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VENEZIA 76: Waiting for the Barbarians, il qui onnipresente, in passato inesistente Stefano Falotico, ovvero il Principe della notte, vi parla di Johnny Depp, uomo che mai andrà a…


06 Sep

depp barbarians

m… tte.

Amici, ci fu un tempo in cui mi seppellii vivo come Johnny Depp di Dark Shadows. Vissi sepolto nel mio sarcofago ambulante, cazzeggiando di notte in modo delirante, chiuso ermeticamente nel mio mutismo solo a tratti farneticante o, per meglio dire, nel mio afasico esprimermi a mugugni e poi a detonare chiassoso in urla strepitanti.

Invece ora mugolo corposamente e più sentitamente, sì, il mio respiro potete udire sempre più crescente, impetuoso, caldamente stuzzicante per la donna verso cui da un po’ nutro quel sentimento irrazionale definito banalmente amore scaldante, dunque anche rinfrescante.

Poiché, quando l’uomo è innamorato, il caldo si fa asfissiante e devi prendere una boccata d’aria affinché non ti vada il sangue al cervello ma soprattutto nei corpi cavernosi dei vasi dilatatori.

Sì, dopo tanti anni da cavernicolo con l’aspetto cadaverico, ora risento il flusso di qualcosa d’amorevolmente fluido… che sta uscendo.

Insomma, già fuoriuscì, poi ancora si rintanò, calmo si placò, dunque auto-inchiappettandomi da solo entrò ove oppostamente è ubicato nella zona simmetricamente adiacente didietro o davanti. Dipende da cosa intendete.

L’amore è qualcosa di troppo indefinibile, appunto, per poter essere circoscritto a una definizione e una parola sola. Spesso è inculante.

Sì, non possiamo circoscriverlo e non possiamo darne un significato conciso anche se siamo uomini circoncisi o uomini soltanto da circo come Joker.

Sì, avverto dalle profondità del mio cuore il ripulsare entusiasta di ormoni in burrasca come le maree veneziane e sto agognando, da un paio di settimane a questa parte, una donna fantastica, captando emozioni piuttosto forti verso la mia prescelta. Donna assai bella totalmente in linea, dunque appaiabile col mio uomo pindarico, fantasioso, non sempre elegante ma intattamente galante.

Spero di esserle appagabile.

Voi invece le pagate e pure male le palpate. Fate schifo a u’ caz’.

Son io invece uomo che fa gola a molte poiché incarno il fascino alla Johnny Depp ma che, come Johnny, è estremamente selettivo. Poiché io tantissimo ne adocchio ma non andrò mai con la prima che capita poiché potrebbe rivelarsi una che, dopo aver giaciuto con me in una notte semmai pure focosa e d’ardimento reciproco assai prepotente, dolcemente duro, sanamente violento in quanto, congiungendoci carnalmente, io e lei ne god(r)emmo squisitamente in maniera delicatamente irruenta, fremendo incandescenti sin al culmine dell’orgasmo vicendevole nell’esplodente esser assieme poi rilassati e, dopo tanto accaldarci, scioltamente sudati, ecco… scusate, mi son lasciato assalire dall’eccitazione e ho smarrito la retta via di tale periodo, non solo sintattico e grammaticale, romanticamente animale, dicevo…

Sì, c’è una donna che sto infinitamente bramando sin da quando mi recai al Festival di Venezia e nel mio albergo alloggiai. Da quelle notti mie passionali d’amore (in)confessabile, la mia vita albeggiò.

Da allora, cioè dalla scorsa settimana, io e lei chattiamo infuocatamente ed entrambi proviamo immani desideri viscerali.

Tant’è che i nostri rispettivi cellulari non ci stanno più dentro.

Non invidiatemi, lei è veramente una donna entusiasmante. Mi riesce difficile a volte anche parlarle tramite i vocali in quanto, essendo talmente preso dal mio furioso, lussurioso, magicamente armonioso sentimento iper-caloroso, non vorrei che trasparisse da parte mia qualcosa d’assai incontenibile e troppo precipitoso.

Mi trema la voce nel parlarle ma lei adora la musica emessa dalle mie corde vocali. La mia voce lei reputa roca e stimolante. Dunque, a lei traspare soltanto che quando io vedo le sue foto coi vestiti trasparenti, cazzo, odo stormir fra queste piante, no, non è L’infinito di Leopardi, odo fremere fra le mie gambe qualcosa di poco metafisico che m’incita a essere ottimista cosmico.

Ho sempre la paura di scadere nel ridicolo, di risultarle imbarazzante e tragicomico. Ma lei, a quanto pare, va matta di me ed è entusiasta del mio candore virilmente, in tal caso, poco vile.

Insomma, ci piacciamo, ci dissanguiamo di calori a pelle istintivamente irrefrenabili.

Per lei sono stupendo, per me lei di più.

Credo che farem(m)o una magnifica coppia come Johnny Depp e Winona Ryder dei tempi d’oro, prima che Winona s’imbruttisse e ancor più di come già magra fu, cazzo, anoressica adesso patisce il fegato amaro d’essere stata pressoché abbandonata, a eccezione fatta di Stranger Things, dalla Hollywood che conta e che approda a Venezia.

Sì, Depp e Winona all’epoca furono al top e lei fu eppur mai più sarà un’immane, incommensurabile topolona.

Poi, Depp stette pure con Amber Heard, obiettivamente un troione e non messa neanche benissimo a tette. Cosicché il Depp molto del suo fascino da tenebroso raffinato perse inevitabilmente. Poiché ad Amber volle essere hard ma in quei mesi con lei, eh sì, Johnny ingrassò pure come un porco. Diventando flaccido non solo nella panza ma soprattutto nella sua attoriale arte andata a puttane.

Divenuta allora debosciata.

Come si suol dire, all’epoca fu bolso e impresentabile.

L’ultima volta che Depp venne… a Venezia fu infatti per Black Mass. Guardate questa foto e poi ditemi se ho torto.

Visto che panzerotto che è qui il Depp?

Sì, in questa foto sembra me quando assumevo troppe gocce di Valium e anti-depressivi pesanti.

Mi cambiarono il metabolismo.

Adesso tutto è tornato a posto.

Sì, proprio tutto.

Se non mi credete, non credetemi.

Lei lo sa…

Poiché son uomo che alla quantità preferisce la qualità. Oh, se con lei male andrà, ancora nella notte sparirò con charme da Joker e irresistibile maestosità.

Ah ah.

Ricordate: sono Il Falò delle vanità.

E di notte i falò vanno accesi non dalle lucciole, miei cuccioli, bensì dalle mie lisce coccole lontane dai gelosi e dalle merde, dette eufemisticamente caccole.

Black+Mass+Premiere+72nd+Venice+Film+Festival+TwFvrg4moZzl

di Stefano Falotico

Venezia 76: Roman Polanski vincerà il suo primo, sospirato Leone d’oro dopo le polemiche della presidentessa Martel?


05 Sep

polanski accuse

accusepolanskiAllora, plachiamo gli entusiasmi. I ragazzi infervorati e arrapati dietro le transenne non si scaldino. Va bene, Emmanuelle Seigner ha ancora un seno gioioso come in Luna di fiele ma non mi pare il caso di sovreccitarsi in modo così focoso.

Neanche se aveste visto la moglie di Louis Garrel, ovvero Laetitia Casta. Ah ah.

Allora, qui per fermare tutto questo chiassoso isterismo, questo volgarismo di massa bifolca, occorrerebbe un uomo come Dujardin, sì, The Artist.

Siamo stanchi di questa società impietosamente cinica e Joker/Joaquin Phoenix lo sa.

Non è populismo il nostro, bensì la presa di coscienza che questa società improntata al culto dell’immagine ove le donne, da oggetti sessuali mai davvero ribellatesi al maschilismo da sempre imperante, espongono soltanto la mercanzia del sodo culo, affidandosi poi al movimento femminista MeToo quando non incontrano un produttore come Jules Jordan, uno che non produrrà mai un film altamente fine e delicatissimo come Il pianista, film capolavoro per il quale Polanski vinse il suo unico Oscar come regista.

Sì, Lucrecia Martel la sparò davvero grossa in conferenza stampa, affermando senza battere ciglio che non avrebbe mai presenziato alla serata di gala in onore del maestro.

Poiché, come sappiamo tutti, malgrado mi paia osceno rimarcarlo, su Polanski sempre pendette e ancora vige un’accusa di stupro per cui non fu davvero condannato al carcere, alla giusta punizione e alla sacrosanta ammenda.

Ma è poi così? La stessa vittima della violenza sessuale ricevuta da Polanski che, peraltro, in quella serata si trovò in stato di fortissima infermità mentale per via del fatto che assunse potenti stupefacenti distorsivi, pubblicamente riconobbe che in un certo senso Polanski la sua condanna, anche bella tosta, già ricevette. Poiché subì la totale estradizione e fu confinato in Francia.

Per tale ragione, non lo si vide in passerella in laguna assieme a sua moglie, ottima passerona, ripetiamolo a scanso di equivoci. Detta come va detta, Emmanuelle è bona forte. Luca Barbareschi lo sa. Per questo è amico di Polanski e co-produttore di questo suo ultimo film magnifico. Poiché Luca spera che, durante una notte plumbea come le atmosfere cupe filmate da Roman, lo stesso Roman si assenti, lasciandolo solo Luca con Emmanuelle.

Sì, Luca è un grande bluff. Sa come farsi nuovi amici, come tenerseli buoni per arrivare, come sempre, alla bontà.

Nel 1994, Polanski lo diresse nella riduzione dello spettacolo teatrale Amadeus.

Ma per l’amor di dio. Luca, ricordiamolo, è uomo che viene da Via Montenapoleone, insomma un ricco volpone che fa il cascamorto alla Riccardo Cocciante, cantando a Carol Alt l’intramontabile Margherita.

Ah ah.

Roman, se ci sei, batti un colpo. Io, se fossi in te, non mi fiderei di questo Barbareschi. Questo è più infido dei vicini di casa di Mia Farrow e John Cassavetes di Rosemary’s Baby. Fidati…

Infatti, Luca interpretò anche il film Tv La tenda nera ove non la raccontò affatto giusta a Valeria Cavalli.

Ah, ebbi la fissa per Valeria, a quei tempi era una stra-figa mai vista. E il mio cavallo s’imbizzarrì quando nel film Il caso martello, a pochi minuti dall’’inizio, ha una scena di sesso in cui non viene cavalcata ma è comunque avvinghiante, di cosce avvolgenti, nella sua missionaria travolgente.

Sì, signore e signori, possiamo ribattezzare questa causa come Il caso Martel!

Scusate, ci fu anche Il caso Mattei e Lucrecia è la versione argentina di Borgia Lucrezia!

Diciamocela!

Il fatto che, in quella notte in cui Polanski violentò la tredicenne Samantha Geimer, il nostro accusato fosse drogato, dunque il suo stato cognitivo della realtà fosse profondamente alterato, anzi adulterato, certamente non lo giustifica né lo assolve dal suo gesto vigliacco e lercio.

Ma c’è un ma che non possiamo sottovalutare, signori della corte.

Vi prego d’ascoltare con molta attenzione la mia arringa in difesa di questo genio indiscutibile della Settima Arte.

Non possiamo giudicare i suoi capolavori sulla base delle sue oscure vicissitudini personali. L’arte ha ben poco a che spartire col cinema a luci rosse dei suoi cazzi privati. Anche se c’è un SE che poi sottolineerò in tale mia spregiudicata, infoiata predica oratoria.

Mi concentrerò, in tale mia linea difensiva, su alcuni aspetti precipui che, alla luce dei fatti da me esposti, evidenzieranno come il mio assistito già patì la sua pena, dettata da quel che fu un momentaneo “colpo di testa” del suo surriscaldato p… e. Ci siamo capiti…

Andiamo avanti, orbene. Non dobbiamo essere orbi ma valutare, con lucida obiettività, la sua poetica. Senza lasciarci ammorbare dai nostri culturali retroterra di natura pregiudizievole che, per l’appunto, potrebbero compromettere la nostra integerrima oggettività decisa e ferma.

Polanski, a tutt’oggi, non può mettere piede al di là dei francesi confini, dunque non può oltrepassare il limite della linea di demarcazione che separa la Francia dal resto del mondo.

Naturalizzato, infatti, francese, non si può assolutamente spostare per trasferte estere, cioè in terre straniere alla sua. Altrimenti, dopo 5 minuti scatta l’allarme dei massimi organi preposti alla sua libertà vigilata assai particolare da sorvegliato speciale e la polizia lo può acchiappare e sbattere dentro, gettando pure ogni chiave di qualsivoglia lucchetto.

Quest’uomo, in sua discolpa, per redimersi dall’esecrabile suo atto lussurioso, infame e vizioso, girò tremila capolavori.

Perdonando anche la setta di Charles Manson che nei confronti della sua ex moglie, Sharon Tate, compì un abominio ben peggiore del suo veniale vizietto…

Quest’uomo che fu soltanto scandalosamente una sola volta Palma d’oro a Cannes, proprio per Il pianista, mentre per tutti gli altri suoi film monumentali dai premi vari e dagli Academy non fu cagato di striscio, ci regalò, qui in Concorso a Venezia, un’opera che non piacque soltanto a quegli idioti dei critici americani.

L’ufficiale e la spia è un masterpiece cattivissimo.

Deve vincere qua a Venezia.

Lucrecia Martel non deve però premiarlo alla stessa maniera di Mahmood a Sanremo. Cioè onorarlo per azzittire le polemiche da lei stessa scatenate.

Altrimenti, Lucrecia bella, premi Joker e buona vita a tutti.

Sì, come si suol dire, uno vale l’altro. Sono entrambi dei j’accuse.

Io propenderei per il Leone d’oro ex aequo sia al film di Polanski che al film di Phillips con Phoenix.

Se invece questa giuria del cazzo vorrà premiare Noah Baumbach, sapete che vi dico?

Andate a dar via il cul’.

Applauso!

 

di Stefano Falotico

Una lieve rimembranza della mia Venezia 76 da JOKER, fratello di Batman, eh sì, quanti amici veri lontani da ogni stupida, prosopopeica arroganza


01 Sep

joker 5 joker 4 joker 3 joker 2 joker joker 6

Eh sì, son rientrato a Bologna dopo il mio breve viaggio in quel di Venezia. Ove, nella calle Sotoportego del Pistor, stazionai in un albergo affitta-stanze. In cui condivisi il cucinotto e il soggiorno con due coppie più anziane d’ordinanza che, allegramente, prepararono pranzetti e cenette mentre io, nella mia stanza, scrissi le recensioni dei film che vidi in laguna in tutta calma riflessiva e poi con frenesia inquieta e abrasiva in perfetta linea col mio stile incendiario, dinamitardo, quasi psicotico, a tratti armonico e atomico, nuovamente fulgido e barocco.

La mia prosa, così come il mio acquatico pensiero profumato d’immacolato lindore e ancora superbo, intangibile, giammai appunto annacquato candore, viene sempre più apprezzata e mi dà gusto premere l’inchiostro delle mie tempie, scandendolo a piacimento di come io stesso riavvolgo furentemente il tempo fra elucubrazioni futile delle mie trascorse sparizioni talmente melanconiche da sposarsi quasi alle pompe funebri. Eh sì, più e più volte durante le mie passate, disarmanti solitudini annali e ancestrali, negli interstizi fugaci delle mie viltà tremende, difatti meditai il suicidio per debellare ogni mal di vivere per cui, in questa vita fra il dire e il fare nella quale mai si nuota felicemente in uno spensierato, solare mare, soventemente s’affoga nella tristizia di pleniluni torbidi in cui irosi alle stelle si ulula.

Ma, sebbene spesso afflitto da profonde nevrosi, incendiato dalle mie inespresse passioni così romantiche d’apparire, agli occhi dei superficiali, soltanto addirittura come stolta ritrosia e paura d’amare ignobile, interpretate cioè come egocentrismo e insopportabile, perfino disgustosa vanità odiosa, malgrado spesso andò a farsi fottere la mia spontanea ilarità pindarica e giocosa, in quanto castigata nella prigionia psicologica dei miei ancestrali timori quasi da lebbroso, ancora sogno poiché immutabilmente resto (in)fermo al mio timone, io sono il capitano coraggioso del mio vascello ed ectoplasmatico pian piano plano non solo sugli oceani delle mie mille perdizioni, dei miei tormentosi e pietistici lamenti, bensì, orsù miei prodi, le montagne più vostre aride valico e navigo nella vastità spaziale di risplendenti, soavi aurore in cui la mia poesia si fa magnifica e aulica.

Or innamorandomi di ogni nuova donna a ogni ora, ripudiando le vostre squallide orge, fulminato dalla folgorazione della mia ritrovata illuminazione sempre intonsa.

Sì, fui enfant prodige. Poi, poco prodigo e nascostomi nel vuoto cosmico, talvolta addirittura tragicomico, m’inabissai assai poco prodigiosamente in un’esistenza davvero remota dall’essere nitidamente splendente e ariosa. Invero fu solamente desertica e tenebrosa. Enigmatica, auto-crocifissa, penosa o soltanto innocentemente pensierosa.

Sì, in passato apparsi come deficiente, lo ammetto e ne sono (s)contento. In quanto non rinnego nessun mio turbamento, fonte battesimale per risorgere a una migliore, riscattata coscienza abissale. Vivendo nell’eterno, magnifico illanguidimento.

Quanti incontri avvennero in questo Lido fuggente, rifulgente nello splendore mi(s)tico del mio imperscrutabile firmamento.

Mi commossi la sera in cui, prima di fare la fila davanti alla Sala Perla per vedere 5 è il numero perfetto, nell’atrio del Palazzo del Casinò, fui salutato come maestro da Fabrizio Ciavoni, da Riccardo Cozzari e da Matteo Arcamone, ragazzi giovanissimi nel cuore ma già enormi signori, capaci di gesti calorosi e sentitamente autentici.

Mi strinsero a sé, come fratelli di sangue m’abbracciarono e ogni mia lacrima amara sparì in uno stupendo istante dolce e graziosamente fragrante.

E che dire di Raffaele Mussini, anche lui scrittore, appassionatissimo cinefilo e mio collega redattore su Daruma View Cinema?

M’aspettò trepidamente dirimpetto al red carpet del Palazzo del Cinema durante la prima mattina di questo mio speciale Festival da accreditato stampa.

M’offrì anche la colazione e assieme vedemmo il film d’apertura, La verità. Atto d’amore viscerale nei confronti di un mito intramontabile del Cinema francese più elegante e mondiale, la strepitosa Catherine Deneuve, donna che, nonostante la non più florida età, rimane invincibilmente affascinante in quanto dotata d’una innata classe inarrivabile perennemente intatta. Per l’occasione affiancata dall’ancora bellissima Juliette Binoche. Gran figa che, diciamocelo, malgrado qualche ruga, io scoperei a novanta.

Anche in tal caso mi commossi quando una delle più grandi dive di tutti i tempi, ovvero la Deneuve, invecchiata, appesantita, stanca e disillusa, camminò immalinconita lungo una strada plumbea ai primi battiti dell’alba assieme al suo cane.

Una scena meravigliosa.

No, La verità, a dire il vero, non è un grande film ma ha due tre momenti davvero belli.

Così come, appunto, 5 è il numero perfetto.

Questa sua Napoli fangosa, acquitrinosa ove, nell’incipit, il grande Toni Servillo sembra la versione partenopea di Sam/De Niro di Ronin, mi ricordò il paese natio dei mie genitori in cui vive tutt’ora molta gente semplice, persino arretrata e sbagliata, forse pure criminosa e acrimoniosa, gente che spende migliaia di Euro per un abito da sposa ma ove le donne poi sono trattate dai violenti mariti non tanto coi petali di rosa.

Un posto però lontano dal tempo, immerso nei miei inestinguibili, inestirpabili ricordi cangevoli, delicatamente sinceri.

Ed ecco che ricordo qui ora di nuovo Ciavoni. Ci sentimmo su Messenger alla sera della vigilia del Festival. Poi, nel pomeriggio successivo, tramite vocali su WhatsApp, lui m’invitò a raggiungerlo allHotel Excelsior:

– Ste, che fai in camera? Siamo all’Excelsior. Vienici a trovare. Oh, dai che ci scattiamo una foto con Johansson Scarlett.

– No, non mi va.

– Offes’ – lui sapidamente rispose.

– Offes’ per cosa sta? Mi dai del fesso perché non vengo o sei offeso?

– Entrambe.

 

E ridemmo platealmente entrambi.

Mi deluse terribilmente invece Ad Astra, la storia di un uomo più pazzo di suo padre che vuole scoprire il mistero della vita ma alla fine diventa Nicolas Cage di The Family Man.

Con Liv Tyler, una non più sexy come un tempo ma a cui una botta darei senza sconti e ripensamenti, ex figlia di Bruce Willis di Armageddon e del suo vero padre, Steven, il cantante degli Aerosmith che, per questa balla spaziale di Michael Bay, compose però un pezzo, diciamocelo, epocale: I Don’t Wanna Miss a Thing.

Sì, Liv Tyler preferì a Io ballo da sola Brad Pitt… grazie a u’ cazz’, come direbbe Carlo Buccirosso di 5 è il numero perfetto.

Ah ah.

Quindi il caso Dreyfus che potremmo ribattezzare il caso Falotico. La storia di un’amicizia straordinaria ove un uomo capì che fu eseguito, per comodità istituzionale, un immane errore giudiziario e venne commessa un’ingiustizia mostruosa di proporzioni spropositate, tesa a difendere le bugie e un mondo orrendamente meritocratico per cui ancora avvengono tristissimi insabbiamenti.

Ed è per questo che Joker è veramente un capolavoro.

Soprattutto quando Arthur Fleck, stanco di pentirsi, di venire mortificato e umiliato, non vuole più fare il bravo bambino, non ha più alcuna voglia di redimersi.

Cosicché, senza falsità, senza inutili, controproducenti, afflittivi piagnistei, vomita tutta la sua potenza, diventando l’angelo diabolico più forte e potente.

Non fu lui a sbagliare, bensì l’arroganza di un mondo di uomini apparentemente probi e perfetti, invero assai cattivi e bugiardi, laidi e maiali.

Al che Arthur diventò il più cattivo, il più cattivo di tutti.

Dunque il più amato poiché tremendamente puro e vero.

Ebbene, miei amici, io sono il padrone del mio destino, l’intrepido, imbattibile condottiero di questo viaggio a prua del mio poetico veliero.

 

di Stefano Falotico

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