Posts Tagged ‘Il metodo Kominsky’

Ah ah ah!


29 May

In questa società, io riconosco le mie colpe, ammetto i miei sbagli e, come dico io, i miei sbadigli. I miei esistenziali assopimenti. Mentre molta gente censura, ricatta, boicotta e, con le intimidazioni, vuole piegarti al loro solipsismo, al loro egoismo, al loro arrivismo. Come vedete, posso fingere di aver accettato le regole ma, al solito, riacquisisco coscienza e mi ribello giustamente. Sono infermabile e vero, cari esseri falsi, bugiardi, mentitori che vi spacciate per influencer e mentori. Siete deboli e patetici. Vi leccate in modo vergognoso, vi appoggiate in modo schifoso.idolo

Attori rinati: Danny DeVito


20 Nov

Un gigante!

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Eh sì, stavolta andiamo a parare proprio su questo “piccolissimo grandissimo uomo”, il mitico Danny DeVito.

Lo stiamo vedendo in una particina spiritosissima e molto buffa da medico gnomo che cura la prostata di Michael Douglas nella serie Netflix Il metodo Kominsky, e nei prossimi mesi lo attendiamo nel Dumbo del suo fido Tim Burton.

Quale occasione migliore dunque per soffermarci su di lui?

Quest’uomo all’apparenza insignificante, bassissimo ai limiti del nanismo, goffo, tarchiatissimo, cicciottello, appunto un freak da circo, una creatura burtoniana per antonomasia. Ma anche un grande attore coi fiocchi.

Di qualche giorno fa, peraltro, la notizia assurda secondo cui in un college americano sarebbe stato trovato un segreto santuario eretto in suo onore. Ah ah.

Danny è un uomo che, se non sai chi è e lo vedi camminare in giro per strada, indubbiamente attrarrebbe immediatamente la curiosità di chiunque per via delle sue alquanto anomale fattezze fisiche.

È invece un factotum geniale del Cinema. Oltre che attore, è tra i più intuitivi e fini produttori di Hollywood, e a mio avviso anche un bravissimo regista. Insomma, proprio un bel personaggio.

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Nato a Neptune il 17 Novembre del 1944, Danny, nonostante i suoi appena enunciativi difetti fisici perfino un po’ imbarazzanti, è uno che ha voluto da sempre fare l’attore. E con enorme coraggio, senza sprezzo del pericolo, come si suol dire, s’iscrisse giovanissimo all’Accademia americana di arti drammatiche di New York.

Un po’ per le sue marcate stranezze corporee e un po’ anche per il suo indubbio, spiccato talento, Danny viene subito notato.

Al che esordisce con enorme successo, al fianco del geniale Andy Kaufman, nella famosa sitcom Taxi, sul cui set conosce anche Christopher Lloyd.

Appare dunque ne Il dittatore dello stato libero di Bananas di Woody Allen ed è fra gli interpreti de La mortadella del nostro compianto Mario Monicelli.

Al che, girando sempre assieme a Lloyd il celeberrimo, epocale ed oscarizzato Qualcuno volò sul nido del cuculo, diviene presto amico del suo grandioso protagonista, Jack Nicholson.

Jack dirigerà Danny in Verso il sud, i due sempre più affiatati gireranno Voglia di tenerezza e Mars Attacks!, poi Danny sarà il regista di Hoffa – Santo o mafioso?

E a proposito di Michael Douglas, peraltro produttore di Qualcuno volò sul nido del cuculo, DeVito stringerà via via anche sempre più una collaborativa, fruttuosa amicizia con quest’ultimo.

All’inseguimento della pietra verdeIl gioiello del NiloSolitary Man, il già succitato Il metodo Kominsky e naturalmente La guerra dei Roses, diretto come sapete dal nostro Danny.

Ma Danny dimostra comunque di non essere l’ombra di nessuno e secondo neppure a divi molto più belli e fascinosi di lui.

Diventa lo straordinario protagonista de I soldi degli altri e nel corso degli anni continua a incrociare enormi cineasti. Brian De Palma con Cadaveri e compari, ovviamente Tim Burton col suo indimenticabile Pinguino di Batman – Il ritorno e con Big Fish, Curtis Hanson in L.A. Confidential, Francis Ford Coppola per L’uomo della pioggia.

I gemelli assieme ad Arnold Schwarzenegger diventa un hit mondiale e Danny gira con Jim Carrey, per la regia di Miloš Forman, lo stupendo Man on the Moon, ove chiarissimamente omaggia il mai dimenticato amico Kaufman nei panni del suo impresario Charles Shapiro.

Be’, mi pare inutile starvi a citare tutti i suoi film da interprete, finirò col dire che secondo me il suo ruolo più bello in assoluto… il nostro Danny l’ha avuto nello struggente, malinconico Kiss di Richard LaGravenese.

 

Insomma, si fa presto a dire nano. Danny DeVito è un gigante, altroché.

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di Stefano Falotico

Le migliori serie televisive e il mio video cult da fantasma di Bob


17 Nov

The-Night-Of

Stranger Things

Stranger Things

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Ebbene, devo ammetterlo, sebbene qualche insegnante di semantica-semiotica cinematografica del DAMS o scuole affini mi rimprovererà tosto. Le serie televisive mal le digerisco.

Perlopiù la maggioranza di esse.

Sono profondamente convinto che, nonostante molte di queste, invero assai poche, possano essere ottimamente costruite, con sceneggiature perfino ingegnosamente architettate, e farcite di personaggi carismatici, affascinanti o solamente interessanti che, senz’ombra di dubbio, attraggono la nostra curiosità, siano allestite inconfutabilmente al fine di un solo, primario scopo. Quello d’intrattenere. E basta.

Non vi è Arte.

Basti vedere il nuovo format adottato ad esempio da Netflix. Ieri sera, ho visto con molto piacere, divertendomi da matti, il primo episodio de Il metodo Kominsky. Una serie che, se manterrà il ritmo dolceamaro dei suoi primi trenta minuti, scanzonato, nostalgico, leggerissimo, potrebbe ascendere presto tra le mie preferite. Ma questo lo saprò soltanto a visione completata delle sue dieci “puntate”.

Ecco, ogni episodio de Il metodo Komisnky dura appena, appunto, mezz’ora. Alcuni, dando io un’occhiata veloce ai minutaggi dei singoli “spezzoni”, non vanno addirittura oltre i venti minuti. Roba che non fai in tempo a guardare i titoli di testa che già sei arrivato a quelli di coda con un brevissimo intermezzo di qualche sketch fra Michael Douglas e Alan Arkin.

Gli episodi invece di Maniac durano singolarmente non più di quaranta minuti.

Ciò per dire che il livello di attenzione dello spettatore medio, quello a cui punta Netflix, si è notevolmente abbassato.

Un tempo, come da me già detto, la gente si piazzava sul divano e, su RAI 3, ai primi di Gennaio, quando spesso lo programmano, si guardava per intero C’era una volta in America, col solo spazio pubblicitario fra il primo e il secondo tempo in cui andava a dissetarsi e si fumava una sigaretta, oppure recandosi in bagno a fare un po’ di “acqua”.

La gente era abituata alla contemplazione, alla splendida “lentezza”.

Oggigiorno invece i ritmi troppo frenetici giocoforza impostici dalla società non ci permettono di soffermarci troppo sulle cose. Ché poi bisogna guidare la macchina nel caos cittadino.

Dunque, si è adottato questo formato, appunto, velocissimo, d’immediato consumo. Tanto per farci passare un po’ il tempo libero.

Le serie televisive, in generale, fanno esattamente questo. Sono storie che, a mio avviso, potevano essere sintetizzate, senz’assurde digressioni superflue e onestamente noiose, senza siparietti poco funzionali alla vicenda narrata, al fulcro sostanziale della trama, in due ore e mezza, al massimo.

Questa regola vale per ogni serie televisiva. Anche per quelle migliori.

Ecco, non essendo un patito di serie tv, appunto, non ne guardo molte. Ma le scelgo oculatamente in base ai miei gusti. Vado d’istinto. Decido di sorbirmi tutti gli episodi di una serie, semmai uno o due a sera, dopo aver vagliato scrupolosamente.

Posso dunque dire che il mio sguardo è “limitato” e forse avete ragione voi a sostenere che le serie televisive siano oramai il futuro non solo della televisione ma del Cinema.

Detto ciò, sono soltanto cinque le serie televisive degli ultimi anni che mi hanno quasi del tutto appagato e reso fiero di averle viste. Quelle per cui ritengo di non aver buttato del tempo prezioso nel visionarle.

Partiamo dal quinto posto per arrivare al primo.

5) Stranger Things. Sì, tutto vero. Non inventa niente, ricicla il sincretismo culturale anni ottanta, soprattutto, e ripesca da Spielberg, Joe Dante, perfino da Wes Craven, e chi più ne ha più ne metta.

Ma la miscela è ottima, commovente, è una serie che davvero ti riporta indietro nel tempo. Come Ritorno al futuro di Zemeckis.

Promossa appieno.

4) Marvel’s The Punisher. Oh, finalmente Frank Castle, dopo tante trasposizioni orrende, e mi riferisco a quelle con Dolph Lundgren (!) e Thomas Jane, trova nel volto roccioso di Joe Bernthal la sua mimesi perfetta.

La serie è violentissima con tanto di scena in cui The Punisher sfonda gli occhi del suo eterno torturatore e finale in cui macella il cranio dell’amico traditore figlio di puttana.

Ma, a parte qualche eccesso, funziona a meraviglia.

3) Mindhunter. Gli episodi di Fincher sono stupendi. Zodiac incontra Il silenzio degli innocenti.

Qualche luogo comune di troppo sui serial killer rovina l’amalgama ma la serie spinge, eccome.

2) True Detective, prima stagione. Non è assolutamente perfetta. Anzi, più la riguardo e più i monologhi di Rust, che tanto mi avevano impressionato la prima volta che li vidi, mi paiono costruiti, artefatti, e Pizzolatto mi sembra un tizio furbissimo, bravo ad accattivarsi, con pessimistico maledettismo, le simpatie dello spettatore hater del mondo.

Come per tutte le serie televisive, ribadisco, la storia poteva durare molto meno e se ne poteva fare un film. Semmai di tre ore. Molti risvolti e molte parentesi sono esagerate, la serie è dispersiva e alla fine ciò che resta è appunto la forza interpretativa di un McConaughey nel suo ruolo della vita e gli ultimi venti minuti.

Con la discesa nel covo di Carcosa, la resurrezione cristologica di Rust e i due amici di tutta un’esistenza che meditano su questa brutta faccenda. Da lacrimoni.

1) The Night Of. La perla per eccellenza. La prima puntata è qualcosa di magnifico. Abbiamo Fuori orario di Scorsese che incontra la penna di Richard Price. Sin alla lenta, mostruosa esplosione di un equivoco giudiziario spaventoso.

Ma anche in questo caso, come The Guardian disse bene, sebbene The Night Of rimanga a mio parere un capolavoro, la serie si perde un po’ per strada con una storia processuale abbastanza convenzionale da Perry Mason e John Grisham e smarrisce molta della carica della prima puntata.

Il finale però è da brividi e salva i pur minimi difetti enunciativi.

 

Ecco, personalmente, per quanto riguarda Gomorra, Narcos, Westworld in particolar modo, come dice il vecchio Jack Burton… basta, adesso.

Mi hanno scassato u’ caz’.

Ovviamente, ho trascutato apposta Twin Peaks Il ritorno. Che non è una serie televisiva… è la storia della mia vita. Soprattutto quando Laura Palmer torna a casa…

E urla di paura perché questa sua vita è stata tutta un immane incubo terrificante.

Sì, come la mia vita. Ve ne avevo già parlato di questo?

Sì, a un certo punto, similmente a The Night Of, chi mi stava attorno mi ha fissato negli occhi.

E, allucinato da quel che vide, urlò fra il meravigliato, lo sbigottito, l’incredibile materializzatosi ancora.

Sì, qualcosa di tragicamente lynchiano.

 

 

di Stefano Falotico

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