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Il Cinema esiste ancora? E cos’era il Cinema prima dell’avvento di Netflix, dello streaming, di Amazon Prime e di Internet?


14 Oct

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Ieri pomeriggio, verso sera, su Facebook l’ho buttata lì.

Affiggendo, diciamo, la recensione del Guardian inerente The Irishman di Scorsese.

Definito da quest’importantissima testata come il film più bello di Martin degli ultimi trent’anni.

Subito, il mitico Federico Frusciante s’è lanciato e scagliato ancora una volta contro Netflix. Al che, nel giro di pochissimo tempo, s’è scatenata una faida tra cinefili incalliti. Fra guerrieri dei sogni perduti e fautori avanguardistici di Netflix, fra paladini del Cinema in sala e sostenitori a spada tratta dello streaming.

Scorsese, ospite del London Film Festival, ove il suo The Irishman è stato accolto, per l’appunto, da critiche entusiasmanti, ha vivamente e orgogliosamente dichiarato che, senza Netflix, questa pellicola già storica ed epica non avrebbe mai visto la luce. Poiché la Paramount Pictures, con la quale aveva già firmato il contratto per farselo produrre, all’ultimo momento, essendo salito vertiginosamente il budget a causa del notevole dispendio e dispiego dei massicci effetti speciali della CGI, non se l’è sentita di rischiare con un film che ha, ringiovanimento deaged a prescindere, un cast a base di anziani. Che, ovviamente, riscuote scarso appeal commerciale presso le platee più giovani. I teenager sono, si sa, i maggiori fruitori di Cinema e oramai il pallino del gioco ce l’hanno loro.

Sì, per quanto The Irishman annoveri in prima linea tre mostri sacri premi Oscar imbattibili ancora emulati e presi a modello dagli stessi ambiziosi giovani (d’altronde, chi non sogna a tutt’oggi di diventare il nuovo De Niro o la reincarnazione di Al Pacino?), la Paramount bloccò, a pre-produzione già in fase avanzata, il progetto.

Dunque, volenti o nolenti, Netflix ha vinto. Poiché è una piattaforma concettualmente variegata che guadagna soldi a non finire. E può permettersi perciò di offrire ai registi e agli attori delle loro pellicole dei cachet faraonici.

Ciò indubbiamente può infastidire, indispettire e disgustare i cinefili romanticamente agganciati a un’oramai visione del Cinema come luogo di aggregazione e di solidale passione da condividere tutti assieme appassionatamente.

Ma, come ho scritto nei commenti del mio post, siamo stati noi cinefili a disertare, pian piano, le sale. Poiché stufi del casino e della volgarità delle masse che, nel fine settimana, s’accalcano trivialmente nelle sale medesime.

Rovinando, col loro baccano, la magia dei sogni puri. Da gustare armoniosamente in silenzio religioso.

Forse, il significato di C’era una volta a… Hollywood è questo: della suadente, commovente magia, d’un tempo, eh già purtroppo, oggi è rimasto ben poco.

La poesia e l’Arte sono state scalzate e soppiantate dalle idiozie delle stories su Instagram, oggi tutti si dichiarano intenditori infallibili della Settima Arte ma non sanno neppure relazionarsi col vicino di casa.

Allora, abbiamo l’avvocatessa in carriera che, avendo studiato, peraltro malissimo, solo Giurisprudenza, non è prudente nei giudizi recensori dei film. Ed è dunque ovvio che consideri Joker un film pericoloso alla pari del pazzo che lei difende perché, per deontologia professionale, il pazzo le dà i soldi per salvarlo in tribunale. Lei ci sta!

Così, coi soldi elargitele dal maniaco, lei può difatti rifarsi la dentatura e, malgrado abbia dato alla giustizia un’orripilante fregatura, può leccarsi la bocca a Formentera con un “figo” che scambia Al Pacino per Fabrizio Corona.

È stata colpa di noi tutti se abbiamo perso, forse, le nostre anime.

Ho conosciuto, infatti, sedicenti professoresse d’Italiano e Storia che non sono mai andate a vedere un film di Ken Loach poiché considerano i film di Loach deprimenti. Film che alla povera handicappata, capito, facevano e fanno tristezza.

Ma che insegnante è costei? Dell’ilarità più meschina, frivola e manichea. Una donna che insegna ai ragazzi come diventare leader nazi-fascisti?

Ho visto psichiatri che hanno sporcamente giocato sulla dabbenaggine delle persone malate e ingenue, facendo credere loro di essere diverse. Stigmatizzandole soltanto perché, a loro avviso, anzi a loro ammonimento, non sono adatte ai canoni oscenamente competitivi di questa società di merda.

E le hanno impasticcate, hanno praticato loro lobotomie e castrazioni. Ricattandole al motto di… provi a ribellarsi e, anziché sbatterla in ospedale, chiamo la polizia e l’arresto.

Ha ragione Francesco Alò nel definire Joker un film bellissimo, ha ragione Mr. Marra a definirlo alla stessa maniera. È davvero meravigliosa quella scena quando Arthur Fleck ride e piange allo stesso tempo in mezzo alla folla che l’osanna con la bocca macchiata di sangue e l’espressione grandguignolesca.

E avevo ragione io quando, al Festival di Venezia, dissi subito che era da Leone d’oro.

Sapete qual è la verità?

Richard Jewell sarà, assieme a Joker e a The Irishman, il film più bello dell’anno.

 

di Stefano Faloticonetflix irishman 2

Attori rinati: Kenneth Branagh, il carisma di un bardo


24 Sep

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Innanzitutto, chiariamoci. Chi è il bardo? Il bardo altri non è che un cantore-poeta celtico. Un romantico sfrenato. E tale stupendo epiteto è stato attribuito, in particolar modo, all’immenso William Shakespeare per glorificarne il genio.

Quindi, sfatiamo subito un luogo comune. Il bardo non è Shakespeare. O perlomeno lo è, perché è stato insignito di questa gloriosa definizione, ma è solo un bellissimo appellativo in onore del tragico romanticismo espresso da William nelle sue immortali opere. Bardo, ripetiamo, è semplicemente un eccellente, passionale poeta, simile agli aedi greci che, appunto, a loro volta erano dei sublimi cantori di professione.

Dunque, smettetela di pensare che bardo sia sinonimo di Shakespeare. Sol in virtù del fatto che a William è stato appioppato questo nobilissimo nomignolo, diciamo così.

E sono stanco di leggere e sentire, soprattutto, proprio in riferimento a quanto poc’anzi scritto, che Kenneth Branagh è il Bardo con la B maiuscola. Kenneth Branagh è, tutt’al più, uno dei contemporanei, maggiori interpreti teatrali e cinematografici di William Shakespeare.

Delucidato ciò, parliamo proprio di lui, Kenneth Branagh.

Ora, ammetto che anch’io, sino a qualche tempo fa, ero sicurissimo che Branagh, così come William, fosse britannico, per l’esattezza un inglese puro sangue. E che, considerando la sua eleganza e la sua altezza recitativa, provenisse da una famiglia nobile, ricchissima e aristocratica d’Inghilterra.

No, Kenneth Branagh è figlio di una famiglia operaia dell’Irlanda del Nord. Infatti, è nato a Belfast il 10 Dicembre del 1960.

Già appena diciottenne, incomincia a recitare nelle migliori compagnie teatrali.

Quindi, nel 1989, compie il grande salto nel Cinema. A soli ventinove anni si cimenta con l’adattamento cinematografico di Enrico V, sceneggiandolo, dirigendolo e interpretandone il ruolo di protagonista assoluto. La Critica si esalta e Branagh viene candidato agli Oscar sia come Miglior Regista che come Migliore Attore Protagonista.

Da allora, Shakespeare diverrà il suo cavallo di battaglia, come tutti noi sappiamo.

Ma, al di là delle sue comunque notevoli e interessanti prove scespiriane, sia davanti che dietro la macchina da presa (Molto rumore per nullaNel bel mezzo di un gelido invernoHamletPene d’amor perdute), o soltanto come interprete (Othello, il magnifico “documentario” Riccardo III – Un uomo, un re di Al Pacino), secondo il mio modesto parere, Kenneth Branagh il meglio di sé l’ha dato quando ha diretto film che hanno poco a che vedere con Shakespeare. Scusate, mi spiego… Film dalla struttura drammaturgica quasi sempre tragica, come nelle opere del Bardo ma che, almeno all’apparenza, esulano da Shakespeare stesso, almeno a livello letterario.

E, a proposito di ciò, rivedete con molta più attenzione il suo capolavoro imperfetto, Frankenstein di Mary Shelley con Robert De Niro.

Un film, alla sua uscita, stroncato sonoramente da tutti. Perché quel dottor Frankenstein a torso nudo e palestrato, da lui incarnato con esuberante vigoria, parse tronfio, pagliaccesco ed esibizionista.

E forse la Critica di allora non era pronta a una rilettura tanto fantasmagorica e bizzarra. E reputò il film di Branagh un disastroso pasticcio.

Ecco, va detto certamente che Branagh è molto vanitoso, un egocentrico e che forse i suoi film peccano in tal senso. Accentrano troppo l’attenzione sulle sue performance e sul talvolta irritante suo ridondante compiacimento attoriale.

Ma Thor (infatti non c’è lui come attore) è il miglior cinecomic sinora realizzato.

Kenneth Branagh, uno che, a ben vedere con maggior oculatezza, negli ultimi dieci anni, come actor ha girato pochissimi film.

Ma che col suo Hercule Poirot da/di Agatha Christie ha trovato un ruolo stupendo. Assassinio sull’Orient Express, a mio avviso, rimane uno dei film più intriganti e sinceramente belli dello scorso anno. Chi ha criticato questa pellicola, e di conseguenza Branagh, accusandola di aver ecceduto nell’uso massiccio della computer graphics, di essere pacchiana e superficiale, non l’ha affatto capita.

Branagh ha compreso invece con perfetta lungimiranza (e il successo anche di pubblico gli ha dato ampia ragione) che, se avesse adattato il classico della Christie in maniera puristica, avrebbe realizzato un film fiacco, bruttamente démodé.

Assassinio sull’Orient Express è semmai genialmente naïf.

E dunque, dopo l’imminente Artemis Fowl con Judi Dench, non vedo l’ora che inizi il casting di Assassinio sul Nilo.

Il suo Poirot, ribadisco, è strepitoso.attori-rinati-kenneth-branagh-01 attori-rinati-kenneth-branagh-04 attori-rinati-kenneth-branagh-06

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