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ll Joker Rosso Malpelo, forse Marino, dice il suo verismo


06 Apr

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Senza peli sulla lingua.

Un saggio critico riguardo il valore di alcuni miei libri mi ha reso molto felice, entusiasta di me stesso.

No, non mi piace auto-incensarmi. Peraltro, lo trovo sconveniente e inopportuno.

Poiché è gradevole ricevere dei complimenti ma si viene anche investiti di carature, di responsabilità che spesso non mi sento d’indossare. Non ho il carattere. Non per codardia, solo perché mi stancherei di essere una star.

Avrei sempre i riflettori puntati, gli occhi addosso. Se andassi, di prima mattina, a bere un caffè in un bar di periferia, coi capelli spettinati e la tuta mal stirata, qualche pazzo paparazzo venderebbe la mia foto a caro prezzo.

Deridendomi poi con la scritta falsissima: guardate come si è ridotto.

Però posso attestare che questo testo mi ha inorgoglito soprattutto perché è stata un’analisi lucida, anti-retorica dei miei lavori e probabilmente della mia anima.

I personaggi di Stefano Falotico corrono, vanno, cercano, si dimensionano diversamente, in base ai casi e alle circostanze, ma mai in qualità di vittime reali, bensì di protagonisti, anche impavidi e caparbi. Essi sono la volontà che incide nella loro vita. Quando i casi della vita vogliono che essi tornino al loro quotidiano essere, scoprono in se stessi una sorta di ambiguità, di plurivalenza, di crudeltà, di crudezza e nel loro cuore rinvengono un “cruciforme” destino. Essi non si deprimono mai: lottano, escono allo scoperto, vincono e perdono, ma non sono mai realmente sconfitti. In loro si legge: desiderio, brama, moto variamente accelerato, ricerca della vastità del creato, in una specie di sublimazione che consente loro di uscire dal greto del fiume della vita per cercare un’onnipotenza personale, in un “irreligioso” silenzio. Essi troveranno siepi e alberi, aspre montagne e fiumi agitati, alte maree e ripidi camminamenti, tunnel e altipiani lussureggianti. Essi troveranno estati, primavere, autunni e inverni. Ma non si arrenderanno al destino o al fato. In loro la lotta è un “classico essere” e un “azzardato divenire”. Incontro, scontro, conversazione, avversità, devozione, “dialogismo”, biasimo, amore, “disamore”, dolore, costanza, “endemica malattia”, catastrofe, polimorfismo e fallimento si aggrovigliano in un “enclitico” divenire, che fa sì che un’azione priva di tono ne assuma uno, avvalendosi di un “precedente soggetto”. Tutto l’insieme diviene in Stefano Falotico “filosofia vitale” e “naturale disfacimento” in vista di successive “grandezze”. Grandezze che egli non identifica, ma che lascia intuire o supporre, perché è cosciente che sia un cattivo scrittore colui che fornisca soluzioni o che faccia di ogni argomento una “tematica” per riduttive conversazioni.

No, non vi è mai piaggeria nei miei libri. Perfino in quelli all’apparenza patetici, lagnosi. Nemmeno nei miei scritti più infoiati, infervorati, ardimentosi.

V’è una sempre più profonda presa di coscienza ineludibile sulle molteplici sfaccettature del mondo. Un’impietosa consapevolezza, specie nei confronti di me stesso, del fatto che non esiste e non può in alcun modo esistere la verità assoluta, ognuno vive la sua realtà, ognuno ha il suo mondo.

Non vi è sconsolazione, chiamatela anche col sinonimo sconsolatezza, non sono dei piagnistei tristi e miserevoli, non sono ravvisabili in essi gracchianti, indisponenti lamenti. No, non sono delle lagne. Delle elegiache prese di posizione. Non sono radicali neppure quando mi esprimo su certi universali temi in maniera quasi dogmatica e assolutistica. In una parola, convinta.

Perché lascio continuamente spazio al dubbio. Do importanza alle incognite, agli esistenziali enigmi.

Anche quando tostamente parlo di rivoluzioni, mi riferisco in particolar modo ai moti dell’animo. Agli invisibili cambiamenti che lo sguardo esterno non vede, forse non vuol vedere, ma che in noi avvengono, son già avvenuti. Forse ci son sempre stati, dovevamo soltanto aspettare che il tempo facesse sì che potessero mostrarsi, liberi da ogni sovrastruttura e mascherata dura.

Mi soffermo sui nostri interiori mutamenti che si riflettono conseguentemente sulla nostra percezione del mondo, a sua volta in perenne, impercettibile metamorfosi furente.

Sono libri veri. So che il termine veri induce al sorriso.

Ma vi è una sottile, infinita diversità fra il verismo e la verità. La verità, come detto, è illusoria, in un certo senso perfino utopistica. Come dico spesso io, solipsistica.

Il verismo invece è un atteggiamento intellettuale, psichico e ragionativo che si esplicita nella schiettezza.

Appunto, nella purissima presa di coscienza.

Col tempo, ho imparato a ironizzare, a sdrammatizzare sulle mie sfighe. Prima, semmai abbozzavo, facendo la figura del coglione.

Adesso sono diventato un commediante della tragedia umana di noi tutti.

Scherzo su quelli della mia generazione. Persone, a cui io stesso m’annetto, oh povero inetto, oh me, misero e poveretto, che senza autorevolezza e credenziali formali dissertano di Cinema e sulla vita tutta, sentenziando con fare perentorio. Arrogante, superbo da sapientoni.

Persone con ampie competenze. Non lo discuto. Ma che di mestiere non fanno propriamente i critici. Ma critici, d’altronde, lo siamo tutti.

Giudicare è facile, è lo sport nazionale.

Molti poi sono insaziabili. I loro video ottengono trentamila visualizzazioni ma non si accontentano della loro già ampia, invidiabile fetta di pubblico. Vogliono arrivare a quota centomila. Guadagnando un milione di dollari l’anno.

Le modelle su Instagram non ci stanno. Sul non ci stanno, vi chiedo di riflettere. Avete i soldi? E come fanno allora a starci? Comunque, non ci stanno lo stesso. Eh sì.

Una loro foto ha ricevuto la bellezza di 3 milioni di LIKE ma ecco che stanno “lavorando” a un altro shooting.

E, in questo gioco competitivo assurdo, oserei dire baroque, farlocco, grottesco, allucinante, non vince nessuno. Anzi, diventate, ora dopo ora, quel che non siete più, figli di questa modaiola era di maschere di cera.

In questo mondo farlocco, appunto, solo il Falotico, sinonimo di stravagante, è un essere anomalo e non è mai nell’anima vacante. In quanto eterno, imperturbabile Joker contento della sua “pochezza” aitante. Giammai sbraitante.

Uomo buffo che dà i buffetti, non desidera carnali buffet, che non abbaia come i cani.

Sì, vergo qui, fratelli, sorelle, compaesani, concittadini, nazional-popolari, contro ogni fascismo nazionalista, contro ogni ideologia sessista, contro ogni razzistica mentalità bigotta, contro ogni suprematista che diagnostica il prossimo in quattro e quattr’otto, il mio alter ego Giovanni Verga, in quanto uomo che vorrebbe amare una donna Vera, di nome ma non so se di fatto perché, onestamente, deve ancora farsi, e cantare al plenilunio come un uomo lupo che non deve più vergognarsi di essere affetto da licantropia cupa.

Sì, son lupo, le donne mi allupano e bevo birra di ottimo luppolo. Non è ancora giunto il momento di pregare la divina Provvidenza a mani giunte, a braccia conserte, genuflettendomi in segno di discolpa dinanzi ai miei (s)confessati pudori. Non è ancora arrivato il momento di abdicare alla demenza e lanciarmi giù nel dirupo, no, non ho mai a nessuno chiesto aiuto, a differenza di molti di voi che elemosinano compassione all’assistenza sociale, pregate la Madonna affinché vi faccia la grazia di salvarvi dalla vostra ignoranza e vi possa donare in grembo una donna vergine e pure vertiginosa d’amare liberi da ogni diavolo tentatore. Vi avrebbe studiato il Lombroso.

Che squallore!

Dovete sudarvela, qui non si regala niente. Bisogna farselo, come si suol dire. Io, nonostante gli ammaccamenti, le botte solo in testa (di altre botte, lasciamo stare subito), non demordo e ancora, polemico, azzanno chi mente dinanzi al vero e abbranco il capo branco che non vuole riconoscere le sue colpe da volpone che ora, bastonato, arranca. Mi dilanio, mi sventro ma non mi svendo! Non mi arrabbio. Mi arrangio…

Sì, ammaccamenti a tutt’andare ho ricevuto durante il tremendo viaggio. Ma solo quando compresi che non ero un eroe e non sono un uomo-macchina bensì un uomo e basta, ho sentito e vivamente sento la vita adesso in ogni magnifica, giusta ansia che finge di non interessarsi al sesso ma fa solo la figura del fesso? No, questo è ciò che voi vorreste che io dicessi. Io invece dico che son enormemente senziente non al dolce far niente bensì al far quel che mi va. Sento ogni incanto dei miei turbamenti. E non mi dolgo se tu non mi vuoi, se una che amo non mi ama. Infatti, no, non ne soffro, praticamente in tale struggimento son completamente rotto e spappolato. Ma io lo ammetto! Questo è vero! Come tutto il resto.

Eppure, malgrado tanti ammiccamenti, io continuo a porgerle i miei ammiccamenti. No, non voglio che mi sia amica, dunque non compiaccio il suo rifiuto e continuo a spingere d’occhiolino che non vede di buon occhio una simpatica amicizia. Mentirei al mio cuore ma soprattutto cederei alle lusinghe del demonio poiché sarei bugiardo di fronte al mio desiderio focoso come le stritolanti fiamme virulentissime dell’inferno del mio cor(po) turbinoso, quasi a luci rosse, forse solo da ex Lucignolo.

Invero, Pinocchio mi fa un baffo.

Ma simpatica de che? Ma quale complicità amichevole? Ma che diciamo? Ma che facciamo?

Lei sta con un altro? E che me frega? Bisogna invece che l’altro resti fregato, fottuto. Sì, sì, sì.

Tutti siamo colpevoli. Sì, nessuno è esente dagli sbagli, scagliate la prima pietra se, talmente impavidamente mentitori, negate dirimpetto al mondo i vostri errori!

Siete dei sobillatori, dei solitari aizzatori, degli “spingitori” del suicidio indotto ai cosiddetti deboli da bastardi istigatori, lasciatevi andare invece alle vostre pure sensazioni, siate impuri nei vostri clamori, datevi con amore e incontrerete una stronza che vi maltratterà con spontaneo fetore. Allora non vi meritava e non andava maritata.

Questo è poco ma sicuro. Tranquilli, fidatevi. La vita è sempre una fregatura. Altro che buonismi di confettura.

Sì, peccai come peccaste voi ma io sono sincero. Dunque, lo accetto, io eccedo, sbando, ancor lì lo prendo, un po’ come tutti, chi più chi meno, ma non so se perdonerò più.  Però, figlioli, d’ora in poi da me non avrete altri doni se farete nuovamente gli st… i.

Basta coi vostri trucchi, ho sfoderato il mio jolly e quindi non combiniamo più casini.

Or dunque io esigo di lasciarci andare a un casino pazzesco. Tiriamo fuori i denti e le unghie!

Finitela, pietistici, di buttarla in tragedia. Questa vita è una pagliacciata, si sa, ed è questo il bello!

Vince chi ha il coraggio di dire: questa è la mia vita, questa è la città della mia anima!

E non è Bon Jovi.

Io sono Il Principe. Non dei crimini vostri, della mia libertà! Delle mie tragedie, della mia ilarità, della mia idiozia, perché no, della mia sapienza, della mia sincerità.

Ah ah! Scendo le scale, cado in basso ma brindo. Perché, su questa scalinata, O’Sole Mio, Sta ‘nfronte a te!

Scusate, ora devo scolarmi un buon tè.

Sono un gigione. Sì, io gigioneggio alla grandissima.

 

Sono Lupo de’ Lupis.

 

di Stefano Falotico

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