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Christian Iansante e Luca Ward? Opterei per un Falò con fascino da Ermal Meta – Presto, La leggenda dei lucenti temerari, libro cinematografico


15 Oct

Purtroppo, questa è la mia faccia.

Dico purtroppo. Mi sarebbe piaciuto essere molto brutto. Sì, non avrei sofferto. Prevedo infatti un bombardamento di cattiverie mai viste.
Oltre a quelle già ricevute.121615228_949600978862336_6049428251979352116_n

Ma guarda un po’…

Non avrei mai pensato di avere una voce da doppiatore.

Intanto, vengo giustamente corretto per aver scritto erroneamente Massimo al posto di Carlo Mazzacurati nella mia recensione di Caro diario. L’errore, anzi, il refuso ci sta. Basta avvedersene.

Peraltro, Robert De Niro in Red Lights vuol dar a vedere di essere cieco ma è cieco invece Cillian Murphy a non accorgersi di essere sensitivo quanto me. Ah ah.

Sì, va detto. Chris Walken de La zona morta mi fa un baffo.

Ora, se la bellissima Silvia Notargiacomo stette con Ermal Meta, io sono Nic Cage di Cuore selvaggio.

Credo che, in quanto a pazzie amorose, possa battere sia Adriano Celentano di Innamorato pazzo che lo stesso Cage di Stregata dalla luna.

La mia lei sostiene di essersi innamorata di me dopo avermi sentito parlare. Io m’innamorai di lei dopo averla vista…

So che vorreste non fosse vero. Invece, è roba da Verissimo…

Sì, va detto. Sono un “ignobile” bugiardo mai visto. Non per quanto concerni la mia love story, bensì perché sono più bello di Mickey Rourke ed Enrique Iglesias.

Va be’, diciamo di Mickey Rourke di oggi senza dubbio. Ah ah.

No, sono un bugiardo quando mi do dell’ignorante da solo.

Fra pochissimo, il signor Falotico si presenterà in libreria con un romanzo intitolato La leggenda dei lucenti temerari.

La postfazione è stata curata da un mio amico, D. Stanzione, critico di Best Movie.

Vi faccio qui leggere in anteprima assoluta sia la sua postfazione che la prefazione curatami dall’editor.

Le altre 260 pagine sono tutte mie.

Prefazione

Strutturata come un vertiginoso flusso di coscienza, La leggenda dei lucenti temerari somiglia a un lungo sogno lucido, in cui si fondono citazioni cinematografiche e letterarie, ritratti di sensuali figure femminili, suggerite con poche pennellate vibranti e soffuse di un erotismo a tratti crudo e angosciato.

Il linguaggio si inerpica tra vocaboli ricercati e forme arcaiche per poi scivolare in picchiata verso un registro più colloquiale e brutale.

Al filo logico del discorso si privilegia la musicalità della frase, il giocare con le parole spezzandole, creandone di nuove o esasperandone il senso.

È un periodare irregolare e inafferrabile, che bombarda il lettore di immagini e lo trascina su una sorta di ottovolante emotivo.

Chi è il “lucente temerario”?

Non è semplice decifrarlo, a meno che non si accetti di essere travolti dalla voce narrante, che nel corso dell’opera sceglie diversi alter ego per farsi rappresentare, che si tratti del personaggio di un film o di un romanzo.

Una voce, quindi, multiforme ma al contempo sempre coerente con se stessa.

Emerge in modo prepotente un’invettiva nei confronti di un certo tipo di umanità, intrisa di valori borghesi e percepita come ipocrita e repressiva.

Il “lucente temerario” sembra essere consapevole della sua condizione di outsider, di freak, ma non ha nessuna intenzione di scendere a compromessi o di occultare la sua natura.

A un certo punto il narratore si definisce: «Solo, solissimo, eterno e non so dove».

La solitudine talvolta è una condizione inevitabile ed è palpabile anche negli intermezzi erotici, nei lunghi monologhi simili a lettere aperte che il narratore rivolge alle donne che ammira, desidera ma con le quali non sempre riesce a stabilire il “discorso amoroso” ideale.

«Che cos’è la vita se non un girarci attorno, negli orli folli e anche oscuri di amori smidollati?»

Lo slancio vitalistico, adolescenziale, verso il sesso è una sorta di antidoto a un modo di vivere che mette al primo posto il denaro, il successo, l’apparire e che non consente all’individuo di essere libero nella sua diversità.

Alle maschere imposte da una società che identifica l’individuo con la sua posizione lavorativa, il ruolo che gli è stato cucito addosso e non con la sua interiorità, si contrappone la maschera del personaggio cinematografico.

A volte è il guascone da film d’azione, altre volte una scheggia impazzita di una pellicola di Lynch, oppure un ibrido tra Rocky Balboa, il “perdente” animato da un fortissimo desiderio di riscatto, Dracula e il Cappellaio Matto.

A conclusione di questo percorso allucinato e onirico, il “lucente temerario” non è più solo, ha trovato altri individui che vivono la sua stessa sorte e l’io narrante solitario diventa un “Noi” e il monologo si fa proclama e manifesto di una condizione umana.

«Il vivere per piacerci, non per il “piacere” d’un clero ammansito».

Questo è, se non il fulcro, uno dei perni principali del loro pensiero.

Un inno alla libertà individuale, insomma: dionisiaco, enigmatico e tortuoso, ma non privo di un velo di crepuscolare tristezza.

Postfazione

Al cospetto dello stile de La leggenda dei lucenti letterari è legittimo rimanere sbigottiti e tramortiti, come se si viaggiasse dentro un incubo nottambulo in cui i confini dell’immaginazione e della supposta realtà si logorano, sfibrano e frustrano vicendevolmente.

Tutta la letteratura barocca è stata sempre condizionata dal bisogno di fantasticare, di azzardare slittamenti progressivi del piacere per non affondare nelle paludi del già visto e del già noto, di inseguire la bizzarria fantasiosa ed esagerata per esaltare il potere generativo ed eccessivo della follia che cova sotto la superficie di ogni fragile, rassicurante e infingardo ordine sociale.

In un momento storico in cui quasi tutti ci crediamo eccezionali anche senza particolari meriti, e strepitiamo per fare sentire la nostra voce, la prosa di Stefano Falotico tenta un’altra via, più rischiosa e più ardita: si ritaglia un cantuccio sincero e insanguinato, non mira alla comunicazione diretta e immediata, alla leggibilità veloce e istantanea in barba alla complessità, ma si affida al potere vorticoso fascinoso di un turbinio di evocazioni da smembrare, poi ricostruire, con un coraggio autolesionista che è insieme balsamo di libertà e senso di dannazione autodistruttiva che si tocca con mano lungo tutto il testo.

Casualmente, la citazione di Emily Dickinson che apre il libro, «Non conosco nulla al mondo che abbia tanto potere quanto la parola. A volte ne scrivo una, e la guardo, fino a quando non comincia a splendere», è in perfetta sintonia con la dichiarazione d’intenti – lucente, letteraria, temeraria – di un testo che si consegna senza paraurti, indifeso e incandescente, ai sensi delle parole e alle parole dei sensi, come una lama elettrificata e ancora rovente che affonda nella nuda pelle della percezione delle lettere, riga dopo riga, ma soprattutto spasmo dopo spasmo.

Un gesto eversivo nel senso più antico e piacevolmente desueto del termine, di anarchia fuori dal suo tempo e dalle mode, che tiene insieme gli inciampi più vergognosi e inconfessabili dell’erotismo maschile, i tradimenti degli ideali e delle norme, il candore luciferino di un confessionale privato dove ogni nevrosi e angoscia può trovare asilo, in una sorta di porto franco marchiato a fuoco dai demoni dell’insonnia.

Con, a fare da collante, in filigrana ma forse spudoratamente in primo piano, la forza sotterranea e salvifica del cinema e della letteratura che, in una sorta di mostruosa ma benefica simbiosi mitologica a chissà quante teste, si nutrono di isolamento e disagio e lo risputano sotto forma di carne viva, tremante e oscena.

Davide Stanzione*

*Fondatore e redattore del dizionario di cinema online LongTale, è critico cinematografico e firma del mensile di cinema Best Movie e collaboratore del sito di cinema The HotCorn Italia.

Dal 2018 è selezionatore del Sulmona Film Festival.

 

Ecco a voi il trasformista. Folle alla miglior Cage, deniriano. Completamente fuori.

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Una settimana intensa: Van Damme, Celentano e la vendemmia, Conte e il Covid-19, la Meloni e Voci.fm, un altro libro, amore immenso, rapimenti, ostaggi, detenzioni, divieti, proibizioni e L’Impero della mente!


28 Apr

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95189656_10216376438106409_3288884040274280448_oOddio, non si capisce più nulla.

La gente fu colta… dal panico più totale. Anche le persone più colte, coloro che presupponemmo, ah sì, che fossero più preparate ad affrontare il Coronavirus schiacciante, mortale, inarrestabile e deprimente, furono assalite da crisi simili a quelle patite da Paul Vitti/Bob De Niro di Un boss sotto stress.

Le persone anziane passarono dall’Aerosol e dall’essere sempre più sole, eh sì, a non poter andare neppure al circolo Arci per poter giocare a briscola o a scopa.

I giovani, castrati e castigati, in casa segregati come animali, asfissiando fra tenebrose pareti domestiche angustianti e, per l’appunto, soffocanti, dopo aver creduto erroneamente, soprattutto gli studenti, di aver anticipato le vacanze, furono sottoposti a nevrosi peggiori di quelle che accadono, per la tremarella, prima dell’esame di Maturità. Vai di sciolte, di diarree e di grida incontinenti, no, di estenuanti deliri incontenibili, paragonabili alla nenia più insopportabile di Roberto Saviano. Autore di Gomorra, sempre sotto scorta ma, da circa vent’anni a questa parte, più ripetitivo di Conte. Il quale, con aplomb imperturbabile e calma olimpica, va detto, assai invidiabile o solamente inconsapevole dei danni, non tanto economici, bensì emotivi, la prende con filosofia, incitando la gente a rimboccarsi le maniche. Che stile!

Promettendo che dal 1 Giugno riapriranno i barbieri ma intanto avremo perso tutti i capelli. Persino un tronista della De Filippi, con tanto di toupet de no’ altri, malgrado il suo robusto, pilifero impianto, comincia adesso ad avere dei devastanti rimpianti. Poiché la sua bellezza da modello per parrucchiere, eh sì, non può essere accarezzata da Rosanna, ragazza un po’ troppo da rosario, eh sì, immancabile frequentatrice della parrocchia, essendo parruccona bigotta con bigodini e tanti psicologici nodini, sì, doppie punte da sciogliere col balsamo, a cui però piace lui, sì. Che di nome di battesimo fa Salame. Presto lui e lei si sarebbero dovuti sposare di Grande amore da Il volo. Lei, sconfiggendo con la sua purezza acqua e sapone tutte le altre pretendenti strafighe e forse sciampiste, probabilmente solo sciapite, gli chiese la mano ma ora è chiusa pure la chiesa.

Ah ah.

Una prova nella prova, una signora riguardò annoiatamente una vecchia puntata de La piovra.

La gente perse la speranza. Quella che giammai smarrì Rutger Hauer in Ladyhawke. La gente non crede oramai più che rivedrà la luce di giornate solari. Cosicché, dandosi alla cinefilia un po’ complottistica o forse tragicamente realistica, riguarda sino allo sfinimento, assai sfinita, La città verrà distrutta dall’alba o E Venne il giorno.

Un mio amico mi consigliò di guardare il misconosciuto, premonitore, seguente film.

Giorgia Meloni approfittò della situazione per fare campagna elettorale, strumentalizzando non poco l’immane disagio creato dal Covid-19 per un populismo peggiore del Movimento 5 Stelle da Cetto La Qualunque.

Salvini non dà più la colpa ad Albanese, no, agli albanesi. Mentre Sabrina Ferilli, oggi come oggi, si sognerebbe di reclamizzare Poltronesofà.

Chi si fa ‘sto sofa? Scritto in francese senza accento da salottiera burina.

I ristoranti quando serviranno a Verdone Carlo un po’ di bucatini? E, coi suoi amici, Carletto pagherà alla romana? O, al posto suo, lo farà Alvaro Vitali/Pierino che la butterà in vacca dinanzi a non aver fatto bene con l’oste il conto?

Ah ah.

Eh sì, forse Conte fece male i conti… Ma Sergio Leone fu amico di Verdone anche se Carlo e Sergio si conobbero dopo Per qualche dollaro in più…

Intanto, Sara di Antonello Venditti non può incontrare nemmeno Jep Gambardella de La grande bellezza.

Mentre Ferrari Isabella non può andare in giro per la Capitale con la sua Mercedes.

Un sacco bello, un cazzo! Mah, mangiamo un Saccottino e non crediamo più alle famiglie perfette da Mulino Bianco. Meglio la trattoria vicino casa mia, Il Mulino Bruciato.

La mia prima ragazza fu di Trieste e conobbi anche due tizi di Este. Questa ragazza non fu giammai una mula, come si suol dire da quelle parti, ma bruciò solo con me, forse un po’ asino o stallone più dotato di un mulatto. Per quanto riguarda i miei due ex… compagni di Este, secondo me uno dei due si sverginò con una dell’Est.

Ah ah, oddio, fermatemi. Le sparo grosse. Ma che dico? Grossissime! Non potete spezzarle/mi con un grissino torinese!

Di mio, conservo un certo fascino cazzuto e un po’ cazzone alla Jean-Claude Van Damme recuperato o forse da bisbetico domato à la Celentano Adriano. Che, a mio avviso, eccome se andrebbe rivalutato.

In questa settimana, finii un libro totalmente alla mia amata dedicato.

Che mi crediate o no, a parte gli scherzi, è un capolavoro romanticamente infuocato da erudito, imbattibile letterato.

Pre-acquistai anche il Blu-ray in Limited Edition di Inland Empire, dunque per il mio cortile camminai con aria allampanata dopo una vita strampalata a guardare solo la tv come chi segue i conigli… del Presidente del Consiglio.

Tempo fa, Voci.fm propose ai suoi iscritti, per l’appunto, di dare il buon esempio e ottimi consigli.

Improvvisai, pensando che non sarei stato selezionato. Parlai di rime baciate ma, al solito, gigioneggiai un po’.

Tyler Rake è un bel film. Poi, sapete che vi dico?

Ben Affleck, in Tornare a vincere, è inaspettatamente da premio Oscar.

Sì, sono un po’ melodrammatico ma fa parte di me.

La dovremmo anche finire con post che oramai fanno ridere solo i polli.

In effetti, molta gente non sa usare i congiuntivi, altri hanno la congiuntivite, alcuni pure la meningite ma perché si scrive con l’accento così… Vi pare una domanda retorica?

Quindi, vedete di non rompere i coglioni, altrimenti potrei diventare uno strano incrocio fra Rambo, John Wick e Chris Hemsworth. Ora, se è vero il detto… fra due litiganti, il terzo gode, di mio me ne fotto. Mi trastullo, recito la parte del grullo, non do retta né a Beppe Grillo né a quello parlante di Pinocchio.

Se volete due sberle, ve ne posso dare una e basta. La sberla migliore la prendo io.

di Stefano Falotico

Il Falò, alias Joker Marino, d’ugola come quella di Jim Morrison, augura a tutti buon Natale in quanto da poche ore iscrittosi a Voci FM ed evviva il Cinema della sua musica del cuore!


23 Dec

voci fm

 

Cliccate a questo link e v’incarnerete, incanalerete nella spasmodica vocalità di un uomo ai confini dell’irrealtà. Se siete incancreniti, oh, fratelli della congrega, grazie al Falò voi v’incanterete.

Il Falò possiede una voce melodiosa che, grazie alle sue morbide, carezzevoli, fluenti tonalità sfumatamente vertiginose e avvolgenti, leggerà squisitamente per voi i testi scritti dalle migliori teste più coraggiose e ardimentose, poetiche e deliziose.

Testé, tosto e con ottimo gusto, cioè taste, inspirando e ispirato, di diaframma respirante ritmi poliedrici del suo vivente diapason, il Falò si presenta al grande pubblico con la sua cangevole voce ora candida ora romantica, quindi aromatica, dunque frenetica e nuovamente pacata.

Egli sfiora il plettro della sua anima come il grande Elvis Presley, modulando poi cambi di frequenza anche rochi oppure rock da Jim Morrison reincarnatosi nella bellezza stoica del suo essere già storico.

Lontano dai canti e dai cani, soprattutto, remoto da chi non canta mai fuori dal coro ed è oramai immoto o burino con la moto, traendo spirito dalle ancestrali e oscure profondità del suo corpo fluorescente in tal mondo decadente e perso nel cosmico vuoto, di gran cuore il Falotico illumina la migliore musica delle vostre più sognanti, tonitruanti, splendidamente suonanti notti, miei suonati e rintronati.

Il Falò è come Joker, alias Joaquin Phoenix o semplicemente un’araba fenice.

Se sarete infelici, lui caldamente animerà il vostro esservi della vita disamorati grazie ai virtuosismi del suo aver ribaltato ogni certezza, data per assodata, per merito del suo volteggiare alato in mezzo agli sconsolati e alle donne che oramai mangiano solo l’insalata, da cigno nero svoltatosi, anzi svelatosi in tutta la sua potenza incontrastata.

Sentite per credere, oh, miscredenti.

Un’altra vita da noi è ora qui amata.

Il Falò è come il mitico Jean-Claude Van Damme di Lionheart.

Quando oramai tutti persero la speranza, scommettendogli contro, ecco che arrivò una mirabolante spaccata imprevista, un cambio di rotta allucinante come un calcio devastante di Jean-Claude servito in faccia a chi sbagliò, scagliato a chi lo volle già vinto e vigliaccamente lo invise, dandogli dello scalognato, senza però avere la forza di affrontarlo ad aperto viso.

Signore e signori, THE VOICE.

 

di Stefano Falotico

Genius-Pop

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