Archive for January, 2014

Liam Neeson nel Silence di Scorsese


31 Jan

Da Deadline!

EXCLUSIVELiam Neeson will star with Andrew Garfield and Ken Watanabe in Silence, the Martin Scorsese-directed adaptation of Shusaku Endo’s novel about 17th century Jesuits who to try bring Christianity to isolated Japan. The film is being financed by Emmett/Furla/Oasis, Corsan and A1. Emmett/Furla/Oasis just funded Lone Survivor. The script is by Jay Cocks and Scorsese and production will begin in Taiwan later this year.

 

 

 

Estate al mare


29 Jan

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Estate e Cinema: stand by me, indietro nella memoria

Per le strade mercenarie del sesso
Che procurano fantastiche illusioni
Senti la mia pelle com’è vellutata
Ti farà cadere in tentazioni
Per regalo voglio un harmonizer
Con quel trucco che mi sdoppia la voce
Quest’estate ce ne andremo al mare per le vacanze
Un’estate al mare
Voglia di remare
Fare il bagno al largo
Per vedere da lontano gli ombrelloni-oni-oni
Un’estate al mare
Stile balneare
Con il salvagente per paura di affogare
Sopra i ponti delle autostrade
C’è qualcuno fermo che ci saluta
Senti questa pelle com’è profumata
Mi ricorda l’olio di Tahiti
Nelle sere quando c’era freddo
Si bruciavano le gomme di automobili
Quest’estate voglio divertirmi per le vacanze
Un’estate al mare
Voglia di remare
Fare il bagno al largo
Per vedere da lontano gli ombrelloni-oni-oni
Un’estate al mare
Stile balneare
Con il salvagente per paura di affogare
Quest’estate ce ne andremo al mare
Con la voglia pazza di remare
Fare un po’ di bagni al largo
Per vedere da lontano gli ombrelloni-oni-oni
Un’estate al mare
Stile balneare
Toglimi il bikini

Un pezzo storico, hit strepitoso che, assieme ad “Alghero”, segna il punto forte della calda voce della compianta Giuseppa Romeo, all’anagrafe la sirena Giuni Russo

E, sulle note reminiscenti di questi anni ’80 mitici, mi va di tuffarmi in ancor pieno inverno, e qui a Bologna nevicò due giorni fa, nelle atmosfere d’estati poderose, in cui, infantilmente già puberale, nel senso di “sguazzante” fra onde “calorifere” del mio “scooter” sgranocchiante, al granchio diciamo, i piedi delle donne come un’anguilla serpeggiante dal bacino al ventre entrante e di lingua svolazzante, oceanica dal Pacifico al Tirreno e dalle bionde scandinave alle terrone di Maratea, navigo già a sgelarlo come una medusa rampicante, succhiante e di sal(sedin)e scivolante. Essiccandomi solo sotto ombre di palme per altro sciacquarmelo di docce schiumose.

Tempi che rimpiango, essendo oggi il gentil sesso assai assuefatto a troppo dure “ghiaie” del calpestarti come una “stellina”. Di quella che metti nell’acquario vicino al pesciolino nero, respinto dai “feromoni” di anfibi muliebri ma io, cromato, di squame a branchie lontano da questi famelici eppur non danti branchi, di dente bianco lecco la “barriera corallina” d’una, alle Bahamas, piccante, versandole del bollente tè tonic, fra “pesche” sapor fragola e “vaniglia” di urlare a tutte “Il cocco mio dovete pigliare e sgusciatele… come angurie dal tramonto all’aurora, in quanto io aureo e rude nella sabbia di tutto cor’, Sole mio!”.

Sì, in passato fui Sandokan, a Mompracem bevevo cocktail freschi assieme a quell’altro puttaniere di Emilio Salgari. E, fra alghe e alcune amebe, fra pinne, pennette, fucili ed “occhiate”, sfoderavo il mio Capitano Nemo, ingroppando tutte queste balene simil Moby Dick da squalo imprendibile versione Zorro. Le loro purezze bruciavo sotto livelli impressionanti di trivellazioni come un petroliere arabo, di sesso poco avaro. Poi, tornavo in riva, dopo le selle, e scolavo caffè zuccheroso per altro poi sparare la mia carabina d’amareggiarle tutte.

L’estate è il periodo in cui puoi andare nudo e non becchi la multa.

La muta…

“Joe”, Trailer


28 Jan

Joe Pesci nella parte di Silvio Berlusconi


28 Jan

Joe Pesci nella parte di Silvione Berluscao

Salve, sono il Cavaliere. Nella mia vita del cazzo ho rubato un fottio di soldi, e son corrotto sin all’osso, ma posso giurarvi sulla testa di vostra sorella, la quale me lo ciucciò di striscio, che non ho mai tradito gli italiani. Diciamo soltanto che li ho fottuti in modo “legale”, ficcandoli con sane inchiappettate dal profumo fucking della mia “Forza Italia” centrifuga. Non possono accusarmi d’un bel cazzo di niente questi fottuti di Sinistra.

Se sperano d’incularmi con questi mezzucci, han sbagliato di grosso. Io ce l’ho secco e frusciante di carta “bianca”. Le banche son dalla mia parte, le vacche anche. E si sa che vince chi ha, non solo le migliori mignotte, ma il carrozzone della mandria più di zoccolone toste, tenere e fresche di carne alla brace.

Se vuoi fregare come si deve, devi agire dal “basso”, salendo poi lungo l’addome, tanto da poterlo rifilare… alla domestica di Voghera e poter anche addomesticare i musi lunghi di Ginevra, dove tengono quasi sempre quel cazzo di G8 di rincoglioniti del cazzo. Me ne fotto, fuck! Anche in bocca chiusa!

Per tagliarmi le palle, han trovato la scusa degli scandali sessuali. E io, in merito, in quanto orgoglioso merlo, non ho da celare neppure una “cerniera”.

Sono un uomo vero, erotico, e ne vado fiero. Anzi, a mia “discolpa”, vi elencherò, per filo, per segno e “mille e una notte”, tutte le bagasce con cui trascorsi ore impagabili, sebbene le pagassi, di divine scopate. Roba, cazzo, che potevi seppellirti, stronzone, nel deserto vicino Las Vegas da quanto me lo resuscitarono. Grandi troie bastarde.
Sì, il mio fu un casino che non avrebbe potuto gestire neanche Sam Rothstein di Casinò.
Sam è sempre stato uno sciocco figlio di puttanazza, mica come Fede Emilio, uno di tutt’altre “mani in pasta(sciutte)”, cari mangiaspaghetti.

A Mediaset, in quel di Cologno Monzese, prima che Moretti mi scassasse già la minchia col suo Caimano del cazzo, cazzo d’una minchia quel Nanni…, tutte le ballerine mi “strusciavano” i loro sodi fondoschiena e io regalavo loro, oltre a collane sapor “Perlana”, anche dei primi piani “puliti” in trasmissioni di merda.

Furono delle belle annate, anali. Me ne ingroppavo un fottio. Mia moglie sapeva tutto ma bastava che le donassi milioni di lire e andava a nozze. Si fotta.

Ultimamente, han chiamato in appello la mia cappella del cazzo, per colpa di quella minorenne “bunga bunga”.

Cazzo, non dovevo aiutare quella lurida troietta fottuta.

Ha rischiato di farmi fare il botto, comunque le diedi un paio di notevoli botte…
Roba di (Ar)core, cazzo, stavo davvero finalmente pensando di amare qualcuna…

Io sono l’ultimo d’una tribù oggi estinta dal buonismo della minchia.

Spadolini, lo sapevano tutti, si fotteva nei fine settimana Cicciolina e Craxi andava con la Pozzi.
Tutto questo rumore per nulla.

Da noi…, le cos(c)e son sempre andate così.

Questo Paese è formato da polli e pollastre. Noi, figli di zoccola, ve lo sbatteremo sempre nel culo.

Non pensate di sbatterci in carcere.

Delle vostre accuse, io me ne faccio… ancora un fottio.

Fuck! Motherfucker.

  1. Occhio indiscreto (1992)
  2. Mio cugino Vincenzo (1992)
  3. Quattro bravi ragazzi (1993)
  4. Casinò (1995)
  5. Love Ranch (2010)
  6. Arma letale 3 (1992)
  7. C’era una volta in America (1984)

Friendship alla Zemeckis


27 Jan

L’amicizia al Cinema e nella vita reale. Perché poi son la stessa cosa, il best friend si vede nei momenti di “suspense” quando, sospeso in stato autodistruttivo, sa ricostruirti a urla d’urto! E botte nel culo!

Quel gran genio del mio amico… lui saprebbe come aggiustare, con un cacciavite in mano… fa miracoli


Amicizia come sodalizio anche artistico fra il calibrato, immenso Lucio e il paroliere Mogol, per sì viaggiare, evitando le buche più dure, senza per questo cadere nelle tue paure, gentilmente senza fumo con amore


Rallentando per poi accelerare, avemmo C’era una volta in America. Leone Sergio conosceva le amicizie che possono tramutarsi però in acerrima, amara rivalità e, prima del capolavoro con De Niro e Woods, infilò anche il “triello”, eccezion fatta per il cattivo terzo incomodo, fra il buono Eastwood e il brutto Wallach. Due nemici-amici, come si suol dire, perché il biondo è un figlio de putaaa…
Ora, ci sono anche le donne, e non scherzano, possono rovinare le amicizie. Quanti fratelli di sangue, separati solo dal “latte” di due madri ambigue di sesso anomalo, ho visto sbudellarsi per una donna, e semmai era una mentecatta. Non tutte lo sono, per (s)figa nostra. Alcune le tornirei da cima a piedi del mio calore, bruscamente sterzando in zona erotica vicino alla “complanare” dei capezzoli come stazione di servizio del mio Autogrill al panino col prosciutto e altre patatine… fritte su maionese piccante. Le donne delle cascate, ad esempio, coloro che in costumini aderentissimi, stiran le caviglie per poi planar di tuffo acquatico sc(r)osciante, immergendoti in quel blu dai boati effervescenti, anche di schizzi onanistici quando nuotan le campionesse atletiche di nuoto. E il televisore “dipingi”. Ciò è noto, e le nostre passioni “ginniche” vanno confessate lontane dai pudori degli abissi oscurantisti a raffreddarci. Le donne del Sapone di Marsiglia, che certosine levigano le mani nello sbucciar le (ci)polle fra un “detersivo” e il tuo “imbavagliato” ben erto a volerle tergere (lo “ergerai?”) con “pioggia” lampeggiante luci rosse di soave e liquido “tergicristallo”. Le donne delle docce, che di bagnoschiuma gocciolano anche dopo ore di bollenti rasature. E quelle della Croce Rossa, a volte da respirazione bocca-bocca salvifica…, altre infermiere dell’estrema “un(z)ione” su reparto d’animazione… Sì, quelle da infarto…
Ma l’amico può “(s)batterle”.
L’amico consola quando rimani solo, prima dell’ultimo “tiro”. Lo sa Bob De Niro, ultimo “compagno” di “vita” del John Belushi prima della dipartita per conto di Dio…
Ah l’overdose…fra due blues brothers in quella roulotte maledetta…
Lo sa Bob De Niro, amico del mio God’s lonely man, quando m’identificavo nel suo “straniero” Travis Bickle, in quanto emarginato come un cane eppur più senziente di una donna come tutti gli altri…
L’invidia del miglior amico, se mal gestita, la tua vita può rovinare, eh già.
Ma qui vi citerò sette film, forse non capolavori, ma tali a valore di tal magnifico sentimento.
Comunque, l’amicizia crea spesso molte (s)fighe.

Il Genius Falotico, grande Giove!

  1. Windtalkers (2002)
  2. Ronin (1998)
  3. C’era una volta in America (1984)
  4. Dead Man (1995)
  5. Mean Streets (1972)
  6. Casinò (1995)
  7. Ritorno al futuro (1985)

Psicosi di DiCaprio!


26 Jan

I pensieri psicotici di un uomo per voi penoso che non mangia le vostre cotiche e vive di anima effusa in (al)colica per corna senza aspiranti m(o)u(s)se
Ho sempre propeso per me che mi stendo e la intenderò a visione tetra contro le comuni tenerezze, abbracciando un bacio per scalzarlo così come gli imbellettati ipocriti ambiscono ai balli da strappar le femminili mutande ma poi optano, sempre paciosamente tristi e ritrosi, per ammiccamenti corteggiatori da ruffiani che van sano ma lontano, eppur salivano. Dunque, impiegherà molto a sal(ir)e in quanto la figa sarà ardita con calma olimpica da bollire a patata lessa, in quanto anch’ella palindroma ancella che, dopo tanti uccelli pacati, sciolta nell’ammuffirsi s’impiastrerà a cotta piastra della brace che doveva arrostirla con indelicato arroventare immediato a lei subito (an)data. Sì, si (s)tirano e poi favellano ma di fava attendono troppo la topa, e la sala d’attesa piange di “piatto” a non pittargliela. Intanto si bucano. Il cervello pensa a come trivellarla in vigoroso pene e, nel frattempo, bevendo un freddo frappè, l’amaro si scalderà solo per un gelo da non zuccherato caffè. Bando alle ciance, siete lenti e, mai proficui dell’attimo fuggevole, in fighe ardenti vorreste volare ma aspettate che sian svaporate al dente.

Assaporando assaggini di quella che poteva (t)essere. Caldi da scirocco in raffreddati sciocchi. La hostess scoscia e serve la cintura di sicurezza. Così, a monumento delle falsità, brindate i volanti cazzi altrui, applaudendo chi vincerà l’Oscar perché in platea sia (a)dorato e dietro le quinte con extra di scene censurate ben avvoltolato in comodo atterraggio.
E il premio va al tonto di turno, che si consola sognante e, rimpiangendo d’alibi le albe ormai albine delle notti in bianco, mangia un torroncino e cinge la mogliettina di leccate torride quanto un caramello ghiacciato sul budino al cac(a)o marcio, frutto rosso d’addentar bocche di rosa per la vincita dei cocchi su auguri acidi come angurie senza goduria dello spolpare.

Arrivederci. Io non (ri)entro in tal società. In quanto fuoriesco, come una scala mobile dell’ammobiliarmi a onanistico saliscendi. Non è ammorbarmi, è morbo di mia mano al Parkinson. Tu, toglitela per Pattinson. Preferibile comunque alle bili dell’ascensore vostro pachidermico.

Ah, la dermatite, evviva io di terminali pulsanti, premente a sterminarmelo, a tirar ove mi va senza troie vostre ad allentar’. Ah ah.

La febbre di un attore


24 Jan

Siamo tutti attori da Oscar nel nostro palcoscenico: c’è chi preferisce un suo film a luci rosse, chi interpretare un ipocondriaco alla Woody Allen, io invece consegno i premi


Sì, io mi (ri)tiro di “cameo” che dà all’altro il designarlo e desino lontano dalla mondanità, in quanto festeggio con dei biscotti fatti in casa, ammirando le cosce delle attrici più “in gamba”.
Ieri sera, ad esempio, mi son connesso a Internet per “modularmelo” su una di reggicalze ma appena stetti per estrarre… dai calzoni… svenni. Mi risvegliai accalorato, stranamente di febbre da “cavallo”. Sì, son corso in bagno e ho vomitato, in quanto il Mercurio del termometro era sui 39 e mezzo di temperatura. Ancora questo maledetto virusinfluenzale che non ho debellato. Due settimane fa, mi colpì dall’oggi al domani. Pensavo a un normale raffreddore, invece mi schienò tremolante a letto con la borsa del ghiaccio e pelle sudata così come effetto sgelante della Tachipirina su Bisolvon al bisogno, vero mucolitico che talvolta sana anche le coliti. Sì, forse sarà una bronchite e m’è successa la ricaduta.
Ecco, credo che il mio set sia una malattia perenne, devastante, in cui sono obbligato a essere sempre sedato in mezzo a colpi nervosi altrui di tosse secca. Cioè gli stronzi mai tristi che felicemente si stordiscono e si credon chissà chi. Mai turbati dalla loro “estetica” repellente eppur per loro da insignirsi di onorificenze.
Ora, che senso ha tutto ciò? Non lo so, ma è un Teatro.

Firmato il Genius
(Stefano Falotico)

  1. The Bag Man (2013)
  2. Fuori orario (1985)
  3. Febbre da cavallo (1976)

The Wolf of Wall Street by Sentieri Selvaggi


23 Jan

From this:

(IN & OUT) -IN: AMERICAN DREAMZ. The Wolf of Wall Street, di Martin Scorsese


Come un Robert Altman tenuto in piedi da integratori sintetici Scorsese porta a casa un pamphlet antiamericano lungo tre ore che scorrono via velocissime come le strisce di coca consumate da questi protagonisti compulsivi che scena dopo scena fanno sempre la stessa cosa. L’ultima tentazione di un cineasta insicuro, che ha sempre desiderato far parte della famiglia (Hollywood, l’America) per poi scoprire, forse troppo tardi, che l’unica cosa sensata da fare è mandarla a fare in culo

Jekyll e Hyde. C’è un fatto. È praticamente impossibile approcciarsi alla carriera di Martin Scorsese, soprattutto quella degli ultimi – contestabili – dieci anni, senza riflettere sul suo ruolo da “infiltrato” dentro l’industria di Hollywood. Essendo stato da sempre il cineasta dei due mondi, a oggi possiamo definire Scorsese l’unico regista assieme al primo Francis F. Coppola, a tutto Michael Cimino e a loro “figlio” James Gray ad aver tentato in modo dichiarato la disperata e arrogante sintesi tra il Cinema classico hollywoodiano e il Cinema d’autore europeo (in questo caso non contano né Spielberg né Eastwood: il primo è sempre stato dentro il Sistema, anzi lo ha addirittura genialmente costruito; il secondo ha da sempre incarnato un emblema dell’America). Come leggere se non riferendosi a questa (im)possibile idea da emarginato newyorkese quel controverso biopic (probabilmente il punto di non ritorno di molti scorsesiani “pentiti”) che è stato The Aviator: assurdo, ingolfato e schizofrenico tentativo di mettere insieme Welles, Minnelli e la claustrofobia scenografica di un Visconti. In realtà da Gangs of New York in poi tutti i film realizzati dal nostro raccontano il terribile dilemma tra l’essere un cineasta accettato dal Sistema e/o rimanere un autore personale. Come un Jekyll e Hyde in crisi identitaria e afflitto dai sensi di colpa (molto cattolico e molto italiano in questo) Scorsese ha scelto di essere entrambi. E il suo Cinema ha perso parecchio. Eppure tutti i suoi ultimi film, in questa rivista giustamente rigettati e con il punto più basso raggiunto dall’insostenibile Hugo Cabret, assumono in quest’ottica un fascino particolare, oggettivamente “malato”. Sono mostri senili senza un centro, con idee morali, estetiche e ideologiche ambigue, bipolari. Allo stesso tempo però – e con questo il sottoscritto è consapevole di prendersi un bel rischio – sono oggi paradossalmente più interessanti dei suoi grandi film degli anni Settanta, Ottanta e Novanta in quanto terribilmente attuali nel loro essere datati, raccontano il tentativo di scardinare dall’interno il meccanismo dello spettacolo hollywoodiano bluffando coi produttori, col pubblico e perfino con se stesso.

L’ultima tentazione.

In tal senso non ci sono dubbi. Wolf of Wall Street è il “capolavoro” di quest’ultima, sciagurata decade. Con le stesse cocciute certezze di un giapponese rimasto 50 anni in un’’sola deserta del Pacifico, Scorsese prova a prendere a picconate il Sogno Americano in modalità full frontal: dal nudo sconcertante di Margot Robbie a DiCaprio che parla direttamente in macchina, il tentativo disperato di Scorsese qui è comunicare direttamente con un pubblico che forse sente di aver smarrito ma che i 100 milioni di dollari di budget e la filmografia che si porta appresso lo obbligano a intercettare. E allora ecco questa strampalata, eccessiva e plastificata black comedy sull’ascesa e caduta di un broker di Wall Street strafatto di coca, fica e cinismo capitalista molto reaganiano (siamo tra la fine degli anni Ottanta e i primi Novanta).
Nella gabbia dorata in cui s’è rinchiuso – budget altissimo, uscita americana natalizia per gli Oscar, DiCaprio protagonista senza freni e produttore – Scorsese prova a districarsi aumentando i giri, dopando il suo cinema e il montaggio della straordinaria (e sostanzialmente co-autrice) Thelma Schoonmaker con movimenti frenetici, dialoghi incessanti e situazioni grottesche. Paga un debito quasi invisibile ma meraviglioso con la Letteratura americana postmoderna di Jay McInerney e soprattutto Bret Easton Ellis, che infatti ha adorato il film, come del resto hanno fatto su Twitter Seth Rogen, Edgar Wright e Greg Mottola rafforzando un legame tra questo film e parte della nuova commedia americana inatteso, da non prendere alla leggera e di cui forse ce ne accorgeremo tra anni. Come un Robert Altman tenuto in piedi  da integratori sintetici Scorsese porta a casa un pamphlet antiamericano lungo tre ore che scorrono via velocissime come le strisce di coca consumate da questi protagonisti compulsivi che scena dopo scena fanno sempre la stessa cosa, alla stregua di una impeccabile performance degli Stones modalità Shine a Light (e forse qui ha davvero ragione il nostro Sergio Sozzo nel considerare il documentario sugli Stones il manifesto occulto dell’ultimo Scorsese, in quanto film sul mestiere e sull’esecuzione mercantile). Chissà. Forse è vero che The Wolf of Wall Street non aggiunge molto altro rispetto a un Casinò. I denigratori in tal senso hanno più di un argomento a loro favore. Ma vederlo, rivederlo e ascoltarlo è una goduria pazzesca. E quel finale, con quel controcampo rivolto a una platea passiva, inebetita e in cerca di un nuovo Messia del denaro facile, è una delle illuminazioni più lucide e dolenti viste in sala negli ultimi tempi. L’ultima tentazione di un (cineasta) italoamericano  insicuro, che ha sempre desiderato far parte della famiglia (Hollywood, l’America) per poi scoprire, forse troppo tardi, che l’unica cosa sensata da fare è mandarla a fare in culo. Fuck you USA.

MGM 90th Trailer


22 Jan

FILM IN TV – Casinò, di Martin Scorsese, Mercoledì 22 gennaio. ore 23.15, Premium Emotion


22 Jan

Come i Sentieri Selvaggi riportano, che io correggo di e accentate male:

 
La febbre dell’oro, settanta anni dopo. Senza la poesia, la tenerezza e la malinconia del vagabondo di Chaplin, perché sostituite ormai dall’avidità, la violenza e l’arrivismo senza limiti. Sam “Asso” Rothstein e Nicholas “Nicky” Santoro sono i protagonisti di questa velocissima cavalcata all’inferno senza ritorno, un biglietto di sola andata all’interno dei meccanismi del Sistema che ha fagocitato e riscritto il Sogno Americano, senza chiederne il permesso.

Il primo è il nuovo gestore del Tangiers, l’immenso Casinò che regna sul deserto circostante, mandato dai boss per triplicare i profitti e gli interessi delle famiglie mafiose nel territorio; il secondo è il suo braccio destro, una scheggia impazzita e senza controllo che contribuirà all’inarrestabile declino di questa tragedia moderna a tinte fosche e nerissime. Nerissime, nonostante lo sfarzo e la vivacità di questo mondo incredibilmente colorato provi (inutilmente) a nascondere il rosso del sangue con le sue luci al neon e le attrazioni da luna park. Più che un seguito (o un rifacimento) di Quei bravi ragazziCasinò ne rappresenta l’ideale prosecuzione, il punto di non ritorno dell’estetica scorsesiana, forse mai (più?) a questi livelli: quasi tre ore di narrazione a rotta di collo nella quale voci e punti di vista si alternano senza soluzione di continuità, costantemente accompagnate da un commento sonoro magistralmente integrato in un montaggio arditissimo e spericolato. Ecco, spericolato, non a caso: Casinò rimane ancora oggi un esempio di cinema monumentale appunto perché grande, sotto qualsiasi aspetto.

L’affresco enorme e smisurato di un mondo (anzi, di una civiltà) dalle dimensioni talmente macroscopiche che tre ore di film riescono appena a sfiorarne la portata: Las Vegas come una Disneyland degli orrori, una roccaforte circondata da quel deserto sconfinato in cui poter nascondere e seppellire i propri peccati. Quasi un organismo a sé stante al cui interno scorre il verde dei dollari, mentre invece il rosso del sangue (quello vero) ne rappresenta la pelle, lo scudo protettivo fatto di terrore e violenza tramite il quale è possibile perpetuare il proprio controllo sull’universo intorno.

Un grande film sulla fine del mondo, sotto alcuni aspetti assimilabile a quello che due anni dopo sarà il Titanic di James Cameron: il racconto per immagini del crollo di una mastodontica cattedrale dalle fondamenta fragili, popolata da esseri umani che sono già inconsapevoli testimoni della catastrofe imminente. Uno dei grandi capolavori degli anni Novanta, poi preso a modello da moltissimi ma mai eguagliato nella sua assoluta perfezione filmica, nonché impossibile da pensare con nomi e volti diversi: dalla coppia incarnata da Robert De Niro (che nello stesso anno partecipava anche a Heat di Mann, un momento irripetibile) e Joe Pesci, alla tormentata Sharon Stone che qui per la prima volta dimostra di essere veramente un’attrice. Non è vero che, dopo Casinò, il cinema di Martin Scorsese non è più stato degno di nota, ma allo stesso tempo è vero probabilmente che non ha più posseduto questa irresistibile potenza deflagrante e sanguigna, fatta forse eccezione per Al di là della vita e Gangs of New YorkAspettando, ovviamente, The Wolf of Wall Street

 

Titolo originale: id.

Regia: Martin Scorsese

Interpreti: Robert De Niro, Joe Pesci, Sharon Stone, James Woods, Alan King, Kevin Pollak, L.Q. Jones

Durata: 165′

Origine: USA, 1995

Genius-Pop

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