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Via da Las Sfigas, remake falotico di Leaving Las Vegas


18 Feb

Sì, il termine falotico, cercatelo nel vocabolario, significa bizzarro, stravagante, eccentrico, forse birbante.

Via da Las Vegas è un film sopravvalutato, con un Oscar sinceramente regalato a Nic Cage.

Durante la cerimonia degli Oscar, fra l’altro, è accaduta una cosa inusuale. La signora Shue, una delle donne che ho sempre maggiormente sognato di scopare, si è alzata in piedi. Incitando anche Kevin Spacey ad alzarsi. Su, basta coi moralismi puritani. Spacey è un grande, aiutatelo a tirarsi su, adesso. Per colpa dei vostri usual suspects, la sua carriera è andata a zoccole.

Ecco, sì, la Shue. Già il cognome è eccitante. Poi, davanti a una biondona così, come fai a non desiderare che avvenga quello che “intravedete” in questa scena?

viadalasvegas

Sì, detto per inciso, secondo voi la Shue usa anche gli incisivi quando, succhiante nel lievitante, non necessita della pulizia delle carie dal dentista smacchiante? Una smaltatura smagliante!

Torniamo al fortunello Nicolino.

Quell’anno avrebbe dovuto vincere Anthony Hopkins con Nixon. Ah, mi fate ripetere sempre le stesse cose. Ma, per via del fatto che, solo qualche anno prima, Hopkins aveva già vinto la statuetta come Migliore Attore Protagonista per il suo epocale Hannibal Lecter de Il silenzio degli innocenti, l’Academy l’ha fatto perdere apposta. Il bis, l’Academy, a parte qualche miracolosa eccezione, vedi la doppietta consecutiva di Tom Hanks per Philadelphia e Forrest Gump, non lo concede mai e non transige. Non vuole accettar ragioni, come si suol dire. Una delle regole auree (eh sì, l’Oscar è o non è dorato?) è non premiare lo stesso attore a distanza di così poco tempo. Anche se quest’anno tale regola, non scritta ma applicata, verrà confutata ancora perché, con estrema probabilità, Mahershala Ali vincerà con Green Book. Ma che modi sono questi? Se meritava lui, cioè Anthony, meritava lui! Portate rispetto! Ha anche la patente di Sir, parliamo di un gran signore, mica di un fruttivendolo qualsiasi. Che sono questi imbrogli? Chi ha mescolato male le carte? È stato Warren Beatty con quella rincoglionita di Faye Dunaway, sì, truffaldini manigoldi alla Bonnie e Clyde da Gangster Story, oppure il bidello del Ginnasio, invidioso di Hopkins, in stile Election da mediocre Matthew Broderick? O invece è stato Mel Gibson di Maverick!? E perché non avete mai premiato Malick? Andiamo molto male!

Se Anthony meritava tutto il pezzo di torta, perché avete dato questa fetta di gloria a Nic?

Ma il Nic di questo film, comunque, non aveva in effetti tutti i torti. Eh sì, il plurale maschile di torta non è torti? Eh sì, lo sa Totò con Peppino de… la malafemmina.

Questo Nic, nel film, è un brav’uomo che ha sempre rispettato tutti, si è dato anima e corpo (appunto) come un dannato a scrivere sceneggiature, sperando d’imbroccarne una giusta per fare il salto in avanti. Per la cosiddetta svolta.

Ma infingardi, malefici produttori stronzi gli cassano ogni progetto. Al che, Nic perde appunto la brocca. E se ne fotte di tutto. Comincia a provocare le donne a tamburo battente, cantando ad alta voce al supermercato, disprezzando chiunque perché, sì, lui si è sempre comportato in maniera corretta, secondo un riguardoso fair-play nei confronti del prossimo, ma non meritava non solo l’Oscar, questo è un altro discorso e non il suo di ringraziamento ruffiano sul palco, ma soprattutto l’affronto ricevuto da una comunità d’ipocriti e irriconoscenti. Non meritava affatto l’ottuso linciaggio porco sbattutogli in faccia.

Quindi, a quel punto, capisce che Asia Argento ha lavorato soltanto perché la dava ad Harvey Weinstein, denunciando poi quest’ultimo da vera donna di malaffare, mica Elisabeth Shue, una poveretta violentata oltre che dalla vita pure da dei ragazzini scemi, e cazzeggia di brutto.

Insomma, diciamocela, se ne sbatte altamente i coglioni. Tanto sa che la sua vita, soprattutto in quell’ambiente di leccaculo e merdosi fake, è finita. Se mai fosse iniziata.

Capisce che forse la prostituta Sera (Sara)/Shue è meno in realtà meretrice di quelle finte santarelline che si spacciano per gran donne e invero, da mattina a sera, non solo hanno pensieri pervertiti sugli uomini e sul sesso ma nascondono le loro animalesche sincerità (non c’è niente di male, in fondo, se siete ninfomani, basta dirlo) dietro facciate moralistiche, appunto, da femministe del cazzo.

Ben/Cage capisce che il mondo è davvero corrotto ed è una merda. E a spron battuto, come un kamikaze della sua anima, va incontro serenamente alla morte. Non prima però di aver smerdato tutti, anche solo stando zitto.

Perché, di fronte a un muro di gomma, hai un’unica alternativa. Chiuderla qui. Ma in maniera da standing ovation.

Sì, lo stesso anno di Via da Las Vegas, uscì anche Casinò di Scorsese.

Non è che Sam Rothstein/De Niro faccia una fine migliore. Non crepa fisicamente ma nell’animo sì.

Comunque, sia Cage che De Niro almeno, prima della disfatta totale, si son fatti due passerone incredibili, la Shue e la Stone dei tempi d’oro, appunto.

Butta via.

Come dice il grande Clint Eastwood di Million Dollar Baby, il novanta per cento non arriverà mai lì, se le sogna… anzi, molti sognano oramai soltanto di arrivare a fine mese.

Non dice proprio testualmente così, ma avete capito.

E ho detto tutto.

Come sostiene il detto proverbiale: ogni lasciata è persa.

Ma è persa davvero?

Sì, e ogni lisciata è una sola, no, solo una furba leccata da paraculi.

 

In fede,

il Genius-Pop,

uno che da questa società non si aspetta molte sorprese

ma ci crede.

Come no.

Invero, neanche un po’.

 

di Stefano Falotico

De Niro & Enzo Ferrari, forse Eastwood alla regia


10 Apr

De Niro Ferrari

Da Il messaggero

Mentre il Cavallino rampante torna a vincere sulle piste, la leggenda di Enzo Ferrari rivive grazie a una leggenda del cinema: Robert De Niro. «Interpreterò il grande imprenditore-pilota che fondò la casa automobilistica famosa nel mondo intero», annuncia in anteprima al “Messaggero” il divo americano, 71 anni, «in un film che si girerà presto, in gran parte in Italia, e ha la priorità assoluta su tutti gli altri miei progetti».

Il protagonista. E cosa spinge a una superstar come De Niro a calarsi nei panni di Ferrari, scomparso nel 1988 a novant’anni dopo aver segnato la storia non solo dell’automobilismo ma anche del nostro Paese? «Per me è un onore e una gioia raccontare la vita di un uomo fuori del comune che rivoluzionò il mondo dell’automobile e attraversò periodi storici e sociali diversi, dal fascismo alla democrazia, dalla guerra al benessere economico», risponde De Niro. «È una storia basata sulla creatività, sul coraggio e destinata ad appassionare il pubblico di ogni Paese e di ogni età. Ho deciso di abbracciare questa avventura», aggiunge, «anche perché ultimamente non mi sono imbattuto in un progetto cinematografico altrettanto avvincente».
Il progetto. All’origine dell’operazione è un produttore italiano, da anni attivo a Hollywood: Gianni Bozzacchi, titolare della Triworld che ha appena firmato un accordo con Tribeca Film, la società di De Niro, pronto a farsi coinvolgere anche nella produzione. «Il film si intitolerà Ferrari e si baserà su un impianto epico», spiega Bozzacchi, «avrà un budget alto e coprirà un arco temporale ampio, dal 1945 agli anni Ottanta in un gioco intrecciato di epoche ed episodi, partendo dalle interviste rilasciate da Ferrari al giornalista Gianni Minà. Niente a che vedere con la miniserie tv del 2003 con Sergio Castellitto nel ruolo di Ferrari: «bravissimo l’attore, ma i mezzi apparivano modesti. Noi pensiamo invece in grande e contiamo di essere nelle sale di tutto il mondo nel 2016».
Il regista. E chi sarà dietro la cinepresa? Bozzacchi e De Niro vorrebbero Clint Eastwood. «Gli abbiamo sottoposto il progetto e lui si è detto interessatissimo, ma prima di dare il sì definitivo vuole leggere la sceneggiatura», spiega Bozzacchi. I produttori sono ora in trattative con Stephen Rivele e Christopher Wilkinson, gli sceneggiatori candidati all’Oscar per il film di Oliver Stone Nixon – Gli intrighi del potere (1995) e grandi conoscitori del mondo delle corse.
La storia. Le fonti? Ferrari sarà ispirato alle cronache e al libro “Ferrari 80”, scritto nel 1981 dallo stesso fondatore della casa di Maranello. «Non sarà un racconto agiografico: descriverà il personaggio con luci e ombre, successi e dolori come la morte dell’amatissimo figlio Dino, scomparso nel 1956 a soli 24 anni a causa di una grave malattia», spiega ancora Bozzacchi. Anche lui, come tanti, è cresciuto nel mito della Rossa: «Alla fine degli anni Sessanta», racconta, «quando facevo ancora il fotografo delle star, mi comprai la prima Ferrari: l’emozione mi faceva tremare le ginocchia al punto che il motore continuava a spegnarsi e non riuscivo a lasciare Maranello…».
La biografia. Nato nel 1898 alla periferia di Modena, Enzo Ferrari fu un imprenditore, ingegnere e pilota, fondatore negli anni Trenta della Scuderia Ferrari e della casa automobilistica chiamata con il suo nome che conquistò, mentre era ancora in vita, 15 campionati del mondo di Formula Uno. Carismatico e decisionista, venne soprannominato il “Cavaliere”, il ”Grande vecchio” ma anche il ”Dittatore”. «Se dittatore significa pretendere dagli altri l’impegno più profondo nel lavoro», spiegò in un’intervista a Enzo Biagi, «allora lo sono». Tra i piloti, ammirava Ascari, Nuvolari e Villeneuve. Odiava invece gli aerei: «Non ho paura di volare, ma di non tornare a volare», spiegava. Sostenitore dell’innovazione, fu tra i primi a introdurre i robot in fabbrica. «Se oggi fosse vivo, sarebbe un fan di internet», ha raccontato di recente il figlio Piero.
Il produttore. Tra i numerosi progetti di Bozzacchi c’è anche il film postumo di Carlo Lizzani, L’orecchio del potere, tratto dal libro di Andreotti Operazione Appia Antica: «È stato l’ultimo impagno del regista scomparso nel 2013, intendo coinvolgere una major». Intanto la vita avventurosa del produttore, già ritrattista ufficiale di Liz Taylor, diventerà un film, ispirato alla sua auotobiografia “Exposed Memories” e diretto da Don Most con la supervisione di Ron Howard. Come protagonista, si parla di Leonardo Di Caprio.

 

di Stefano Falotico

 

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