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Nonno scatenato (Dirty Grandpa) è stato stroncato a man bassa, essendo bassissimo eppur durissimo, ah ah ah!


22 Jan

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De Niro, pork…Misery”… “non deve morire, allor che sia “insozzato” da “Nonno scatenato

Ebbene, oggi, 22 Gennaio, cioè 22nd January di tal 2016 infreddolito, quasi “in Febbraio”, De Niro e il “suo” Dirty Grandpa è/son stato/i massacrato/i.

Critiche “piovigginose”, scese a catene(lle) per imprigionarlo a ch’inneggia che si ritiri. Invece, lui, barbuto e pronto per The Comedian, da girarsi fra poche settimane, persevera “intelligentemente” a “smantellare” la sua carriera, offrendosi “full frontal” in tutto il suo nudo “splendore” con tanto di pene… esposto/e (ma fa pena!) in questo da noi, appunto, ribattezzato Nonno scatenato. “In memoria” dell’Oscar che fu scorsesiano e adesso Dan-mazeriano. Ché, inizialmente, tal film(accio) doveva, in modus più “filologico”, intitolarsi proprio Nonno zozzone, sì, guardone, gigione, cagone, “schifoso”, impudico, oramai in vacca, voglioso, capriccioso, “rizzo” e brizzolato”, volente o nolente laPlaza delle sue (mal)sane perversioni da old man sui “viali” della monta…

Di questo film, ancor prima che uscisse, De Niro s’è stra-vergognato, tanto che è stata annullata laPremiere americana, non si è sottoposto a nessuna intervista ufficiale e sbarcherà forse solo a Londra, lontano dal puritanesimo degli USA, stato/i così puttaneschi da poi moralizzare con tanta ipocrisia, perché definiscono il film una mostruosità che non ha il coraggio di esserlo “fino in fondo”. Insomma, un film senza capo ma di “cazzo(ne)” né coda di Aubrey, che gli fa “codino”, un film di pisello, montato “a culo”, oltraggioso, raunch, dove De Niro parla come uno sboccato cowboy e sogna una cowgirl di horse cock, bestiale, che non fa ridere nessuno ma fa (rim)piangere il De Niro che fu. Cari cocchi alla Efron! Zac, e De Niro “tira” fuori “quello” che non ti aspetti.

De Niro, infatti, “in fallo” di un film (in)guardabile, se ne fotte e ha già pronto il seriosissimo The Wizard of Lies, egli “la” tocca perché sarà Ray Arcel in Hands of Stone, mani di pietra, e lo vedremo inThe Irishman?

De Niro accetta tutto, “la prende” così come “lei viene”, ci dà, si dà, son dollari, son “affari (s)porc(h)i”.

Ma a me De Niro piace anche rincoglionito, con l’accenno robusto d’una pancia pasciuta eppur non grassa/o che cola, a picco, a tacchi a spillo, en travesti.

 

Dite quel che volete, basta che la diate.

De Niro, per riprendersi dalla botta(na), deve “sudarsela”. Adesso!

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di Stefano Falotico

True Detective 2 il finale che (non) vi merita(va)te, tu, donna, non deserve, la serva serve, il Falotico che mi merito, tu, sgualdrina, non ti mariterai


13 Aug

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È finita la seconda stagione della serie “capolavoro” e già annunciano la terza, d’altronde non c’è 2 senza tre e quattro per quattro fa otto… episodi, quindi, stando al “quando”, sedici in tutto, esclusi i/le 24(h) di fuso orario, quasi in contemporanea con gli Stati Uniti, ché son 50, da noi non doppiati in differita alle ventidue e 10, minuto più e tu più robusto di quelli minuti, non sei secondo al “primo”, di 90 l’episodio che conclude le noir avventure di Velcoro e Frank il semi-gangster servito “freddo” sulla moglie rossa e caliente eppur non s(oddis)fatta… Ecco fatto, Pizzolatto rovina tutto, eh sì, facendo “mori’ ammazzati” tutti gli uomini e lasciando “scampo(li)” alle donne, per la gioia delle femministe, da cui il detto “te la do(ro) e siamo noi a mettervi al mondo che ci meritiamo”. Uomini, non ammogliatevi, “mollateglielo/a”. Da cui il “dato” di “fallo” che buon “morto” è meglio del buonismo femminile dell’amaro maritozzo, come questo finale che m’è stato sullo stomaco. Fe(ga)ti, ribellatevi, di rabbia ribollite, vogliamo l’ambigua destrezza ferita a vi(t)a di Cohle e non questo qui… da Colin e colica.

Querce secolari e figli handicappati sangue del proprio DNA, imprenditori che lo prendono dopo tanto aver fatto gli impos(i)tori. Tirata moralistica sulla (di)partita di Frank, con tanto di apparizioni simil-(mi)raggio fantasmatico del padre “violentatore”, scatenante la turba che spinse il povero a cercar fame, di greed assetato eppur indebitato. “Turbo”-lento di sequenza (in)dimenticabile, più che altro da bili(ardo). E le donne salveranno la Terra, in questo silenzio degli innocenti, perché the man is the cruelest animal.

Ma vaffancul’, che stronza(t’)!

di Stefano Falotico

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Interstellar review


17 Nov

“Fearless” di Peter Weir, recensione di Davide Viganò


09 May
Scampato a un incidente aereo Max Klein vede la su vita rinnovarsi e sconvolgersi del tutto. In lui nasce un distacco verso la famiglia e gran parte delle persone, ma anche una profonda sensazione di onnipotenza. Ed è proprio questa che lo spinge ad aiutare Carla, una giovane donna di origine messicane che nel tragico incidente ha perso il suo bambino di appena un anno.
Sono due modi diversi di affrontare la sciagura che si incontrano e cercano faticosamente una sorta di equilibrio, un tentativo di ritorno alla vita, (Max parla spesso di “scomparire,siamo già morti,siamo fantasmi”) ma, mentre l’uomo ha trovato una dimensione di esclusione e “strafottenza”, quasi noncuranza nei confronti della vita e della morte, (ad esempio mangia fragole, frutto per lui pericoloso in quanto allergico),la donna si abbandona totalmente a un straziante dolore e un feroce senso di colpa.
Max è circondato dai media, da un avvocato delle assicurazioni cinico e invadente, da un bambino che ha salvato e che non lo molla mai, da uno psichiatra abbastanza goffo che vuole psicanalizzarlo e sta vivendo una grossa crisi matrimoniale. La salvezza da una morte certa in realtà la legato fortissimamente alla stessa morte. Nel suo rapporto con Carla ritrova un vero motivo di esistenza, un reale scopo.
Peter Weir è un grande regista, sopratutto nel suo periodo iniziale in Australia ha diretto dei classici legati a un Cinema d’atmosfera inquietante come L‘ultima onda tanto per citarne uno, in America si è sempre comportato più che bene: Witness, lampante esempio.
Questa pellicola del 1993, per me è tra le sue migliori, un film complesso  e intelligente sul lutto, la sopravvivenza a un grosso disastro, la perdita di un figlio, lo scontro e incomprensione tra chi è sopravissuto e gli altri, ma anche tra gli stessi che son usciti salvi dal funesto e terribile incidente, la casualità della vita, il senso di impotenza di fronte alla morte dei cari e quello di onnipotenza, il cinismo della società che sfrutta una vita per riempire giornali e tv o per prendere più soldi dall’assicurazione.
Tratto da un romanzo di Raffael Yglesias, che firma anche la sceneggiatura della trasposizione cinematografica, è un’opera di lucidissimo dolore, che evita quasi sempre facili scivoloni nel sentimentalismo o nel ricatto emotivo, un’attenta indagine psicologica non solo dei due protagonisti,ma anche del mondo che li circonda
Il tema della morte per me è fondamentale, amo i film che l’affrontano e sopratutto quello che come si vive o supera un lutto, che trasformazione porta nelle persone e nella cerchia famigliare o il rapporto con la società. E questo lavoro del regista australiano, grazie a una buona sceneggiatura, affronta questi temi con la giusta misura di melodramma e dramma, sa quando spinger un po’ di più e quando fermarsi.
E poi è Cinema, grande Cinema. La scena iniziale con Jeff Bridges che esce dal campo di granoturco ha una potenza visiva meravigliosa, esattamente come l’incidente aereo che ci viene mostrato nel finale. Pare di essere su quel maledetto aeroplano, (io ho paura di volare e questo film mi conferma tutto eh!), ci si commuove anche per quella gente che muore o quella che sopravvive, per le mani che si cercano e non si trovano,veramente un pugno nello stomaco.
Il rapporto tra Max e Carla, che non sfocia mai nella inutile sequenza di sesso o nella storiella sentimentale, ha un rigore morale raro nei film che in un modo o nell’altro sono comunque non relegati alla nicchia del Cinema d’autore, ( e io amo le nicchie eh!), così come la scena dell’incidente di macchina che Max si procura per eliminare il senso di colpa a Carla è un momento, ripeto, di grandissimo Cinema, per montaggio,suono,recitazione, tutto.
Fearless ha un grande cast che funziona alla meraviglia, dai due memorabili e indimenticabili, Jeff Bridges e Rosie Perez, fino a Isabella Rossellini, John Torturro, Benicio Del Toro, Tom Hulce.
Opera forse dimenticata e trascurata, ma validissima, da rivedere.
Portate i fazzolettini perché si piange e tanto eh!

“The Big Wedding”, review from Comingsoon.net


01 May

Eccola

Reviewed by: Joshua Starnes
 Rating: 7.5 out of 10

Review:
Don (Robert De Niro) and Ellie (Diane Keaton) have lived your typical upper middle class life and had your typical upper middle class family. They had their two kids (Katherine Heigl and Topher Grace), raised them to be respectable lawyers and doctors, divorced, and went their separate ways. And of course they adopted a young boy from Colombia (Ben Barnes). And now that he’s graduated Harvard and preparing to marry his middle school sweetheart (Amanda Seyfried), like any good upper middle class couple, Don and Ellie are going to pretend to be married to avoid offending Alejandro’s biological mother (Patricia Rae) so that she won’t make a scene and ruin “The Big Wedding.”

Phew. That’s a lot of people and a lot going on, seemingly straight from an episode of “Three’s Company” or some other 70’s sitcom desperately searching for comedic misunderstanding every week. “Big Wedding” is similarly disparate as writer-director Justin Zackham (“The Bucket List”) mixes and matches errors and comedies as fast as possible to keep things going for a relatively brief 90 minutes which is, when you step back from it, almost entirely lacking of a real narrative drive.

It’s a wonder then that it works as well as it does.

But work it does, and mostly due to a game cast and some more intelligent than not dialogue, which gives most of the actors are little more to do than stand in front of the camera for mechanical set up and volley.

De Niro leads the ensemble with just the right mix of charm and roguishness, making you like the urbane Don while also realizing why his children don’t so much. Though frequently pushed into the silliest of circumstances (not quite as often as Grace, but close) he rolls through it all with a sly glance and a wink and you let him get away with it.

Which actually holds true for most of the cast. Sure, most of them have been cast to type – Keaton is again playing Keaton, the forever Annie Hall neurotic – but these types work together and you can believe they know and care about each other.

For the most part, in fact, the characters are better drawn than the caricatures they play at being, with most of them having surprising layers of humanity and a tendency towards sincerity of feeling that forgoes sentimentality, something movies usually avoid like the plague.

Much of which does come down to Zackham’s script, which is zippy enough that you forget you’re spending most of the plot in the same house–the old family house–and just smart enough, often enough, that you won’t blow your brains out from boredom.

If it had a real plot and real jeopardy, instead of play jeopardy hidden by ridiculous gags ( ‘classics’ like Alejandro’s mother’s inability to understand English or anyone else to understand her) there could be a real movie in here. As it is, it’s a wonder the movie is as good as it is.

Which is good enough this time around. “The Big Wedding” is not a classic, or even really memorable, by any means, but considering the pit it starts at, it gets off light. And that’s better than usual.

Genius-Pop

Just another WordPress site (il mio sito cinematograficamente geniale)