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I progetti irrealizzati, forse solo idealizzati, di Brian De Palma: innanzitutto, Toyer ma forse è meglio il libro Il diavolo è un giocattolaio


02 Oct

brian de palma

Sì, ogni regista ha almeno, conti alla mano, anzi su due mani, circa dieci progetti ambiti, i cosiddetti dream projects, giammai realizzati. A causa di tutta una serie di circostanze sfortunate, di difficoltà produttive, semmai all’ultimo momento, riscontrate. Per colpa di non dati per scontati scontri con chissà chi.

Per esempio, credo che Francis Ford Coppola, oramai più obeso di Marlon Brando dopo vent’anni da Il Padrino, per quanto s’ostini ad annunciare continuamente le riprese, più e più volte slittate, mai veramente partite, oserei dire di sudore freddo patite, posticipate, semplicemente rimandate, diciamo pure mai svoltesi né iniziate di Megalopolis, a causa di evidenti suoi limiti anagrafici e d’una demenza senile sempre più galoppante, non salirà in sella a tale suo sognato film perennemente mai concretizzatosi. Sì, oramai Francis è vecchio, rimbambito più di Bruce Dern di Nebraska e Megalopolis, film scifi di natura semi-peplum, ambientato cioè in un’antica, oserei dire postmoderna, avveniristica Roma simil Metropolis, non troverà mai la luce.

Sì, Francis, fra poco ascenderai nei campi Elisi. Campi ove non finirà quella frustrata della cantante Elisa, bensì è il posto dei Beati ove salgono lassù non solo i Russell Crowe de Il gladiatore ma anche tutti i cineasti, per l’appunto, paradisiaci come te. Da empireo, registi imperatori che per anni imperarono sulla Settima Arte con tanto di sacrosanta aureola, giammai riposandosi sugli allori.

Allora… Gian(n)ina Facio fa sì che Ridley Scott, ogni volta che quest’ultimo giace/ccia con lei a letto, essendo ora costei sua moglie dopo averla data anche a Fiorello che, a sua volta, di “Karaoke” lo diede a Katia Noventa, non so se pure a novanta, ecco, fa sì che il regista del super malinconico Blade Runner, alla fine dell’amplesso con lei, reciti in maniera liturgica, diciamo anche da arrapato Mimì metallurgico, il celeberrimo monologo di Rutger Hauer con tanto di Cristoforo Colombo di 1492: La conquista del paradiso, no, di lui al settimo cielo come una colomba bianca che se la ride come una pasqua, come si suol dire.

Sì, ragazzi, dinanzi a Gianina tutta ignuda, semmai anche in perizoma e tanga presto da lei tolto per annegare il suo “Triangolo delle Bermude” (da non confondere con quello di Renato Zero), Ridley mitraglia come Eric Bana di Black Hawk Down per tempeste ormonali sue da Albatross senza bermuda.

Comunque, lasciamo stare Ridley (non sono ca… i che ci riguardino) che scotta con la Facio ogni volta che se la fa e torniamo a Coppola.

Megalopolis… dovrebbe esserci adesso Jude Law e, tanti anni fa, nel cast doveva esservi pure il nipote del Coppolone, vale a dire Nicolas Cage, assieme a Bobby De Niro, Russell Crowe (sì, sempre lui), Paul Newman e Kevin Spacey. Castrato da Scott per via dello scandalo imputatogli, forse peggiore di quello al centro del prossimo film di Scott stesso, ovvero Gucci, estromesso e censurato da Tutti i soldi del mondo poiché Ridley non poteva sputtanarsi… e ho detto tutto.

Ma chi se ne fotte… di Coppola. Parliamo di un suo grande amico, vale a dire Brian De Palma.

A quanto pare, malgrado perenni rimandi, Brian dovrebbe girare Catch and Kill, una sorta di storia alla Predator. Cioè un reboot del capolavoro di John McTiernan con Schwarzenegger? No, uno psycomovie perverso, in stile hitchcockiano su tipico stilema depalmiano da Doppia personalità e Omicidio a luci rosse, ispirato ad Harvey Weinstein. Ah, ma allora questi registi sono fissati a fare i guardoni. Ma che sono James Stewart de La finestra sul cortile oppure De Niro di Hi, Mom? Mah… Fatto sta che alla Donna che visse due volte preferisco il mio libro La vertigine del lieve crepuscolo. Mentre a Kim Novak preferisco Rebecca Romijn di Femme Fatale. A Hilary Swank di Black Dahlia, preferisco Scarlett Johansson. Invece, a Sharon Stone di Sliver, preferisco il suo vedo-non vedo, diciamo il suo upskirt senz’alcun velo, di Basic Instinct.

Brian De Palma voleva Nicolas Cage in un biopic su Howard Hughes. Poi, lo voleva nella parte di De Niro da giovane, cioè Al Capone, nel prequel de Gli intoccabili.

Con Gerard Butler nella parte che fu di Sean Connery. Meglio che tale stronzata non sia stata realizzata.

Nicolas Cage nella parte di De Niro mi pare infatti una cagata pazzesca. E qui sono Paolo Villaggio/Fantozzi che attacca, senza mezzi termini, La corazzata Potemkin. Da Brian citata in The Untouchables.

Vorrei parlarvi invece di Toyer. Film che doveva essere ambientato a Venezia con Colin Firth e Juliette Binoche. Sulla Binoche, siamo tutti d’accordo? Potrebbe anche stare ferma, in gondola, per due ore e mezzo di film, senza dire una sola parola. Recitando in maniera annacquata, cioè interpretando un ruolo mal cucitole addosso che fa acqua da tutte le parti. Sì, cucite male parti che non calzino a pennello a Juliette. Meglio, difatti, che Juliette sia pure senza calze.

La sua bellezza oceanica parla da sé e scatena una marea cataclismatica in ogni uomo non solo romantico da Ponte dei Sospiri…

Che cosa? Juliette è invecchiata? Non diciamo stronzate. Se si spogliasse davanti a voi, comincereste a guardarla (e non solo) da ogni angolazione come John Travolta di Blow Out.

Comunque, avete ragione. Carla Gugino di Snake Eyes è più bona. Anche l’ex di Nic Cage, Christina Fulton. Lo sapeva pure Val Kilmer/Jim Morrison di The Doors. Eh sì, il re lucertola… e si prende l’ascensore.

Sì, credo che Cage sia stato reso cornuto da Christina molto tempo prima di essere da lei lasciato e venir coglionato da Patricia Arquette. Nic, dammi retta, riguarda la scena finale di Al di là della vita e non recitare la parte del duro. Fai pietà. Di Michelangelo?

In Toyer, Colin Firth doveva interpretare la parte di un genio pervertito che, anziché uccidere le sue vittime, le torturava psicologicamente. Facendo loro dello stalking e dello body shaming crudele.

Al fine di farsele, no, farle impazzire, rendendole psicotiche e obbligandole, giocoforza, a coma farmacologici e a gravissimi TSO.

Praticamente, quello che alcuni idioti fecero a me.

Peccato che non avessero calcolato che so scrivere libri à la De Palma ambientati in laguna come Il diavolo è un giocattolaio.

E che la mia attuale lei sia la donna che compare in questa copertina.speculareipnosifalotico

A proposito di Val Kilmer e De Niro, non scoperto da Scorsese, bensì da De Palma, miei voyeur “dritti”.

Che cosa dice Al Pacino in Heat? È gente cazzuta, questa.

Comunque, non nutro pensieri vendicativi nei riguardi di certa gentaglia che volle indurmi al suicidio, non sono Il conte di Montecristo.

E non ucciderò nessun Ted Levine. Neppure quello de Il silenzio degli innocenti. Non sono mica Jodie Foster… de Il buio nell’anima, no?

Per cui, i miei haters possono dormire sogni tranquilli. Tanto, sono così scemi che confondono Freddy Krueger di Nightmare con Diane Kruger di Bastardi senza gloria.

Oh, nazisti filo-fascisti. Non sono bello come Brad Pitt ma sono Leo DiCaprio di C’era una volta a… Hollywood.

Se non vi sta bene, vi spediamo subito in manicomio come Charles Manson.

Ecco, molta gente mi urla che io debba soffrire e stare malissimo.

A me pare di stare benissimo. Ora, mi spiace per il demente che andava a dire che io fossi schizofrenico. Semplicemente, è stato distrutto.

Sapete, se provocato da imbecilli, posso essere più cattivo di Al Pacino di Scarface.

 

di Stefano Falotico

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La quarantena c’ha provato, stremato, forse pure scremato, tremaste tutti così come io tremai ma si deve remare e l’amore e il cuore non andranno giammai più fermati


14 May

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Sai che cosa diceva quel tale? In Italia sotto i Borgia, per trent’anni, hanno avuto assassinii, guerre, terrore e massacri, ma hanno prodotto Michelangelo, Leonardo da Vinci e il Rinascimento. In Svizzera hanno avuto amore fraterno, cinquecento anni di pace e democrazia, e che cos’hanno prodotto? Gli orologi a cucù.

(Orson Welles ne Il terzo uomo).

Sì, mi tengo tutta la mia “pazzia”. Mi fa sentire vivo, reattivo, come devo essere. Parafrasando Al Pacino di Heat.

Una delle caratteristiche che mi contraddistinguono è la mia alterità. In passato, essa fu malvista ed erroneamente scambiata per vacuità da errabondo, per patetismo laconico di un uomo troppo falotico.

Non per risalire a questioni araldiche di nobiltà medievali ma, sinceramente, malgrado mio nonno fosse contadino o, se preferite, coltivatore diretto, è altresì vero che io sia nobile, veramente.

La nobiltà abita, non so se sia abilitata o disabitata, eh eh, nella mia anima e sono disposto a perdonare i villain, pure i villani e gli screanzati che ardirono ad ardermi vivo, desiderando cattivamente che subissi devastanti umiliazioni al fine di dimostrare, assurdamente, da fascisti menomati, non so se meno amati (usando una loro espressione che dovrebbe indurre a un’amara, tristissima risata allineata alle loro battutine coi soliti doppi sensi ambiguamente impliciti e oramai intollerabili), di distruggermi la vita.

Ridendo, beati e contenti, di avermi invalidato. Sai che divertimento da beoti e poveretti.

Mi spiace deluderli. Persero la loro stessa idiozia.

I vecchi rimbambiti mi diedero infatti del vagabondo, le persone superficiali mi stigmatizzarono e inquadrarono entro la definizione di persona cupa e solitaria, pedante, pesantissima e dunque insopportabilmente cogitabonda.

No, non fui certamente James Bond e nessun mistero è chiuso in me alla Turandot.

Insomma, mi diedero del tonto e del poco di buono.  Sì, additato che fui da persone cieche nell’anima di essere lento e addirittura paranoico, fui persino accusato di andare con delle prostitute ceche, ovvero provenienti dalla Cecoslovacchia.

Ditemi voi se dovetti, per l’amor di dio, prendermi del puttaniere, gratis e poco amore, dalle madri racchie di questi ragazzi schiappe.

Poiché la gente sospettosa è avvezza a sparlare dietro le (s)palle, come dico io, inventandone tante.

Di mio, posso dichiarare in tutta onestà di essere sempre stato sveglio e mai un vigliacco.

Cacasotto è un appellativo che a me, una sorta di Michael J. Fox di Ritorno al futuro, non si dovrebbe mai dare. Come cazzo si permisero tali impostori?

Anzi, precocemente vigile e di occhio vispo, vegliai già nottetempo sulla scemenza generale anche degli uomini capoccioni e stupidamente caporali. Cosicché, m’assopii (in)volontariamente, pure da obiettore di coscienza di giudizioso servizio civile assai diligente, malgrado abbia sempre odiato i dirigenti, planando in lande più meste e contemplativamente amabili, remote dalle solite adolescenze che constano di ragazzini presuntuosi, oserei dire untori, cafoni e deficienti. Ché danno subito in escandescenza se si sbatte in faccia loro la verità più atterrente.

Minchia, signor Tenente!

Eh già, come i bambini che perdono a carte coi nonni, da loro squallidamente definiti boomer, essi ricusano la sconfitta e rigirano la frittata da totali sprovveduti oltremodo incoscienti.

Paradossalmente, sì, la mia esagerata, prematura e dunque troppo matura sveltezza nel pensiero, stando a contatto con coetanei rimasti parecchio indietro, seppur coprendosi dietro requisiti formali atti a certificare la loro mentale sanità dietro un ipocrita paravento, m’indusse a far sì che gli altri pensassero, per l’appunto frettolosamente, quindi da persone tardive e poco sensibili, che mi fossi addormentato e fossi precipitato in uno stato preoccupante di demenza, adombrandomi nella notte melanconica dei più tediosi lamenti, oscurandomi irreversibilmente nello spettro mio fantasmatico e nel diagnostico, psichiatrico specchio d’ipocondriaci tormenti, rosicando nel vedere le loro vite falsamente, ripeto, contente.

Sì, fui etichettato come persona invidiosa e gelosa, poco sessualmente golosa, diciamocela, malata di mente perfino pericolosa. Che figli di troia. Che facinorosi! Soprattutto faciloni! Dio mio, che farfalloni!

Poiché, già nauseato dalle fandonie di quell’età acerba ch’è l’adolescenza che fa rima con deficienza, ove si misura il prossimo in base a stereotipie peggiori di un’esegesi da italiano medio riguardo la poetica di Fantozzi, con estremo (dis)piacere, lasciai che tali villani assai vili inveissero su di me in modo atroce, sbattendomene altamente.

Sì, bisogna fottersene… bellamente.

Ah, allestirono assurdi deliri sul mio conto. Arrivarono perfino a credere che mi credessi Robert De Niro, il mio attore preferito di tutti i tempi.

Riuscirono addirittura a persuadere uno psichiatra forense che io fossi sofferente di disturbo delirante paranoide.

Al che, servii loro e all’handicappato che mi rifilò una diagnosi falsissima più del suo conto in banca senz’attestati… versamenti fiscali, il mio racconto Disturbo denirante.

Ci sta, secondo voi, come enorme presa pel culo sfacciata e terribilmente irriverente?

Abbastanza, nevvero?

Lottai per anni in tribunale affinché tale equivoco giudiziario nei miei riguardi, eh sì, venisse giustificato di risarcimento sacrosanto.

Nel frattempo, puntualmente, ricevetti altre missive bombardanti la mia dignità. Avendo pochissime prove in mano, reagii di nuovo scriteriatamente. Cosicché, dopo immani strazi, privazioni, osceni sacrifici e un inutile, agghiacciante calvario disumano dei più tremendi, per l’ennesima volta vinsi ogni balordaggine dettami e “attestatami”, essendo io l’unica persona al mondo dimessa, consecutivamente per ben due volte di fila, da un centro di salute mentale.

Ma io sono io. Mica una testa di cazzo qualsiasi. Insomma, questi qua furono proprio dei pazzi da manicomio. Diciamocela!

E ancora, assai presto, battaglierò in aula contro il solito criminale se non la finirà di scherzare in modo decisamente irriguardoso nei miei riguardi. Uno schifoso che mi suscita compassionevole benevolenza.

Sì, come detto, sono magnanimo e perdono questi magnaccia. Sì, questo qui, ancora infamandomi e descrivendomi come persona affetta da fobia sociale, finanche di schizofrenia ebefrenica, andando in giro, calunniandomi a iosa, dicendo a tutti, tutto ridendosela da irredento, che io sia un eunuco con un cervello piccolo quando vuole, con falsa cortesia, usare a mio danno un eufemismo tanto tenero e simpatico, invece malvagiamente offendendomi nel darmi la patente di disturbato, squilibrato e decerebrato necessitante, quanto prima, di psicofarmaci pesanti, quando gli piace e va a genio, non mio, la strafottenza più mendace, ecco… persevera a insultarmi con pusillanimità disarmante, con ingratitudine da burino lestofante.

Costui, dopo il mio volontario ibernamento esistenziale, emozionale ed anestetizzante, come poc’anzi dettovi, le mielose scemenze dei miei coetanei adolescenti, più che altro scemi, pressoché uniformemente uniformati a medietà conformiste imposte dai loro genitori all’apparenza grandi, invece castranti, quindi terribilmente arroganti, assieme a quella frigida repressa di su’ mamma, eh già, ancora insiste nel definirmi un bugiardo. Dietro una tastiera, naturalmente. Ove ogni porcata, se non opportunamente denunciata, segnalata e prestamente punita, passa gravissimamente inosservata.

Al che, liberatomi dal gravame delle infondate accuse che dal cielo mi piovvero, non ci piove che, finché tale stronzo non avrà sputato tutto il rospo, smerdandosi tutto nel vasetto, eh sì, tale bimbetto da me non sarà, per nessuna ragione al mondo, minimamente scagionato né perdonato.

Gli piace perseguitarmi, dandomi del maniaco e dell’invertito.

Vediamo invece se, unendo le forze congiuntamente coi miei attuali amici, i giochetti suoi invertiremo.

Se la sta già facendo nelle mutande?

Ah, ebbe il coraggio di dire che fui io uno che mentì a sé stesso per rifuggire una realtà che, a suo avviso, a tutt’oggi per me sarebbe inaffrontabile.

Ma per piacere, poveri pazzi e tapini rivoltanti. Sì, includo, in tale j’accuse, non solo il mentecatto, bensì tutta la sua razza di storpi e malati…

Atto accusatorio senza fronzoli!

Su’ mamma…

Oh, figliuoli, parliamo di una donna fintamente cattolica, giudaica e apostolica che sognò di essere una diva di Hollywood e si ridusse a recitare in parrocchia le sue versioni, non di latino e greco, bensì delle più leziose, francesi commediole.

Ecco come si spurga la donna bebè…

Ah, diciamo che col tempo m’indurii. Sì, fui un duro sin dapprincipio. Poi, a contatto con gente senza coglioni che mi diede del coglione, m’ammosciai in modo rude.

Ma forse sono Bruce Willis di Die Hard?

Ah, bolognesi che mi considerarono alla stregua di una negrona… ah ah, il cui unico, vero interesse culturale fu stressarmi, spacciandosi per intellettuali del cazzo.

Sì, che due marroni… gente che non conoscerà mai Gli amanti del Pont-Neuf e, soprattutto, Juliette Binoche di Cosmopolis. Ah, Juliette fu sempre donna di bellissime cosc’ da infarcire di crema dolce fuoriuscente da tali cornuti, no, da questi cornetti salati, detti mondialmente brioche.

Si sfaldano presto in bocca appena li addenti. Si sciolgono come un caldo soufflé.

Di mio, mi presero per bimbo poiché adorai i Sofficini e i Bastoncini della Findus.

Comunque, mi chiedo sempre come riuscì Ralph Fiennes, in The English Patient, a esserle così paziente.

Sì, dinanzi a un’infermiera come la Binoche, parafrasando Totò di Totò Diabolicus, siamo tutti dei pazienti che non hanno pazienza. E basta con Andrea Pazienza!

Per colpa di tali impostori, divenni Paz! Invece conoscono benissimo Apocalypse Now…

Ah ah!

Credettero che soffrissi di solitudini spaventose da Hotel paura!

Comunque, sì, lo ammetto spudoratamente, senza vergogna alcuna, divenni bergmaniano, amante perfino di Un’altra donna di Woody Allen e patii parecchio L’insostenibile leggerezza dell’essere.

Recitai, a tarda notte, pure il rosario in maniera ossessivo-compulsiva da Giovanna d’Arco della minchia.

Di mio comunque, eh sì, al Cinema di Bresson, a prescindere da Il diavolo probabilmente e dal mio essere inevitabilmente caduto in un’apatia all’epoca indubbiamente deprimente, preferii e tutt’ora prediligo Luc Besson. Anche se rimasi Milla Jovovich de Il quinto elemento.

Questa è bella, è bellissima, ah ah!

Sì, va detto. Milla è una gran figa.

E, a proposito di Bob De Niro, in Stone tradì tutti gli accordi con Edward Norton. Il quale, pur di scontare la sua pena, consegnò la patata di sua moglie, incarnata da Milla, al Bob volpone e assai porcellone.

Il quale, a sua volta, non tanto scontò il suo pene. Eppure lo scottò con lei… mica tanto da uomo perbene…

Ah, vite bruciate come la villa di Bob nel film. Povera Frances Conroy. In Stone, suo marito è un porco, in Joker, cazzo, suo figlio ce l’ha con un porcellino poiché, per colpa della politica di suo padre, Thomas Wayne, un capitalista più bastardo di Mel Brooks di Che vita da cani!, Arthur Fleck divenne un lupo mannaro americano a Gotham City…

Cazzo, roba più demenziale dell’appena succitato Brooks. Roba da John Landis!

In The Score, invece, Ed Norton pensò di essere più bravo, con metodo Actor’s Studio, di Marlon Brando e di De Niro stesso.

Sì, che bella figura… che bella fighettina…

Andiamo avanti. Al Jean Reno di La ragazza nella nebbia, preferisco mia madre. Anche se, in passato, divenne troppo religiosa. A Cose Nostre – Malavita, preferisco invece Léon.

A Natalie Porman di Heat, preferisco quella di Closer. Ragazza di ottimo culo, mica una matta sfigata poi ritrovata come ne Il cigno nero.

Ce la vogliamo dire? Il film di Aronofsky è una mezza puttanata e forse il caro Oscar dato a Natalie, eh sì, col senno di poi possiamo considerarlo davvero regalato.

Una sorta di premio simpatia nei confronti del suo personaggio di ragazza sessualmente frust(r)ata.

A quella di Thor, invece, preferisco Naomi Watts di Birdman. Ah ah.

Al Cinema di Renato De Maria e al Padre Nostro di tua sorella, sì, preferisco Gli spietati di Eastwood.

E quell’altro? Ne vogliamo parlare di Scamarcio ne Lo spietato?

Ancora rompe il cazzo a fare il malavitoso dei nostri stivali? Ma non fu da Keanu Reeves, in John Wick 2, inculato più di come la sua ex, Valeria Golino, si lasciò da lui stesso, cioè Riccardo (non tanto Cuor di Leone), tranquillamente sodomizzare?

Che poi… anche Valeria. Dovrebbe chiedere la cancellazione, dalla sua filmografia, de La puttana del re.

Tanto, basterebbero già Hot Spots! e Respiro per capire che non fu attendibile ne La guerra di Mario.

Di mio, posso dire che me ne tirai parecchie sull’ex ballerina Lorenza Mario, da anni non torno al mare e, a La Mer, celeberrima canzone melanconica per depressi oramai affogati irrecuperabilmente nell’oceano delle loro tristezze melmose da merdosi, preferisco fare un po’ la merda stupendamente odiosa.

Sì, stronzeggio quando gli altri troppo sulla mia vita cazzeggiano.

Qualche mese fa, chiesi un parere a una tizia:

– Sono di Bologna come Stefano Accorsi. Secondo te, gli assomiglio?

– Sì, sei simile a lui in Radiofreccia e in Un viaggio chiamato amore.

– Cioè, in modo cortese, mi hai appena detto che morirò suicida poiché pazzo come Dino Campana.

– In effetti, qualcosa del genere.

 

Ah, non dovete mai dare retta a Le fate ignoranti. Poi, uno crede davvero di avere Saturno contro. E si lascia travolgere dalle paranoie e dalle delusioni, tipici elementi che scatenano la schizofrenia apatica.

Accorsi è comunque un falso. Siamo tutti bravi a celebrare l’amore quando stiamo con Laetitia Casta.

Ma se lei ti lascia, ecco, non hai molte vie di figa, no, di fuga. Puoi mangiare le fave di Fuca, puoi diventare casto oppure leccare il culo ancora a Gabriele Muccino per rimanere tanto “Maxibon” e carino.

Infine, puoi venire, no, divenire il paziente, ricollegandoci al discorso sopra fattovi, de La stanza del figlio.

Baciami ancora? Ma che cazzo stai a di’!?

Se perderete un figlio, comunque, lasciate perdere Nanni Moretti. Non basta un barattolo gigantesco di Nutella per tappare il lutto. So io cos’è Bianca…

Lasciate anche stare film come Jack Frusciante è uscito dal gruppo. Ah ah, di Enza Negroni. Una che mai si spostò da Bologna e, anziché girare vero Cinema, girò film pseudo-educativi come Rotta per il Pilastro. Meglio il Cremlino a queste donne da Cremino.

Di mio, da piccolo m’iscrissi a Nuoto alla piscina Record del quartiere, per l’appunto, Pilastro. Imparai a nuotare da solo durante giornate piene di Sole e, piuttosto che fare la rana, preferii essere un principe del giuoco della palle come Lionel Messi. Sì, giocai a Calcio sino a diciott’anni, arrivando fino alla categoria Juniores.

Poi, mi fu chiesto di andare in prima squadra. Ancora una volta, mi buttai viai. Dovrei prendermi a calci nei testicoli? Sì, sono un testone! Alla Negroni, al Negroni, alle negrone, a Nerone, al Martini e al mojito, preferirò sempre Dolls di Takeshi Kitano e Le iene di Quentin Tarantino.

In passato, non ebbi Paura d’amare. Bensì, paura di soffrire. Allora, soffrii del tutto come il protagonista de Le onde del destino. Ecco, dopo questo scritto, ora capite bene che il Kobra non è un serpente…

Ci siete arrivati, finalmente? Di mio, non sono pazzo come il cattivo di Cobra ma non sono neppure figo come Sylvester Stallone. Infatti, sono più intelligente di entrambi. Finisco così…

Su Facebook, un tizio scrisse: Joker è una cagata pazzesca. È molto sopravvalutato.

Al che, gli risposi con questa freddura:

– Perché? Tu non lo sei?

 

Quindi, lui gridò, inferocito!

– Che vorresti dire? Che sono una merda d’uomo?

– No, hai frainteso.

– Ah, menomale. Perdonami se ho equivocato.

– Sì, scusami. Volevo solo dire che, per quanto mi riguarda, puoi avere anche tre lauree e due donne di nome Laura.

Ma, lasciatemelo dire, secondo me di Cinema non capisci un cazzo.

– Capisco almeno di figa? – mi chiese lui, spaesato.

– Non lo so. La tua ragazza mi disse di no.

– Che cosa? Conosci la mia ragazza?

– No, non la conosco.

– Ah, perfetto.

– La conobbi ieri sera – risposi io con sesquipedale nonchalance.

 

Costui rimarrà sconvolto a vita. La sua ragazza di più. Ah ah.

Per quanto mi riguarda, comunque, non sono cazzi vostri.
Intanto, sono diventato il re dei fan di Anna Falchi. Ma sì, ne andai matto.
Mi sa che abbisogno di tornare alle belle donne come la mia donna attualmente amata.
Basta coi moralismi delle bruttone e delle fallite.
E, dopo la giacca incazzosa di Drive, presto a casa arriverà a casa mia una di queste due giacchette da vero maschilista amante del piacere più verace.
Ah ah.
Se non vi sta bene, mi sa che farete la fine di Leo DiCaprio di Shutter Island. Eh già, non gliela potete fare neanche se vi reggesse il gioco un amico buono come Mark Ruffalo. A voi non basterebbe nessuna cura da Ben Kingsley.

Vi credeste grandi, puttaneggiando con Gandhi ma, onestamente, siete soltanto degli ipocriti.

Ricordate Ove the Top, miei topi.

Falco sono io. Volete affrontarmi? Ok, Poi però non piangete.

 

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di Stefano Falotico

Una lieve rimembranza della mia Venezia 76 da JOKER, fratello di Batman, eh sì, quanti amici veri lontani da ogni stupida, prosopopeica arroganza


01 Sep

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Eh sì, son rientrato a Bologna dopo il mio breve viaggio in quel di Venezia. Ove, nella calle Sotoportego del Pistor, stazionai in un albergo affitta-stanze. In cui condivisi il cucinotto e il soggiorno con due coppie più anziane d’ordinanza che, allegramente, prepararono pranzetti e cenette mentre io, nella mia stanza, scrissi le recensioni dei film che vidi in laguna in tutta calma riflessiva e poi con frenesia inquieta e abrasiva in perfetta linea col mio stile incendiario, dinamitardo, quasi psicotico, a tratti armonico e atomico, nuovamente fulgido e barocco.

La mia prosa, così come il mio acquatico pensiero profumato d’immacolato lindore e ancora superbo, intangibile, giammai appunto annacquato candore, viene sempre più apprezzata e mi dà gusto premere l’inchiostro delle mie tempie, scandendolo a piacimento di come io stesso riavvolgo furentemente il tempo fra elucubrazioni futile delle mie trascorse sparizioni talmente melanconiche da sposarsi quasi alle pompe funebri. Eh sì, più e più volte durante le mie passate, disarmanti solitudini annali e ancestrali, negli interstizi fugaci delle mie viltà tremende, difatti meditai il suicidio per debellare ogni mal di vivere per cui, in questa vita fra il dire e il fare nella quale mai si nuota felicemente in uno spensierato, solare mare, soventemente s’affoga nella tristizia di pleniluni torbidi in cui irosi alle stelle si ulula.

Ma, sebbene spesso afflitto da profonde nevrosi, incendiato dalle mie inespresse passioni così romantiche d’apparire, agli occhi dei superficiali, soltanto addirittura come stolta ritrosia e paura d’amare ignobile, interpretate cioè come egocentrismo e insopportabile, perfino disgustosa vanità odiosa, malgrado spesso andò a farsi fottere la mia spontanea ilarità pindarica e giocosa, in quanto castigata nella prigionia psicologica dei miei ancestrali timori quasi da lebbroso, ancora sogno poiché immutabilmente resto (in)fermo al mio timone, io sono il capitano coraggioso del mio vascello ed ectoplasmatico pian piano plano non solo sugli oceani delle mie mille perdizioni, dei miei tormentosi e pietistici lamenti, bensì, orsù miei prodi, le montagne più vostre aride valico e navigo nella vastità spaziale di risplendenti, soavi aurore in cui la mia poesia si fa magnifica e aulica.

Or innamorandomi di ogni nuova donna a ogni ora, ripudiando le vostre squallide orge, fulminato dalla folgorazione della mia ritrovata illuminazione sempre intonsa.

Sì, fui enfant prodige. Poi, poco prodigo e nascostomi nel vuoto cosmico, talvolta addirittura tragicomico, m’inabissai assai poco prodigiosamente in un’esistenza davvero remota dall’essere nitidamente splendente e ariosa. Invero fu solamente desertica e tenebrosa. Enigmatica, auto-crocifissa, penosa o soltanto innocentemente pensierosa.

Sì, in passato apparsi come deficiente, lo ammetto e ne sono (s)contento. In quanto non rinnego nessun mio turbamento, fonte battesimale per risorgere a una migliore, riscattata coscienza abissale. Vivendo nell’eterno, magnifico illanguidimento.

Quanti incontri avvennero in questo Lido fuggente, rifulgente nello splendore mi(s)tico del mio imperscrutabile firmamento.

Mi commossi la sera in cui, prima di fare la fila davanti alla Sala Perla per vedere 5 è il numero perfetto, nell’atrio del Palazzo del Casinò, fui salutato come maestro da Fabrizio Ciavoni, da Riccardo Cozzari e da Matteo Arcamone, ragazzi giovanissimi nel cuore ma già enormi signori, capaci di gesti calorosi e sentitamente autentici.

Mi strinsero a sé, come fratelli di sangue m’abbracciarono e ogni mia lacrima amara sparì in uno stupendo istante dolce e graziosamente fragrante.

E che dire di Raffaele Mussini, anche lui scrittore, appassionatissimo cinefilo e mio collega redattore su Daruma View Cinema?

M’aspettò trepidamente dirimpetto al red carpet del Palazzo del Cinema durante la prima mattina di questo mio speciale Festival da accreditato stampa.

M’offrì anche la colazione e assieme vedemmo il film d’apertura, La verità. Atto d’amore viscerale nei confronti di un mito intramontabile del Cinema francese più elegante e mondiale, la strepitosa Catherine Deneuve, donna che, nonostante la non più florida età, rimane invincibilmente affascinante in quanto dotata d’una innata classe inarrivabile perennemente intatta. Per l’occasione affiancata dall’ancora bellissima Juliette Binoche. Gran figa che, diciamocelo, malgrado qualche ruga, io scoperei a novanta.

Anche in tal caso mi commossi quando una delle più grandi dive di tutti i tempi, ovvero la Deneuve, invecchiata, appesantita, stanca e disillusa, camminò immalinconita lungo una strada plumbea ai primi battiti dell’alba assieme al suo cane.

Una scena meravigliosa.

No, La verità, a dire il vero, non è un grande film ma ha due tre momenti davvero belli.

Così come, appunto, 5 è il numero perfetto.

Questa sua Napoli fangosa, acquitrinosa ove, nell’incipit, il grande Toni Servillo sembra la versione partenopea di Sam/De Niro di Ronin, mi ricordò il paese natio dei mie genitori in cui vive tutt’ora molta gente semplice, persino arretrata e sbagliata, forse pure criminosa e acrimoniosa, gente che spende migliaia di Euro per un abito da sposa ma ove le donne poi sono trattate dai violenti mariti non tanto coi petali di rosa.

Un posto però lontano dal tempo, immerso nei miei inestinguibili, inestirpabili ricordi cangevoli, delicatamente sinceri.

Ed ecco che ricordo qui ora di nuovo Ciavoni. Ci sentimmo su Messenger alla sera della vigilia del Festival. Poi, nel pomeriggio successivo, tramite vocali su WhatsApp, lui m’invitò a raggiungerlo allHotel Excelsior:

– Ste, che fai in camera? Siamo all’Excelsior. Vienici a trovare. Oh, dai che ci scattiamo una foto con Johansson Scarlett.

– No, non mi va.

– Offes’ – lui sapidamente rispose.

– Offes’ per cosa sta? Mi dai del fesso perché non vengo o sei offeso?

– Entrambe.

 

E ridemmo platealmente entrambi.

Mi deluse terribilmente invece Ad Astra, la storia di un uomo più pazzo di suo padre che vuole scoprire il mistero della vita ma alla fine diventa Nicolas Cage di The Family Man.

Con Liv Tyler, una non più sexy come un tempo ma a cui una botta darei senza sconti e ripensamenti, ex figlia di Bruce Willis di Armageddon e del suo vero padre, Steven, il cantante degli Aerosmith che, per questa balla spaziale di Michael Bay, compose però un pezzo, diciamocelo, epocale: I Don’t Wanna Miss a Thing.

Sì, Liv Tyler preferì a Io ballo da sola Brad Pitt… grazie a u’ cazz’, come direbbe Carlo Buccirosso di 5 è il numero perfetto.

Ah ah.

Quindi il caso Dreyfus che potremmo ribattezzare il caso Falotico. La storia di un’amicizia straordinaria ove un uomo capì che fu eseguito, per comodità istituzionale, un immane errore giudiziario e venne commessa un’ingiustizia mostruosa di proporzioni spropositate, tesa a difendere le bugie e un mondo orrendamente meritocratico per cui ancora avvengono tristissimi insabbiamenti.

Ed è per questo che Joker è veramente un capolavoro.

Soprattutto quando Arthur Fleck, stanco di pentirsi, di venire mortificato e umiliato, non vuole più fare il bravo bambino, non ha più alcuna voglia di redimersi.

Cosicché, senza falsità, senza inutili, controproducenti, afflittivi piagnistei, vomita tutta la sua potenza, diventando l’angelo diabolico più forte e potente.

Non fu lui a sbagliare, bensì l’arroganza di un mondo di uomini apparentemente probi e perfetti, invero assai cattivi e bugiardi, laidi e maiali.

Al che Arthur diventò il più cattivo, il più cattivo di tutti.

Dunque il più amato poiché tremendamente puro e vero.

Ebbene, miei amici, io sono il padrone del mio destino, l’intrepido, imbattibile condottiero di questo viaggio a prua del mio poetico veliero.

 

di Stefano Falotico

La possibile scelta di Robert Pattinson come futuro Batman m’induce a una riflessione cronenberghiana e tarantiniana


19 May

pattinson cosmopolis

Ecco, voi cinefili avrete sicuramente letto che, nella lista allestita da Matt Reeves, dopo il forzato forfait di Ben Affleck, per l’ambitissimo ruolo del nuovo Batman, in cima a tutti vi è Robert Pattinson.

No, lo so che ora, basandovi sul titolo di questo mio scritto, penserete che banalmente andrò a parare su Cosmopolis.

Invero, ciò l’hanno fatto molti di voi, al solito per dare spettacolo di sfoggio conoscitivo, in realtà assai, oserei dire, manieristico e stoltamente meta-cinematografico della Settima Arte più trita e ritrita. Nei vostri onanismi da contriti.

Arrivando a dire scemenze bestiali. Cioè che la filosofia esistenziale di Batman, uomo notturno tendente al pipistrello misantropo, vampiristico nel succhiare il sangue di sé stesso nell’eremitaggio lupesco condito di volpona, doppia personalità da dottor Jekyll e Mr. Hyde, ah ah, sto morendo, era già contenuta “in nuce” e in poca luce, ih ih, perimetrata e circoscritta nell’abitacolo della macchina futuristica di Cosmopolis, una sorta di Batmobile accessoriata in maniera sofisticata grazie alle grazie, oh oh, della francese, dolce e sexy Juliette Binoche, donna che dolcifica cremosa come un bignè le ombrosità di Bruce Wayne coi suoi collant Calzedonia avidamente stuzzicanti a mo’ di  pasta sfoglia della sua donna non del tutto spoglia eppur raffinatamente avvolgente di capricciose voglie quasi alla Deborah Caprioglio, per un tosto rapporto sessuale senza olio, conturbante al pari d’una sensualissima passione da Come l’acqua per gli elefanti.

Toglietemi una curiosità: il vostro è puro, deficiente intuito, sofistico anacoluto o vi siete bevuti troppi nerd sul Tubo?

Sì, altro che esegetica complicatezza analitica, non mi riferisco all’anale che la Binoche concede al Pattinson molto prima di Julianne Moore di Maps to the Stars, faccio vaga allusione al fallo, no, fatto che, a forza di credervi intellettuali, disillusi dalla pochezza, dall’inconsistenza e dalla misera sterilità delle vostre artefatte elucubrazioni da cinefili licantropi spelacchiati, siete cascati in una corbelleria retorica peggiore delle canzoni di Jovanotti.

Più che angelici critici di Cinema, mi sembrate, sì, il Cherubini Lorenzo più cretino, ovvero quello più stupido e svaccato. Rimbambito.

Ricordate: Il più grande spettacolo dopo il Big Bang non siete voi e sinceramente non è neanche Juliette Binoche, signora, oggi come oggi, un po’ troppo grande per voi infantili signorotti.

Se vi piacciono le milf, recatevi su un sito porcellesco per adulti ma, per piacere, lasciate stare le cos(c)e serie.

Sì, su questi per soli uomini frustrati, potrete trovare tutto l’ambaradan delle varie Brandi Love e Julia Ann. Al vostro virtuale servizio per rallegrarvi dalla vostra deprimente, giornaliera monotonia da scoglionati giornalisti, donne che credo non abbiamo mai guardato un film di Cronenberg ma amano il pasto nudo senza girarci troppo attorno, semmai però girate e rigirate come fritt(at)e in tutte le posizioni più immaginifiche e celestialmente visionarie per stalloni ritti. Ah, che tran tran(s).

Ah ah. Non abbocco più a questi vostri tranelli da finto saputelli, invero soltanto da coglioncelli.

Il Cinema non è due più due fa quattro e la cellulite, no, la celluloide me la faccio in quattro e quattr’otto.

No, non sono bigotto. Ci mancherebbe. Però voi mi parete proprio dei tromboni molto di panza pienotti.

Pattinson semplicemente ci sta. Poiché, parentesi esclusa dei suoi adolescenziali esordi da Twilight, si è oramai specializzato in ruoli da disadattato affascinante. E come tipo malinconico ma ambiguo viene identificato.

Io vi dico anche che per voi verranno tempi bui e, per salvarvi dal luna park delle vostre finto luminescenze cinematografare da giostra dei cavallucci, dovreste (ri)vedere Good Time, miei criticuzzi col ciuccio.

In parole povere, miei somari, miei ciucci, per voi la vedo molto dura fra le sbarre d’una vostra futura vita sfatta.

Io ho scritto una lirica monografia su Carpenter. Poetica indagine divorante. Libro in cui, nonostante l’ortografia e la grammatica inappuntabile, la correzione di bozza stupefacente grazie al mio editor impressionante, forse, lo dico col senno di poi orgogliosamente, non tanto mi ero soffermato sulle prime opere di David così invece illuminanti.

Accennandovene solamente poco seduta stante. Comunque, che capolavoro che è Scanners.

Conoscete, no, la teoria dei supereroi di Kill Bill recitata da David Carradine?

Superman non è affatto un super uomo, è uno dei più sfigati disgraziati dell’universo.

Sì, è come me. Ero talmente avanti a 12 anni rispetto a quelli della mia età, la mia sessualità e la mia intelligenza, da enfant prodige allucinante, erano così pronunciate e prominenti che venni trafitto e trattato psichiatricamente da deficiente e assunsi per molto tempo il farmaco Fluoxeren. Per contenermi.

Ah, vi furono effetti collaterali devastanti.

Tant’è che oggi la gente non sa più se io sia uno schizofrenico, uno psicopatico doppio come Batman, oppure Chris Walken de La zona morta, il quale dopo il coma neurovegetativo fu scambiato per un ciarlatano soltanto perché quella sua apparente, patita dormienza, quella scissione dai contraccolpi pesantissimi, irreversibilmente evitabile, gli fece vedere il mondo con occhi diversi. E la gente pensò:

questo recita la parte del diverso che ci sta pigliando per i fondelli! Ma quale essere messianico, questo cornuto è solo un coglione sciagurato. Un farabutto da prendere a botte e spedire di nuovo in cura…

Un poveretto che deve tornare a lavorare e finirla di fare il clown.

Insomma, detta come va detta, che tragedia, ragazzi.

E comunque se Juliette Binoche accettasse di uscire col Joker, cazzo, secondo me capirebbe che è nata per la parte della mia Catwoman.

Sì, Juliette è ancora bona. Pure io, purtroppo.

Vi saluto.

Statemi bene.

E fatemi meno seghe, mentali e non.

Poiché, non scordatelo mai, io sono il Genius-Pop e ve le do nel popò.

Ohibò. Dio bon’.

 

di Stefano Falotico

binoche cosmopolis

 

Com’ è bello viver da soli, con il Calcio


04 Apr

 

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Le mie giornate, da molta gente ignorante reputate asfittiche, si cibano di aria zen. Ove, soffice, nell’ermetica lucentezza di me sempre “sbiadito” e sbadato, mi disfo del pen(s)ar comune, così ingombrante e secondo me foriero, cari forestieri, di stress. Meglio l’aria della foresta che mi richiama quando, allo scoccar dell’alba croccante, “digrigno” gli occhi nell’assaporarne la vegetazione, con gusto della fauna mia da animale lontano da queste metropoli schiaccianti, col lor (a)mar di obblighi, ove tutti si “responsabilizzano” dietro scrivani(e) di lavoretti “incappucciati” nell’orinare, no, nell’amministrazione ordinaria. Il cappuccino, il capufficio, uff uffa. Meglio i puffi a queste muffe. Magnatevi un muffin e leccatevi i baffi. Così, dopo queste giornate “dure”, l’uomo “normale” si appiccica alla televisione e si sorbisce Montalbano che starnazza in idioma idiota calabro-siculo mentre io mangio un altro colibrì, non pensando a questi drammi piccolo borghesi ove la puttanella rivendica il tradimento di un certo Mario e Mario l’ammazzò con una calibro per lo “specialista” calibrato di “onore” meridionale. Io conosco l’odore del temp(i)o nelle mie tempie e immagino (di) templari scorrazzanti nello scoreggiar pi(n)o. Tra spade di Excalibur e fornicazioni che una volta erano libere dal divorzio, sì, quelle “zie” oziavano con gli orsi maschi che se l’ingroppavano a tutta birra, masticando l’aroma del sesso verace, remoto dall’orpello borghesuccio dell’amore a “tutte le costole”. Vedo ragazzi disperati che, per far contente le professoresse, imparano a menadito lezioni di troia, no, di Storia, eppur non provano la rabbia pasoliniana di quell’Ulisse e non leggono Joyce. Comunque guardano O. Russell di Joy ed è una bona Lawrence, una buona cos(ci)a. E poi i calci da dare! In una “iurnata e Sol”. Mentre Ventura studia la Nazionale e quella panza si suda. Non pensando ai medici e agli avvocati, ma ficcandosi in bocca un altro Buffon.

 

di Stefano Falotico01104606 joy-DF-04076_R2_rgb

Genius-Pop

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