Posts Tagged ‘Tim Burton’

Attori rinati: Michael Keaton, da Batman decaduto a Birdman che ora vola ancora alto


01 Aug

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Be’, che dire? È sotto gli occhi di tutti, è lapalissiano che l’attore di cui vi sto parlando negli ultimi anni ci ha stupito. Un attore verso il quale ho sempre nutrito una forte ammirazione, personalmente tenuto molto in auge. Chiamatela, se volete, una relazione alchemica fra me e lui dovuta a una sfrenata simpatia nei suoi riguardi.

Parlo di Michael Keaton che, stando al suo nome completo all’anagrafe, si potrebbe confondere con l’interprete di Basic Instinct, perché Michael Keaton è il suo nome d’arte, ma invero lui è nato come Michael John Douglas.

Michael Douglas, cioè quello, eh eh, di The Game, all’epoca era già famoso, e aveva peraltro vinto l’Oscar come produttore per Qualcuno volò sul nido del cuculo, e fu per questa ragione, per non essere confuso col Douglas di Coma profondo, che il “nostro” Michael cambiò il cognome in Keaton.

Ora, vi chiederete voi. Non è che Michael Keaton ha anche un certo grado di parentela con Diane Keaton, l’attrice di Manhattan? Per quello che ci risulta, no. Assolutamente.

Ma la storia è curiosa… Michael scelse Keaton come cognome proprio in onore di Diane, che lui stimava moltissimo, e per omaggiare al contempo un altro suo idolo, Buster Keaton.

Premesso questo, analizziamo in breve, lapidariamente, la sua carriera. Dopo qualche cortometraggio e una situation comedy, la sua faccia sta molto simpatica a Ron Howard e ad Amy Heckerling, ma è soltanto nel 1988, col macabramente spiritosissimo Beetlejuice di Tim Burton, che Michael Keaton comincia davvero a farsi notare. E lo stesso anno interpreta una pellicola, a molti tutt’ora misconosciuta, Fuori dal tunnel, nel quale offre una prova recitativa sofferta e intensissima che i ben informati sanno essere una delle sue migliori performance di sempre.

Quindi l’anno dopo finalmente s’impone, ancora grazie al suo beniamino Tim Burton, in Batman. Un Bruce Wayne decisamente atipico, dal fascino particolare. Sul quale aveva puntato soltanto appunto il suo fido amico Burton, perché lo studio desiderava un attore più famoso. Scommessa vinta appieno. Il Batman di Michael Keaton è misteriosamente carismatico e Keaton v’infonde rinomata personalità.

Così come poi avverrà anche col meraviglioso seguito.

Keaton continua a lavorare molto, nel suo carnet filmografico ci sono registi pregiati come il Kenneth Branagh di Molto rumore per nulla, ancora la sua vecchia conoscenza Ron Howard di Cronisti d’assalto, il grande Harold Ramis di Mi sdoppio in 4, Quentin Tarantino di Jackie Brown, e Barbet Schroeder di Soluzione estrema. Anche se la sua prova più citata e ricordata di quegli anni appartiene al film My Life – Questa mia vita con Nicole Kidman.

Poi, ecco che arrivano anni di oblio in cui Keaton, comunque, lavora sempre instancabilmente, ma in film che non arrivano neppure al cinema. E non è mai un buon segno…

Ci pensa Alejandro González Iñárritu a resuscitarlo, consegnandogli the role of a lifetime in Birdman, pellicola per la quale va davvero vicinissimo a vincere l’Oscar ma viene per un soffio sconfitto al rush finale dall’Eddie Redmayne de La teoria del tutto.

 

L’anno dopo è fra i valenti interpreti de Il caso Spotlight. Lui non viene candidato ma, come accaduto per Birdman, il film vince l’Oscar come Miglior Film dell’anno. Non sono tanti quelli che possono vantare di aver preso parte rispettivamente a film che, per due anni consecutivi, hanno primeggiato agli Academy Award. Voi vi ricordate altri casi? E infatti, sul palco, Michael Keaton gioisce come se avesse trionfato da Best Actor.

Soltanto l’anno dopo, offre un’altra interessantissima prova attoriale in The Founder. Ma sia i Golden Globe che gli Oscar lo trascurano. In compenso la Critica lo acclama nuovamente.

Diventa Adrian Toomes / Vulture nel nuovo franchise di Spider-Man con Tom Holland.

E presto, assai presto, lo vedremo nei panni del terribile Vandevere nel Dumbo del suo “mentore” Tim Burton.

Che grande, sfavillante ritorno!

Un ritorno che dobbiamo all’imprevedibile virtù dell’ignoranza?

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di Stefano Falotico

Dumbo di Tim Burton e i Mondiali non m’interessano, nemmeno 2001, m’interessa la mia mente e anche quella lì


13 Jun

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È uscito il teaser trailer di Dumbo. Ora, con tutta la stima per Tim Burton, io credo che abbia girato un solo capolavoro, Big Fish, che ha inquadrato meravigliosamente il senso della vita. Posso lodare la sua poetica sui diversi, sui freak, sugli spostati, sui nati male, sui suoi “scherzi della natura”. Ma quando il compiacimento diventa estetizzante allora il manierismo è dietro l’angolo, seduta stante.

Non m’interessa questo elefantino in computer graphic e apprezzerò sempre mille volte di più il fascino naïf del cartone originale.

Poi, potrà essere anche un grande film, non lo voglio mettere in discussione, ma personalmente credo che sarà una stronzata micidiale. Come questa frase di Jacques Rivette: Kubrick è una macchina, un mutante, un marziano. Non ha sentimenti di alcun tipo. Ma è bello quando una macchina filma altre macchine, come in 2001.

Sì, una delle frasi più imbecilli che uno possa pronunciare nella sua vita.

Personalmente, non ho mai avuto l’occasione di cenare con Stanley, ma mi son fatto un’idea di lui. Secondo me, era diventato un misantropo per necessità. Talmente sensibile, senziente, quindi talmente umanista, che soffriva la realtà ch’è giocoforza spesso puttanesca e squallida. Quindi Kubrick era ciò di più lontanamente distante da una macchina.

Domani, inizieranno i Mondiali di Calcio. Il Calcio è una sorta di rito collettivo avito, cioè tramandato dagli avi. E, quando ci sono i Mondiali, ecco che vengono annullate tutte le differenze culturali, neri e bianchi, ispanici e tedeschi si riuniscono tutti assieme, tifando appassionatamente e brindando. Non avvengono quasi mai scontri e tafferugli negli stadi perché, anche se si perde, è stata comunque una festa. L’importante era partecipare. Può darsi anche che, caro argentino, per consolarti dalla sconfitta, una brasiliana t’inviti nella sua stanza. E allora il gioco di “palle” diventerà una “ola”. Anche una sola se farai autogol di eiaculazione precoce.

Noi non vi partecipiamo, eliminati dalla modesta Svezia perché in centottanta minuti non siamo stati capaci di fare neppure una misera, risicata rete. Ma comunque, cari moralisti dei miei stivali, so che tanto v’infoiate su Harvey Weinstein, per bella posa con vostra moglie, che poi tradite di turismo sessuale con delle svedesone. Questa è la verità.

E allora ben ci sta! Così evitiamo figuracce. Se non siamo riusciti a fare goal alla Svezia, tanto di guadagnato essere spediti fuori ancor prima di essere imbrattati di ortaggi e goleade umiliantissime.

D’altra parte l’Italia merita un Salvini in Parlamento, un fascistone che vuole mandare a casa i clandestini, perché gli tira il culo, facendo morire di fame donne e bambini. E se sta lì l’avete votato voi. Dunque, non vi lamentate se, un giorno, sarete senza lavoro, darete di matto, e uno così vi sbatterà in manicomio.

Che cazzo gliene frega? Lui ha la Isoardi, una che ha capito che mostrar le cosce in RAI le avrebbe dato il “lasciapassare” per essere la passerotta del senatore du’ caz. Salvini non poteva farsela sfuggire. Sì, fra un comizio e l’altro della Lega, vide Elisa in tv, e libero da sguardi indiscreti si sparò una sega. Quindi, pensò: oh, questa è “buona”, io sono il leader del Carroccio, adesso le telefono, la invito a mangiare degli spaghetti al cartoccio e poi tutta me la “incarto”. Sì, sì, sì.

Come Trump, che si pavoneggia con la più bieca bassezza ideologica che un essere umano possa dire: se sono il Presidente, significa che sono il più intelligente di tutti. E chi non ce la fa è un perdente e non si lamenti.

Di mio, ne ho buscate talmente tante che sono un illuminato. Ovvio. Come no?

Non sono illuminato in questa foto? Mi pare lapalissiano, incontrovertibile.

Ho detto tutto… Molti credevano sarei andato giù, invece io non vado mai giù, al massimo ascolto I’m Goin’ Down.

– Sai, Stefano, a me non piace Springsteen. Lo trovo un po’ tamarro.

– Sì, ovvio. Sei frocio. Quindi vedi di andare a prendertelo nel culo.

 

Ora, vi racconto questa. Molti anni fa, incontrai una che era convinto fossi un incrocio fra Sean Penn e Tim Robbins di Mystic River.

Al che, mi appoggiò la mano sulla gamba, dopo una bella conversazione “esegetica” di Cinema.

– Ah, tutto questo panegirico per arrivare lì?

– Perché no?

– Via, levati dal cazzo.

 

Questo sono io. Se non ti sta bene, noleggiati un porno.

Comunque, perché emulare De Niro quando sono indubbiamente molto più bravo, bello, intelligente e sexy di lui?

 

di Stefano Falotico

Il Cinema, che Sole, come son “sol(id)o”, mi consola dalle inconsolabili lamentele dark di Facebook, Tim Burton


16 Mar

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Cinema, “odorandomi” di te, deambulando nei tuoi fotogrammi, disdegno quel patetico film che è 21 Grams.

Invece, mi tuffo in Burton Tim, “pagliaccio” in questo mondo miser(and)o. Sì, son miscredente di questi amori “vivandati”, sbandierati ai quattro venti, ai quattro vel(l)i. Mi spoglio della superficiale di tutti pelle perché ne ho piene le palle, e col Cinema mi sballo.

Drogati… (mettete su tal parola l’accento a mo’ d’imperativo o prendetela per quel che siete), questo mondo non si risolve coi paradisi artificiali. Ché già A.I. di Spielberg mi parve una cagata pazzesca.

Su Facebook, un’altra pazza, con sotto il naso la puzza, il suo diario da merda “qualunquista” sbrodola, “spruzzando” a tutti, “In condivisione” di “Mi piace”, la sua etica da una che s’è rotta la v(ag)i(n)a e monologa a interlocutori finti, come lei poco fini, a cui fa appello, domandando a uno se può “scappellarlo”. Lui ci sta(ppa)! Partono i “bacini”.

E allora io, da CappellaioMatto”, dinanzi a codesta non tanto sveglia, mi svesto, no, faccio sì che il mio “uccello” si ridesti, ché viva pure la sua Alice nel paese del “Che film ho visto stasera, meraviglioso. Domani, però, ho da farmi il culo”. Sì, glielo fanno, in quanto ella è meretrice di notte e mentitrice, sotto mentite spoglie da cassiera, di giorno. Una bella che racconta balle dietro la faccia come quello, appunto.

A “quel” si “viene” ed è duro… accettar la verità di una vita andata a “puttana”.

Eppur si lamenta. Dà agl’ipocriti la patente di falsi e si dichiara falsa(ria) del suo “vero” lavoro, “sudandosela”.

Al che, appare il trailer del nuovo Burton, e mi sembra di sognare…

Capolavoro o presa per il popò di dimensioni kolossal?

Di mio, preferirò sempre una pellicola Kodak a un iPhone con scatto selfie coi morti.

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di Stefano Falotico

Ogni Uomo è un Superman Nic Cage di Tim Burton, un ruolo da “Oscar”


04 Feb

Quest’anno vincerà l’Oscar Nic Cage col film Il tassista paramedico dell’al di là dell’ormai fottuta vita attoriale da ruote e sue botte di fortuna raccomandata, compresa la sua ex Patricia Arquette, di huge boobs bombata

Analisi dei più grandi attori per gli Oscar, la più grande nostra Storia del Cinema, e non solo, mai raccontata: and the winner is Vito Vino per il Film Corleone Vito che fa l’amore con Avril Lavigne

Oscar 2013, forse 2012, essendo i film candidati-“usciti” (come il cane che piscia sull’albero sbagliato) l’anno trapassato, quindi ancora entrante in gara.

Tiferò per Il lato positivo, in quanto fui Cooper ancor peggio, simil Leo DiCaprio di Shutter Island che, dopo il rehab, non m’abituai alla società eppure tira, nonostante “tutto”, per la Jennifer di turno.

Stamattina, ad esempio, una ragazza di Facebook m’ha lanciato dei “segnali di fumo” su cui ci sarebbe da ragionare, sempre che il mio cazzo resista…

– Sei intrigante, Uomo del mistero, voglio condividere il “Mi piace” in te “paciere” e bilanciere-balestriere dentro la mia pancia.
– Di mio, usuro gli addominali con la panca. Non so se questo “basculare” potrebbe dondolare d’amplesso con te nel ventre-ombelico.
– Che dici?
– Io dico, insomma che… quando il muscolo pompa, ti sfianchi.
– Non capisco.
– Come no? Non mi sembra difficile. Si chiama allusione allupante con freddura per il “riscaldamento”. Alla sera, corro per la periferia, sgranchisco le mie gambine, anche se vorrei sgusciare nelle tue. Insomma, stiracchiarlo un po’. Si definisce il “fine allungo” del pene come il Pongo che, manipolandolo, si rassoda nel plasmare al piantarlo, a prescindere se tu indossi pantaloni o mi prenderai per un coglione in mutande. Guarda che fa male, afferra senza “strappi al motore”.
– Lo sai che sei una merda? Ci giri attorno, fai l’asceta ma vuoi annusare le mie ascelle. Invece, ora ti slogo la mascella. Maiale, ecco il macello!
– Non vuoi l’uccellino?
– No, sei una quaglia. Non quaglierai mai niente.
– L’usignolo però m’ha detto che tu “la usi”.
– Cosa?
– L’uvetta.
– E tu saresti la volpe?
– No, sono Fox di New Rose Hotel.
– Quindi da me pretenderesti un pompino perfetto?
– No, m’accontento dei soldi per la benzina. Oggi, mezzo centilitro di “pompa” costa tutta la “liquidazione”. Altro che “drenare” di palle, questa vita è un diesel.
Vin?
– Sì, vai a dar via il cul’. Mancano i denari anche per pagare il lavavetri. Sgualdrina! Non sarò lava per te!
– Non sono una di quelle.
– Ma quello lo vuoi, vero?
– Cosa sarebbe “quello?”.
– Insomma, quel coso che sta un po’ in mezzo, fast & furious, a me e in mezzo a colei che (accon)sente.
– L’attributo?
– No, il budino. Meglio la vita cantando fra le brulle colline piuttosto che il burro nella bella.
Poi, vorrà… la pensione di “mantenimento” anche dall’amante spennato e tutto “contento” quanto cornuto da sua moglie.
– Fottiti!
– Tieni qua!
– Cos’è?
– Ah, non lo so. Tu dovresti saperlo.
– E perché mai?
– L’ho capito dalla faccia.
– Che faccia avrei io?
– Da culo.

Analisi dei pretendenti alla statuetta:

1) Daniel Day-Lewis, a tutt’oggi il più grande vivente, considerando il rincoglionimento dei De Niro vari, su cui indagheremo dopo.

Per molto Tempo, si trasferì nelle campagne toscare a fare il ciabattino.
Oggi, veste calzature inappuntabili prodotte dallo zoccolo del Butcher di Gangs of New York, pellicola che segnò il suo ritorno.

2) Tommy Lee Jones, dopo essersi assopito negli allori de Il fuggitivo, da anni azzecca quasi sempre i cosiddetti film che lasciano il segno. Insuperabile “vecchiaccio” butterato.

3) Philip Seymour Hoffman, detto “La panza che sa il fatto suo”. Non cambia mai, sempre più grasso rimane, eppure è versatilissimo. Come questo sia possibile, è un master da Paul Thomas Anderson. Il must.

4) Robert De Niro, emblema del viale del tramonto, sta piazzando a sorpresa dei colpi niente male.
Si parte con questa nomination per arrivare a The Irishman di Scorsese? Il Tempo (non) è dalla sua.

Harvey Weinstein sì.

In fondo, la vita è scommettere sul cavallo vincente e scoprire che Nick Nolte è un elefante che scopa un fantino.

Mi piglieranno per un fantoccio fanatico.

Di mio, accartoccerò… con pasti dei cartocci.

E ricordate: il cartone animato potrebbe trasformarsi in un manga(nello).

Ma non ho intenzione, affatto, di terminare l’analisi polemica-cinefila con tanto di polenta nel mio “scoscio” sul divano da pranzettino a Mezzanotte, dunque cena da lupo polentone sulla poltrona con tanto di “maccheroni” e matrone.

Vengo contattato da un losco figuro su Facebook, tale Centrino Gaetano, le cui foto tendono a immortalarlo di spalla tatuata nella nuca senza occhi nella fronte.

M’aggredì ieri mattina, la Domenica bella delle messine.

“Stefano, ho visto i tuoi video. Sono una merda. Però, in una massa di coglioni omologati, fai la tua figa?”.

Controrepliche di tal fatta: – Figura vorrai dire?

– No, proprio se ti fai la tua figa.
– Che starebbe a dire che mi faccio?
– Sì, un modo eufemistico per capire se t’effeminizzi con delle canne, dopo esserti sparato le pippe.
– Preferisco Pippo, il cane di Topolino.
– Che significa?
– Vedi che torna? Il segno figo del Nic Cage.
– Spiegati.
– Ti racconterò questo:

“Nic fu scoperto da Francis Coppola Zio Paperone, e da allora è un paperello fortunato. Fine”.

– Finisce già così. Che senso ha?
– Nessuno. Ma la sua carriera è passata dai capolavori dello zio al Futuro da Steven Seagal.
Insomma, dei film come delle seghe.

Sì, ivi vi racconterò il dietro le quinte sapor “Tendina dei suoi tendini a tenderlo in mezzo a tante con la quinta”, per tale racconto tratto… dalla sua storia vera, affabulata nelle fragolone, così intitolato: Nicola Coppola, la cappella più famosa di Hollywood, attore monnezza eppur che ama le “margherite” con la mozzarella da basco siciliano e basilico da Basilicata.

Che fine ha fatto Nicolino? In quest’anno solare, ancor nessun film suo nelle sale. Eppure, il suo salotto, dopo tanti debiti, causa lauti pagamenti alle prostitute che corruppe-eruttandovi sopra e nal trastullarselo, è pieno zeppo di quelle che “indossano” le zoccole, appunto.

Un attore dalla nomea che fa “paura”, temibile e che buca lo schermo, dopo essersi drogato di pellicole ad alto tasso di minchiata. Pellicole pericolanti, osannate dalla plebe adorante fra tagliatelle coi porcini e insalate da micine.

Ultimamente, la sua filmografia si sta appannando, appunto andando a puttane.

Dopo i fasti degli anni ’90, una serie di clamorose e colossali supercazzate invaderanno i grandi schermi, speriamo li programmino direttamente via cavo.

Fortunatamente, il progetto del Superman di Tim Burton è stato fermato prima della sciagura che si sarebbe potuta concretizzare. Ma eravamo a un passo dalla catastrofe formato kryptonite.

Guardare per (non) credere:

 

“Superman Lives” di Tim Burton con Nicolas Cage


26 Jan

Vi ricordate che Tim Burton, per la Warner Bros, doveva girare la sua versione di Superman? Ecco, era già stato designato il protagonista, Nicolas Cage. Eh sì, proprio il “grande” nostro “beniamino”. Ora, a ben vedere, nei panni di Clark Kent sarebbe calzato a pennello, rimanendo in tema di pittoriche affabulazioni burtoniane. In quelle del Superuomo assai meno, forse perché la sua “dinamica” facciale, se così perfettamente intonata al pesce lesso del tonto, è, sì muscolosa d’ottimo fisico, ma carente sul piano dell’espressività scenica da “mantello”.

 

Costui, un nerd spuntato dal nulla, ha “raccattato” ogni informazione sul progetto non andato in porto. Alla fine, la Warner bloccò tutto per esagerato budget e altri problemi consequenziali.

E “licenziò” anche Sandra Bullock. Indovinate “nominata” per quali panni?

 

Sempre costui sta preparando addirittura un documentario di tale “oscuro” retroscena, un dietro le quinte a mostrarci un film mai visto.

 

Appunto, vedremo.

Il “Pinocchio” di Tim Burton


17 Nov

Fra i miei innumerevoli scritti ancora editi, che presto saran editati, ce n’è uno “inerente” sulla favolona di Collodi, filtrata dai miei occhi. Ora, mio finocchio, io ho il “bernoccolo”, lei è solo un becchino

Mi dissipai, il mio naso s’allungò ma il mio uccello no, perché ebbe le 

  • Il cattivo tenente (1992)
  • Il sentiero del pino solitario (1936)
  • Bentornato Pinocchio (2007)
  • Non bastavano gli “Hello, how are you?” e gli “I like” del Facebook? Adesso, ci siam pure imbastarditi nella “festa” dell’Halloween: secondo me, è meglio l'”allupato”, colui che…


    31 Oct


    … apre la bocca e chiede: “Would you wish?”.

    Lei replica, “retorica”: – Cosa?
    E il lupo: – Quel che liscio diventa “viscido”

    Applauso!

    Sì, stasera m’associerò alla demenza collettiva di questa celebrazione “celtica”. E dir che son centauro, afferro la mia moto con la “sella” della mora, e m'”inzucco” nelle sue “cavità” sorprendenti e vivaci, schiantiamo contro un muro ma prima Lei l’ha goduto tutto tutto duro, rallegrata dal “dolce” che non è stato uno “scherzetto“. Ah, come “la” screzio io neppure il Matto di suo “cappellaio“. Ah, Alice fu fornicata nel “bosco”, con Tim Burton a cazzeggiare d’esegesi personale nella versione “anemica” dai troppi colorini.
    Ah, Tim è Uomo che “affabulò” affamato, da cui il detto lupus in fabula, per Burton rappresentato dalla sua fava nella fragola di Helena. Helena è Bonham, e Tim è mani di “forbice“.
    Tim ne attinge, non “attenuandolo”.

    Nella Bologna Tonight, diciamo “tonnata”, i nostri istrici si districheranno di pub(algia). Baluginando nel “balocco”, persi fra un Malt & Hops e lo “smaltirla” di sbornia “chimica”. Detto anche sperma “zoologico” d’iniettar nel nettare, da cui provien il famoso proverbio di tal “fattoni”: se ad Ognissanti le spezzi l’osso sacrale, ci sarà un Santo in meno in Paradiso.

    Alla mia epoca, ti veniva grosso senza l'”alibi” di queste importazioni anglosassoni, da cui il “genitivo”, e quindi il “genitale”. Eh, sono albini. Un po’ scialbi. All’inzio di Novembre, è consigliabile la sciarpa, oppure lo scialle o lo Chalet delle “rose”.
    Secondo me, gli ortodossi ce l’hanno magro, e le loro mogli vanno con gli indiani mentre Rob Zombie “Intona” i “flauti magici” della “zuppa inglese” al ritmo “zabaione” d’asce in pancia mentre le prostituite son’orientate in MoonSheri sarà una gran figa, ma io preferisco il Mon Cheri. Con tal “cioccolatino” ripieno, vai sul “sicuro”. Con Sheri, c’è il rischio di non sgranocchiare. Anche perché mi dà vagamente l’idea d’essere una di quelle zoccolone che, prima di “dartela”, pretende il lauto “responso” economico dei portafogli. Solo dopo il “rimborso”, apre la sua “borsa” e può usare il “detergente” degli “orsi”. Una “donna” raffinata come il Kleenex. Lei ne “usa” tanti, e Rob “lo” sa. Perché fu tradito anche da Eli Roth, in un triangolo con l’omonimo Eric, lo sceneggiatore di Forrest Gump e Insider. “Dentro la verità“.
    Da cui l’Hostel…

    Dopo il caffettino pomeridiano, ho avvistato il pensionato Ionata, accompagnato dalla sorella sullo “sguardo” indagatore del terzo piano d’un rumeno che, fra una prostituta e l’altra, rumina perché sogna una vecchiaia in santa pace del “Signore”.

    Sì, Halloween è come uno con la dentiera.
    Tutti aspettano il 31 per “addentarle”, ma non sanno che saranno “strappati”, brutalmente lacerati dal “cero” d’una che succhierà un verginello al fine di sposarlo dopo averlo “disossato”.

    Per quanto mi riguarda, l’unica festa che va rispettata è quella del mio cazzo.
    Che non si dà “da fare”.

    Applauso!

    Firmato il Genius
    (Stefano Falotico)

    1. Halloween con la famiglia Addams (1977)
    2. Niente dolce, niente zucchero (1991)
    3. L’inquilino del terzo piano (1976)
    4. Scent of a Woman – Profumo di donna (1992)
    5. Luna di fiele (1992)
    6. Alice in Wonderland (2010)
    7. La casa (1982)

    Johnny Depp – Una carriera allo sbando, infatti da sbandato divenne un mito con qualche ruolo da “bandito”


    03 Oct

     

    Suonava anche in una banda, adesso esce ancora dalle bare di Tim Burtonma entra soprat-tutto tutto nel “burro” in “quella” di Amber Heard, da “pirata“.
    Più che altro, quest’angelo ha mercificato il suo Cuore…

    Depp, attore che aveva il suo perché.
    Fra l’altro, all’epoca il seno di Winona Ryder mi eccitava non po(r)co, e invidiai molto il suo “tatuaggio”, wine foreverche, tradotto (il)letteratamente, significa appunto nella “figa” di “vino“. La “divina” da (div)ano.
    Sì, la Ryder non era una di “legno” e Depp era un buon pastore di “bastone”. Con mani di forbice, fornicava su visopallido“, quali sono infatti le sue origini da mezzo “pellerossa…“.

    Winona, dopo averlo “stirato”, lo tradì con Daniel Day-Lewis, un altro che, al di là delle sue “doti” indiscutibili d’attore, pare che sia diventato semieremita perché “minchione”. Il suo piede sinistro però “tira” ancora di “boxer“.
    “In fallo”, di ciabattino a Firenze poi di nuovo vinse doratamente l’Oscar del “petrolio“.

    Sì, l’enigma Depp.
    Mi ricordo che la mia prima ragazza, quando scopava con me, fissava gli occhi del poster(iore) di Johnny. Non era molto gratificante e, dopo gli amplessi, al fine che non mi pensassi solo un fesso, mi sussurrava sempre un “Gli assomigli”.
    Oltre al “sesso” immaginario, pure l’amante in un altro “sdoppiato” d’empatia da fan…
    Sì, le donne hanno sempre un idolo migliore della tua “cartapesta”.
    Per anni, le intellettuali eran sposate con gli operai, ma poi si toccavano con Woody Allen.
    E, di contro, gli “uomini veri” stavan con la casalinga per poi “aprir le cosce” alla vista di Stone Sharon, per “spioncino” nel buchin’ che vedo-non vedo-eccola “là”.
    E, appunto, volava, “schizzava” nell’et voilà!

    A volte, temo che lo psicopatico (in)castrato di “Sfiga” senza regole avesse ragione in merito alla “poesia”, di cui s’è perso ogni romanticismo per colpe delle “chimiche” di questi farmacisti dell’anima: le rose sono rosse, le viole sono blu, voglio ficcarvi il c… in mezzo agli occhi, brutti stronzi!

    Nonostante tutte le inculate che ho preso dalla mia “innamorata”, continuai a pensare che Johnny era un grande. Già per “desiderarlo” così tanto di “glande”, è certamente un Uomo di glassa. Di un’altra “galassia”. Sì, dei suoi viaggi quando non ha le mestruazioni.

    Pensiamo a un grande regista con cui è diventato amico: Kusturica, da zingaro, ora si dà alle “zingarate”.

    Oggi, si può “permettere” di rifiutare Wes Anderson per “girarci” (le palle…) di un’altra avventura con la “ciurma“.

    Recitò quasi meglio di Pacino, e ora è tornato ai “bacini”.

    In poche parole, anche Depp (da molti pronunciato “dip“) è finito come Flavio Briatore, in jeep con le chiappe chiare.

    Ecco, quando gente che stimo “troieggia” così, penso seriamente di aprire un bordello intitolato “Rocco 2”, ove mi “riciclerò” d'”incarnazione” nel “remake” di Siffredi.

    Sì, alle case editrici interessa solo quanto puoi “fruttare” (che sfruttamento) e, prima o poi, anche i maledetti devono “svenderlo” e arrendersi. Se non vendono, finisci nel “vento”.

    Triste verità o una “bestemmia?”.

    Firmato il Genius
    (Stefano Falotico)

    1. Il mistero di Sleepy Hollow (1999)
    2. Donnie Brasco (1997)
    3. Lone Ranger (2013)
      Ho detto tutto…
    4. Angel Heart. Ascensore per l’inferno (1987)

    Dizionario dei film 2012 – I migliori film dell’anno (“L’alba del pianeta delle scimmie”), parte prima


    01 Aug

    Prefazione di Stefano Falotico, il Genius, Travis Bickle 1979, nato per essere Lui.

    Un altro magico journey nelle favole incantatorie del Cinema, nostro diletto supremo e convergenza delle più alte emozioni nel tenue sospirarle e vagabondo adorarle.

     

    Un’immersione dentro la celluloide ad abisso dei suoi punti focali, nevralgici, fra tramonti di color alabastro “arrossito” nell’intingerci sui nostri pudori svelati romanticamente, sfocato spalmarcene come febbre divorante per attraccare focosi ai suoi polmonari respiri infatuati dell’immenso, fluttuante arcobaleno, “inghiottirli”, “incenerire” le angosce che ci turbano, veleggiar armonici nel sobrio “assopire” la realtà e mutarla a specchio dell’infinità mastodontica. Come artisti, “sofferenti” gioiosamente nei cunicoli del meandro esplorato, come ricercatori d’oro in questo tripudio di triste, spesso, cinica società che non crede più nei sogni, nella traspirazione onirica a “proiezioni” del grande schermo ottico, o forse finge di non vedere all’interno di tal stupenda, fotografica, dunque immortal profondità con quell’illusorio ma riprovevole senso pragmatico che a noi mai si accor(d)a.

     

    Siamo noi i guerrieri dell’amore per l’Arte, e il Cinema rappresenta la montagna più sacra di coloro che protendon alla vetta della Passione.

    Dei cieli a limpidezza estrema, a scarnire le nostre combattive anime nel “blob” esplosivo e stordente delle pellicole più suadenti.

    N’afferriamo la “disomogenea” miscel(lane)a e inanelliamo prose a venerazione del suo ipnotizzante lirismo.

    Come creature di un’altra epoca, “assoldati” al Dio Cuore, piacevolissimevolmente attanagliati dalle sue “morse”, e morsi, appunto divinatori d’eccelso.

    D’estrema “unzione” che ci bacia, con delicatezza, d’angelico rinascerci a ogni nuova prodigiosa immagine, a innovarci col nobile fine d’arcuare i nostri lineamenti visi-vi nel “supplicare” altro goderne delle visioni, e innamorati, per sempre, del flusso madido d’intrecci sfavillanti.

     

    Mercoledì 1 agosto 2012, 10:54

    Ebbene, scoccan le ore a noi più intraprendenti, di palpitazioni emotive affilate come sempre di sogni “errabondi”, corroborati e dunque coloratissimi, talvolta, d’intrepida furia a noi più incarnata, scatenata e dalle “catene” slegata. Come scorribande nel “nitrato” di cavalli pazzi, irti in magnificenze nostre, dorate e ancestrali d’“ammaestrarci” solo a briglie sciolte, pittando le nuvole, anche gli umori “ombrosi” d’annuvolate tempeste caratteriali, mai di “cattedra” pomposa o “s(c)ibilante” (pres)untuosamente, ma forbitamente “crateriche”, in tenue “acquerello” che, pennellando “guasconissimo” d’una irriverenza solo nelle reverenze a noi più congeniali d’innata indagine delle nostre variopinte, pindaricissime, fiammeggianti anime, s’“arzigogola” come un dondolarci mesti e poi “mareggianti” nelle lagune veneziane da gondolieri contemplativi nell’ascetico nostro effonder la purezza acquosa d’una foschia via via più rallegrata ed erta, a cangiar i mutamenti oscillanti dei nostri cuori “arsi” dalle piogge o dai gocciolii d’appassionate immersioni stupende ove i raggi della solarità ancorata all’“accorarci”, appunto, di cavalleresco veleggiarci, ci svela in vortici mnemonici d’immagini già (sovra)impresse nei nostri cutanei bagliori di folgori fulminee, dunque profondi sotto l’appariscenza meno visibile ma di visibilio visivo, nel fulminarci di Bellezza.

    Atrocemente vivi e fieri.

     

    Passeggiai, di motivetto “serenetto”, stamane lungo questa città, tetra d’Inverno e desertica d’Estate, oggi ch’è vigilia d’Agosto, anzi no, è proprio l’1 del mese più rovente dell’anno, mese di spiagge “bikinizzate” per esibizioni “costumistiche” ove una bionda impiegata impiegherà mezz’ora solo per infilarsi nel “bagno”, “estatico” appunto degli occhi allupati di bagnanti già essiccati dal brivido di desideri furibondi, castrati da docili mani “ammogliate” per vol(t)ar la vista verso l’orizzonte tramontato dell’o(r)mone, al fin “taumaturgico” dell’ipocrisia “conciliante” con le nuziali “fedi” d’un anello al dito che ha promesso giuramento e ne ha irreggimentato la lussuria, nel caldo rifiorita, ma da sfiorir ché non riaffiori il maschio che eri, prima che t’evirò.

    Sì, immagino la giornalista Elvira, stanca di discorsi “balistici” d’un Calcio che odia ma le mantiene il privilegio d’essere amata dalle videocamere “spioncine” delle sue maestose gambe di minigonna attizzantissima fra un goal e un’esultanza del “volpon” che ferma la cardiaca “serenità” d’un “tifo” molto “afoso”, (s)lanciato, slacciatissimo, “investigativo” a spogliar le sue calze, lì lì, indecisa se mostrar impudica il seno, pezzo forte, o “spezzettartelo” in due, tranciata in “monodose” di pareo “detergente”.

     

    Al che, “violentato” dal desiderio riscaturito di gola bruciata dalla temperatura bollente, impazzisco, e decido, come il mio amico di (s)ventura Ismaele, il “mozzo” delle balene bianche, di sguazzar nell’Oceano spirituale d’elevazioni filmiche, forse per “tramarmi” d’intrecci “aggrovigliati” a un casto “cinturar” l’onor valoroso da coltissimo cinefilo, per dimenticare (per un po’, solo “istantanee”) le rive troppo “asciutte”, e navigar di perpetui, “abissali” tuffi, quasi quanto le nostre olimpioniche, “greche”, statuarissime campionesse dei “trampolini carpiati” e da me carpiti in stardust golosità più metafisiche.

    Sì, Elvira ha un fisico che ti fa “tribolare” peggio del fisco, è una che se la vedi poi “fischietti”.

    E, se ti deluderà d’un “No(do) reciso”, la fiaschetta sarà di consolazione per non esserti “assolato” con Lei. Non confidatelo, amo quella Donna, i suoi tacchi “depredaron” la mia virilità da “macho man” alla Kevin Kline, e mortificarono, “pietrificandomi”, il mio In & Out(ing) in zona “Onoff”, incerta e titubante se corteggiarla o esser avaria, “torpediniera”, del mio “modellino” da nautico in miniatura.

    Sì, non merito la sua statura, e Lei non merita il mio cervello e il mio amor visceralissimo per il Cinema.

    Perché il chiodo tu batterai, ma non ti schiodi dalla prima, più vera e vivifica infatuazione fastosissima, la Settima Arte, la più grande di tutte, poiché in essa convergono tutte le altre d’amplessi (s)fumatissimi.

    Virtualità o realtà più nuda delle maschere carnevalesche di Elvira? Bugiarda della sua sensualità?

    Sì, il Cinema mi salverà dalle sue grinfie, e “smalterò” le unghie del mio erotismo in un onirismo catartico.

    L’importante, comunque, “ricordatelo” sempre, è unire appunto al “piccante” i neuroni plananti.

    Mai platinati, semmai ci pattiniamo sopra, di gusto zuccheroso, poi malinconico, un po’ sal(t)ato. E molto saettante.

    Tutto questo preambolo, un po’ “embolo”, per presentarvi il nostro nuovo “Dizionario dei film”, stavolta della stagione appena trascorsa.

     

    Come ben sapete, l’anno scorso, io e Valerio Vannini, cioè Travis Bickle 1979 e Spopola, che io scrivo sempre con la “S” di Superman maiuscola, abbiamo allestito un vademecum di recensioni e “bizzarrie” che, oggi, ha trovato sovran diritto di cittadinanza alla Feltrinelli ed è acquistabile sul sito “Ilmiolibro.it”.

     

    Tutto partì per affinità elettive, una raccolta entusiastica che “copia-incollò” le nostre opinioni su “FilmTv.it” proprio qui, su “Cinerepublic”.

     

    Le potete trovare tutte in tal luogo, già, “guarnite” di clip, curiosità, filmati, locandine, poster trailer.

     

    Perché dunque non ripetere la straordinaria, unicissima esperienza e imbastirne un altro, semmai ancor più grande, più completo, più articolato e anche più “ermetico?”.

     

    Come sempre, c’avvarremo di “guest star”, le firme più autorevoli del nostro sito per dar voce un po’ a tutti, indiscriminatamente, come già avvenuto per il primo…

     

    Ma esagereremo, eccome se remeremo.

     

    L’imprescindibile, illuminato nostro M Valdemar  ha dato il suo assenso e la sua magia di “assenzio” per un “Non c’è due senza tre”. A cui, come detto, se ne aggiungeranno altri.

     

    Anche il magnifico, titanico ROTOTOM fa parte dei nostri, i quattro moschettieri, quindi. Arditi e “arsissimi” nella celluloide, di spade incalzanti.

     

    Sì, dunque vol(t)eremo su incantatori sprazzi e spaziali orbite filmiche, “mirati” nel vento e nelle memorie.

    Capitani coraggiosi, cavalieri romantici e romanzeschi, Excalibur nostra per un Sacro Graal perduto, forse dalle inique “modernità” d’un progresso che sta schiacciando progressivamente, appunto, il magma favolistico delle eruzioni più intimamente “evolutive”.

     

    Cristo, coi suoi fedeli, apostoli d’un terzetto via via ad allargarsi e prender forma e sembianze.

     

    Recensioni quindi personalissime, perle come Atlantide sommersa da “dissotterrare” dall’Oceano, forse (ig)noto, e rifulgerle in tutta eroticissima, erculea, forzuta, energica, adrenalica robustezza.

     

    Stoici combattenti.

     

    E allora, come Gerard Depardieu/Cristoforo Colombo del capolavoro di Ridley Scott, 1492… La conquista del paradiso, eccoci qua, Io, e le irrefrenabili tre caravelle a imbarcarci per lidi di scoperte magnifiche e immaginifiche, col timon d’un Peter Weir che ci sprona soffiandoci nelle iridi d’ incontaminato idillio visivo e in noi fulgido.

     

    Chi è M Valdemar? “Misterico” personaggio d’ascendenza lynchiana, il cui nome, forse, riveleremo più avanti, forse in una Notte tempestosa e solitaria, “nudissima” a confidarci chi (non) siamo, nell’autentico guardarci dentro e negli occhi.

     

    Chi è ROTO? Questo genio cinefilo che, dal vivo, è più bello e sexy di Javier Bardem?

    Avrete modo d’ appurarlo, forza, salite sulle nostre navi.

     

    Miei prodi, noi lodiamo il Cinema!

     

    E mi sembra, quantomeno doveroso, iniziare il viaggio con Valerio, mio mentore e raffinatissimo chef che ci fa gustare i film come pietanze prelibate quando apriamo la bocca, anzi no, il boccaporto e pranziamo assieme.

     

     

    In una data indeterminata…

     

    L’alba del pianeta delle scimmie di Rupert Wyatt

     

    Will (James Franco), giovane scienziato, sta cercando di sviluppare una cura per l’Alzheimer attraverso la creazione di un virus benigno capace di riparare i danni provocati dal morbo. Quando la ricerca viene chiusa, Will decide di tenere con sé il figlio di una delle sue migliori cavie, lo scimpanzé Caesar. Ben presto, Caesar comincia a mutare a causa degli effetti del virus fino a divenire il capostipite di una nuova stirpe che dichiarerà guerra agli umani.

     

     

    Il pianeta delle scimmievero e proprio cult non solo fantascientifico della seconda metà del secolo scorso girato da Franklin J. Schaffner nel 1968 e sceneggiato da Michael Wilson e Rod Serling a partire dal romanzo di Pierre Boulle, con il suo rovesciamento radicale della gerarchia uomo/animale e il bellissimo e inquietante finale pieno di apocalittiche premonizioni sulla stupidità del genere umano e le disastrose conseguenze che ne potrebbero derivare per troppa presunzione e sete di potere, è entrato a buon diritto nell’immaginario collettivo di intere generazioni di spettatori diventando un classico del genere per quel suo essere un thriller sociologico futuribile, ma allo stesso tempo anche una favola filosofica e politica che, ambientata in un domani ancora lontanissimo, parla però di un presente non tanto immaginario pieno di incertezze e di azzardi come quello in cui viviamo.

    Il successo del film fu davvero planetario, ed era inevitabile che invogliasse gli studi hollywoodiani a sfruttare le ardite tematiche implicitamente suggerite fino a spolparne l’osso, inventandosi altri episodi intorno e creando di conseguenza una saga organizzata in ulteriori quattro capitoli fra sequel (L’altra faccia del pianeta delle scimmie, 1970) e prequel (nell’ordine, Fuga dal pianeta delle scimmie del 1971, vero e proprio anello di congiunzione fra presente e passato, 1999: Conquista della terra del 1972 e Anno 2670 ultimo atto del 1973) sempre più stanchi e ingarbugliati (nessuno dei quali davvero all’altezza dell’originale), finalizzati soprattutto a raccontare in quale modo si era potuti giungere a quel punto di “non ritorno” messo in scena con appassionato vigore anche visionario (magnifica la fotografia di Leon Shamroy) dalla pellicola di Schaffner.

    Quando in America si è a corto di idee, si cerca poi sempre di ripercorrere sentieri conosciuti sperando di rinverdire gli allori correndo pochi rischi, e anche in questo caso ci si è provati a farlo (un po’ maldestramente per la verità) già nel 2001, Planet of the Apes – Il pianeta delle scimmie (diretto da Tim Burton), che si conferma un remake tutt’altro che memorabile e poco necessario, se non per un finale ugualmente inquietante e particolarmente indovinato, comunque insufficiente per riscattarlo interamente e dare un senso compiuto all’operazione di rivisitazione.

    La crisi sempre più profonda degli studios, e il progredire delle possibilità offerte dall’evoluzione della tecnica computerizzata degli effetti speciali, ha poi determinato una nuova attenzione “commerciale” sul soggetto che ha generato nel 2011 questo L’alba del pianeta delle scimmie diretto da Rupert Wyatt, con il quale si è cercato di ritornare di nuovo sull’argomento in modo più personale e “realistico”, proprio mettendo in scena il prologo di quella tragedia con una sceneggiatura molto liberamente ispirata al libro di Pierre Boulle (o meglio a quello che tale romanzo poteva suggerire fra le pieghe), ma ben strutturata e credibile, scritta a quattro mani e con intelligenza narrativa da Rick Jaffa e Amanda Silver.

    Pur rimanendo nel segmento minato dei blockbuster, il risultato possiamo definirlo un gradevolissimo ibrido fra divertimento e impegno che è riuscito a centrare pienamente entrambi gli obiettivi, fornendo per altro davvero nuova linfa a una impresa che io personalmente avevo immaginato (evidentemente sbagliando) persa in partenza.

    Intendiamoci: niente di eclatante, ma l’intelligenza che il regista ha messo nel narrare per immagini questo “rifacimento inventivo” della Genesi della Storia, lo rende particolarmente interessante proprio perché, nonostante la contiguità tematica e di riferimento, Wyatt è riuscito a lasciarsi definitivamente alle spalle la sudditanza psicologica verso la serie originale, realizzando così un kolossal stimolante per più di un motivo (e soprattutto meno ovvio) che, proprio partendo dalle vestigia un poco arrugginite delle ultime precedenti puntate, ripropone spettacolarmente e narrativamente temi ormai in larga parte sfruttati e forse anche un poco usurati, ma rigenerandoli “a suo modo” e senza troppi timori reverenziali, non perdendo però mai di vista il “timone” che consente comunque di restare inequivocabilmente “dentro” la storia, anche se letta da un’altra prospettiva (anche temporale), un procedimento questo che finisce per rendere il film un prodotto certamente “commerciale”, ma di gran lunga più valido e interessante di quasi tutte le altre pellicole in circolazione e ormai tanto di moda a Hollywood, che hanno organizzato il proprio percorso narrativo come prequel, o reboot proprio per andare sul sicuro.

    L’azione è infatti ambientata ai giorni nostri o giù di lì, e parla di uno scienziato, Will Rodman, che ha appena scoperto un farmaco che cura l’Alzheimer attraverso la rigenerazione delle cellule cerebrali. Ma quando uno degli scimpanzé da lui utilizzati come cavia riesce a fuggire, seminando il panico, il progetto va a monte e l’animale viene abbattuto. Il figlio dello scimpanzé, che ha ereditato un’innaturale attività cerebrale, viene adottato quasi come atto riparatorio da Will, ma l’intelligenza dell’animale aumenterà esponenzialmente con la crescita, fino a eguagliare (ed anche superare) quella umana, creando qualche grosso problema di contenimento.

    Grande spazio è infatti lasciato proprio al mondo animale, il che potrebbe far pensare persino a un blando tentativo di provare a rinunciare – grazie alle nuove frontiere della teconologia – al ruolo una volta preponderante degli attori in carne e ossa, a favore delle sorprendenti “creazioni” digitalizzate delle scimmie (creature ibride, quasi “realizzate in serie” a opera di Andy Serkis e della Weta, che per la verità sono così perfettamente e realisticamente “(in)naturali” da far ampiamente rimpiangere – per lo meno a me – i più artigianali trucchi scimmieschi su attori in carne e ossa inventati da John Chambers per il film di Schaffner).

    Il meccanismo del ribaltamento che punta alla collocazione dell’uomo in un contesto animalesco (e viceversa), vero elemento scioccante (e anche disturbante) di tutti i vari tasselli della serie, rimane evidentemente invariato anche in questo caso, ma rimodellato e vivificato da una ingegnosa riscrittura interna che prova (e ci riesce) a capovolgere ogni “certezza” precedentemente acquisita dagli spettatori (intendo riferirmi soprattutto a coloro che già sanno come nel prosieguo andranno a finire le cose), una condizione di sospensione incredula che crea una costante tensione che si propaga per tutto l’arco di un racconto che altrimenti potrebbe essere considerato persino risaputo, scontato e poco coinvolgente.

    Come ci fa giustamente osservare Mauro Antonini su “Segnocinema” n. 172, nel vero e proprio gioco di ribaltamento interno del racconto fatto dagli sceneggiatori e dal regista, i ruoli dei due scimpanzé della saga originale (Cornelius e Zira) vengono questa volta volutamente assegnati a due “umani” (Will e Caroline) che sono però chiamati a svolgere le stesse funzioni narratologiche delle due scimmie (il riferimento è soprattutto al terzo titolo delle pellicole realizzate negli anni ’70) e nel fare esercitare loro persino gli stessi mestieri (scienziato e dottoressa). Nell’incipit per altro viene citato in maniera abbastanza esplicita proprio 1999: Conquista della terraanche se poi l’ombra sinistra della bomba si trasforma qui in una mutazione dei geni (lo sfruttamento di cavie animali per fare esperimenti in laboratorio alla ricerca di nuovi orizzonti per la medicina, un mondo di prigionieri vessati e “torturati” che, trovato in Cesare il loro capo, si ribellano in massa con il furore distruttivo dell’intelligenza acquisita, per sovvertire l’ordine delle cose e “capovolgere” le regole del gioco).

    L’alba del pianeta delle scimmie si conferma quindi anche come un’opera che, grazie alla densità tematica e alla forza affabulatrice del racconto, è in grado di compattare e di fonderli insieme i tanti registri e i numerosi riferimenti evidenti, mai banali o superflui, usando come reagenti e catalizzatori, ingredienti tipici dei blockbuster come la suspense, l’azione e la spettacolarità ma con una capacità invero inconsueta, che è poi quella di utilizzarli nel pieno rispetto delle regole del settore, ma dominandoli e addomesticandoli in maniera creativa, senza però renderli una antitesi sostitutiva del cuore pulsante del progetto che forse fra le righe vuole essere anche politico.

    E proprio grazie a questo insolito modo di organizzarsi e di sostenersi, il regista riesce a evitare gli errori dei suoi protagonisti umani, non perde il controllo della sua stessa creatura, non ne dimentica la specificità e la differenza ma, anzi, le coltiva (Federico Gironi, “Filmcritica” n. 508). Tematiche che spesso si muovono in sottotraccia comunque (è un po’ il destino delle opere realizzate per fare grandi incassi) e supportate da una espressività ridotta delle scimmie che, a parte gli occhi (severi, colmi di odio e di furore), non presenta poi molte altre differenze di “riconoscibilità” differenziata, ma che riesce a diventare una miscela esplosiva quando Cesare, il primate “emancipato”, evade dalla struttura che li imprigionava, portandosi dietro tutti i suoi compagni, e il gruppo, il branco diventa una inarrestabile marea che invade le strade di San Francisco, prima alla ricerca di altre scimmie da liberare, e poi di un luogo in cui esiliarsi momentaneamente per “crescere”, mutarsi definitivamente e passare finalmente al contrattacco. Una vera e propria tattica da guerriglia urbana insomma quella portata avanti con indignata consapevolezza e frustrazione dagli scimpanzé in cerca di riscatto e di “potere” dove, invece e per contro, i tentativi di repressione della rivolta incontrollata della specie da parte delle autorità cittadine, sembrano avvicinarsi con inquietanti analogie comportamentali a quelli messi in atto con analoga virulenza per contrastare e “domare” gli scontri di manifestazioni “libertarie” di ogni tipo in giro per il mondo, quasi che Wyatt intendesse lasciare spazio, fra le regole codificate dei blockbuster dedicati ai supereroi di turno, a qualcosa di più nobile e importante che tende a trasformare Cesare nella metafora evidente di uno Spartaco o un Che Guevara delle scimmie (ognuno con tutta la retorica che si porta dietro, ma con una novità importante e non secondaria: il “potere” che si trasforma da fatto politico in una questione di evoluzione mentale, oltre che di genetica modificata).

    Ottima la tecnica complessiva del regista ed eccellenti gli avvolgenti piani sequenza che , soprattutto nelle parti più concitate, si alternano ad acrobatiche carrellate aeree che rendono dinamiche le scene: buona soprattutto la prova di James Franco che, nonostante le premesse fatte sopra (la probabile marginalizzazione degli attori prevista dal progetto), riesce a imporsi con la bravura del consumato interprete portando in primo piano la figura del personaggio a lui affidato, per altro ben coadiuvato nell’impresa da tutte le altre caratterizzazioni “umane” di contorno.

    Come conclude proprio Gironi la sua recensione, a questo punto allora resta solo da sperare che l’apocalisse politica e sociale che la pellicola preannuncia inequivocabilmente, possa essere contraddetta in extremis da una nuova consapevolezza: quella che il personaggio interpretato dai James Franco riesce a intravedere, ma solo nelle ultime scene, e che non si tratti invece di uno zuccherino messo a bella posta per mandare a casa lo spettatore con meno nuvolosi presagi sul futuro.

     

     

    (Valerio Vannini)

     

     

    Un post di Stefano Falotico

     

    “Dark Shadows”, il Trailer


    16 Mar

     

    Anticipato da un countdown interminabile, Ellen DeGeneres ha presentato in anteprima il trailer del nuovo Burton.

     

    Adesso, anche disponibile sul canale ufficiale del film.

     

    Simpatica Donna, Ellen, infatti, merita la sua “anteprima”, e poi ci “warnesbrosizziamo” in HD…

     

     

     

     

    Eh sì, la stranezza è relativa.
    E, ogni famiglia ha i suoi demoni…

     
    (Stefano Falotico)

    Genius-Pop

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