Archive for February, 2012

Americani a Roma: De Niro & Cage


10 Feb

 

Ah, la “casalinga” trasmissione “Che tempo che fa” sta riscuotendo “successo” anche all’estero, o forse alla Rai hanno tanti di quei soldi “canonizzati” da invitare, “esondandoli”, ospiti illustri come Robert De Niro e Nicolas Cage, in vacanze romane.

 

De Niro, in “pausa caffè”, qui in Italia, quando promosse Manuale d’amore 3, e Nic(ola) a presentarci, “robotico“, il suo nuovo Ghost Rider.

 

 

 

(Stefano Falotico)

 

 

“Red Lights”, la prima clip ufficiale a “Luces Rojas” atmosferiche


10 Feb

 

Scalpitiamo per l’uscita di questo film…, ma possiamo assagiarne già un’anteprima.
Aleggia aria “misterica”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L’invasione dei supereroi, Vendicatori, uomini-ragno, centauri infernali


09 Feb

 

Siete pronti allo sbarco di quest’ondata “superomistica”, e supereroistica?
Eccovi serviti, saremo invasi d’una piacevolissima ondata di fumettismo cinematografico.
Segno che i tempi della vetustà, son cambiati di volante rinnovamento.

Evviva, il funambolismo!

 

 

 

 

 

 

 

 

(Stefano Falotico)

 

“The Bourne Legacy”, il Teaser Trailer


09 Feb

 

Il ritorno di Bourne…

 

 

The narrative architect behind the Bourne film series, Tony Gilroy, takes the helm in the next chapter of the hugely popular espionage franchise that has earned almost $1 billion at the global box office: The Bourne Legacy. The writer/director expands the Bourne universe created by Robert Ludlum with an original story that introduces us to a new hero (Jeremy Renner) whose life-or-death stakes have been triggered by the events of the first three films.

 

For The Bourne Legacy, Renner joins fellow series newcomers Rachel Weisz, Edward Norton, Stacy Keach and Oscar Isaac, while franchise veterans Albert Finney, Joan Allen, David Strathairn and Scott Glenn reprise their roles.

 

Questa la prima sinossi ufficiale, quindi.

Dall’architetto-sceneggiatore della saga, a regista assoluto di un nuovo, nuovissimo capitolo.

L’universo creato da Robert Ludlum aggiunge così un altro tassello al suo successo bilionario, rinnovandosi con un altro interprete, dopo Matt Damon, Jeremy Renner, affiancato da un cattivissimo e infido Edward Norton e dalla bellissima Rachel Weisz.

 

 

(Stefano Falotico)

 

 

I film della Mezzanotte


08 Feb

 

Con questo post, inauguriamo una nuova “sezione”, i film della Mezzanotte, forse.. & dintorni o in essa “in-torniti”.

 

Lancette incardinate in una Mezzanotte lievissima ma incatenata a fantasmatiche, fugaci carrozze d’insipida evanescenza

 

Si stampiglian e “stappan” turisticamente cartoline parigine per uno spettatore inebetito del fascino senz’età d’una città eiffeleggiante delle nostre proiezioni elefantiache.

Scatti inturgiditi di cristallina porpora addolcite da un “dolce” glamour che c’“invereconda” d’irritazione, per com’è inedia d’iridi smaltate nella leccata furbizia ammiccante a chi n’è già in suo tepore, “seralmente” moribondo del vaneggiar fra divanetti di poltroncine ove aleggiare sull’aria, col darsi “arie”, condizionata e una che ti scodinzola di labbra turgidine-umide, arrossite-commosse di rossetto negli slavati primi rintocchi del suo rimmel inebriato, dal sussurrio melodicamente smielato per romanticherie in svenevoli sbaciucchi, un fotogramma “immobile” e un’altra sbirciatina alle monumentali grazie di zuccheroso “occhiolineggiarci”.

Quasi m’addormo ma la candida levigatezza del mio peperin diavoletto, di zolfi sempre desti, si (s)grida per l’immanenza folgore del platino ormonale erettissimo a una smaliziata cerbiatta dalle gambe in ogni mansuetudine che si spelli di sano orgoglio virile, Rachel McAdams, Donna svettante sugli zenith di coloro anche poco spiccati, bocciolo che sboccia floridissima in abiti che non son succinti ma la cingon aderentissima alle “atrocità” del mio desiderio.

Ché, d’innaffiar il mio Sguardo, della sua cremosa meraviglia, non m’asterrei neppur se davvero apparisse il vero Woody Allen, qui “sostituito” da un basta che funzioni ringiovanito, Owen Wilson. Di stessa movenza balbettante e timida palpabilità di puntual piglio nevrotico.

Un po’ di noia si spalma nei nostri neuroni, la cui tempra è solo irrobustita dall’intemperanza che “soffia” per la velata Rachel, di chioma già intrecciata al nostro “cioccolatinar” con Lei nella rosa icara delle fantasie proibite d’illecito Cairo, ché c’auguriam s’“incar-i-ni” ancora durante il film per “biondezze” recettive.

Ma presto se la squaglia, e Owen s’inabissa in un esoterismo del suo tutto ciò che ho sempre sognato ma non ho mai osato “credere”.

Come per incanto scompare, e dunque si sveglia nella… e dintorni, d’onirismo adornata, degli anni 20, prima con Fitzgerald ed Hemingway e poi, nelle altre notti, a smacchiar la sua “insoddisfazione” esistenziale in “combriccole” che ne “bracconeggian” l’umor calante. La Luna… tramontante. A “tramortirlo” in Morfeo.

Il Dalì d’Adrien Brody, cameo declamatorio del suo “rinocerontarla” per surrealismi “animaleschi” a sberla di “burle” con  Luis Buñuel, e una delicata storia d’amore con un’altra “smarrita”, amante del Tempo che non c’è, belle époque di libertine svagatezze ove si sarebbe “dissipata” con meno indagatorie “oculatezze” per la sua perlacea anima e di chi se ne infatua.

A cristallizzar il destino d’eterei, fiammeggianti moulin rouge.

Di sulfurea sua trasparenza, il film s’“enigma” poco, tra battute di programmatico suo bofonchiarle e un Wilson che passeggia ai bordi della Senna, nel sorseggiare aromi malinconici d’un impensierito “esserla” sfuggita.

Addii frettolosi e qualche brillantezza forse senza effervescenze, mentre Manhattan s’issa di suo rammemorarla quando fu davvero, sebben più plumbea, migliore.

E un altro incontro delizioso, appena sfiorato, s’“inoltra” sotto la pioggia.

La delizia non è sempre un complimento.

A volte s’“allenizza” troppo, allenata dal déjà vu francese.

E ora, lo so, mi getterete addosso ortaggi maleodoranti, ma non recedo da quest’ “assurda” convinzione, Capodanno a New York è un film meraviglioso.

In tempi ove, appunto, il cinismo impazza, come abbiamo avuto modo di constatare (leggere sopra il nostro “Polanskiello”), questa “ventata” freschissima di “miele” è un toccasana.

No, non c’è proprio nulla da ridere. La pellicola dell’ottantenne Marshall è stata distrutta pressoché dalla “critica” mondiale e non è neanche andata così bene al botteghino, per un pubblico “natalizio” che pare stanco di “commediole dolcine” e ha disertato quasi in massa, proprio la “massa”. Dunque, qualcosa non torna. Non è un “cinepanettone” e neppure un film “sofisticato”. E allora cos’è? Un UFO che io, e il nostro Simone Emiliani (grande estimatore di quest’opera), abbiamo avvistato nella cecità superficiale e proprio “platinata”.

 

No, non scherzerò affatto su questa strabiliante favola sentimentale di Garry Marshall e, sebben, arcigni, m’ammutinerete con dosi ciniche, fetide di “realtà”  affinché, castrato, io non mi glassi di “pestilenziali zuccherosità”, ma soffra in film “pentecostali”, sarò qui, “impenitente”, a soffiar come tramonti ambrati d’ariosa sensibilità, “malia” del mio charming come un Principe Azzurro in una magica Notte di battiti lievitati nell’amore, nella sua perseveranza e nella sua “illusoria”, febbril attesa spasmodica

 

Poesie nel vento di quella fatalità fatata di nome serendipity

 

Sognante vividezza della floridità

Svelato, d’ogni timidezza a cui fui avvinto, o affumicato dentro asfittiche pareti dalle lagrime quasi bavose, a rapirmi dentro incenerite palpebre che miagolavan pallide al crespo baluginar d’ogni Giorno.

Acrimonie, fratricidi scambi di “cortesia”, bacetti tanto gentili da bruciar di secchezza, d’un claustrofobico, tetro pragmatismo retorico avvezzo alle burle, per schernirci quando si è ilari, o solo nauseabondo, pastoso burro, e ferali se poi infierirai di troppe “amorosità indagatorie”.

È all’indaco, alla tenerezza romantica a cui ci tingiamo per non eclissare, fantasmi, tra le grida di chi, luciferinamente, le ovatterà solo per inteporirle d’una dolciastra patina d’ipocrisia brutale.

 

 

E, come De Niro, lo “stronzo” dal Cuore di marzapane, con la “papalina” dei miei ricordi, sogno d’ansimar per gli ansiti luccicosi d’una sferica palla a Times Square, cristallo delle nostre illusioni-meteora.

Ombra funerea, già appannata, che vien come “folgorata” in viso quando essa s’ “infuoca”, e acceca una dolce morte illanguorita nella frenesia di carnevaleschi festeggiamenti dal rosato, incantato profumo.

Veneri bionde, accoccolate a fidanzatini stizzosi, e intellettuali che si disarman in gioie che dimentican il “patetismo” nel leggiadro corteo che colora ogni dubbio d’un inestinguibile attimo da incorniciar nella viva trasparenza d’iridi-brillantina.

La vita, su dai, è rotear stellari nel mar delle effimere speranze, e nuovi baluardi a cui ancorar, fra dolori e gaudi, la giostra che gira.

È “enigmarci” nel dubbio o esser, ingannatoriamente, divorati da incandescenze che lacerano ogni nostra, sin troppo pacata, flemma. O come, per qualche timore in più, ci “placammo”.

Son i fluorescenti bagliori di torpori che si dissolvon mansueti, l’amicizia, anche nelle sue grigie nervature, la fulva sua femminilità purissima anche se è puttana.

I luccichii glamour di vite che schioccano, spumeggianti di virtù o in un altro rapimento alla propria anima.

È il Tempo, imprigionato in una Mezzanotte dei desideri, che zampilla di champagne “smaglianti”, è come Hollywood nel suo variopinto circo di saggi veterani, “dimenticabili” apparizioni, “maghi in smoking di fresco sex appeal” e nascenti astri per nuove, magnifiche, meravigliose astrattezze.

Sì, bistrattato da una noiosissima “mole critica” per chi imbastirà la battuta più acida a demolirlo.

La più “genial” intuizione della parola “stampata” che mai si stappa nell’evasione, forse “futile” e “dissipatoria” ma di “profumosità” aromaticissima, “romanticheria” d’ingredienti “miscellaneati” con garbo maturo e spruzzi piccanti, come la peperina Sofia Vergara o il “sandwich” Josh Duhamel.

Il discorso, d’autentica commozione di Hilary Swank, e il re dell’elettricità Hector Elizondo, il riparatore d’ogni guasto, Egli stesso interruttore per riaccender speranze affievolite, “lampadine spente”, macchinista o Dio che viene dalla macchina?

Questo Marshall, non son l’unico a pensarla così né è una posa provocatoria, lo stesso nostro Simone Emiliani, l’ha definito “straordinario, forse la sua opera migliore da Paura d’amare”, è “confezione” in apparenza inconsistente, invece d’una esperienza registica che sa “formular” ogni storia da “cremoso”, insuperabile veterano, sa allestirla anche dietro un sorriso o una ruga “smaltita” o unghie laccate, orchestra questa ensemble comedy con la finezza di chi sa che, la frettolosa, superficiale, inappropriata definizione di “cinepanettone”, è un’usanza di chi abusa del “lessico” cinematografico per “telegiornalarlo” in una sbrigativa recensioncina.

Perché, negli sguardi cerbiatti fra Ashton Kutcher e Lea Michele, nei giochetti a distanza fra il grande Bon Jovi e la “tremolante platinatura” disillusa di Katherine Heigl, nel “pattinarla” fra il “Cupido” Zac Efron e la sempre più sbalordita Michelle Pfeiffer, c’è la chimica d’un grande regista che sa come suonar la melodiosa tastiera del Sogno, nelle levigatezze “gelatinose” di storie, in apparenza frivole e “banali”.

Il classico, classicissimo, sì, Marshall lo è, gran bel film.

 

(Stefano Falotico)

 

 

 

 

 

Lunare lucentezza, magica fulgidità o fluidità sognante, d’argentato metacinema d’una perlacea “pariginità

Fragranze. S’odon nei gemiti crepuscolari di notti intrise di svagatezze già morbose.
Nei respiri incantatori delle fluorescenze, ch’echeggian a evocar cardiaci liquori d’adamantini ardori.
Nell’assopita nostra “tenebra”, nostre flessuose librazioni d’evanescenza sempre sulfurea ch’orbita “craterica” d’emozioni dalla vaghezza ondivaga, nostro Sguardo di carezzevol liturgia, lisergica, d’inquietudini dalle oscillazioni nerviche.

Melanconia

Un tuffo indietro…

Travis Bickle, vampiro di sonnolente ferocia dall’agguerrita astrazione nella soffusa sua sanguinolenza che urlerà catartica.
Invisibilità, della sua stessa smembrata ombra nella sua mente di “meteoroastronomica”, ma straniera, costellazione metafisica di nervica, agonica perdizione d’una fioca m’abrasiva dissolvenza, enigmatico fantasma che corruga le raggrinzite sue anime nei demoni di riflettenze o d’una cupa messianità di torve (ri)flessioni. Tiepidezze nelle fugacità d’insonne nottambulismo, d’ectoplasmatici asfalti di nostri, tortuosi destini d’abissal plenilunio “nero”.

Cristalli liquidi di pura levità, “acquatica”, nella tonica morbidezza di magnifici fasti sfarzosi, nell’aurea ipnosi di diafana, immacolata ascendenza eterica.
E in essa, ancor, immersa di magma.

I sogni… impalpabilità di voli nel vento, amniotico delirio di sfolgorii dalle fiammeggianti scintille.

Questo è il Cinema, “ispezione” della nostra stessa indagine di meandrica luminescenza nelle reminiscenze.
Di quando, il primo screpolio “addolcì” di furenza proprio altre luminosità, per “svezzarci” moribondi dall’idillica, infantile dormienza, a innocenze già foderate nel Mondo, in questa prigionia, però dorata, di fascinosa licantropia.

Guaine di pelli già martiri, nostre salvazioni senza desideri di redentoria “quiete”.

Martin attinge a se stesso, il suo Canto è vaporosa sinergia di tante sue memorie (auto)biografiche. Del suo Cuore, per com’è favolosa Luce, o nitidi barlumi di sue stesse “oscurità serali” della sua stessa inventiva in questa (re)invenzione della vita. Di sue mnemoniche, libere “allucinazioni”.
Incandescenza dei nostri occhi, nelle diaframmatiche, “esangui” palpebre che s’accecan, sfavillanti, di pindarica Bellezza. Quasi acrobazie, dal nostro primo, silenzioso respiro al torbido poi “svanirci” d’eclissi tenui, poi dentro, vorticose, inafferrabili “repentinità”-serpentine d’ematica limpidezza di nostra quasi ventricolar veggenza dai docili turgori delle vene.

Zoom “innevato” d’un “pallido” Inverno, d’ambrate già meraviglie nelle incatenate telepatie struggenti d’“acustica” cinefilia

Pressapoco, verso la fine della scorsa decade, svenevolmente abbacinata di nuove modernità “millenaristiche”, in un pomeriggio orfano, o forse “orafo”, della mia anonimia di già plumbee vaghezze “omonime”, mi rasserenerai nella lettura d’un futuristico onirismo di là a venire, già di sgorganti, melodici deliqui.

Alla libreria Feltrinelli, acquistai infatti, quasi “in camuffa”, “La straordinaria invenzione di Hugo Cabret”, libro scritto e illustrato di Brian Selznick, Medaglia Caldecott 2008.
Incuriosito che, questa “lettura per bambini”, fosse stata opzionata con tanta “autorialità” come fonte ispirativa della prossima, annunciata opera di Scorsese.
Nello stupor d’un commesso “sospettoso” che mi “malocchieggiò” con civetteria “affettuosa”.
Forse Sacha Baron Cohen…

La Luna, le luci di una città, una stazione affollata, due occhi spaventati. Le immagini a carboncino scorrono come in un cinema di carta fino a inquadrare il volto di Hugo Cabret, l’orfano che vive nella stazione di Parigi. Nel suo nascondiglio segreto, Hugo coltiva il sogno di diventare un grande illusionista e di portare a termine una missione: riparare l’automa prodigioso che il padre gli ha lasciato prima di morire. Ma, sorpreso a rubare nella bottega di un giocattolaio, Hugo si imbatterà in Isabelle, una ragazza che lo aiuterà a risolvere un affascinante mistero in cui identità segrete verranno svelate e un grande, dimenticato maestro del cinema tornerà in vita. Tra romanzo, cinema e graphic novel, un libro in cui le parole illustrano le immagini.

Queste le testuali parole della quarta di copertina della versione “tradotta” in italiano, per la Mondadori.

Oggi, questo “piccolo” gioiello è un capolavoro, ancor più abbellito d’una “esornazione” di ben 11 nomination agli Oscar.
Nella “stilografica” della trasposizione sceneggiata da John Logan, e nella maestria stilistica di uno dei più grandi registi viventi, qui nella sua magniloquenza più elegantemente “simbiotica” e “appariscente” di dichiarata, “epistolare”, visionaria tatuazione alla Settima Arte.

Cos’è il Mondo, o come c’appare? Nitore che, saltuario, rifulgerà di nostra ludica euforia disciolta.
Nerezza già incupita, che ci mormora di lagrime che, poche volte, danzeran azzurre, raggelate da “grigiezze” nebbiose scremate in turbinii dai foschi veli.

In questo caos, altezzoso e cinico, macchinosità forse solo d’ingranaggi arrugginiti o rotti, c’arricchiamo, e c’arricciamo “intimistici” dentro illusori rifugi, per non “incanutirci”, ma ardendoci per scolpir sempre l’anima, ché si libri briosa.
Per “nevosità” che si scaldino d’una cadenza che s’accalori al gaudio armonioso del sangue.
Per viverla nei sogni, fuoco sacro dell’anima.

“Faro” su Parigi, “orologeria” dei nostri giocattoli, e occhi ammiccanti d’un sorriso prima di  canagliesca impasse e poi da impacciato sorriso “pagliaccio”.

Film che innalza l’estasi della vita e, per non renderci smemorati, ricorda anche la morte e i suoi dolori, come quella, quasi fuori scena, “sfiammata” di Jude Law, il padre di Hugo, Cinema che, poderoso, s’imprime anche per turgidezze sfocate, come nella rochezza alcolizzata di Ray Winstone, l’“ubriacone” zio Claude, per il profumo “polveroso” dello scibile, fulgore  mai a incenerirla, dai contorni suadenti incorniciati nella vivacità eterna di colui che incarna in sé, quasi “fantasmatico”, gli scrigni dell’aromatico sapor antico per la conoscenza, immortalato poeticamente nell’arcana sapienza d’una biblioteca vivente che ha, proprio appunto, le sembianze mistiche d’uno ieratico, ammaliante “spettro”, Christopher Lee, Monsieur Labisse.

Negli occhi neri ma trasparenti, “addolorati” ma “screpolati” di sublime cangevolezza immaginifica di Ben Kingsley, Georges Méliès, e nell’espressività iridescente d’un “folletto” celeste, Asa Butterfield, il “signor” Hugo… Hugo Cabret.

Esco dalla sala, ancor frastornato d’intattezza ammaliata in questo maliardo rapimento, però “impalpabile”, leggera come l’ebbrezza, di tale memorabile, superba avvenenza.
Avvenenza ch’è incanto soave.

Uomini, nel vento.
Osservo un bambino con occhi pieni di gioia, che già si commuove perché, anche lui, vuol vivere una straordinaria, fantastica avventura in 3D.
E, quel gusto dei suoi occhi, so che non s’è, e non l’ho, perduto.

Come Hugo.
Come Martin Scorsese.

(Stefano Falotico)

 

 

Clint Eastwood “al Super Bowl” per la vigoria della coscienza americana


08 Feb

 

Uno degli spot più popolari e di successo, prima del consueto Super Bowl, è stato quello della Chrysler, “Halftime in America”, recitato da Clint Eastwood:

 

Ascoltiamone, ieraticamente, come Lui, le testuali parole perentorie, da grande veterano:

It’s halftime. Both teams are in their locker room discussing what they can do to win this game in the second half,” Eastwood says in the spot. “It’s halftime in America, too. People are out of work and they’re hurting. And they’re all wondering what they’re going to do to make a comeback. And we’re all scared, because this isn’t a game. The people of Detroit know a little something about this. They almost lost everything. But we all pulled together, now Motor City is fighting again.

 

 

(Stefano Falotico)

 

Il ritorno di Machete, che uccise, “uccide”… e “uccide(rà) ancora”


07 Feb

 

Sia Robert Rodriguez sia Danny Trejo, l’avevano promesso.
Sarebbero tornati “tronfi” e trionfanti, con il seguito del loro immenso Machete.
Alla fine dei credit, infatti, del primo film, compariva la scritta che le avventure di questo “Cappitan Fracassa”, delle lame e del “tamarrismo” cavalleresco d’implacabil invincibilità, sarebbero continuate in ben due sequel: Machete Kills & Machete Kills Again… in Space!
Dopo aver fatto a polpette, letteralmente e “affilatamente”, i suoi nemici con gli “sbudelli” del “primo episodio”, oggi riceviamo la conferma ufficiale, che le riprese del numero 2 son già alle porte.

È “Deadline” a riportarne l’esclusiva:

 

Robert Rodriguez Wielding ‘Machete Kills’ With AR Films’ Alexander Rodnyansky

 

By MIKE FLEMING | Monday February 6, 2012 @ 8:52pm EST

 

EXCLUSIVE:Robert Rodriguez is teaming with producer Alexander Rodnyansky to hatch a sequel to the 2010 action film Machete. Titled Machete Kills, the film is the second in a planned trilogy with what, for my money, is the best ever trailer tag line: “This time, they fucked with the wrong Mexican!” The film will be produced and financed by Alexander Rodnyansky, whose Hollywood expansion plans include a $120 million film fund with Media Talent Group’s Geyer Kosinski. AR Films U.S. is a new partnership between AR Films and Aldamisa Entertainment, whose Sergei Bespalov will manage worldwide sales of Machete Kills in Berlin.

 

“The fan response to the Machete character has been fanatical since his first appearance,” Rodriguez said. “Machete is truly a super hero and Machete Killswill be bigger and more ambitious than the first time.”

An April production start is being eyed. Talks are underway for Danny Trejo to reprise the title role. Rodriguez expects many of the original cast to return, at least those who didn’t end up sliced and diced in the first film by Trejo. The film is a Quick Draw Production, produced by Rodriguez, Rodnyansky, and Quick Draw’s Aaron Kaufman and Iliana Nikolic, and Sergei Bespalov and Rick Schwartz. A script has been written by Kyle Ward, and developed by Rodriguez and Marcel Rodriguez. The aim is to get Trejo back into a signature role that began with a parody movie trailer that was featured between features in Grindhouse, the B-movie feature homage made by Rodriguez and Quentin Tarantino in 2007. Machete, the feature, came out in 2009, and starred Trejo, Jessica Alba, Michelle Rodriguez, Jeff Fahey and Robert De Niro. It grossed $44 million worldwide on a $10.5 million budget and showed, among other things, that a bad guy’s intestines can be employed as a rope ladder if you work it just right.

The new film finds Machete recruited by the U.S. Government for a mission which would be impossible for any mortal man. Machete must battle his way through Mexico to take down a madman cartel leader and an eccentric billionaire arms dealer who has hatched a plan to spread war across the planet with a weapon in space. Machete takes on an army in an effort to dismantle a plan for global anarchy.

“Alexander has a tremendous background in moviemaking and huge enthusiasm for continuing the Machete legend onscreen,” Rodriguez said. “I’m really looking forward to working with Alexander and Sergei Bespalov.” Here is a reminder of some of the mayhem Rodriguez and Trejo brought to the screen last time.

 

Si dovrebbe quindi girare ad Aprile, sebben del cast, ancora, oltre a possibili “rientri”, aleggia come sempre un allettante misterone.
Questa volta, il nostro eroe, sarà addirittura ingaggiato dal Governo degli Stati Uniti (be’, come nel primo…, che si trami di “doppigiochismi” a eliminarlo?), che gli affiderà una missione impossibile: combattere un pericoloso cartello messicano e uno spietato bilionario, entrambi “in combutta” per distruggere la Terra con un missile spaziale. Eh!!!

 

Be’, a questo punto, mi par doveroso far un passettino indietro, e rinfrescar, o spolverare, la memoria a chi non è stato “impolverato” da questo messicano “sbagliato“.

 

 

Lo chiamavano Machete…

Film d’apertura di “Venezia 2010”, Fuori Concorso, sezione Mezzanotte, lo vidi il Giorno seguente in un assolato orario “improponibile”, un brillante Mezzogiorno di fuoco.
In compagnia delle solite “baraonde” e della mia tequila bum bum nel cervello. Film assaporato in fretta, nel mio gran spolvero, quasi mi soffiò “pifferaio” magico dei suoi eccessi, con furtive occhiatine ai miei “ormoni” tra il serio e il faceto, quasi sempre coniugi di totali passioni per il Cinema tutto, per le sue discole, “burrose” immagini intrepide da “fumetto” scacciapensieri che impicchino e trucidino la noia.
Io amai Machete, e, dopo averlo visto in “italiano”, doppiato per intenderci, lo amo ancor di più sotto un'”altra veste”, forse per via, anche, della guascona voce di Stefano De Sando/Bob De Niro o per i facili “cazzo” sparati a raffica che non chiedono “troppo”.

Un film può essere, va da sé, tante cose, un burlesco sberleffo alle regole o le imputridite rigidità di stilemi e codici vetusti. Rodriguez qui shakera se stesso, s’innaffia d’allegrezza, abdica senziente al “darcela a bere”, imbevendo il suo “Cinema” di una “pensata” ma non pen(s)osa goliardia, il barocchismo sfrenato che diviene “balocchismo”.

È quella timidezza in cui screpoli te stesso, immaginando di baciarla “appeso” a paure già uccise.
Il tremore che è ora briosa “sciocchezza” dell’annusartene, della vita, e sfamarti o “sfumarti”dei suoi tanti diletti.

Rodriguez è come un infante col “cannone” che ci sospira le sue poco “dolci” immagini, per nulla “al cannolo”, quando le iterate “blasfemie” assumono le labili squisitezze del giuocarla, dell’estro esuberante da giostraio che si “camuffa” cowboy, libera “vacuità” che è memore di tanto Cinema deglutito, buttato giù e ricre(t)ato.

Capricci dell’enigmatiche mie tante vite e il mio carezzevole giacerne flessuoso, tortuoso e giocondo, dinamico restauro della virginale mia anima “vagabonda”, l’illibarla perpetuamente o fonderla nei più purpurei crepuscoli, rinsavirli d’aurore soavi, tergerne le ombre o miracolarli di alcolici dardi lucenti, fra buie grotte e venti tiepidi d’Oriente, la mia danza del ventre, lo “spoglio” pudore o sfide al mio stralunato Joker nottambulo, arriso dall’Ego serioso. M’accendo in vividi lampi di ribalda cavalleria e, poi, quest’armonioso impeto per un po’ si ritrae e si rabbuia, colorato solo d’ispido mero nero, anima che si nascose, elettasi moribonda si tatua orgogliosa di contagiosa felicità che, “intimorita”, svanì e, poi, vittoriosa, riemerse. Gioisco giuocando!
Apparenza che inganni me stesso , lo svii e, talora mi (e)viri, mi capto nell’altrove, forse eremita in tanti dove.

I film… li abbelliamo, noi li lambiamo o ce n’immergiamo, vi sfochiamo i contorni o l’infiammiamo, circuiti o solo sedotti nei loro laghi “sedati”.

Sono un Genius, forse, anch’io son avvezzo a non prendermi, come Robert, sul serio, e quindi questo è il mio inappellabile e quanto vorrete “discutibile” Ipse Dixit…

Innanzitutto chi è Machete?
Machete è, ca va sans dire, Machete, virile anima orsuta di un corpo che “languì”, s'”accecò” ombroso imbrunendo, già esperì la durezza macha nelle grinze della pelle, turbolenza di patiti dolori, di uno schiumoso tormento d’ermetiche rabbie o loro naufragio in giubilo, festa viscerale che s’issa in pompa magna trionfante, guerriero d’aura nostalgica della prode leggenda, profumo di selvaggio West che si desta da, pacioso “dormiente”, a incarnate albe, deflagra nella catarsi liberatoria del suo possente respiro in vulcaniche, sanguinarie, zampillanti eruzioni, osceno, goliardico furore di membra squarciate e divelte, forse nell’ira da stoico vagabondo, rifulgendo, rimembra chi era, mastodontico si erge a chi sarà… raffrenati istinti esplosi nell’irriducibile, parsimoniosa bramosia di nuove eroiche imprese, sgualcita anima, baluardo di una remota epoca di sussurri arcaici, lupo scarnificato nel suo torbido amplesso che (s’)ammalia, carezza peccaminose, turgide donne, le gusta affamato palpitandole, svelandole muliebri qual spesso, pudiche o troppo vanitose, si celano, ne bacia il loro “buio” in floreali unioni “perverse”. Perentorio e gaudente agli orgasmi della vita, scardina le efebiche regole d’attrazione di bugiardi lustrati nella “raffinatezza”. In un Mondo plastificato d’idioti gentili, Machete emana il felino fascino sensuale della “(s)gradevole”, combattiva irruenza, della maschia buffoneria della sua tersa autenticità, rottame o ultimo dei mentecatti, Dracula “creaturale” che offusca, negli ardimenti volgari, nelle focose passioni, le vanesie, futili ambizioni dei “leggiadri”. “Bestiale fanciullo” dalla portentosa grinta adultera ai taciti sguardi di chi, ipocrita, ubbidisce mortifero a false regole di bon ton. Colossale Totem, come simpaticamente lo blandiranno, inimitabile freak che, glorioso, espolia la sua disinibita nudità. Noi, avvinti dal monumento vincente di sé che imbastì, non possiamo che adorarlo, intoccabile idolo, forse inattaccabile.
Machete è il rancore assopito, le evanescenti bellezze delle malinconiche urla o sua rabbiosa m’anche gioiosa euforia. Amandolo, lo ribadiamo nel suo trono, assurto ad Angelo truculento, a divoratore invincibile dei cattivi. Ex federale che s’intorpidì e si foderò, inghiottito nella “decadenza” del suo sé romantico all’oscuro di tutti, ora, nei suoi lunari fibrillii, rifulge a noi per brillarci ancora.
Nella furba, corrotta demagogia di politici dalle bocche impastate e dalla grottesca “baldanza”, fra loschi squali “pornografi” dell’anima, è quasi un candido, fiero maledetto ed eburneo, ferale omicida.

Dopo i tetri viaggi nella Notte delle ambigue maschere di Sin City, metropoli scalfita dalle sue cupidigie, dopo i lugubri fasti e i pasti zombi dell’apocalittico fumettismo horror di Planet Terror, Robert Rodriguez firma e plasma un altro “gioco” meraviglioso, con budella, sangue e uova al tegamino, salsa chili di carni macellate, con pazzo, indomabile divertimento, splatter-luna park per il puro gusto “morboso” di chi lo gusterà. Forse le nostre coagulate ansie che lo bramarono e, nel giovamento di questa visione, si fomentano ardite, e, in questa sua follia, ardenti.

Capolavoro.

Io, senza pensarci due volte, inviterei Michelle Rodriguez, Jessica Alba e Lindsay Lohan per una “bagorda” grigliata al pepe. Perché la vita è meglio se in quattro “moschettieri”, uno, come l’ha definito “FilmTv”, Capitan Fracassa, e il terzetto femminile per il suo bollente Spirito.

(Stefano Falotico)

 

Questa, invece, la recensione di Simone Emiliani per “Sentieri Selvaggi”.

 

E, qui sotto, il trailer:

 

 

“Luci rosse”, mesmeriche


02 Feb

 

Tra circa un mese, debutterà sugli schermi spagnoli, oh, Penisola iberica che allieti il “lievitio”, calda t’arrostisci in me… Red Lights, seconda opera, comunque primaria, di Rodrigo Cortés.

 

Cinerepublicato qui, ha già spaccato la Critica, fra entusiasmi e “poco accorati”.

 

Agilità di prime rinomanze già schiarite dalle “nebulose” invernali, nell’ebbra contemplazione di questo rintoccar, caldo, d’un Gennaio insipido, ove le foreste son “innervate” dai venti d’una Primavera remota ma che, alle porte, “scardinerà” le nebbie, i vagiti di nuovi film annunciati, anche loro già da “storicizzare” negli archivi cinefili futuri per chi sarà saldo e mai saturo di memoria, e sale ancor poco affollate, perché gli incassi, a detta degli esercenti, son “magri” più di chi è logorato dalla bubbona peste di vite “acclarate” nel tedio più “sovrano” senza sovranità.

 

Tossisco, di “cipigli” m’arroc(c)o in una fronte che mi “scalda” di fonti rinfrescanti, e mi “pargolizzo” in già soffici colazioni perché agisco solido fra vitree “fantasmerie” d’un corteo ch'”armeggia” solo di benevolenze presuntuose, di “stabili emotività”, come dico io, emostatiche nel termos.

 

Ah, sono un tipo docile quando m’abbuffo di “rabbiosa” irriverenza, il mio gusto polemico “papilleggia” da un pulpito d’onnipotente fame onnivora.

E son invece poco dolce quando “sedato”, e m'”ingolfo” di troppi croccanti, perché non impenno ma “panneggio” troppo ad appannaggio di chi mi “bonifica” solo di sguardi pietistici a “consolar” la mia buona creanza, ch’è invece crater vulcanico di fulvo baglior da colorato circo.

Ah, la maga Circe, quella Donna è “strega” di malocchi! E turlupina Ulisse perché si labirintizzi con Minosse, ah sì, credetemi, vorrebbe disossarlo & “sagrestarlo” nella “credenza”… alle sue malvagità.

 

Le mie sigarette Chesterfield, un po’ “dipinte” e mal incartate, un po’ rosse come una di nome Rochelle, quasi quanto il cioccolatino Rocher, placan l’ira che, appunto, troppo s’adira e poi ti stira affinché tu non possa “stirarlo”. “Stirarla”, è meglio.

 

Abito in un palazzo di sette piani, ma non sono un nano, sebben Biancaneve abbia le “chiavi” dell’attico “a Ciel sereno”. M’innamorai di Lei in un “colpo di fulmine”, ma ancora non ho “colpito”.

Eppure, “scalpito…”. Da “Dondolo”.

 

È un palazzo provvisto di molte “sviste”, ci sono uomini sposati con donne “cornute”, e ragazzi che van a scuola a disimparare la loro infanzia.

Ma ciò che più m’irrita, son i due ascensori occupati.

Alcuni, infatti, di chiacchiericci sul pianerottolo, li “spengono” sempre sul “rosso“.

E, il sali-scendi osmotico vien soffocato dal loro spettegolare.

Peggio del Cinema a luci rosse, son allucinanti!

 

Mah, comunque, la vita va avanti.

 

Venerdì sera, è stato presentato, in anteprima mondiale, la seconda opera, molto attesa, di Rodrigo Cortés, Red Lights.

Un film misterioso del quale, solo a grandi linee, ne abbiam “saggiato” una striminzitella trama, e un teaser cripticissimo.

La produttrice ha asserito che il film farà molto parlar di sé ma, sino alla proiezione ufficiale, ha anche dichiarato che l’avevano visto solo sei persone, regista compres(s)o.

 

 

Due investigatori del paranormale (Weaver e Murphy, non Eddie, bensì il metafisico, appunto, Cillian/Inception, il ragazzo della cabala e “autore” del libro per vecchiette, “Come leggere i sogni e vincere al Lotto”), cominciano a ossessionarsi sulle imprese “sovrumane” di un sedicente (?) veggente “cieco” (Robert De Niro). E, intanto, strani accadimenti, (non) accadono, fra “sedute”, forse qualche “posseduto”, ombre notturne e ragazze innamorate ambigue come la mela del Peccato.

 

Pare che, stando alle prime reazioni, il film, più che non convincere, abbia lasciato una sensazione di “basitezza” inspiegabile.

 

La pellicola di Cortés, al momento, tranne per il mercato spagnolo (dovrebbe uscire nella penisola iberica il 2 Marzo per la Nostromo Pictures), non ha alcun distributore internazionale.

Occasione giusta, quindi, per i compratori, per “agglomerarsi” alle “prime”, per visionare il lavoro del talentuoso Cortés e far a gara d'”asta” per acquisirlo.

Ah, invece, molti di loro, annoiati e perplessi, han disertato la sala dopo appena mezz’ora.

 

La Critica, al momento, sospende il giudizio, aleggia “aria” di grande indecisione attorno a quest’opera.

Alcuni ne lodano il coraggio, l’indipendenza-intraprendenza creativa totale del regista, altri l’han già “sbertucciato” per il suo improbabile, “ridicolo” finale.

Son però tutti d’accordo nell’ammettere che il film meriterebbe una seconda, più riflessiva visione, che molte immagini sono pura cinematografia di pittura quasi astratta, che la ridondanza di certi soliloqui non son affatto “diuretici”.

Ma tutti, o quasi, stroncan l’insostenibile combattimento in un bagno, troppo violento ed esageratamente ridicolo.

 

Elogi anche per gli attori.

La Weaver? Solita “ghostbuster” di profonda professionalità. Murphy? Per la prima “volta” protagonista, e magnetico.

De Niro? Potente e sulfureo, una presenza “presente” anche quand’è assente, palpabile come il suo Louis Cyphre di Angel Heart.

 

Film che, quindi, dividerà.

Sicuramente, per i patiti del genere, e non solo, imperdibile, a prescindere dall’effettiva qualità che “giudizieremo”.

“Impietosi?”.

 

Taluni, han rimproverato a Bob d’aver scelto l’ennesimo film, forse non necessariamente “brutto”, ma sicuramente “sbagliato”. E ora perfino dubitano che sia a still good actor, ancora un bravo attore.

Altri han “paragonato” questo strano, magico puzzle a The Prestige, ma affermando che è ben lungi dal raggiungere la fascinosa “perfezione” di quel modello “insuperabile” nolaniano, ch’era invece profondamente “serio” nell’affabular d’immaginazione onirica le certezze “cartesiane, anzi, che più sapientemente sapeva mischiare le carte, senza mai cadere “nel ridicolo involontario”.

Espressione che, invece, torna sovente, per questo “insolubile giochetto” di Cortés.

Perché dichiaratamente “furbo” e “insensato”.

Ma, in fondo, la vita ha senso? I matematici & la Scienza ortodossa hanno forse risposte inappellabili? Perché pullulan sempre più libri e programmi sui “fenomeni'” della nostra bizzarra, e “bizantina”, Terra?

Se l’avesse girato Lynch, sarebbero già lì a paluderlo con occhi commossi ed esterrefatti.

 

Ecco qui, invece, due recensioni parzialmente positive che, però, non si sbilanciano troppo… pur andando fortemente in controtendenza rispetto alle “maligne” cesoie dei primi severi recensori.

 

 

A moltissimi, invero, non è affatto piaciuto, ma me ne frego.

I critici, spesso (e asessuati, o “assuefatti”) badano a non imicarsi i “colleghi” acclamando ciò che non è generalmente “piacevole” o “bello” secondo antichi dogmi e canoni vetustissimi.

Preferiscono accordarsi all’intelligentia che va per la maggiore.

Meglio il “Do” minore.

 

Ecco, però, già alcune recensioni favorevolissime:

 

1.

2.

 

Questo il primo full trailer spagnolo, appunto:

 

 

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Questo, nuovo, identico però già in inglese:

 

 

Altri voti alti per il film?

 

Collider, The Playlist, Ioncinema, Geektyrant, di cui abbiamo anche la videorecensione:

 

 

 

Stefano Falotico

 

 

 

 

 

 

 

 

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