La società odierna è sempre più un jeu de massacre per svilire e annichilire l’altrui joie de vivre finché non arriva Rocky Balboa di Rocky V o solo Eastwood di Million Dollar Baby

23 Nov

RockyV

Parafrasando Joe Pesci di Casinò: nel deserto vi sono un fottio di buche ma voi vi siete lasciati fottere da uno che tutti e tutte mette in buco, no, buca

Sì, la vita occidentale, da che mondo è mondo, come si suol dire, è stata perennemente e permanentemente una futile rincorsa per procacciarsi l’altrui stima e dunque per tirare a campare il/al meglio possibile secondo una scala alimentare presieduta al suo vertice dall’uomo più ludro. Probabilmente, anzi sicuramente, più lurido.

Dato che, dietro tutto il suo or(c)o che luccica, costui deve aver magnato come un porco in modo sporco come un affamatissimo lupo tutti gli agnellini, spolpandoli sino all’osso, spompandoli e tutte le ninfe cerbiatte spupazzando, spremendo chiunque gli capitasse a “tiro”, per l’appunto, come un limone o soltanto inchiappettando chicchessia come un avido, arido volpone ché, stando sopra chiunque, ama essere cavalcato e odorato, no… scusate, adorato come uno che la sa lunga e dunque può permettersi tutto.

Tutti e tutte, tranne me.

La mia indole è quella pionieristica daDaniel Day-Lewis de Il petroliere. Tutti, pendendo dalle labbra d’un sistema dominato, per l’appunto, da un subdolo gerarca che li sottomette in maniera violentemente subliminale e anche inguinale, credono che, nella profondità delle loro lobotomizzate e desertificate anime, non vi sia il petrolio che valga tanti (di)amanti.

Al che, rabboniti dal cinismo che va per la maggiore, soppressi dal caporale alla sommità di ogni fascistica, repressiva istituzione, si sono arresi, celebrando l’immensità di amori spesso trasognati o solo fantasticati.

Poiché, arretrati o atterriti dalla realtà cupa loro giornaliera, oberati nell’essersi lasciati obliare da chi nelle coscienze li plagio, obnubilò e onestamente inculò, totalmente anneriti e quindi nell’amor proprio sfiniti, sanno solamente decantare i loro lamenti, consolandosi sull’Autostrada A1, cioè detta del Sole, nell’alzare il volume quando, in radio, odono la sempiterna ed eterea, celeberrima hit di Lucio Battisti, venendo nelle mutande ed esultando d’estasi mistica come se, in stato di grazia, si trovassero dinanzi al definitivo, vincente goal di una Coppa del Mondo di Calcio della loro Nazionale, nei magici istanti in cui Lucio, guidato da Mogol, cantò ed eternamente scolpito nelle memorie di tutta una loro vita andata a puttane, eh già, per loro, sino all’attimo della morte, canterà…

Oh mare nero, oh mare nero, oh,

tu eri chiaro e trasparente come me…

Io, invece, con aria torva e antipatica, ricevo l’eufemistica patente di ragazzo simpatico. Traducibile invero, in forma più realistica, nell’offesa di handicappato o di puro disgraziato.

Ma, sebbene sia stato sin dalla nascita sgambettato, non sono ancora stato (in)castrato. Anzi, più insultate con veemenza, più me ne fotto con potenza.

Ah ah.

Le insospettabili, incompatibili somiglianze fra noi tutti: della serie, pensavi di essere in retrocessione e scopristi invece che vincesti lo scudetto, domani però ti aspetta il golf(ino)

Sì, voglio prenderla molto larga, iniziando certamente da un tizio che, per mia disgrazia immane, per mia sciagura indicibile, in questo percorso altalenante ch’è la vita coi suoi alti e bassi, in questo dondolare, ciondolare, svaccarsi, cazzeggiare, quindi lavorare, forse ancora poltrire in cui ballonzola l’esistenza di noi tutti, alcuni dei quali, perdendo la spinta per la resistenza, si danno poi alla morte, cioè al suicidio e dopo il suicidio a essere inesistenti, dicevo… nella sfiga, no, nella vita anche senza una figa o una lira eppur dotata di una mia anima lirica, col suo perpetuo nostro peregrinarvi e in essa naufragare ma non trombarcela, incrociai un essere incerto che mi rese un uomo assai impervio. Soprattutto incazzato, assai certo che gli avrei spaccato il culo con far superbo.

Fu un mio momento di demenza nel quale, dunque, ammetto or con coscienza che non ero molto in me. Adesso ne sono consapevole ma quasi mai ne son conscio, malgrado una volle, ieri, farmi assaggiare le sue cosce per intero e perciò nel loro interno in tale mio rigido, penoso inverno.

Sì, ieri sera, una ragazza fu lapidaria ma estremamente sincera:

– Sai che sei piuttosto carino?

– Davvero? Non lo sapevo. Avresti carta e penna? Vorrei annotarmelo. Non si sa mai, potrei dimenticarmene.

– Non importa, ci sono qua io a ricordartelo sempre. Come e quando vuoi, sono tua.

– Ah sì? Semmai ricordamelo domani. Stasera, ho voglia di guardare un film di Bergman, ciao.

– Fai veramente schifo, sei orribile!

– Cazzo, finalmente ho trovato un blocnotes. Mi segno anche la tua offesa.

– Così non ti passa di mente?

– No, così la leggeranno anche i carabinieri.

– Vuoi denunciarmi per così poco?

– No, figurati. Sono sempre andate forti le barzellette sui carabinieri. Chiederò loro se possono trovarti un posto in caserma. Sì, ti vedrei bene come donna nell’ufficio ove nessuno se l’incula ma metterai allegria con la sua faccia inespressiva da stampante senza cartucce.

– Basta! Io ti ammazzo! Sì, ora ti minaccio davvero!

– Perfetto. Allora, dopo che ti avranno assunto, ti licenzieranno e poi ti arresteranno.

– Che vuoi dire?

– Sai, intanto, fra pochi giorni potrai lavorare. Di solito, prima che una persona, denunciata, venga arrestata, eh già, passano mesi.

Puoi ancora, per un po’, andare a fare shopping con le tue amiche fottute nei tuoi sabati pomeriggi liberi.

 

Fui un coglione? No, era racchia. Aveva pure la voce da cornacchia.

Sì, era un periodo nel quale mi scorporavo parecchio, mi masturbavo le tempie e mi scopavo da solo in un duraturo, durevole ma soprattutto durissimo presente senza cognizione del tempo, un periodo in cui fantasticavo di compenetrarmi in suadenti, morbidi, dolci corpi femminili stuzzicanti. I più dei quali appartenevano non a me ma alle attrici più fisicamente dotate e rinomate dell’Hollywood dorata. Cioè ai loro mariti.

Ah ah.

Di mio, me ne fottevo.

Sì, il mio fu all’epoca un campionario di proibite, inconfessabili fantasie erotiche che qui, spudoratamente, ho l’ardire, oserei dire l’osé della svelata scostumatezza mia rivelatasi in tutto il suo innocuo candore, di confessarvi con impudico ardore, prostrandomi in sacro pentimento come se m’inchinassi dinanzi a una super modella che posa (ci sta anche il congiuntivo posi) reclinata a novanta gradi, totalmente ignuda ma soprattutto ignara che, nel fatale attimo del suo inchino divino così esuberantemente non avaro di mostrarsi a me completamente fulgida e chiara, sto (no, non ci sta il congiuntivo stia) sperando già che sia mia futura sposa integralmente giammai amara, per sempre da amare in modo rocchettaro, ovvero strimpellandole la mia chitarra e godendoci, dunque gioendoci, unti e assieme uniti, di melodie musicali perfino da compagni che odiano i discotecari e che, dopo aver fatto sesso, baciano (ci sta anche bacino) addirittura gli acari depositatisi sul tappeto ove la copulai mentre, avendola e fornicandola, dolcemente le sussurrai ti amo ma lei, eccitata dall’amplesso ardimentoso ed esageratamente voglioso, per ancor più eccitarsi, mi spronò a un volgare vocabolario di onomatopeiche mentre le stetti per venir in topa in modo frastornante, cioè di orgasmo da animale ululandole, in particolar specie, forse lupesca, eiaculante tutta la mia passione ficcante, prima di fumarmi una sigaretta rilassante sul letto ora libero dalla sua rottura di cazzo scioccante.

Un attimo prima dell’eiaculazione, eh sì, scoccante.

Il tappeto si sporcò mentre i vicini, disturbati dalle grida di godimento sconvolgenti, dapprima si turbarono freneticamente ed ebbero intenzione di chiamare immediatamente le forze dell’ordine per disturbo della quiete pubblica e anche per lor ascoltato oltraggio al pudore ma poi, empaticamente, ecumenicamente, incapricciati dal nostro amarci di vivida e vera passione senziente, le loro intime voci del cuore auscultarono fervidamente. Ribollendo di emozioni sepolte, adesso ritornate virulentemente.

Dunque, dopo la loro prima moralistica reazione palpitante, ovvero lo stupore dinanzi alle urla del nostro apparentemente scandaloso furore effervescente, sentirono il piacere febbricitante ed elettrizzante della condivisione euforizzante. Stimolati quanto la mia lei stimolai in quell’atto orgasmico devastante, vollero anch’essi assaporare le dimentiche (diamo un tocco aulico, potevo dire semplicemente dimenticate) autenticità delle loro oramai scordate, oserei dire scorate e scoraggiate nudità disarmanti, forse solo da me disarmate.

Dunque, ancora della figa, no, della vita amanti. Sconsacrandosi. Forse solo scopandosi.

Poiché, disamorati della vita congiunta, “scoreggiati” dal fetore dei loro odiati lavori che purtroppo, volenti o nolenti, devono strettamente tenersi altrimenti di fame morirebbero oppure camperebbero a stento e di stenti, con vocalità rielevatesi in apoteotica gloria, risvegliati dal nostro mordace, squillante, scalpitante calore, appassionatamente rimembrarono i tempi in cui, non ancora cinici e vanagloriosi, s’amarono senza il peso delle loro odierne amarezze da uomini barbosi.

Sì, riscoccò la rimembranza da parte degli uomini di un’epoca in cui non erano solo i membri di un’azienda, bensì vagheggiavano le membra anche della segretaria tuttofare. Che ancor oggi sognano di stantuffare a costo di smembrarsi, svenarsi, forse solo venire.

Torniamo, dopo l’alleluia dei sensi e perciò anche degli riscoperti seni, al tizio che vi citai a inizio scritto.

Studiava Economia e Commercio. Da provetto, come no, economista e statista di un lavoro che, a distanza di vent’anni da allora, è adesso solo quello dello stagista, m’apostrofò con fare schietto, gridandomi da poveretto:

– Stefano, ti sarò sincero. La gente scopa, si diverte e va alle feste. Cose che tu non farai mai!

 

Sputò tale idiozia con una protervia, con una prosopopeica cattiveria da lasciare stecchito anche Gene Hackman del film La giuria.

Infatti, io sono John Cusack del medesimo film.

Cosicché, colto in un momento d’impari fragilità interiori, crollai a pezzi dirimpetto a tale suo squallido, osceno affronto scabroso.

E impazzii, forse inveendo contro persone che non c’entravano niente. O forse c’entravano ma mal m’avevano inquadrato. Sì, anche loro non m’avevano ingroppato.

Ora, se nella vita avessi voluto far il quadro, sarei uno che gli atri squadra, giudicandoli secondo gerarchie aziendali, se invece voglio far l’artista, non ho bisogno dei compassi e delle squadre, bensì della fantasia e della mia anima, miei brigadieri, brigatisti o solamente fancazzisti.

Molta gente, a tutt’oggi, erroneamente pensa orridamente che io scriva libri per ricevere un “bravo”, per essere ammirato o, peggio, per venir accettato o diventare un ammiraglio.

Credo che di me poco abbiano quagliato. Sono degli asini e ragliano. Forse solo sbavano.

Io non sono attorniato da dottori che mi possano insegnare le umane, sociali relazioni e, mi spiace, non son affetto da mentali dolori che mi stipino nella catacombale segreta delle mie emozioni segrete.

Da voi ritenute costipate e strozzate. Continuate sol a dirmi di uscire dal guscio. Non sono uno struzzo, non sono uno stronzo. Forse sono solo un gonzo.

Invero, posso dirvi che è da quarant’anni che dall’utero materno son uscito e dico qui altresì che sono come Martin Lutero.

Ieri sera, ammirai la simpatia e la bellezza di Virginia Raffaele, donna divenuta famosa per le sue imitazioni dei cosiddetti VIP, soprattutto di Belén Rodríguez.

Sì, Virginia è perfino più bella, a ben vedere, dell’originale, vale a dire della Rodríguez. Sarebbe piacevole parlarle, diciamo anche intimamente parlarvi…

Vorrei capire perché le piace scimmiottare le sceme quando in verità potrei offrirle il mio essere scemo e fare con lei la scimmia.

Credo, inoltre, che sia una donna molto sexy, indubbiamente, Giulia Salemi. Sicuramente, mi attizza più di quel salame di Vincenzo Salemme. Diciamocelo, uomini che credete a Gesù di Betlemme, ebrei di Gerusalemme e mio matusalemme, alla Salemi occorre lo zucchero e poi ancor più sale. Ah ah.

Giulia, donna giuliva che ama le maschili olive e che va ora in tutte le trasmissioni a dire che la gente le dà della puttana poiché s’è fatta i soldi grazie soltanto al suo vertiginoso spacco mostrato in passera, no, in passerella al festival di Venezia del 2016.

Lamentandosi che vorrebbe essere vista come una donna vissuta, intelligente e cazzuta che possiede tanti superdotati, no, tante doti.

Sì, vi racconto questa. Rappresenta il nocciolo di tutta la faccenda. Insomma, della porcata.

Viviamo nella società delle apparenze.

Avete mai visto, che ne so, su Facebook… una che inserisce la foto di lei appena sveglia?

È la stessa persona che dice di voler essere ammirata per il suo cervello quando, nei suoi album, ha solo foto di lei sui tacchi a spillo a una festa mondana, tutta in tiro per tirarli. Tirandosela di brutto da bellona.

Quindi, la dovremmo finire con le ipocrisie. Così come la dovremmo finire con me. Io sono proprio come mi descrivo. Non v’è né timidezza né scontentezza, né lietezza né gaiezza. Io sono io. L’idiozia m’annoia. Spesso sono tutti uguali. Anzi, nessuno è uguale all’altro ma tutti vogliono distinguersi, vestendo però allo stesso modo, vivendo nello stesso mondo.

Uno guarda un mio video su Joker, film su un malato di mente meno malato del mondo intero, e con sarcasmo mi scrive:

– Bellissima video-recensione. Perfetta, impareggiabile, impeccabile. Ho solo una curiosità: qual è la patologia di cui sei affetto quando gesticoli in modo così insopportabile?

La mia risposta:

– Soffro, invero, di una patologia rara e anomala. Secondo un luminare psichiatra premio Nobel, sono il più grande psichiatra del mondo. Secondo la gente di strada, sono matto e soffro di delirio d’onnipotenza da incosciente universale, storico e tragicomico. Secondo il luminare psichiatra, invece, siete voi gli incoscienti.

Dunque, dopo averti ringraziato per aver ammirato la mia video-recensione, vorrei solo farti una domanda:

– Il tuo sottile sarcasmo del tutto gratuito, dimmi pure, nasce dalla noia, dalla melanconia, dal disturbo borderline o semplicemente dall’infelicità e dall’invidia?

 

Sì, credo che passerò il resto della mia esistenza a scrivere libri, a corteggiare donne bellissime e a fare sostanzialmente un cazzo.

Se vi dà fastidio, basta che vi lanciate dall’attico del grattacielo del palazzo di Donald Trump e morirete, certamente.

Morale, morale immorale, dunque giusta: se pensavate che mi sarei piegato ai ricatti ipocriti, avete trovato uno che vi spiezza in due come Ivan Drago.

Ora, scusatemi, devo continuare a tirarmela. Se posso darvi un coniglio, no, un consiglio: tiratevela anche voi, più ve la tirerete e più ne verrà. Fidatevi.

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di Stefano Falotico

 

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