FILM IN TV – Casinò, di Martin Scorsese, Mercoledì 22 gennaio. ore 23.15, Premium Emotion

22 Jan

Come i Sentieri Selvaggi riportano, che io correggo di e accentate male:

 
La febbre dell’oro, settanta anni dopo. Senza la poesia, la tenerezza e la malinconia del vagabondo di Chaplin, perché sostituite ormai dall’avidità, la violenza e l’arrivismo senza limiti. Sam “Asso” Rothstein e Nicholas “Nicky” Santoro sono i protagonisti di questa velocissima cavalcata all’inferno senza ritorno, un biglietto di sola andata all’interno dei meccanismi del Sistema che ha fagocitato e riscritto il Sogno Americano, senza chiederne il permesso.

Il primo è il nuovo gestore del Tangiers, l’immenso Casinò che regna sul deserto circostante, mandato dai boss per triplicare i profitti e gli interessi delle famiglie mafiose nel territorio; il secondo è il suo braccio destro, una scheggia impazzita e senza controllo che contribuirà all’inarrestabile declino di questa tragedia moderna a tinte fosche e nerissime. Nerissime, nonostante lo sfarzo e la vivacità di questo mondo incredibilmente colorato provi (inutilmente) a nascondere il rosso del sangue con le sue luci al neon e le attrazioni da luna park. Più che un seguito (o un rifacimento) di Quei bravi ragazziCasinò ne rappresenta l’ideale prosecuzione, il punto di non ritorno dell’estetica scorsesiana, forse mai (più?) a questi livelli: quasi tre ore di narrazione a rotta di collo nella quale voci e punti di vista si alternano senza soluzione di continuità, costantemente accompagnate da un commento sonoro magistralmente integrato in un montaggio arditissimo e spericolato. Ecco, spericolato, non a caso: Casinò rimane ancora oggi un esempio di cinema monumentale appunto perché grande, sotto qualsiasi aspetto.

L’affresco enorme e smisurato di un mondo (anzi, di una civiltà) dalle dimensioni talmente macroscopiche che tre ore di film riescono appena a sfiorarne la portata: Las Vegas come una Disneyland degli orrori, una roccaforte circondata da quel deserto sconfinato in cui poter nascondere e seppellire i propri peccati. Quasi un organismo a sé stante al cui interno scorre il verde dei dollari, mentre invece il rosso del sangue (quello vero) ne rappresenta la pelle, lo scudo protettivo fatto di terrore e violenza tramite il quale è possibile perpetuare il proprio controllo sull’universo intorno.

Un grande film sulla fine del mondo, sotto alcuni aspetti assimilabile a quello che due anni dopo sarà il Titanic di James Cameron: il racconto per immagini del crollo di una mastodontica cattedrale dalle fondamenta fragili, popolata da esseri umani che sono già inconsapevoli testimoni della catastrofe imminente. Uno dei grandi capolavori degli anni Novanta, poi preso a modello da moltissimi ma mai eguagliato nella sua assoluta perfezione filmica, nonché impossibile da pensare con nomi e volti diversi: dalla coppia incarnata da Robert De Niro (che nello stesso anno partecipava anche a Heat di Mann, un momento irripetibile) e Joe Pesci, alla tormentata Sharon Stone che qui per la prima volta dimostra di essere veramente un’attrice. Non è vero che, dopo Casinò, il cinema di Martin Scorsese non è più stato degno di nota, ma allo stesso tempo è vero probabilmente che non ha più posseduto questa irresistibile potenza deflagrante e sanguigna, fatta forse eccezione per Al di là della vita e Gangs of New YorkAspettando, ovviamente, The Wolf of Wall Street

 

Titolo originale: id.

Regia: Martin Scorsese

Interpreti: Robert De Niro, Joe Pesci, Sharon Stone, James Woods, Alan King, Kevin Pollak, L.Q. Jones

Durata: 165′

Origine: USA, 1995

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