlio solo per succhiarle di nuovo il seno. Con la scusa della scena empaticamente coniugale. E ficcò… il cammeo di Jennifer Beals in Caro diario perché, fanatico delle sue cosce in Flashdance, sperava di corromperla per uno stress da vampiro da Campbell Scott di Roger Dodger. Non poteva esserle franco? Che ne so? Andare da Jennifer e presentarsi così:

 

– Sai, Jennifer, dopo il tuo momento di gloria, a Hollywood non ti cagano molto. Io sono Moretti. Un regista molto cazzuto, portato su un piatto d’argento in Italia. Sai, vorrei sbattertelo di Strange Days perché sei una strafiga. Ci stai? Poi posso darti anche una particina… in Aprile, per farti rifiorire come in una maledetta primavera da Loretta Goggi.

 

Insomma, una merda. Ne ho viste tante. Sono quelle ex professorine, ora in pensione e mi auguro presto seppellite, che guardavano tutti i programmi “culturali” di Serena Dandini, strofinandosi la figa marcia con la mortadella di un marito pasciuto alla Gianfranco Funari. Donne dunque più volgari, classiste e cafone delle troie che odiavano. Disprezzavano e volevano bruciare, mettere al rogo. Delle streghe!

Ma cosa insegnavano ai loro studenti? A adempiere al fighetto inculare il prossimo col potere ricattatorio di un pezzo di carta per pulirsi il deretano?

Sì, secondo queste megere vacche, ogni ragazzo che non frequentava il Classico sarebbe stato estromesso dalla società che “conta”. Perché non aveva formato, anzi, io direi formalizzato la forma mentis del cazzo.

In parole poverette come codeste, donnette che avevano figli come Silvio Muccino di Come te nessuno mai, a loro volta pubescenti idolatri di Tarantino e poi cresciuti a moralismi peggiori dell’inquisizione de Il nome della rosa.

Eh sì, dopo averli indotti e indottrinati al Classico, tal mentecatte hanno indirizzato i figli agli studi da Umberto Eco, obbligandoli a non andare allo stadio, ah, roba da sottoproletari orribili, bensì  inducendoli a mentali stadi da “tribuna elettorale”, sì, ficcandoli psicologicamente, oserei dire in modus ermeneutico, semanticamente semiologico a studiare le teorie illogiche di tal fervido, abietto fautore di una delle più grosse stronzate “sintattiche” della cultura oscenamente “giornalistica”, ovvero Scienze delle comunicazioni, facoltà per futuri imbecilli come il “bot”(taniere) Montemagno.

Ove t’insegnano a comunicare per farci capire. Capire che? Come se un articolo di un giornale fosse un graffito preistorico ove, per far comprendere al tuo simile che non sei vegetariano e sei inserito… al vertice della gerarchica scala alimentare, col sangue di porco dipingi di murale un maiale scannato offerto in sacrificio per Natale al popolino come fosse un grasso, lardoso zampone con le lenticchie…

Sì, l’altro giorno, un tale Frattini mi ha attaccato su Facebook. Luogo in cui avevo condiviso la mia video-recensione de L’avvocato del diavolo. Costui, spregevolmente vigliacco, probabilmente di profilo fake senza foto e “credenziali”, ha messo in guardia, ah ah, i futuri fruitori del mio dissacrante video coltissimo, chiedendo loro di non dar retta a un personaggio come me, da tale idiota definito un clown d’avanspettacolo, un poveraccio senz’arte né parte, un guitto imbarazzante, un misero omuncolo che, a suo (ar)dire, non possederebbe la sensibilità artistica, il tatto, il gusto e la culturale perspicacia per addentrarsi in esegesi e disamine che, sempre a sua detta, esulerebbero dalla mia limitata comprensione della realtà e di conseguenza della sua raffigurazione, neorealistica o meno, surreale o visionaria, il Cinema.

Oddio, sto morendo. Frattini. Uno che, ammesso che sia un profilo vero e non un falsario alla Totò de La banda degli onesti, visionando la sua bacheca, pare un morto di fame che posta solo manifesti politicanti, ridicolmente politicizzati più dei peggiori film di Oliver Stone, inveendo contro tutti, sbertucciando l’Italietta unta e bisunta e poi melensamente glorificando i suoi musicali cantanti giovanili. Per un patetico, senile, pensionistico giovanilismo anacronistico da messia ante litteram poco letterato ed erudito, qualunquista e stupidamente partenopeo, floridamente incattivito nell’odio più oscurantistico.

Frattini, sì, la parodia di sé stesso da vignetta di Giorgio Forattini.

Insomma, in tre secondi netti, rispondendogli in chat, l’ho fatto piangere. Credo che al momento sia ricoverato in qualche clinica psichiatrica di Napoli. Città nella quale dice di aver doverosamente svolto il lavoro di direttore di banca, tifando il Maradona dei bei tempi e drogandosi da mattina a sera di seratine “dolci” come il liquore del suo babà. Ah ah.

Sì, uno che non voleva essere un sempliciotto come il compianto, suo concittadino Troisi ma che, a mio parere, trattava tutti come fosse il direttore del circo Massimo, rimanendo ideologicamente al minimo storico. Simpatica bestiolina questo Frattini. Un frustrato che giustamente frustai.

 

Sì, volevano che rinnegassi le mie scelte e ripartissi daccapo. Mortificando il mio io interiore affinché m’immiserissi nel porcile di massa, mercantile e spaventoso.

Vollero che mi curassi per alleviare le mie pene…

Sì, pene, gliel’ho messo in quel posto, ancora una volta.

Perché sono un colorito, armonioso fiorellino.

 

E al mio mulo non piace la gente che ride…0001_100784 rev-1-MUL-01355r_High_Res_JPEG

 

di Stefano Falotico

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