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Poesia di un uomo che fu cupo, forse anche lupo e ora è di nuovo, magicamente, benvoluto


15 Apr

93411662_10216242810925813_5288001521957470208_oLa futilità del tempo aromatico ancora nel mio cuore si staglia e io, riesploso nella solare vita amorosa, non più melanconico, dopo che nel buio ermetico giacqui, come Dracula di Bram Stoker soavemente rinacqui. Nella vita, vi è chi starnazza, c’è chi volgarmente strepita, chi rimane un asino e raglia e chi, come un Falò, calorosamente ancor abbaglia. Ah, quello lì abbaia, quella là latra e sta pure nella latrina.

Io fui un uomo che, nella tristizia, ululò spaurito.

Poi, ancora di vita riposseduto, in mezzo agli spari degli invidiosi e degli accidiosi, nel chiasso di cattivi uomini gelosi e non più di donne golosi, per fortuna sparuti o perfino finalmente spariti, di mio cuore ertosi in gloria marmorea, non so se in gola di voce rosea, decanta la beltà mia e forse della mia amata giammai perduta.

Presto di fortissima passione ancora baciata e incontaminata.

Come me non vi è nessuno, per fortuna o per (dis)grazia ricevuta, ridatemi il benvenuto e facciamoci assieme una bevuta.

Sono l’idolo assoluto?

Non lo so.

Quel che so è che m’addormentai, persi il senno e molti seni ma in verità vi dico che sono un dio quando voglio e soprattutto se la mia lei mi vuole.

Un Falò angelico e diabolico.

Non più la mia anima si duole, non più dorme, oh, che bell’homo…

 

Firmato
Stefano Falotico

Indietro nel tempo, DOPO LA MORTE e oltre, prima della nostra (ri)nascita


07 Jul

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Indietro nel tempo

Bagliori intermittenti ed emozioni fuggevoli di un me che parve svanito, e or riluccica estasiato, bramoso di baciar il mondo nel suo ventre e mordere gli ardori che volarono via, immolandomi alla bellezza e a un’alta felicità sovrana, scevra dal dolore e riscaturita laddove pensai che l’avessi persa. Oh, vita perduta, anche in me temuta, ribatti scalpitante e rivivi in ipnotico ballo della mia anima festante, leggiadramente ancor amante, lucida come il più pregiato diamante, dissanguata e spolpata, adesso a fonti battesimali di me restaurato rinnovata.

Per tutto questo tempo, oh sì, scomparve l’estasi, il brio della leggerezza del vivere tramutò in mugugnante apatia, in borbottii melanconici di torpori glaciali si bloccò il mio cuore rattristato, e vanamente inseguii la felicità, perdendo il senno nella brace di sogni arsi, che si stan ridestando nella lor potenza però ancor fugace. Rinascenza, ricoglimi splendente ove d’anima poco suadente perii disamorato in languore ardente. Abbagliami di nuovo, vita, e suda con me in passioni che brucino di verità e soffice manto prelibato d’un tempo adesso sorpassato, nei suoi strazi scuoiato e così spossato. Qui or righermito in abbacinante, gaudente abbraccio.

Non so se mi crederete, ma questa è la mia storia, una delle tante che colorano il mondo anche quando vieni posseduto dal più spettrale grigiore, e moristi illanguidito nella nera vacuità dello stesso tempo tuo rimuginato, combattuto, dalla tua anima osteggiato, vilipeso perché t’arenasti ai più vili spregi, e sfregiato viaggiasti avvolto da fantasie vivide ma sempre inumidite nel loro bagliore dalla pioggia del tuo umore ruvido.

Ricordo che ero giovane, quasi bambino, appena adolescente, o soltanto sfiorato da quei dubbi acerbissimi di quando la vita appena nasce in nuovi passi evolutivi. Che ne so… avrò avuto quattordici anni.

E di colpo, come tramortito da troppa bellezza, troppo preso dalla mia anima freneticamente vogliosa di vita, paradossalmente la vita stessa respinsi, e abbandonai tutto, cullando le mie noie e le mie gioie in entropico far sì che veleggiassero nel mare dei sogni, dell’immaginazione più linda e anche notturna. Nel tepore segreto del mio giardino mentale, della mia anima rapace.

Forse, fui un figlio della notte, un’anima inquieta che scivolò dove la Luna sposava il buio, immergendomi nella sua carezza seducente, come mano di donna leggera ad accudire il mio lungo sonno o sogni pulsanti di furore. Di vita apparentemente rinnegata eppur così in me allucinatamente, splendidamente sprofondata… in un finto, faceto o profetico letargo illuminante.

Come se quel chiudermi, o forse rifuggire una realtà che m’appariva opaca, attutisse un mal di vivere perenne, nell’estasiante contemplazione gioivo, sbiadendo vellutato in un boato luminescente di fiorite, perlacee emozioni.

E riverberarmi nella candidezza più melodica del cuore, lontano dal frastuono, dal cicaleccio ciarliero, dal sesso e dalla carnalità animalesca, m’illuminava sereno e quieto. Lontano e distante, eppur vivo e presente.

Una purezza, così la definiscono, incendiante, uno stato quasi amniotico di sofisticatezza, un pianto strozzato, un grido lucido inghiottito dalle notti, bramose del mio cuore, ardimentose nello sciogliersi apparentemente immote in tanto sobrio lindore.

Come una spaccatura, in questa fratturante trappola ch’è la vita che, nel suo farsi, dirompente ti spacca in tanti pezzi, che afferrai in un piacevole, sì, delirar vorace delle mie taciute ansie, soggiacendo di gaudio e di letizia scalpitante in quella tempesta emotiva ch’era l’inizio dell’adolescenza fugace. Remoto, in una zona crepuscolare, in cui il tempo s’era fermato, addolcito nelle mie tempie e, inabissandomi con tutta la forza delle mie straziate viscere, sprofondandovi come ibernato, specchiato nel buio vivace, in una dimensione raggelante eppur così bruciante, vissi dischiuso nella tenebra ermetica della cauta pacatezza, degli anni murati vivi dall’eternità senza spazio del mio girovagarvi felice, poi triste, rotto, abbagliato da sogni lucenti, da avventure lontane dalla carnascialesca realtà così ricattatoria, mendace e borghese. Figlio delle mie stelle, di astrusa scelta, incomprensibile agli occhi altrui, così sciacalli e malati dell’ingordigia del voler saper chi sei, avvoltolato nell’astro nascente dell’inquietudine mansueta, perché v’è spasmodica tenerezza friabile, fragilissima, nel recludersi in qualcosa d’incantato e mistico.

E così tutto iniziò e pian piano nel mio mondo mi rifugiai…

Insomma, di me si può dire tutto, mi si può apertamente disprezzarmi e deridermi ma è oggettivamente insindacabile che ci troviamo dirimpetto a un uomo che non è tanto normale.

 

di Stefano Falotico

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In attesa della seconda stagione di The Punisher, scene ad alto tasso emozionale, capolavoro, e io rileggo il Moby Dick e tutto Dostoevskij


21 Oct

Dostoevskij


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Moby Dick incipit

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    Sì, dieci giorni fa son venuti gli imbianchini a casa mia, mettendo a soqquadro tutto. Al che, la testa di cazzo, il mastro capo, a metà Ottobre, in una giornata abbastanza rigida, così, perché gli tirava il culo, ha spalancato tutte le finestre e acceso il ventilatore. – Scusi, che cazzo sta facendo? Si muore di freddo – l’apostrofai con far irritato. – Ebbe’, sto sudando come un porco. È una faticaccia imbiancare tutte queste pareti. Devo prendere aria. – Sì, ma a me piglierà un malanno. – Non si preoccupi. Non è così freddo. – Potrebbe almeno spegnere, per cortesia, il ventilatore? – No, ho caldo. – Non basta averle aperto tutte le finestre di casa? – No. – Senta, solo mezz’ora però. Questi spifferi maledetti mi stanno uccidendo. – Va bene.  

Ecco, una mezz’ora fatale. Tant’è vero che, da quel giorno, mi son beccato un accidente. E mi è presa una laringite tremenda. Mi è venuta la voce di Linda Blair de L’esorcista da orco deficiente. A metà strada fra il Christian Bale di Batman quando parla in “falsetto” e il grande Jon Bernthal di The Punisher quando s’incazza. E grugnisce, ringhia. E così, in questo fine Ottobre malinconico, ancora una volta prendo in mano il capolavoro letterario di Herman Melville, il magnifico Moby Dick. E lo leggo in questa maniera. Sì, poi vado su IBS.it e scopro che, nella bellissima edizione della Newton Compton, alcuni dei più grandi capolavori di Dostoevskij vengono a solo 2 Euro e 80! No, non è un eBook, ma un libro-tomo stupendo. Lo accatto. Bentornato, Frank!


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Masterpiece

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Bentornato Frank

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A Christmas Carol, miei (i)cari, Dickens in Falotico di Can(to) di Natale contro ogni male, io ammal(i)o, non più fatemi ammalare


04 Dec

Il canto di Natale

A Christmas Carol

In questo video, recito interamente il famoso “A Christmas Carol”, libro benaugurante per ogni Natale gioviale, frizzante, frenetico, di vita ribaldo e gioiosamente esuberante, rinascimentale in mio uomo monumentale, risorto dagl’incancreniti ardori affievoliti, cagionati da gente malevola, che mi punse affinché mi deteriorassi ma, di malasorte, come dico io, iddio, mal gliene sortì. Lo spregevole malocchio di tal aff(r)ettati scellerati e bifolchi si ritorse lor contro d’anime da me morse, insomma, non m’avvelenarono e, invecchiati bruttissimamente, per colpa delle lor terribili malefatte da viventi morti, generanti sol a lor, oh sì, poco si(gno)r(i), un fegato amaro insostenibile, adesso non posson altro che (non) plaudirmi e, dalla (ver)gogna, pensar a gesti (mal)sani per la lor (di)strutta “san(t)ità”, da me gustosamente lesa di maestà incarnata in Principe altissimo, non fregato ma sfregante i lor sfregi in me ne “freg(i)o” di tutto stile (no)bile.

Suadente in lor su(p)ini, che gioia immensa di libido a botte in “testicoli” delle lor di cazzo teste da me qui ribaltate di gran testo attestatissimo, da Re Salomone anche non necessitante di (l)auree, dette pure attestato, per p(r)enderli a testate…

Ecco il mio Testamento.

Colpi in lor testoni, insomma, di mia testé testolona. Dura contro i “duri”. Rude contro i bar(bar)i.

Un tosto…, mie testine. A tastoni, camminando a carponi, son a lor stato un doloroso mascarpone contro le lor creme da for(n)i crematori ché vollero (s)cremarmi in ragazzo “dolce”. Sì, io son sempre più tiramisù e a lor DO sol pollici giù, da me succhia(n)ti LA. E mi lecco, dopo le lor beffe di tristi “bluff”, i miei baffi, ancor più sbeffeggiandoli e, se di nuovo mi tratteranno da sodo “uovo”, dicendomi che non valgo un bucato soldo, i lor noiosi vuoti da uffa io stantufferò, offrendo loro un “plof”, mie “cari” prof…

Tanti soli!

Sì, sono un Puffo, un “pazzo”, uno Scrooge, e dunque a lor si(gnori)a scoreggio perché la mia voce è d’alta maestria fonetica contro i lor schiamazzanti, volgari rumori di fondo. (S)fondati, non vi resta che i fondi del barile raschiare, v’ho affondato. Pensavate di affogarmi e invece io, di “affogato”, vi bagno nel latte vostro alle ginocchia da borghesi annacquati. Il mio bicchiere è sempre genialmente pieno, mi fate pena, state quasi in apnea. Ma io, uomo buono, non mi brucio e, dalle maree delle vostre amare la(cri)me, (de)cantando qui di tutto petto tal Canto di mio Conte, espettorando i vostri pet(t)i crud(el)i da cinici ispettori spappolati, vi servo la lezione, miei “leziosi” da lezioncine e da maestrini.

Sentite che modulazioni di frequenze, come (s)monta il diaframma, son infiammato, acceso, malinconico in queste immagini che “scottano”, scorrenti fra un Ronin malinconico e il torrenziale calore di Heat, appunto, cotti a punt(in)o mio vincente.

Tanti popò di Diabolicus Totò, miei “uccellacci”, il mio “uccellino” vola e volteggia da Carmelo Bene di “pene” alla Pasolini, di gran (di)verso svoltante è al(i)to contro le vostre infernali fiamme infamanti. Io ho fame del mio cuore, della mia anima s’incendia l’estasi alata nei vostri ficcati lati aleatori.

Come B… rucia la mia serie A. A come altro(ve), come Jim Carrey… nei vostri polli al curry.

Io, Icaro, non ardo, volando quassù, bensì voi schiattate di rabbia come Belzebù, non avendomi arso, siete “aridi” (non) vivi e vi deste sol delle a(r)ie tanto fini quanto finte. Io son raffinato!

Io son il paradisiaco.

Ascoltate il Ver(b)o e pen(s)ateci due volte prima d’ancor altro azzardare.

Non azzannate, io non faccio le cose campate per aria, io non tiro soltanto a campare, bevete pure i vostri Campari ché io bado al Badi come parlisa(pete)?

Ed è gran sapere. Salire, non esalare, non addosso sal(t)atemi.

Siete sol degli esaltati.

Mentre io esulto.

E, giammai dalla vera vita esule, vi(ri)li, io (non) rivivrò. Che Sole, miei uomini “soli” sempre a caccia di sol(i)di.

Sbiancate!

 

 

 

 

di Stefano Falotico

 

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