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Il Mereghetti 2021, dizionario dei film, è un buon acquisto da farsi a Natale? Paolo stronca l’ultimo Tarantino, non ha tutti i torti anche se credo che, in cuor suo, vada matto per Margot Robbie


28 Nov

the irishman mereghettivin diesel prova a incastrarmi

E, onestamente, se non possedete il mio carisma, è meglio che rimaniate a vita spettatori della vita e del Cinema, in quanto siete critici solo degli altri ma non avrete mai quel falò delle vanità che mi rende il Roman Polanski italiano.

Sì, sono un realista pessimista, giammai disfattista eppur obiettivo e crudelmente sincero.

Il 90% delle persone crede davvero alla validità delle quarantene del Covid-19.

Di mio, credo che Margot Robbie sia una donna che, anziché fare l’attrice, dovrebbe vendere il pesce al mercato.

Sì, assomiglia a una di Non è la Rai. Ve lo ricordate?

Io ricordo tutto. Nel mio ambiente, mi chiamano Jena…

Sì, non frequento più ruffiani ambienti altolocati e alto-borghesi dei miei stivali. Non sono salottiero e, alla Mostra della Laguna, programma cinematografico trasmesso direttamente dal Festival di Venezia di tantissimi anni fa e condotto da Serena Dandini, programma peraltro mal ricordato da Paolo che lo definisce Il mostro della laguna, preferirò sempre La forma dell’acqua.

Di mio, posso dirvi che la mia lei non è Sally Hawkins del film appena citatovi di Guillermo del Toro, cioè non è la Pallavidino.

Molte ferite del mio animo ella rimarginò, conduco ancora una vita affogata nella marginalità ma non mi lamento se Benicio Del Toro si arrabbia perché lui ha le occhiaie e io no.

Nella mia vita non sono mai stato felice, giammai lo sarò.

So però che non canterò con Laura Pausini, consolandomi nel falso buonismo clericale d’un mondo oscurato dal Covid? No, dalla retorica e dalle bugie messe in giro dalle persone più fake di Nick Nolte di Cape Fear.

Ora, scusate, s’è fatto tardi. Andrò a prepararmi una buona cioccolata calda e, con le gambe accavallate, guarderò su Netflix il “capolavoro” Qualcuno salvi il Natale 2.

Interpretato dall’attore de La cosa oggi ridottosi peggio degli zampognari vestiti da Santa Claus che, in via Indipendenza a Bologna, sperando di pagarsi le bollette, regalano alle brave personcine delle dolciastre schifezze a base di ruffianerie e pose meschine. Che manichini.

Preferirò sempre la mia vita amara alle persone che si spacciano per buone ma non conoscono nemmeno un fotogramma dei film di Carpenter.

Ricordate, a Bologna in questo periodo, come puntualmente accade in autunno, c’è la nebbia.

Sto infatti girando The Fog 2. La storia di un uomo, cioè il sottoscritto, scomparso nel buio.

Io stesso non vedo chi sono e dove mi trovo/i.

Meglio così. Tanto, come detto, molta gente non sa neanche dove stia di casa… il loro cervello.

Su questa mia battuta cinica, vi auguro Buon Natale. Spero di avere allietato le vostre tristi giornate con un candito, no, con una ben condita e non tanto candida faloticata. Salutatemi a sorrata e a mammata. A parte gli scherzi. Dai, suvvia. C’era una volta a… Hollywood è una mezza boiata.  Ha ragione Mereghetti ad assegnare a The Irishman la bellezza di 4 stellette. Non abbiamo bisogno della Pallavidino e di “critici” come Francesco Alò che The Irishman stroncò.

Se volete conoscere la verità, non me la passo benissimo. Ma almeno non lecco il culo a nessuno. Tranne alla mia lei.

Evviva il Falotico.

Il Mereghetti 2021 è da acquistare? Paolo stronca Tarantino e impietosamente assegna il vuoto pallino a THE LIGHTHOUSE ma esalta giustamente THE IRISHMAN

Paolino, mica un qualsiasi pinco pallino.

Ebbene sì, è uscita la nuova edizione del Mereghetti Dizionario dei Film.

Il celeberrimo, temibile MEREGHETTI. Spauracchio di ogni regista in erba che, dalla prosopopea spesso trombonesca di Paolo, viene stroncato severamente e soventemente reciso sul nascere. Sfiorito ancor prima che possa floridamente sviluppare la sua rosea poetica cinematografica. Poiché Paolo non vuole sentire ragioni e, in modo arbitrario, sentenzia con fare autoritario. Puntando il dito contro i giovani esaltati che a lui stanno, a pelle, antipatici.

Un uomo coraggioso, il Paolo. Un uomo con le palle! Che, nella scorsa edizione, rivalutò molti film del genio di Brian De Palma ma in questo suo ultimo aggiornamento irriverentemente abbassa il voto, da lui precedentemente e generosamente assegnato, a Omicidio a luci rosse.

Definendo inoltre Sidney Lumet, autore di Serpico e di Quel pomeriggio di un giorno da cani (mica pizza e fichi), come un normale, bravo artigiano. Poi, nobilitandolo tanto per fare il bastian contrario di sé stesso. Si decida, Paolo, altrimenti sarà citato in tribunale dal mitico Vin Diesel di Prova a incastrarmi.

Sì, un Vin nell’unico film decente della sua carriera. Un Vin simil Di Pietro! Il risolutore della tangentopoli di Mereghetti? No, delle contraddizioni di Paolo che frequentemente parte, come si suol dire, per la tangente.

Mereghetti, senza fare altresì una piega, continua a inveire contro Tarantino e, con estrema cattiveria inusitata, decide a suo modo insindacabile che The Lighthouse non è/sia un grande film, bensì una ciofeca spacciata per sofisticata, ermetica arte.

Insiste peraltro, in modo indefesso, a dichiarare orgogliosamente che Lars von Trier sia un venditore di aria fritta.

Che la Forza sia con te, Paolo.

Cosicché se, nella sua ultima edizione, campeggia Darth Vader, nel frattempo muore il suo interprete epocale, ovvero David Prowse.

Secondo Paolo, il film più bello del mondo non è affatto Quarto potere, bensì La morte corre sul fiume.
Come dargli torto, bravo!

The Irishman è un capolavoro?

Ovviamente, sì.

Mereghetti la pensa come me. Dunque, non vogliamo più vedere Francesco Alò e non vogliamo più nessuno che critichi il più grande attore di tutti i tempi.

Chi sarebbe? Robert De Niro. Certo. Ma anche questo non scherza.

Cioè il sottoscritto.

 

di Stefano Falotico

 

Philip Seymour Hoffman, giustamente addicted


03 Feb

Su Facebook, si “scherza” sulla morte dello stratosferico Philip Seymour Hoffman, “accusato” da tali sciocchi di essere un “addicted coglione” e io divento Frank Slade nel suo profumo didonna” da Flawless

Sì, in tal social network, ove impera il qualunquismo delle sciacquette all’acqua di rose, “puntigliose” copia-incolla di frasi banali imparate a menadito, e a “menarsela” da galline strapazzate, una tale Silvia, ex mia conoscenza assai “sveltina”, legge il miopost sul mulhollandlynch.com in merito al nostro compianto, grande Hoffman e m’irride, perché ho scritto d’aver pianto dopo aver imparato della sua dipartita. Ella mi sbeffeggia in quanto mi reputa un patetico “nano” buono solo a commuoversi dinanzi a tragedie “irreali” e addita Hoffman che, detto fra parentesi (ecco la parentesi), neanche conosce o solo ha intravisto fra un piatto di pastasciutta e del “sano”, “inebriante” Lambrusco.
M’incita alla crescita, quella che presume lei, leggasi adattamento per finire bagascia con un rude “maniscalco” della sua fighella marcia da mantenere fra stoviglie (ri)bollenti, soufflé di patate che rifila, a mo’ di cucito e “centrino”, al compagno imboccante di cornetti…, piatti “a dirotto” su litigi (in)conciliabili di lacrime amare della ricongiunzione a tirar a campare, e un figlioccio già “educato” alle maniere “grintose” da coppia scoppiata e non tanto più gioiosamente scopante. Insomma, questa un tempo scoppiettava, adesso dà solo di botte… piena e fegato ubriaco, nel senso flatulente del termine… delle tristi notti.
Al che, con encomiabile classe irriguardosa, senza battere ciglio, figurarsi se mandarle un messaggio per adescarla al fine di “sbatterla”, anche se vorrei piantarle un paletto perfido a suo “cuoricino” da smielata e precoce rimbambita nelle piastrelle, poco sanguigne ed erotiche, del suo cucinotto “alla puttanesca”, le spedisco una (e)pistola di “Vai a cagare” garbato. Sapete? Quando devi spurgar una merda di tal livello, e “lavello” e, come dopo una pazzesca cagata svuotante, sentirti in pace coi tuoi borbottii.
Innanzitutto, sull’opzione “Aggiungi file”, prima di bloccarla al fulmicotone del “fulminarla” sotto shock, ah, cara allocca da brioche, le inoltro la locandina di Flawless, poi, con doverosa sempre calma olimpica, le allego la mia recensione, con tal giusto sfogo in opposizione “realista” alla sua figa sfattissima…

Philip Seymour Hoffman, morto di droga, sempre meglio che morire da “persone normali” nel mondo dei tonti, lui era un genio e va adorato, cari moralisti
Philip Seymour Hoffman, essere di connaturata sua Creatura alta in grazia del Dio savio dei giusti. Di coloro che non si alzano alle sette del mattino per andare a “lavorare”. Infatti, essendo attore rinomato e mente acuta, logorandosi nella melma ispida della giungla Hollywood, era costretto a svegliarsi molto prima, in balia dei copioni, dei ruoli imparati a prodigiosa memoria d’ascrivere in suoi arditi e andersoniani monologhi da Master. Non certo un fallito che guarda invidiosamente la vita dei divi, tanto per sollazzarsi al cinemino il fine settimana, coi film intellettuali che finge di capire al fine di volersi attenere a standard “evoluti” della dotte elite di questo cazzo. I dottori buoni al ricettario degli ingredienti curativi da mense dei piagnucolosi. Tutta questa congrega di ebeti sempre disposti alle “buone maniere” e al circolo vizioso, chiesastico delle moine da quattro calzette con al(i)bi a portata di mano e il microscopico formatdi quattro neuroni, son generoso, d’allietare dietro altri autoinganni.

Recensione spedita a tal cesso

Flawless

Nessuno è esente da difetti…

Parto subito col dire che questo è il miglior film in assoluto di Joel Schumacher, targato strano anno 1999, firmato MGM.
Joel Schuumacher, del quale disprezzo, però, con enorme prosopopea buona parte del suo “Cinema”. Un regista diventato famoso a Hollywood, negli anni ’80, per una serie pazzesca di pellicole ampiamente sopravvalutate. Ma non c’è da stupirsi, in piena epoca confusionaria, film dall’estetica furba, modaiola, giovanilistica e platinata, come l’impresentabile pastiche Linea mortale, trovavano il pubblico stupido che se n’imboccava con allucinante facilità, bevendosi ogni stramberia “variopinta” del nostro bel Schumacher tanto scaltro ad arricchirsi grazie a marchingegni ludici della celluloide più edonisticamente “merchandising”. Opere di rara bruttezza, girate però con quel “piglio” ritmato che allettava gli spettatori abbindolabili, ribadiamolo, a “virtuose” frenesie del montaggio, dei dialoghi “serrati” e di due/tre idee narrative all’apparenza “geniali”.
Flawless, visto in quest’ottica, rappresenta una sorpresa inaspettata, è una stupefacente opera, fra l’altro presa assai sotto gamba, insospettabilmente intimista che, nella semplicità di una storia (a)normale, umanissima, raccontata con una raffinatezza e quel delicato pudore che da Schumacher mai e poi mai ci saremmo aspettati, può essere tranquillamente ascritta ai film “misconosciuti” (in pochi infatti se ne ricordano e pochissimi, per di più, ne hanno saputo apprezzare il valore), che son passati sotto silenzio.
Eppure, nella locandina appare a lettere “cubitali” il nome di Robert De Niro, quel prodigio d’attore di cui, a gran torto, mai viene citata quest’interpretazione istrionica, difficile non tanto per la “tuta mimetica” della facciale mimica, qui (non) limitata dalla malattia del suo personaggio, bensì perché è una performance, addirittura vista come un campionario insopportabili di smorfie e tic espressivi indigesti, di invero fenomenale camaleontismo. Che plateale, madornale superficialità averla giudicata male quando il film uscì.
Ma procediamo con calma.
Schumacher, dopo i fasti al botteghino dei seguiti di Batman, torna dietro la macchina da presa per questo film assolutamente anomalo nella sua filmografia, ripetiamolo, pacchiana, effettistica e ammiccante al guadagno da blockbuster.
Questa è invece la storia di una strana, (im)possibile amicizia, quella fra il coriaceo, burbero poliziotto Walt Koontz (De Niro) e la drag queen Rusty (un bravissimo Philip Seymour Hoffman). Walt è uno stronzo, omofobo, razzista, macho imperturbabile, playboy impenitente, maschilista e soprattutto dichiarato nemico dei travestiti, come il suo dirimpettaio, appunto, Rusty, il vicino di casa, l’uomo “ambiguo”, disturbante per la sessualità da “pervertito”, questo pensa Walt, che abita nell’appartamento antistante. Walt lo odia a morte, non sale mai in ascensore con lui, lo evita in ogni modo e, quasi ogni giorno, litiga, affacciandosi irritato alla finestra, perché Rusty, coi suoi “amichetti”, fa sempre casino e lo “deconcentra”.
All’improvviso, la storia si complica e si fa torbida. Alcuni coinquilini dello stabile in cui vive, di notte, vengono derubati. Walt si sveglia, allarmato da quel che riesce a udire, afferra la sua pistola d’ordinanza, scende in fretta e furia le scale per tentar di venir loro in soccorso ma viene colpito, “a sangue freddo”, da un ictus.
Walt, in seguito all’incidente occorsogli, rimane semiparalizzato, e a stento riesce a parlare.
Come cura riabilitativa per poter almeno riacquisire parziali funzioni normali, guarda un po’, gli viene suggerito di prendere lezioni di canto dal nostro Rusty. Dopo forti titubanze e notevole ritrosia… Walt pare infatti che preferisca vivere nel mutismo e nell’handicap piuttosto che “abbassarsi” nella dignità per ristabilire, in modo perlomeno accettabile, la sua “disgrazia”, ecco, Walt accetta, anche se non di buon grado.
Naturalmente, non saranno tutte rose e fiori, come si suol dire.

E a ciò s’aggiunge il fatto che il ladro, che ha rapinato i condomini, continua ad aggirarsi in maniera minacciosa per il palazzo, poiché “qualcuno” (indovinate chi?) è stato il testimone sgradito della sua malefatta. E vanno eliminati i testimoni scomodi. Ahia…
Walt e Rusty si coalizzeranno giocoforza, sventando la minaccia e diventando, nel frattempo, amici sempre più fidati e rispettosi l’uno dell’altro.
Perché Walt, dall’esperienza dolorosa e negativa del suo trauma, ha imparato un insegnamento importantissimo: è stato costretto a guardare in faccia la realtà e a non scremarla più con la sua boria da “stallone” fiero della sua indubbia mascolinità, invero così patetica e volgare. Era “malato” prima, non ora. Adesso, diciamo, che la malattia fisica gli ha permesso di osservare la vita da una prospettiva che mai avrebbe immaginato. Ed è una visione assai più “aperta” e rasserenata di quando era un bastardo poliziottone tutto divisa e donne da sventolare come “trofei”.
Dicevamo, appunto, un grande Robert De Niro.
Ma, a esser sinceri, qui la parte del leone la fa proprio la nostra “debole” checca… un Philip Seymour Hoffman strepitoso, incredibile, che recita con eleganza d’applausi a scena aperta. Tanto più bravo perché Rusty ispira, sì, simpatia, ma era difficilissimo renderlo in modo così umano, calzante, senza mai incappare nel “luogo comune” d’una recitazione isterica o sopra le righe, come poteva essere dato il suo personaggio folcloristico. Hoffman mantiene invece inappuntabilmente un bon ton in sordina da lasciarci stupendamente allibiti per tanta sobria, sofisticata bravura.
Un’interpretazione di sottilissima alta scuola del Metodo.

Morale della cretina e di gente come lei che ironizza sulla morte dei grandi, senza sapere un cazzo, in ogni sen(s)o: rispetta e non far la gra(da)ssa, povera decerebrata.
Sul canale del digitale terrestre, danno la tua soap preferita: Op op, che vita da cavallina che ho, un tempo almeno amavo, non solo la zoccola, ma gli zoccoli e non me la tiravo… da frustrata che inneggia all’“Evviva chi resiste con le palle!”.
Poi, cambia sintonia, e vede la replica dell’omaggio di Philip Seymour Hoffman al Kennedy Center, consegnato a Robert De Niro.
Comprendendo la differenza fra la vita di chi si sacrifica davvero per l’arte e chi vive di “albe chiare” da Vasco Rossi, si taglia le vene in vaschetta. Sì, quella del suo freezer ormonale.

Firmato il genio Falotico

  1. Flawless (1999)
  2. Magnolia (1999)
  3. Onora il padre e la madre (2007)
  4. Ubriaco d’amore (2002)
  5. Scent of a Woman – Profumo di donna (1992)

Conversione scorsesiana di mio De Niro mohicano


27 Dec

D’Oscar paciniano amato per quanto l’esistenzialismo vien ripudiato dai “moderni”
Ho sempre adorato il Cinema classico, dunque i classici. Non è luogo comune definirli tali, sebben s’abusi di tale termine e tutti se ne riempiano la bocca, come un bambino che si strafoga di ciambelle e “marina(ro)” è “squola” d’un “q” placidamente conficcato nel suo disgustoso “palato”.

Rammemoro, fratelli involgariti dalle nuove (bio)etiche di massa (biblioteche schifose, mie p-esche) di quando ero Luce quantica e di come, sebbene sia evoluto in tanti camaleontismi alla De Niro di mille volti, non svolterò per un “involtino” che sbaciucchi una “tenera” dolcezza. Melancholia è un mio diritto dinastico, parola che, uditene il respiro sonnecchiante, morbida si posa sui miei occhi mentre navigo nel “maestrale” dei maestri che tesserono la fibra “sintetica” dell’Uomo sonnambulo tra questi frivoli col “passamontagna” delle emozioni raffreddate. Poiché io sento, e il mio sentir si coniuga al diverso cogliere anche il lieve lievitar in cui, sottile ed “equivoca”, la rugiada delle aurore mi solletica nel risveglio di buon’ora. D’allietar di caffè che stuzzican il linguino, zuccherati su sobrio balcone di me, il Papa, in tonaca “ambigua” e soprattutto intonato al cantico creaturale degli usignoli, versando la cenere sul capo dei “caporali” che, ogni mattina, dopo adeguato “scodinzolio”, son gatteschi da padroni dei cani d’urine non esaminate della loro malattia venerea più funerea, il “feretro” all’amore prostituito in vane lotte per “poteri” d’accasar al poder terriero da “piantagrane” delle bombe omicide atomiche ma “idrofile” nel coton’ “inciuffato” su movenze guardinghe da detentori che si professan “dottori”.
Dottori di che? Qui, l’unico erudito son io e, della loro rude durezza, me ne beo, modulando un “belato” che “agnellizza” la mia identità di beffardo leone dal ruggito covato per “benedirli” con mio pelo arruffato e spesso “buffo” fra chi, davvero, è Puffo.
Plof, di tante ambizioni s’incravattano, quanto di fogne son già afflosciati nella melma delle crudeli animalità. Fra quelle merdose “onde”, io sondo quando non ho sonno, lor declaman che sanno ma io vi dico che chi seppe non è da presepio ma Uomo col bastone come il padre del Cristo, cioè Giuseppe.
Uno che fu più vergine di Madonna, la Ciccone. Anche se, da alcune versioni della Bibbia, ho appreso che pare fosse corteggiato dall’asinello, nel “dietro le quinte” della più “grande storia mai raccontata”. Oggi, tali scandali van di moda. Se Giuseppe fu il padre putativo di Gesù, in Parlamento van a puttane e basta. Con tanto di “vestito bianco” della Carfagna, una che, ogni Notte, ha un bue “indiscreto” sotto le coperte e poi, alla Luce del Giorno…, copre gli altarini sopra uno sgabello. Eh sì, una finta cammella a cui io, Re Mago di nome Gaspare, regalerò solo codesto “oro” senz’oratoria: “Ove c’è una casa d’incenso, ci son molti scheletri nell’armadio da incendiare, perché l’unica mirra è l’onesto che non ha mire dietro martiri altrui, cagionati da troppe ville al mare”.

Poi, torno dentro, e penso al grande Robert De Niro, pupillo di Scorsese e soprattutto sue pupille di Sguardo dostoevskijano.
Chi critica Paul Schrader, vada a mietere appunto le granate, è un guerrafondaio. Non come Gaspare, ma come il “Diavolo” Gasparri. Egli le spara ma poi manderebbe La Russa Ignazio in Russia? No, la loro è una guerra capitalistica “fredda”. Altro che “comunicazioni”. Van intercettati, e li scomunicherò!

Quindi, meglio il Bob ch’è l’immortale Travis Bickle. Uno in mezzo ai cannibali. Che sciacalli! Scorrazza tutti e lo ficca… ai papponi. I “grandi uomini” gli scoreggiano in faccia, definendolo un “fallito”. Lui, falotichescamente, tira fuori la “pistola” di forma fallica e, in sfianca quest’Italia che pen(s)a solo a fotterla nei fianchi. Travis se ne sbatte.
Battone, ecco il “bestione”.

Chi non ama Scorsese, merita una scamorza. Io direi di più: va “smorzato”.

Subito, del “Beccati questo!”.

Firmato il Genius

(Stefano Falotico)

  1.  Il petroliere (2007)
  2.  Taxi Driver (1976)
  3. The Walker (2007)
  4.  Serpico (1973)

Al bacin’ Pacino


10 Dec

Mezzanotte e va la “rondinella” del piacerin’ di Al Pacino, perso fra pomeriggi da cani e un padrino pentito, una via da Carlito e l’odio verso i carlini di Marina Ripa di Meana, perché non amò Moana ma è amabile avvocato del diavolo

Col Tempo, il Tempo rimembra e torna dunque alla mente, ho imparato a eccedere d’ammirazione sviscerata per Alfredo. Molti anni fa, quando eran non solo sospetti ma vari ispettori che m’annusaron come Basettoni di “sospetto”, lo apprezzavo non tanto, forse troppo, ed ero però convinto che valesse sempre il prezzo del biglietto. Mi ha persuaso soavemente. Talvolta, incespicò pure Lui, colpa dei primi battiti senili che “sclerotizzano” un po’ le scelte artistiche, tant’è vero che il suo agguerrito rivale, De Niro Robert, lapidariamente dichiarò “Talent is in the choices”. Infatti, sperperò tale massima in film minori, alimentari, da scuole elementari. Quando si dice “Mantenere la promessa delle parole”, vero Bob?

Pacino “cadde” meno, fu più accorto, come si suol dire. Da sempre, legge con estrema cautela le sceneggiature che giungon alla sua “umile” dimora, e le scruta con fiuto da tartufo, preferendo personaggi titanici innestati su lunghi, esasperanti, “insostenibili” monologhi a cui la voce di Giancarlo Giannini fornisce ulteriore “sforzo” e forza, forgiando il birignao non brioso ma roco di Alfredo entro traiettorie della più antica e rinomata Italia risorgimentale. Giannini, anch’Egli non ebbe troppa fortuna qui da noi, azzeccò qualche capolavoro ma, spesso, è (s)comparso in pellicole dimenticabili. Vuoi il fisico non troppo pronunciato nonostante la di(re)zione, vuoi la sua elevazione in un “Paese” che predilige i salumi e oggi Salemme-lemme e sempre poco legge. Al, troppo “flemmatico” ed elegante per piacer al gusto medio da “dita medie”. Sì, nello Stivale tutti alzano e s’innalzano a maestrini, basta un diplomino e si spacciano per poeti. Basta una Laurea e voglion le ville auree.
Ah, invece c’è da faticare se volete ben “ficcarvi”. Dovete faloticare senza farneticare.

Alfredo nacque in una famiglia non floridissima e neppure in Florida, che poteva distrarlo di seni al vento e cosce pornografiche. Figlio di un operaio e d’una casalinga, da infante fu scambiato per pazzo, solo perché recitava come Marlon Brando davanti allo specchio. La diagnosi fu erronea perché divenne davvero suo erede nel Coppola. Michael Corleone e da lì l’ascesa fra le stelle. Immemorabile capostipite della recitazione che oscilla fra un “infuocato denso d’iridi nere” a un “pacato urlare” su sordina di gran classe e tecnica affinata con dedizione e abnegazioni lodabilissime.

Egli fu l’arcano profeta e pupillo dell’ultimo valido Sidney Lumet e depalmiano in un duetto imprescindibile.
Vigoroso, fu meno “camaleontico” del Bob e poco isrionico alla Nicholson?
Questo lo dice il luogo comune, che spara solo zizzanie e riempie i giornali di recensioni “istintive”.
Egli brucia di Cuore che molti attorucoli di oggi si sognano. Solo perché italoamericano gli preclusero il Teatro per una decade, ed è invece l’interprete “statunitense” più colto del Bardo.
Di barba alla Shylock e di Riccardo. “Gobbo” o scarno, nervico e caldo appassionante contro i cuori di neve e pastafrolla. Egli frulla di sue intemperie mentali, “drogato” di Cinema, spaesato nella vita “reale”, ove non s’è mai sposato per non avere ulteriore “recite” di matrimoni che, come ogni Uomo sa, son la cagione, la sventura e la disgrazia d’ogni vero amore. L’amore deve baciare e scopare senza anelli e giuramenti. Il sangue c’è già, inutile “appiattirlo” in un patto che potrebbe tramutare, sovente, in lanciati piatti da liti coniugali. Molte donne entrarono nel letto di Alfredo, dalla Keaton alla mia vicina di casa che, negli ’80, sbarcò in America da sua fanatica e “rimediò” una serata “sicula” come ogni Pacino vuole, volente o nolente, e non perdona.

Egli, Alfredo, sempre Lui… fu anche Diavolo di livello, che sbudellò tutti i relativismi su Dio, spogliando Connie Nielsen e “persuadendo” Keanu Reeves a “infiammarla”.
Intanto, il Diavolo s’era già c(i)ucc(i)ato sua moglie, sempre di tradimento “invisibile” ma da tentazione “linguina”. Charlize Theron, che sa esser “terragna” da sud(ata)africana. Alfredo vide già, fra la bionda, il rovente fuoco attizzabile del rosso peperoncino.

Alfredo è un genio, forse non come me, il più altisonante e ineguagliabile, inimitabile e unico(rno), ma decisamente carismatico anche di “manicomi”, essendo “ottomano” per dirla alla Totò, erede dinastico delle ginnastiche nella natica di “palmo”.

Non mi credete?

L’altro Giorno, una ragazza meravigliosa m’ha “sbattuto” in lista nera.
Oggi pomeriggio, m’ha ricontattato “misteriosamente”.

Sapete perché? No, solo Lei l’ha “visto”.

Il resto è il mio Life Achievement Award.

Applauso!

Sì, il mio mutamento licantropico avvenne “or sono”, ne avevo le palle di questi palloni gonfiati. Sempre a celebrar la “cultura” e poi a “incularsele” da lupetti. Il lupo, se tale è, deve necessariamente evolvere in pelo più ispido senza filo spinato. Quindi, pacinianamente-analmente, fottendosene alla grande.
Sì, basta con le ipocrisie. Avete educato dei gaglioffi celati dietro pezzi di carta, “igienizzateli”.
Con me, salute mentale totale, non transigo.
Ah, tua madre sai bene chi è. I tuoi traumi risalgono all’infanzia quando l’adocchiasti sussurrare un miagolio nel cagnaccio di tuo padre, che aizzava dopo tanto russare di comunismo.
Sì, edonista fu muscolo nel di “lei” più vecchio mestiere del Mondo. Una puttana coi “fiocchi”, mica quelle che almeno han dignità di mostrartela nuda e liscia senza badar a spese. Tua madre voleva solo uno che “la” mantenesse, contenta e (in)soddisfatta, infatti è sempre “liquida” quando si sintonizza nel catodico.
E tu, altra fiacca che vorresti darmi delle sberle. Dopo un’adolescenza trascorsa a spassarti la passerottina, “educasti” tua figlia ad “appisolarsi” nei piselloni dei neretti per garantir loro l’asilo extracomunitario della aiuola fuori dal loro “orlo”. E poi la tua genitrice pretese che ti “sbattessi dura” nel primo lavoretto da schiava negra, per tener “alto” il nome d’una famiglia che sa quanto il sacrificio si merita gli orifizi. Mah, si sposerà con un orefice, felici tutti. Col collarino.

Ah, in questa scuola blandite e rendete i ribelli dei “banditi”.
Allora, bando a questo baccano.

Tutto ciò è una grande stronzata!

Io sono colui che dice tutto.

Datemi un timido e sarà la vostra paura peggiore.
Datemi un pasticcino e sarà cremoso.

Una certa Elvira mi lasciò perché stanca delle mie oscenità. E io la denunciai per i suoi “fuori (s)cena”.
Andasse a venderla ai pen-nivendoli.
Meglio l’ortofrutta, che sceglie un limone oggi e un tuo fisico a pera per una banana che t’incula di fragola nella macedonia.
Evviva Alessandro, che magna tutto!

Evviva Al, che ti ulula di bello, caro brutto!

Ricordate: Alfredo fa il gigione, perché può.
Tu sei un vorrei ma non posso in quanto spossato in “Mogli e buoi dei paesi tuoi”.
Alfredo invece non svacca mai, al massimo esagera, stupendo i paesani e fregando chi è molle solo nel materasso.

Firmato il Genius
(Stefano Falotico)

  1. Quel pomeriggio di un giorno da cani (1975)
  2. Il padrino – parte III (1990)
  3. Wilde Salome (2011) 

Genius-Pop

Just another WordPress site (il mio sito cinematograficamente geniale)