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De Niro spera che arrestino Trump, e io mangio le crescentine, non arrestando la “democrazia” nel mio Fuori Orario


22 Oct

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De Niro sta indubbiamente esagerando. Intervenuto in quel di Montenegro, spara a zero su Trump, dopo che negli scorsi mesi l’ha definito un maiale, un cane, un artista delle stronzate, e ha detto che la sua politica si sta trasformando in una commedia stupida. Adesso, rincara la dose e gli augura un impeachment, stato di accusa “sovrano”, sperando che quanto prima finisca al fresco.

I maligni sostengono che De Niro sia un ipocrita e le uniche commedie stupide sono quelle che ha girato negli ultimi vent’anni. Ma De Niro, irremovibile, non arretra e continua la sua fatua battaglia, non certo essendo di Trump infatuato. Lo odia a morte e si sgola affinché qualcuno, anche illegittimamente, possa (in)castrarlo. Spera in un colpo di stato, e intanto deve rinunciare alla serie televisiva con O. Russell perché era prodotta dallo “scandaloso” Weinstein. A tal (s)proposito, Vittorio Sgarbi, nel frattempo, fa lo sgarbato con Asia Argento e minaccia azioni legali perché non vuol essere intimidito da questa scarlet diva.

La gente, mentre altri muoiono negli ospedali perché non assistiti da sufficienti cure mediche, si accapiglia per un pelo di figa in più, inneggia alla violenza mentre saccheggia un altro supermercato, rubando al barbone all’angolo anche il tozzo di “pene”.

Le mogli minacciano il divorzio, i figli viziati si danno all’ozio, i bambini si cuccano l’orzo mentre in tv passa il film L’orso.

In questo carnaio totale, si salva Falotico che, come Paul Hackett, sgattaiola al buio fra baristi isterici e ninfomani frustrate, ridotto a bella statuina in questa solita routine del cazzo.

E, comunque sia, nonostante incassi, il Falotico accetta le idee “liberali” degli altri, consapevole che la vita è fritta come una crescentina con del prosciutto di Parma o il San Daniele, insomma è fatta di passaggi eseguiti secondo l’antica tradizione artigianale dal gusto dolce e un po’ salato, possibilmente accompagnati dal (di)vino a cui si aggrappano i deboli di stomaco e dalla grappa a cui s’accompagna l’uomo col groppo.

Siate amari, fratelli, votate Falotico, l’uomo che mangia prelibato senza sognare false vite al cioccolato.

 

di Stefano Faloticoamaro montenegro

After Hours, Scorsese? No, il pa(la)zzo


01 Jul

di Stefano Falotico

La vita è come il Condom(inio), come il colon d’ascensore sempre da (ri)parare, eppur i vicini spar(l)ano, anche dal lontano attico. Attica! Sono Attila!

Con l’estate inoltrata, le notti si “scaldano” fra condomini “afosi”, che ti sfaldano sul bollente fartelo da bronzo di Riace? No, all’olio di Ricino

Un attimo, per piacere, la questione condominiale richiede innanzitutto un’amministrazione grammaticale. Silenzio, non accavallate le voci, lei, signora, la finisca di accavallare, altrimenti le salterò addosso come una cavalletta. Ebbene, (sof)fermiamoci a un livello “alto” di Treccani, sì, quelli della signora Angela, donna diabolica come Crudelia De Mon sul termine della notte rabbuiante o abbaiante? Il mio palazzo, sì, possiede un abbaino da cui i cani dei suoi condòmini abbaiano dopo giornate emozionalmente vissute al buio. A parte i latrati e le latrine delle cantine, cammin camminando fra camini, tra “cagnoline” sempre (ri)scaldanti i (termo)sifoni degli o(r)moni raffreddatisi, cioè le rumene del piano “terra terra” ma “tutto dentro” a farsi inculare da mezza Bologna eppur dando(le) al danaroso pappone loro, che le “mantiene” da “abusivo”, arriviam sdrucciolevolmente, saltando i due ascensori ma facendo pian pianin, piano dopo piano, le scale a chiocciola, sulla parola “condominio” e di come, omografa, al plurale sia sdrucciola di due accenti. Accidenti!

Condòmini (in)tesi come abitanti del palazzo, cioè come i pazzi di questa mia pa(la)zz(in)a manicomiale, e condomìni come un insieme di edifici di molte persone (non) tanto edificanti.

Molto a (con)ficcarti d’ansie, a farti perder l’antenna, a mandarti in “blackout” quando volevi solo veder la tv a lume di candela con quella del secondo appartamento, cazzo, hai impiegato due an(n)i e mezzo nel corteggiarla per poterti appartare con lei, alla faccia di tutti i residenti (im)piegati, ma hanno spento la luce prima dei “preliminari”, fottendoti di cortocircuito. Comunque, la Germania passa ai quarti, “sudandosela”, e van avanti i mondiali. Ora, lei s’era con te seduta nel divanetto di “pelli” vellutate, ruvidamente gliela stavi van(itos)amente allisciando, per poi “imboscarti” e “imbiancarle” le par(e)ti intime, “pennellando” una parabol(ic)a lì “discendente” a sua discinta, ed ecco che arriva il sisma e ti bloccan l’orgasmo.

Chi cazzo ha spento il mio cazzo? Lei urla “Cazzo che (s)figa!”.

A s-tento-ni, attento a non sbattere contro il muro, non essendomela sbattuta, devo almeno arrivar a trovar la “chiave” per uscire, far le scale e sbloccare la leva della centralina elettrica da qualcuno fatta andar a puttane.

Missione riuscita? No, mi risveglio dopo tre giorni, e dinanzi a me vedo il lampione d’una sala ospedaliera. Al mio fianco, un’infermiera di buoni fianchi, che mi “rinfranca”:

– Stia tranquillo, lei non è venuto in quella donna, è svenuto dopo aver preso una “botta” pazzesca, scivolando sull’ultimo grad(in)o “ero(t)ico” delle scale. Sì, abbiamo chiesto alla donna se la conosceva, ha risposto che stava per vederglielo ma lei non ha visto la sua gnocca, ora ha però un bernoccolo e pure le rotte ginocchia. Comunque, (ri)peto, tranquillo. Le do ora… un tranquillante, devo anestetizzarla. Quindi, il chirurgo plastico le rifarà la faccia(ta).

Dopo un mese e mezzo di “bende” a coprir la mia (ver)gogna, mi dimettono.

Faccio l’autostop perché nessuno dell’ospedale mi accompagna a casa.

Qualcuno, durante il mese “ricucito”, deve avermi anche fregato il portafogli e tutto il vestiario di come mi trovarono, quella notte, a terra, pavimentato. Il mio vicino di stanza mi regala il suo pigiama, unico indumento in suo (pos)sesso, tanto gli son state diagnosticate solo tre ore di vita, e non gli frega del suo “cazzo”.

Rimedio una figuraccia pazzesca in autobus, con tutte le belle fighe che mi deridono: – Ah ah, guardate quel pazzo. Veste in pigiama e fa finta di niente. È proprio tocco, oh, comunque speriamo ci tocchi di mano morta.

Non le “oblitero” ma spero finisca presto questo martirio.

Giungo a destinazione, non ho però le chiavi del palazzo. Spero nell’arrivo di qualche condomino che mi apra la porta.

Ecco che, da lontano, scorgo la signora Angela, coi suoi tre cani.

– Angela, può essere così clemente da aprirmela?

Lei fraintende, pensa che voglia scoparmela, allorché dà ordine ai cani di mordermelo:

– Staccate le palle a quel pervertito! Cani, accanitevi!

Poi, gridando come un’indemoniata, eh sì, come la De Mon, chiama a raccolta tutti gli altri condomini. Sia nel senso di abitanti del palazzo sia nel senso di tutti i pa(la)zzi del quartiere.

Per farmelo come un mazzo.

Non mi ammazzano, mi riportano all’ospedale.

Insomma, la vita è una (s)figa pazzesca, usate il preservativo e andate a vivere in una riserva indiana. Fidatevi, nella capanna, potrete vivere senza rotture, fumandovela ed evitando questi eviranti “trenini” di file indiane.

E devi pagar anche le bollette se non vuoi rimaner al freddo.

Sono tutti fuori (orario)!

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