Psicosi di DiCaprio!

26 Jan

I pensieri psicotici di un uomo per voi penoso che non mangia le vostre cotiche e vive di anima effusa in (al)colica per corna senza aspiranti m(o)u(s)se
Ho sempre propeso per me che mi stendo e la intenderò a visione tetra contro le comuni tenerezze, abbracciando un bacio per scalzarlo così come gli imbellettati ipocriti ambiscono ai balli da strappar le femminili mutande ma poi optano, sempre paciosamente tristi e ritrosi, per ammiccamenti corteggiatori da ruffiani che van sano ma lontano, eppur salivano. Dunque, impiegherà molto a sal(ir)e in quanto la figa sarà ardita con calma olimpica da bollire a patata lessa, in quanto anch’ella palindroma ancella che, dopo tanti uccelli pacati, sciolta nell’ammuffirsi s’impiastrerà a cotta piastra della brace che doveva arrostirla con indelicato arroventare immediato a lei subito (an)data. Sì, si (s)tirano e poi favellano ma di fava attendono troppo la topa, e la sala d’attesa piange di “piatto” a non pittargliela. Intanto si bucano. Il cervello pensa a come trivellarla in vigoroso pene e, nel frattempo, bevendo un freddo frappè, l’amaro si scalderà solo per un gelo da non zuccherato caffè. Bando alle ciance, siete lenti e, mai proficui dell’attimo fuggevole, in fighe ardenti vorreste volare ma aspettate che sian svaporate al dente.

Assaporando assaggini di quella che poteva (t)essere. Caldi da scirocco in raffreddati sciocchi. La hostess scoscia e serve la cintura di sicurezza. Così, a monumento delle falsità, brindate i volanti cazzi altrui, applaudendo chi vincerà l’Oscar perché in platea sia (a)dorato e dietro le quinte con extra di scene censurate ben avvoltolato in comodo atterraggio.
E il premio va al tonto di turno, che si consola sognante e, rimpiangendo d’alibi le albe ormai albine delle notti in bianco, mangia un torroncino e cinge la mogliettina di leccate torride quanto un caramello ghiacciato sul budino al cac(a)o marcio, frutto rosso d’addentar bocche di rosa per la vincita dei cocchi su auguri acidi come angurie senza goduria dello spolpare.

Arrivederci. Io non (ri)entro in tal società. In quanto fuoriesco, come una scala mobile dell’ammobiliarmi a onanistico saliscendi. Non è ammorbarmi, è morbo di mia mano al Parkinson. Tu, toglitela per Pattinson. Preferibile comunque alle bili dell’ascensore vostro pachidermico.

Ah, la dermatite, evviva io di terminali pulsanti, premente a sterminarmelo, a tirar ove mi va senza troie vostre ad allentar’. Ah ah.

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