Posts Tagged ‘Gallo cedrone’

Sognai di fare il centravanti della Nazionale, rimasi un “centrale”, soprattutto nelle “palle”


13 May

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Da piccolo ero un talento in erba, anche se i campi erano sterrati e le gambe mi “stiracchiavano”. Poi, verso la metà della mia adolescenza quanto mai impervia, inquieta, ansiogena, forse anche sessuofoba, giocai mezz’ala destra, servendo palloni ai centravanti. In allenamento facevo sempre rete, dunque quella testa di cazzo del mio allenatore decise una domenica, anzi era un sabato pomeriggio piovoso e incerto, di schierarmi appunto centravanti di “sfondamento”. Il mio fisico, all’epoca gracile e macilento, oggi appesantito da antidepressivi pesanti e asfissianti, si prestava bene per il ruolo scattante, ma fu un’illusione che durò solo un’ora e mezza. Disputai la peggior partita della mia vita, ne fui provato e da allora mai più in quella (im)posizione mi provarono. Eppur potevo essere un centravanti provetto, ma son rimasto mezzo poveretto. Ricevo molti colpi bassi e le donne mi deridono con guascona “euforia” delle lor cosc(s)e inseminate da qualche “goleador” più redditizio. Si sa, le donne cercano i figli e la famiglia, mentre io poco mi allatto, no, adatto a questa situazione “mestruante”. Oggi, ho bevuto dopo pranzo un caffettino amaro-dolce al Bar Centrale di Castenaso e, all’uscita, uno gridava che hanno acchiappato il lupo. Il lupo sarebbe Igor, il ricercato omicida di “Budrio”. Una notizia falsa, infatti non l’hanno beccato. Igor sgattaiola e dorme, latrando, nelle latrine. Mentre io mi scolo, tutto solo, un’altra lattina. Sognando la Via Lattea. Non sono un poppante né un furfante, sono emblematicamente faloticante.

Di mio, comunque, vado a “segno”. Più che altro a seghe.

Meglio che essere un lupo o un porco. Di mio, non sono neanche frocio, forse procione. Sì, i proci.

Evviva Belotti, detto il gallo. Evviva i cedroni. Anche la limonata, detta cedrata.

di Stefano Falotico

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Vi siete mai sentiti dei cani? O un Ca(rlo Verdo)ne?


28 Apr

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Molte volte, nella mia vita da estremo “peccatore”, tal dubbio mi ha perseguitato e solo ora che, “canuto” giovincello gagliardo, mi appropinquo alla linea d’ombra adult(er)a, posso affermare, con (di)sprezzo, che da un pezzo mi son emancipato da tale condizione bastarda, urlando a me stes(s)o un lancinante, furibondo “Basta!”. Sì, furon sofferenze (da) cane, in un’adolescenza tritata, tribolata, macerata dalla mia incognita ché della mia (r)esistenza fu angosciata da perenni dilemmi nel camminar lemme lemme, con lo strozzato diaframma nella (ri)posata, spossante flemma. Catarsi, e l’adulto crebbe, “svezzatamente” viziato e ancor vizioso, ché l’ozio è sol il padre degli zii volgari da batt(ut)one nelle bettole, e rinnego gli amori tristi con le acerbe zie come Berta che filava di Rin(ghi)o (Gaet)ano, donnacce di brutta razz(i)a che fuman l’erba e ti radon al s(u)olo dopo averti consumato come delle usuraie del temp(e)rato maschio sulla “rampicante” di “laccio emostatico” del tuo “svilupparlo” da (s)fumato, ancor (non) figliol prodigo della Madonna, quasi drogato, sbronzo, “orso” spelacchiato, uomo non sapiens fino in fondo(schiena).

Ancor mi (sov)viene… se di “cor” spompato ricordo la prima (s)volta in cui me “lo” menai di mano a manetta. Fu sulla figlia di John Boorman in Excalibur, non “scalai” in “retromarcia” e andò (d)ritto a “sbattermi” nella sventola, come Pendragon del mio “draghino” sviscerato di “spada nella roccia” e di f(u)ori come in Un sacco bello. Da cui il detto e il “dato” del “butta fuori tutto quello che hai” e “crescerà” nel Borotalco. Periodo, “sappiatelo” e stappatelo”, di “purezza”, da “mani pulite” senza prender la “tangente” del volerle davvero carnalmente “tangere”, ah ah, che goduria, quei tanga dei tuoi 18 an(n)i son irripetibile (o)nanismo d’una età né carne, “appunt(it)o, né “pesce”. Poi, sarebbe “venuto” il cervello e poco l’uccello, cast(rat)o nel lavorar “duro”. Castigato e quasi sempre in casa, “uscendo” po(r)co nel desinarti un sabato sera maccheronico, nel senso di “facciamoci du’ spaghi” e forse impicchiamoci con “tensione” di cor(da). Non “verrà” più “didietro”, bisogna però guardar “avanti” e proprio nel “balconcino” da cui gettarsi giù, saltandosi “addosso” nella “cagona” che ti lascerà con un due di “picchio”. All’impiccato, sì, ho sempre preferito il “down” in picchiata. Datele delle botte, suvvia, è una bottana e non merita un sano marito, bensì il “martellino”.

Quanta malinconia, quanta noia, quante in bianco notti, mi consolo “suonandomelo” di assolo un po’ asino e poco di “ca(va)llo”. Vi do questo con(s)iglio, amici, “stringetemela”. È “bagnata”, lo so, facil(ment)e… eccitabile.

Non abbiate rabbia, non abbaiate, al buio siate ba(u)bau.

Un altro gir(in)o in macchina e prenderlo nel “posteriore”, preferibilmente “reclinabile” altrimenti non entra “a folle” ma a freno d’una “cintura” da metterla in cinta. Se è gaio, siate Gallo cedrone.

Di “mio”, sono un pastore tedesco, monaco ortodosso rimasto senz’ossa e senza “quel” muscolo, ma posso spos(s)sarmele, me “lo” (per)mette la mia “religione” da “manifesto” luteriano molto sul lombrosiano e quasi labradoriano.

“Dorato”. Di “carrozzeria ingabbiato…”. Meglio, forse, i gabbiani.

Carlo Verdone

 

di Stefano Falotico

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