Archive for April, 2020

I critici di Cinema non sono Clint Eastwood


15 Apr

eastwood

Le teorie cinematografiche sui critici di Cinema: tutto dipende dalla genetica? Dall’ermeneutica? Dalla cultura e dal grado (dis)informativo? Dal cosiddetto “ambientificio?”

Ora, il termine ambientificio non esiste in italiano ma gli psichiatri lo usano spesso e l’hanno coniato apposta per denominare le condizioni ambientali in cui un essere umano è nato e/o cresciuto. Potremmo associarlo, con un termine più proprio della classificazione animale e figlia delle teorie di Darwin, come habitat.

Ovvero, il luogo d’origine, di provenienza, di abitazione, per meglio dire di ubicazione in cui una persona è nata, per l’appunto, è cresciuta o convisse. Oppure ancora stia convivendo, semmai vivendo pure una non vita. Semplicemente omologata all’ambiente circostante per sopravvivere.

Dunque, la persona in questione assume e introietta, spesso inconsciamente, degli stili di vita e di comportamento atti a non farsi allontanare, evitare, emarginare, estirpare, finanche evirare non solo dalla sua stirpe, bensì dalla razza ambientalistica in cui sta. Razza che, peraltro, può essere formata pure da donne animaliste oppure da uomini idealisti, addirittura ambientalisti. Oppure, una razza paradossalmente costituita da uomini e donne razzisti. O sessisti, sessuofobi, chiesastici, moralistici, ipocriti, bigotti o, di contraltare, troppo libertini, libertari, incoscienti immorali o partoriti, (in)generati e degenerati, allevati e forse già subito non alleviati da una famiglia morta dentro e fuori, quindi esistono anche gli orfani che crescono, giocoforza, in ambienti collegiali formati da suore repressive, da preti ped… li, da sagrestani con la parrucca invero più parrucconi non solo del parroco volpone, bensì di quelli che frequentano, nel proprio quartiere, la loro parrocchia. Abbiamo allora donne che vanno sempre dalla solita parrucchiera, uomini barbosi e barbuti che non si tagliano mai i peli del naso, i leziosi ed esigenti che cercano perennemente il pelo nell’uovo, abbiamo un uomo che non sa cucinarsi le uova poiché cresciuto da una madre che combinò, sin dapprincipio, a lui una frittata, facendolo impazzire anzitempo come una maionese mal mescolata, abbiamo uomini fintamente mascolini con pochi neuroni, dunque con un cervello senza muscoli. Dei coglioni? Nemmeno quello che sta in mezzo alle gambe funziona tanto cazzuto. Poiché l’eccitazione parte dall’ipofisi e, se il cervello è fottuto dalla nascita, l’uomo suddetto che n’è affetto, freddo, rimarrà al massimo un cazzone che, in palestra se la suda, in qualche balera con delle balene se la suona e se la canta ma, sinceramente, nessuno se l’incula, nemmeno sé stesso fotte poiché è talmente inconsapevole della sua stessa persona che non sa nemmanco mandarsi a fanculo da solo in masturbatori momenti autoironici.

Al che abbiamo gli esaltati innati, figli di genitori totalmente incoscienti dei propri limiti, mentali e non, che sin dai loro primissimi anni li comanderanno a bacchetta. Non saranno dei bacchettoni, anzi, peggio. Dei coglioni. Ripeto!

Poiché, credendo erroneamente di essere persone migliori delle altre, redarguiranno i figli ancora prima che da soli possano sbagliare, dunque imparare a vivere, interiorizzando da sé le emozioni, in maniera naturale e non forzata, atte a sviluppare la propria unica personalità in modo autonomamente giudizioso e critico nei confronti di una realtà perlopiù formata da idioti. Tutti assoggettati a valori che, soventemente, combaciano con la parola disvalore nell’accezione, questa sì, che va per la maggiore.

Secondo la dottrina gnostica, l’umanità si divide in tre categorie. Le conoscete? Documentatevene.

Secondo la psichiatra della minchia, che cos’è il Super-io? Stando alla generalista Wikipedia:

Con il termine Super-io (originale tedesco Über-Ich) o dalla resa in lingua latina Super-ego, secondo la teoria freudiana, si indica una delle tre istanze intrapsichiche che, insieme all’Es e all’Io, compongono il modello strutturale dell’apparato psichico ed è quella che, secondo lo stesso Freud, si origina dalla interiorizzazione dei codici di comportamento, divieti, ingiunzioni, schemi di valore (bene/male; giusto/sbagliato; buono/cattivo; gradevole/sgradevole) che il bambino attua all’interno del rapporto con la coppia dei genitori.

Inizialmente il padre della psicoanalisi aveva distinto all’interno della personalità due dimensioni: una conscia ed una inconscia; in seguito opererà una suddivisione della personalità nelle tre sfere sopra elencate.

Il Super-io è costituito da un insieme eterogeneo di modelli comportamentali, oltre che di divieti e comandi, e rappresenta un ipotetico ideale verso cui il soggetto tende con il suo comportamento. «È una sorta di censore che giudica gli atti e i desideri dell’uomo»[1].

Attraverso tale istanza si determina un meccanismo che porta alla frantumazione dell’Io ed alla sua successiva modificazione, in quanto vengono da esso assimilati modelli derivanti da imposizioni altrui. Il Super-io, infatti, scaturisce dal bagaglio culturale e formativo acquisito sin dall’infanzia dai genitori ed in seguito da altri eventuali educatori.

Se quindi, da una parte, tale sfera riveste una funzione positiva, limitando i desideri e le pulsioni umane, dall’altra, causa un senso continuo di oppressione e di non appagamento.

 

Ora, nel novanta per cento dei casi, spesso umani, in senso bonariamente dispregiativo, una persona non cambierà più, arrivata a una certa età. E anche la frase stupida di David Lynch, autore di Mulholland Dr., pellicola che manda a farsi fottere le istanze psichiche o che dir si voglia psichiatriche, agendo di nonsense da Strade perdute, ecco, fa pena.

Lynch infatti, in un momento d’infantile delirio d’onnipotenza, espresse una frase apodittica e assolutistica, non so se paradigmatica, onestamente poco utopistica e miracolistica, certamente dogmatica e onestamente stupida, ovvero:

le persone non cambiano, si rivelano.

È una frase stolta poiché, invero, le persone non cambiano anche quando si rivelano. Cioè, semmai appaiono veramente per ciò che, dapprima, non apparvero. Che è la stessa cosa, anche no.
Delirio! Sono le persone attorno a loro che, rimanendo scioccate e stupite, forse istupidite, dinanzi a quello che considerano uno stupefacente mutamento incredibile, essendo ottuse, poiché non possono cambiare in quanto oramai figlie del Super-io immutabile da loro sviluppato, della loro idea rimangono. Al che gli idioti la penseranno sempre allo stesso modo anche se, per educarli, li spedisci ai lavori forzati.

Oppure, un omosessuale, anche se obbligato ad accoppiarsi con una donna, finito che avrà di accontentare chi lo costrinse ad andare contro natura ed entrare in quella “radura”, non so se dando soddisfazione alla donna milf o immatura, tornerà omosessuale. Statene sicuri! Comunque, slacciate la cintura. E un ascetico, anche se spinto… nella società porcellesca, anziché omologarsi agli ilici, tornerà psichico. Che c’entra questo coi critici di Cinema? C’entra, eccome. Se un uomo, per esempio, non ama Silence o Il cavallo di Torino, significa che la sua vita è troppo incentrata su una quotidianità “normale” e frenetica per permettergli di riflettere sul senso dell’esistenza. Diciamo che è troppo preso dalle comuni istanze sociali e dalle bestiali stanze del porcile di massa. Attraverso questa mia teoria, potete identificare il modus operandi non solo di un critico ma anche di una persona cinematograficamente ignorante.

Comunque, al cavallo di Torino, preferisco Gran Torino e, a quello di Troia, quello dei pantaloni…

Sono un uomo che garantisce freddure a iosa. Sa anche regalare una rosa e indossa un golfino grigio pur rimanendo caloroso e roseo.

Uomini, non dovete scopare le mule, bensì amare The Mule.

 

di Stefano Falotico

Poesia di un uomo che fu cupo, forse anche lupo e ora è di nuovo, magicamente, benvoluto


15 Apr

93411662_10216242810925813_5288001521957470208_oLa futilità del tempo aromatico ancora nel mio cuore si staglia e io, riesploso nella solare vita amorosa, non più melanconico, dopo che nel buio ermetico giacqui, come Dracula di Bram Stoker soavemente rinacqui. Nella vita, vi è chi starnazza, c’è chi volgarmente strepita, chi rimane un asino e raglia e chi, come un Falò, calorosamente ancor abbaglia. Ah, quello lì abbaia, quella là latra e sta pure nella latrina.

Io fui un uomo che, nella tristizia, ululò spaurito.

Poi, ancora di vita riposseduto, in mezzo agli spari degli invidiosi e degli accidiosi, nel chiasso di cattivi uomini gelosi e non più di donne golosi, per fortuna sparuti o perfino finalmente spariti, di mio cuore ertosi in gloria marmorea, non so se in gola di voce rosea, decanta la beltà mia e forse della mia amata giammai perduta.

Presto di fortissima passione ancora baciata e incontaminata.

Come me non vi è nessuno, per fortuna o per (dis)grazia ricevuta, ridatemi il benvenuto e facciamoci assieme una bevuta.

Sono l’idolo assoluto?

Non lo so.

Quel che so è che m’addormentai, persi il senno e molti seni ma in verità vi dico che sono un dio quando voglio e soprattutto se la mia lei mi vuole.

Un Falò angelico e diabolico.

Non più la mia anima si duole, non più dorme, oh, che bell’homo…

 

Firmato
Stefano Falotico

Uomini immarcescibili come Rocky Balboa, gli intrallazzi cine audiovisivi del Joker, video incredibili e il grande Colin Farrell


14 Apr

Come sta andando la quarantena, figlioli? Vi vedo già sul moscio. Non state resistendo.

Vi mancano i baci di una donna che, dolcemente, lambisce/a le vostre labbra al calar delle tenebre e al calare dei vostri pantaloni quando qualcosa, sapete bene cosa, non è più tenero. E con lei, indurendosi più di Sly Stallone degli anni ottanta, edonisticamente si tende con un montante imprendibile.

Gli ani, no, anni novanta… peraltro. In cui spopolò la Tarantino mania e la vita assunse un colorito più pulp.

Andarono forte anche le storie hardboiled in noir cazzuti ma Stallone rimase un mito anche quando, ingrassando a dismisura, interpretò Cop Land. Una delle sue migliori interpretazioni in assoluto.

Stallone non fu mai portato per la commedia. Infatti, quando se ne cimentò, fallì miseramente in maniera ignobile. Poiché Stallone, a prescindere perfino dalle sue parti impegnate, è uomo onesto con sé stesso. E spudoratamente, in tempi non sospetti, ammise che non sarebbe mai stato un attore capace di recitare Shakespeare.

Stallone è così, prendere o lasciare.

Un uomo che, con gli anni, divenne pure amico di Bob De Niro. Per Rocky, Stallone fu candidato agli Oscar ma non lo vinse. Neppure De Niro per Taxi Driver, nominato nello stesso anno. Rocky vinse però come miglior film, battendo Taxi Driver.

Mentre De Niro vinse l’Oscar come miglior attore protagonista per Toro scatenato. Perdendo ai punti contro Stallone ne Il grande match.

Su un bel canale YouTube si sta discutendo in merito alla saga balboiana. Dilatata poi nello spinoff Creed e nel suo sequel.

Ora, a sproposito, collezionisti di ombre, tranne della loro vita oramai fantasmatica o troppo acculturata, eh eh, si scherza, per pura antipatia gratuita contro Sly, asseriscono con fare prosopopeico assai ardito che Over the Top e Cobra siano due cagate micidiali.

In effetti, è così. Cinematograficamente e idealisticamente fanno pietà. Ma hanno momenti che valgono il prezzo del biglietto.

Chi, dopo la quarantena, sarà un Survivor? Vi state infrollendo come il Balboa nel terzo Rocco…

Mentre Siffredi, a forza di fare il duro al colare delle sue tenere, non capisce più un cazzo. Completamente rincoglionito. Insomma, fottuto. Ah ah. E la dovrebbe finire anche con lo spot sulle patatine. Visto e rivisto, fatto e strafatto con la panza piena e qualcosa che non spinge più come una volta.

Di mio, gigioneggio. Mi districo fra intrallazzi da cinefilo, articoli giornalistici, flessioni ginniche.

E voglio qui ricordare a tutti i voi i miei tempi del Ginnasio. Che non vi furono poiché m’iscrissi al Liceo Scientifico ma presto gettai la spugna.

Sì, un ambiente di damerini tutti in tiro, trigonometrici e robotici, non si addisse al mio talento imprevisto da uomo nudo e crudo come la pelle di Stallone al mattino sotto una doccia fredda.

Mi applicai da autodidatta, fui additato come sfigato e malato di depressione cronica, mi appassionai sfegatatamente a De Niro, incontrai una e fu un incontro sino all’ultimo round sul suo letto ove, di Eye of the Tiger, venne fuori il ring(hio).

Sì, all’epoca ripresi a respirare, fu un Burning Heart. Un cuore bruciante agganciato a qualcos’altro ficcante.

Successero dei casini, avvennero delle risse ma non ricordo di essere mai stato ingannato da una rossa come quella che sta con Tommy Gunn per soldi nel quinto Rocky.

Sino a qualche mese fa, fui molto vicino a diventare Arthur Fleck/Joaquin Phoenix nel pre-finale di Joker quando, distrutto, esausto, massacrato e massacrante, inneggiò alla libertà con la folla in lacrime a onorarlo in gloria.

Anzi, sinceramente in disgrazia.

Una scena commovente.

Oserei dire straziante. Ogni nostra emozione celata davvero svelante.

Sì, gli anni passano, lo presi in quel posto non so quante volte.

Mi scatto un selfie e come mai io sembro un ventenne quando voi invece, a trent’anni, sembrate davvero suonati?

A furia di andare con bagasce varie, a forza di drogarvi o, pure peggio, di cazzeggiare da intellettuali della minchia, siete andati giù.

Molto giù.

Non ce la fate più.

Eh sì, No Easy Way Out.

Be’, debbo dirvi che fu un anno intenso, quasi da circense. Un mio amico, prima del Covid-19, mi portò sempre a Imola.

Soprattutto al locale LAB0542.

Posto pieno di vita. Sono stanco di gente che non vale il mio mignolo sinistro e vuole rendere la mia vita una tragicommedia.

Il JOKER MARINO, signore e signori.

Un uomo che s’inabissò, molto se la russò ma che conosce tutto e tutti.

Infatti, il regista Petrarolo mi saluta, chiamandomi per il mio vero nome.

Poiché io l’intervistai di persona.

Il Joker rinasce sempre come Rocky.

Fa la parte del matto poiché conosce la realtà. Che è dura e fa male.

Ma il Joker sa il Falò suo.

Se pensate di essere arrivati, sbagliate di grosso come Mason Dixon. Anche se siete i più forti, non bisogna mai abbassare la guardia.

Per tutti noi, che vogliate o no, ammesso che vivere vogliate davvero, arriveranno altre palate. Non so se patate, sicuramente le bollette. Alcuni di voi, inoltre, perderanno la testa e pure i testicoli per delle bollite.

 

di Stefano Falotico

Credo di essere l’unico uomo, ammesso che lo sia, a cui piace Colin Farrell


13 Apr

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Ecco, uno screenshot del mio WhatsApp che non lascia dubbi.
Naturalmente, il nome della mia amata rimarrà nel mistero per molto tempo.

amore

Ora, che mi crediate o no, sono stato nuovamente travolto da quello strano, oserei dire perfino pericoloso sentimento chiamato amore. Dopo anni d’ibernazioni, di castighi impostimi, di repressioni perfino auto-indottemi, anzi, prescrittemi pure farmacologicamente da uomini che si credettero dotti o semplicemente denominati dottori, dopo le mie peripezie romantiche più e più volte narratevi con certosina, minuziosa cura di particolari un po’ romanzati, sebbene assai veri e addirittura lacrimosi, sì, poiché amare significa spesso ingelosirsi a morte e soffrire dunque, per forza, immensamente nel proprio (di)strutto cuore, questo sentimento è tornato potente a invadermi l’anima di ardore furente.

Sebbene mi mascheri da cinico nichilista assai ritroso, anzi, perfino irriguardoso nei riguardi dei sentimenti normalmente appartenenti all’animo umano più caloroso, poiché mi piace tirarmela da alienato scontroso, spacciandomi anche per ferito emarginato odioso, posso garantirvi che neppure Stanley Kubrick fosse davvero un misantropo immisericordioso.

Basti vedere come, in maniera adorante, muovendo la macchina da presa grazie al suo operatore impassibile, in quanto educato sin troppo perbenisticamente come il figlio di Barry Lindon, riprese il culo morbido e basculante di Nicole Kidman in Eyes Wide Shut, sognando in cuor suo di farvi all’amore illimitatamente da vero lupo alla Jack Torrance di Shining.

Poi, Kubrick fu sposato e visse nelle campagne londinesi, cazzeggiando spesso a raccogliere fiorellini e margherite fra l’elucubrare un progetto irrealizzato come Napoleon(e) e la sua Sant’Elena da autoesiliato.

Ora, da tempo immemorabile, vivo d’una sessualità ambigua. Anzi, è così talmente marcata la mia eterosessualità piuttosto pronunciata che malfidati m’appioppano patenti da omosessuale marchiato.

Io non sono omofobo e non nutro alcun pregiudizio riguardo i gay.

Ma credo che sia indubitabile la mia passione per le donne.

Più evidente delle sopracciglia foltissime e dello sguardo penetrante e immediatamente ficcante di Colin Farrell.

Devo esservi sincero. Per anni soffrii di complessi di colpa da Farrell di In Bruges. Con la sola differenza che lui davvero, in questo film, ammazzò un uomo.

Di mio, ammazzai me stesso.

La mia fu una vita contemplativa di natura malickiana alla The New World.

Pensai di essere Alexander ma furono gli altri a magnare me. Sì, dei magnoni. Comunque, ogni estate lecco il Magnum, gelato ricoperto di cioccolato.

Cioè Colin Farrell. Sì, il famoso gelato dell’Algida è in verità Colin Farrell con la stecca al posto di qualcos’altro.

Colin fu amante prelibato e donò dolcezze succhianti e cremose a donne morbide e deliziose, in una parola sfiziose.

Ma Colin non fu mai né un vizioso né un ozioso. Lavoratore infatti è, a tutt’oggi, instancabile e duro. Parsimonioso!

Per anni fui anche stalkerizzato dal Kiefer Sutherland di In linea con l’assassino.

Vale a dire un burino infame che visse, nei miei confronti, della perenne Regola del sospetto.

Mi diede la patente di cieco come Daredevil. Mah, più che un Bullseye, questo qui fu solamente un bullo del cazzo.

La vita è dura e non si vive solo di scherzetti, miei belli. Altrimenti, finiremo tutti Sotto corte marziale.

La donna di cui sono innamorato sostiene che, più che a Colin Farrell, il mio sguardo assomigli a quello di Ewan McGregor. Di Sogni e delitti? No.

Ewan è molto più alto di me ed è più biondo che castano. Io sono castano tendente al rosso di sera bel tempo si spera. E da parecchi anni non mi reco al mare ove potrei abbronzarmi e far sì che i raggi solari schiariscano i miei capelli ma soprattutto il mio umore spesso nero.

Fui anche indagato come Tom Cruise di Minority Report.

Ve lo do io Dumbo e Il sacrificio del cervo sacro. Film con Colin e la solita Kidman Nicole.

Ecco, tantissimi anni fa mi successe una cosa allucinante.

Uscii con un amico che mi lasciò da solo con sua moglie e tutte le sue amiche come ne L’inganno.

Una situazione veramente imbarazzante e, in tal caso, non gliel’avrebbe potuta fare nemmeno Clint Eastwood de La notte brava del soldato Jonathan.

Fui preso anche per Harry Potter. Invero, sono più simile ad Artemis Fowl. Sì, una mente geniale che sabota però il mio corpo bestiale.

Al che, ucciso dalla mia stessa malinconia, folleggio da Kenneth Branagh che recita il celeberrimo monologo essere-non essere di Hamlet.

Amici, vi garantisco che passai momenti di crisi incazzate da Colin Farrell di True Detective 2.

Molti mi chiedono se io voglia dei figli. Sì, è bellissimo avere dei figli. Peccato che possano avere dei problemi come il figlio di Colin nella succitata serie televisiva scritta da Nic Pizzolatto.

Crescendo, bullizzato in quel modo, quel ragazzo si sarebbe ribellato. Sviluppando facoltà sensitive da Farrell di Premonitions.

Io evitai la psicopatia e la pericolosa pazzia, amando la musica country da Tommy Sweet di Crazy Heart.

E ho detto tutto.

Non sono l’immaginario Tony 3 di Parnassus – L’uomo che volle ingannare il diavolo ma anche Tom Waits non è male.

Non sono nemmeno il futuro Pinguino di Batman anche se, tre anni fa, divenni un po’ pingue e credo di essere Joker.

Mio padre avrebbe amato se mi fossi laureato in Legge, diventando un ricchissimo George Pierce di End of Justice.

Invece, depositai legalmente due miei libri che sputtanarono tutto il sistema d’ingiustizie su cui si basa la società, la psichiatria e l’economia del mondo odierno come Denzel Washington dello stesso film succitato.

Quindi, sono Colin Farrell nel finale di questa pellicola. Ah ah.

In verità vi dico che né io né voi dovete provare invidia per Colin Farrell. Non è solo indubbiamente bello, secondo me è anche un grande attore.

Da piccolissimo, ebbi comunque le orecchie a sventola. Poi, diventai un clown da circo.

Eppure ammaestro ogni leone con far da volpone, qualche volta son ancora coglione e minchione eppure sempre mantengo intatto un fascino più che da omone da uomo dai sani ormoni.

Per quanto riguarda le vecchie acredini, meglio finirla.

Al galoppo, amici.

Basta con le rotture di cazzo.

Colin+Farrell+Premiere+Disney+Dumbo+Arrivals+ggmn3shmZ3cl

 

di Stefano Falotico

 

I miei auguri pasquali


11 Apr

Introduzione a mo’ di riflessione, un po’ goliardica, un po’ scacciapensieri, un po’ piccante, spero molto brillante

Chi è senza peccato, scagli la prima pietra!

Chi fu peccatore, invece, con quella donna di nome Petra, continui pure. Perché Petra non crede a San Pietro ma ama essere amata da colui che con lei peccò, pecca e ancora peccherà.

Ebbene, appuntamento pasquale, miei uomini forse natalizi. Dunque con l’inclinazione a donare al prossimo liete felicitazioni speciali.

La colomba volò alta in cielo nel pre-finale di Blade Runner quando, il grande e compianto Rutger Hauer, l’olandese per l’appunto volante, considerato da molti sondaggi, oserei dire eletto il miglior attore natio dei Paesi Bassi di tutti i tempi, si congedò dall’umanità, recitando dinanzi al basito Harrison Ford un monologo fenomenale. Diciamocela, memorabile.

Un uomo, Roy Batty, imbattibile Ovvero il personaggio (dis)incarnato da Rutger, disumano, oserei dire superomistico, androide cibernetico in un mondo spento e ingrigito da un’impiegatizia, burocratica, fasulla e meschina normalità borghese. Incupitasi in notti senza dio, sommersa dalla pioggia, forse anche biblica, del proprio progresso paradossalmente regressivo. Ove fu dato ampio spazio alla tecnologia e si costruirono uomini bionici e robot come in Terminator ma si persero di vista le “macchine ribelli”. Le creature più nitrenti, nella propria intima, sacrosanta selvaticheria, la vividezza adamantina della propria suadente emozionalità brillante. Non reprimeteli, amateli. Coccolateli.

Uomini-non uomini dagli occhi vitrei! Occhi magnifici e iridescenti, cuori battenti e riflessi nello spazio d’una immensità traslucida come la venustà immortalata di una donna assai amata, forse davvero mai avuta, soltanto immaginata oppure sia fantasticata che, sinceramente, piacevolmente fottuta. Attimi godibili e consenzienti di pace dei sensi scalmanatasi poi, vigorosamente e carnalmente, nell’ardimento di piaceri brucianti che si perderanno nell’infinitezza di un languido bacio indistintamente inafferrabile come la fuggevole beltà onirica delle nostre anime dannate, ancora d’annata, fulgide e pregiate, potenti. Malgrado il Covid-19 stia mettendo a dura prova i nostri terminali vivi più resilienti.

Tu chiamale se vuoi… emozioni cantò Battisti. Vo foste battezzati? Credete nell’Altissimo che risorse al/il terzo giorno così come dicono le Sacre Scritture o, ammalativi di nichilismo animale, essiccaste la vostra incontaminata, candida bellezza spirituale a favore forse d’un buddismo utopico oppure di un budino ipercalorico assai stomachevole?

Eh sì, non più v’accalorate come un tempo per quei sentimenti lindi e liquidi che, compenetranti, fecero sì che all’amore consacraste la vostra vita, sposando non solo una donna, bensì abbracciando anche la morbidezza del Creato e del mare, dunque ripudiando ogni ingannevole male e il diavolo tentatore.

Sono qui, amici e nemici, fratelli della congrega ma soprattutto sorelle a me così inchinate in segno d’affetto empaticamente letizioso seppure non malizioso, bensì ecumenico, goloso e glorioso, per augurare a tutti voi una serena giornata benevolente e giocosa.

Poiché chi vuole davvero sa amare con furore e non più si duole nei falsi fervori.

Basta, adesso, però. Plachiamo subito gli entusiasmi e non c’infervoriamo più del dovuto poiché, sì, è Pasqua. Mica però Natale, ah ah. Quindi il giorno in cui si festeggia il Cristo risorto e non si prepara a pranzo solo un risotto, bensì anche una faraona, forse ex moglie di Ramesse. Ovvero Yul Brinner de I dieci comandamenti.

Sì, attenetevi alle disposizioni intraprese con creanza, senza dar di panza come qualcuno dell’opposizione, non fuorviando al di là delle restrizioni.

Sebbene i dieci comandamenti, a cui s’aggiunsero altri tabù e decreti di natura mondiale, dovrebbero essere nove.

In verità vi dico che bisogna, eccome, desiderare la donna d’altri. Bisogna essere protestanti riguardo questa legge più disumana di Roy Batty.

Voi siete cattolici o adepti del culto di Martin Lutero? Sì, In Utero nasce la vita, sebbene Kurt Cobain cercasse il Nirvana ma si suicidò sei anni prima di compierne trentatré.

Invece, molte persone credono che non ci si possa arrendere bensì combattere per le proprie libertà.

Trentatré trentini andarono a Trento, trotterellando.

Altri girano il mondo, semplicemente trollando.

Quest’anno sarei dovuto andare al Festival di Cannes come accreditato stampa. Ma la quarantena costrinse la kermesse a chiudere i battenti e io ora mi mordo le mani. Sbattendo ogni dente.

Sì, da un anno e mezzo a questa parte, rividi con più gioia la luce del giorno. Sebbene abbia trascorso molti miei recenti sabati sera in locali dell’entroterra imolese ove, se non fosse stato per la mia incrollabile fede all’amore puro, onestamente avrei voluto sconsacrarmi con ragazze anche giunte dal modenese per giochi onestamente un po’ sanamente luridi.

Sto dimagrendo quotidianamente e presto sarò un grissino torinese. Nonostante tutto, mangio ottime cotolette alla milanese.

Bene, ora parliamo di Cinema.

Scorsese girerà Killers of the Flower Moon. Le cui riprese furono rimandate per ovvie ragioni da noi tutti conosciute.

Un tempo, pensai di essere più bravo di Robert De Niro. Mi spiace ammetterlo. Col tempo si matura e si cresce. Quindi, mi scoccia disilludervi. Oggi come oggi, sono più bravo di lui. Ah ah.

Inizialmente, Scorsese propose a De Niro la parte di Gesù ne L’ultima tentazione di Cristo. Poi andata a Willem Dafoe. Un anno prima, De Niro interpretò Mission. Ora, molte persone schizofreniche, le quali s’identificano col Messia, adorano The Passion di Mel Gibson. Non so se siano di Chiesa ma abboccano a chicchessia. Ma per cortesia! Gibson non è James Cameron, che è comunque un megalomane. Gibson è solo un mitomane. Oserei dire, forse, un sobillatore. Ma quale Apocalypto! È meglio una caramellina all’eucalipto. Domani forse, nonostante siamo nel 2020, riprogrammeranno alla tv BenHur. Il film più oscarizzato della Storia assieme a Titanic. Ecco, quando nella vita, persone che consideraste fratelli di sangue dovessero tradirvi, non affondate come un transatlantico dinanzi alla loro freddezza da iceberg. Ribellatevi e non siatene più schiavi. Al che, Messala non crederà ai suoi occhi. Prima diede dello schiavo a tutti, trattando ogni persona come una messalina, gridando strafottentemente al prossimo… ma come sei messo?

Agnelli o leoni che siate, qui si celebra Messa. Parola di Dio.

Rendiamo grazie.

In verità vi dico che mi accontento di una donna soltanto, non voglio molte grazie o graziose. Basta che di domenica possa fare un giro con La Grazziella. Graziano fu graziato? Marzia invece ama vivere sulla Terra come se stesse su Marte?

Questo è quanto. Finito il lockdown, comunque, ci sarà da farsi il culo.

Mi pare cosa buona e giusta.

Le migliori scene di una stagione cinematograficamente finita troppo presto

Ebbene, per via del Coronavirus, da tempo i cinema sono chiusi. Inseriscono film solo su Netflix.

Ma, ufficialmente, la stagione è terminata.

Ora, non amai molto, anzi quasi per nulla C’era una volta a… Hollywood. E alla fine non mi commossi.

Credo, infatti, che i capolavori di Quentin Tarantino siano altri.

Continuo invece a pensare, malgrado molti miei ripensamenti, che The Irishman sia un capolavoro.

Lo sto riguardando minuziosamente in queste settimane. È finita la quaresima?

Padre, è Natale?

 

Che dispiacere immane non vedere Bob De Niro fra i candidati come miglior attore protagonista agli Oscar.

Non credo che avrà un’altra possibilità. Comincia ad avere una certa età anche lui.

Frank Sheeran, un miserabile. Si fida dell’amico sbagliato e ammazza l’amico giusto.

Una tragedia.

Pari quasi quanto quella di Richard Jewell e di Joker.

La scena però sorprendentemente migliore dell’anno appartiene a I due papi.

Grande film.

Se devono esserci lacrime, facciamo che siano lacrime di gioia.

Tanta gente, non so se illusa, crede in Dio.

E forse è giusto che ci sia qualcuno che, a prescindere dai possibili insabbiamenti di Ratzinger, sia il portavoce della fede cristiana.

La vita è un’illusione.

La morte anche.

Forse nessuno di noi mai esistette.

O forse risorgerà.

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di Stefano Falotico

 

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Il mito di Robin Hood e le più belle storie d’amore del Cinema e non solo


09 Apr

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– Già una volta ho detto addio a un uomo che andava in guerra e non è più tornato.

– Chiedimelo con grazia.

 

Cate Blanchett e Russell Crowe nel Robin Hood di Ridley Scott. Una delle scene più struggenti ed epiche, emozionanti di sempre che batte ogni pathos de Il gladiatore solo con la forza rocciosa della voce del doppiaggio di Luca Ward e con gli occhi languidi, innamorati di una straordinaria Cate/Lady Marion, a sua volta doppiata dalla calda, non so se solo di gola profonda, Roberta Pellini.

Ora, a molti uomini, dopo la prima volta serve la penicillina, altri non si riprendono più e spellati, facendo pena, patiranno solo pene… d’amore perduto.

Sì, una scena magnifica girata da uno Scott molto ispirato, forse in quel momento tremendamente innamorato di sua moglie. Innamorato Scott, no, cotto, insomma Scottissimo!

Sua moglie altri non è che Giannina Facio, detta anche Gianina, sì, l’ex di Fiorello.

Eh, si sa. Care oche, fiorin’ fiorello l’amore è bello soprattutto se lo fai con (il) Rosario, non quello per cui si prega la Madonna. Bensì col Rosario con la coda di cavallo ai tempi di Karaoke.

Ah, che scena. Rimembrante tempi davvero leggendari.

Commovente, peraltro, quasi quanto un uomo innamorato “a bestia”, non so se imbizzarrito come lo stallone cavalcato da Russell, forse poi reso cornuto.

E rimasto solo come un cane alla maniera dell’Harrison Ford di Blade Runner a sognare l’unicorno. Ah ah.

Ah, è bellissimo andare in pasticceria con una donna e mangiare assieme un cornetto alla crema. Quando il fornaio, a tarda notte, come in Qualcosa è cambiato con Jack Nicholson ed Helen Hunt, sforna Quer pasticciaccio brutto de via Merulana di Carlo Emilio Gadda o pasticcini semplicemente stomachevoli come i film più pateticamente dolciastri e stucchevoli.

Intanto, il sindaco Merola di Bologna sostiene che molta gente, abbattuta dalla quarantena, non tornerà più alla normalità a livello psicofisico. Nel senso che, dopo tale privazione e quest’indotta, subliminale e non tanto sublime castrazione, non farà più all’amore? Vai di andropause e menopause.

Ma sì. Tanto alla tv daranno il film melodrammatico per eccellenza. Ovvero I figli… so’ pezzi ‘e core diretto da Alfonso Brescia. Uomo, non so però se regista stimabile, conosciuto anche con lo pseudonimo di Al Bradley.

Invece Dino Abbrescia di Cado dalle nubi con Checco Zalone con chi amoreggiò? Col suo compagno, ah, con tanto di burrata.

Checco osservò la scena, disgustato. Dino gli chiese:

– Com’è la pasta?

– Uhm, è cotta, è cotta.

 

Filmaccio che vale un’ottima battona, no, una splendida sbattuta, no, una meravigliosa battuta caduta “a fagiolo” nel momento topico…

Marmellata e cioccolata, ci può stare anche la frittata!

E il pesce pure fritto!

Comunque sia, voi preferite la coppia Kevin Costner e Mary Elizabeth Mastrantonio del Robin Hood – Principe dei ladri di Kevin Reynolds oppure i succitati, molto eccitati Russell Crowe e Cate Blanchett?

Quello che so io è che molti uomini, a letto, macchiano piacevolmente le donne e le donne amano più questo tipo di bianchetto rispetto a quello che serve per cancellare gli errori delle brutte copie. No, scusate, delle brutte coppie.

Cioè, per farla breve, si copia, a volte si copia male, spesso molti di voi malissimo copulano.

E poi scoppiano.

Va be’, è sporco a terra. Non basta il bianchetto, serve la scopa. Ma, soprattutto, la serva scopa?

Cambiando i fattorini, uno di loro due è più robusto rispetto all’altro e carica meglio le valigie.  Invece, invertendo i fattori, il prodotto non cambia anche se i fattori sono uguali.

Da cui il famoso libro La fattoria degli animali. Ah ah.

Io non sono omofobo, quindi fate quel cazzo che vi pare e piace. Basta che non mi diate dell’invertito.

Sono uno spostato? Non lo so.

L’amore, in verità, è bellissimo finché dura. L’amore, indubbiamente, leggermente rincoglionisce.

Provoca stati di estasi che rimbambiscono colui che ne è affetto. Ma si vive comunque di grandi affetti.

A meno che non siate troppo affettati oppure affrettati. Nel primo caso, lei non vi sopporterà poiché voi vi dimostraste poco spontanei, nel secondo caso, non vi saranno i preliminari e, in caso di troppa fretta, neanche il resto. Arriverete subito alla frutta.

Innamoratevi, uomini, della donna giusta. Una donna non si sceglie al banco degli affettati. Non abbiate, cioè, il prosciutto davanti agli occhi. E, quando troverete la vostra metà della mela, non fate i salami e, mie teste da meloni, offrite lei la vostra banana.

Se invece v’innamorerete della cassiera ma lei amerà, al posto vostro, un uomo che mangia solo la porchetta, recatevi al banco frigo e scegliete un buon tiramisù.

Vidi uomini amanti del Bardo come Kenneth Branagh che, appena la loro Emma Thompson li tradì con uomini meno scespiriani ma più sospiranti, fecero Molto rumore per nulla.

Di mio, so che per Kate Beckinsale farei un gran casino.

Ah, è meglio farlo il più a lungo possibile. Sì, non abbiate paura di sbagliare. Piuttosto, anzi molto tosto/i, spingete a più non posso.

Sin all’osso.

Resisterete o, stancativi presto, sbadiglierete?

Dunque, prima di sba(di)gliare o prendervi in pieno, prima di fallire, corteggiate con ardire, ardendo come dei cavalieri di distinto portamento. Anche di egregio istinto. Uomini di cor(t)e, non siate taccagni in quanto a sentimenti. Siate lunghi! Le lusingherete.

Non dovete avere il braccino corto. Tanto, anche se vi mancasse o vi moncaste un braccio, lei può abbracciarvi lo stesso. Un bacio, comunque, non vale la candela.

E che ve ne farete di tanti bacini se non pot(r)ete abbacinare la vostra lei con qualcosa che una donna non ha e per cui perde spesso la testa in maniera avvinghiante?

Sì, dovete essere avvolti, lì. A meno che, là, in quella zona, qualcosa vi manchi.

Alle donne manca, sì, poiché non ce l’hanno e vogliono arrossare la loro parte lilla ma sanno compensare il vuoto, non solo emotivo, in maniera più che empatica se al loro uomo invece può anche mancare tutto ma, in fatto a quello, non commette mai un fallo. Ah ah.

Sì, non avete mai usato il cosiddetto bianchetto? Io, sinceramente, con Lorena Bianchetti avrei usato anche l’evidenziatore.

Sì, comunque molti uomini confondono il Monte Bianco, sulla cui sommità fa molto freddo, detto anche Mont Blanc, in quanto si trova in Francia, al dessert omonimo.

Di mio, parafrasando Lino Banfi di Al bar dello sport, preferisco una vita dolce da montepremi.

Nanni Moretti, in Bianca, rese celeberrimo il dolce citatovi sopra. E in questo film leccò anche una confezione gigantesca di Nutella. Solo quella…

Per leccare invece il seno di Laura Morante dovette aspettare La stanza del figlio. E ho detto tutto.

Insomma, la dovreste finire di leccarvi. Qualcuno non leccherà più e sarà un pasticcio. Anzi, un pastrocchio.

A proposito di cose dolci e piluccanti, forse solo piccanti, di baci alla francese e di donne eleganti, Juliette Binoche guarda Johnny Depp in Chocolat. Colpo di fulmine all’istante! Appena incrocia il suo sguardo, se lo vuole, infatti, cuccare seduta stante. Johnny ha delle iridi stupefacenti. Ho detto cuccare. Potevo anche usare un altro verbo quasi uguale, aggiungendo due i e non una c. La c di…?

Non pensate male. La c di Como. Poiché, sulle rive del lago di Como, questo matrimonio non s’ha da fare, sostennero i bravi, capeggiati da Don Rodrigo, ne I promessi sposi.

Ebbene, se Lucia non fosse stata liberata dall’Innominato, si sarebbe data solo al cucito e al cucinare?

E amate di più Danny Huston nei panni di Re Riccardo Cuor di Leone nel film di Scott o il cammeo di Sean Connery?

Ursula Andress di Dr. No lo sa.

Orsù, uomini che da tanto tempo non più amoreggiate, sì, non amareggiatevi.

Mare, profumo di mare…, sapore di sale. Sale tutto.

Smettetela, suvvia. Sean compare tre minuti e batte Danny col solo potere del suo coronavirus, no, della Corona, malgrado avesse, già all’epoca, molti meno capelli del Principe Carlo d’Inghilterra.

La povera Lady Diana fece bene a non volere che Carlo indossasse la Corona, bensì un bel paio di corna.

Carlo, un uomo ricco fuori ma povero dentro. Infatti, secondo me Lady Diana ebbe una fortuna sfacciata.
Meglio morire tragicamente, imboccando un orribile tunnel, baciando però colui che davvero si ama, piuttosto che farlo tutte le notti con chi si odia.

Sì, è ovvio. Fu solo un matrimonio di convenienza.

Carlo fu da camomille, no, da Camilla.

Ora, a dire il vero, Russell Crowe nei panni di Robin Hood appare un po’ troppo panzone e, se non fosse stato per il suo carisma più contagioso del COVID-19, sarebbe risultato solo demenziale e un uomo in calzamaglia come Cary Elwes del Robin Hood di Mel Brooks.

Infatti, inizialmente, prima che alla regia subentrasse Scott, Crowe avrebbe dovuto interpretare lo sceriffo di Nottingham. Anche se così fosse avvenuto, avrebbe comunque sfigurato dinanzi alla cattiveria del magro Alan Rickman.

D’altra parte, il vero Robin Hood rimane e rimarrà Errol Flynn.

Certamente non Luc Merenda di SuperfantozziColui che ruba ai ricchi per dare ai poveri…

Sì, non lo sapevate? Alla fine di Trappola di cristallo, quando Bruce Willis fa il culo a Rickman, Rickman pronuncia:

– Com’è umano lei…

 

Che c’entra? C’entra eccome.

Sì, Patrick Bergin, in Robin Hood – La leggenda, chiese a Uma Thurman:

– Amore, siamo qui a letto e abbiamo fottuto, inculato lo sceriffo. Ora, possiamo godercela. Insomma, io me la godrò e tu te la/o godrai. Ma sono un attore molto dotato, infatti sono così versatile che potrei incarnare perfino una maschile pornostar.

Ecco, Uma, secondo te c’entrerà?

– Robin, si dice… c’entrerà, entrerà o centrerà? Ragguagliami. Non lo so, sono un’ignorante popolana da centrini. Ma domani, che è domenica, mi porterai al Centro di Imola a vedere il castello medioevale? Informami, intanto adesso infornami.

– Sì, va bene. Hai ragione, pensiamo al ponte levatoio.

 

Ecco, questa è una battuta, come si suol dire, del cazzo.

Comunque, i migliori film d’amore sono I ponti di Madison County e Un amore splendido con Cary Grant e Deborah Kerr.

Quindi, non fatemi più vedere puttanate come Dirty Dancing o Pretty Woman.

Altrimenti, con voce da Luca Ward, doppiatore di Samuel L. Jackson in Pulp Fiction, se mi farete davvero arrabbiare, farete la figura delle sceme come Amanda Plummer e dei cretini come Tim Roth nel suddetto film.

Innamorati cronici senza una lira.

Meglio così. Le persone ricche si tradiscono. Invece Tom Waits e Lily Tomlin di America oggi lo sanno…

Le coppie con troppi soldi, eh sì, hanno parecchi interessi ed è tutto un giro di prostituzione.

Fidatevi.

Come storia d’amore leggendaria, non è male neanche Rocky.

Rocky non è un film sul pugilato.

È, per l’esattezza, un film che prende la boxe come metafora della vita, è la storia di un uomoè la storia di un uomo, è la storia di un uomo…

Scusate, qui mi sono perso un’altra volta come Sam Elliott de Il grande Lebowski.

Amico, versami da bere un whisky.

A me quella non interessa. Quella, non solo si beve i film più brutti, bensì anche qualcos’altro dei meno romantici.

Comunque, tornando a Luca Ward.

La sua voce, a dircela tutta, non è un granché.

Può piacere solo a Giada Desideri.

E ho detto tutto.

A parte gli scherzi e i gusti, il Robin Hood di Ridley Scott è appena sufficiente.

Dura due ore e mezza ed emoziona solo nella scena del bacio speranzoso fra Russell e Cate.

Stessa cosa dicasi per Interstellar di Nolan.

Emoziona solamente quando la figlia incontra il padre. Sì, più giovane di lei. Inoltre io ebbi sempre questo dubbio.
Non è che la figlia di Matthew McConaughey desiderasse un rapporto incestuoso? Oh, con un padre bello come Matthew, non si sa mai.

No, che cazzata. Da grande sarebbe diventata Jessica Chastain. Avrebbe potuto permettersi più di un McConaughey. Ah ah.

Se proprio vogliamo essere onesti e non invidiosi, la mia voce è più bella di quella di Luca Ward.

Non ho gli occhi blu di McConaughey, però. Infatti, le Jessica Chastain di Bologna mi mandano a fare in culo. Sì, è bellissimo essere mandati a fanculo. Soprattutto se il loro fondoschiena è più bello di quello di Jessica Rabbit.

Ah ah.

Sono più bravo a scrivere di Quentin Tarantino e forse sono più autoironico di Mel Brooks.

Insomma, chi sono?

Forza, la verità la sanno tutti. Tranne io.

Tornando a Pulp Fiction e a Bruce Willis.

Dovevo incassare i soldi e perdere. Ora mi vogliono tutti morto. Cazzi loro.

Come dice il mio hater preferito, sono l’idolo delle folle.

Sono Joker e Robin Hood. E non ho niente di cui vergognarmi.

Ah ah ah ah ah ah ah ah ah.

Ho molte frecce ancora al mio arco.

Sì, e che me ne faccio? Viviamo nel 2020. Le frecce, oggigiorno, servono solo per segnalare alle autovetture che stai svoltando.

Dove? Io non vedo nessuna svolta. Ah ah.

Molta gente, invece, crede ancora a Cupido.

Sì, soltanto sotto San Valentino. Per tutti gli altri giorni, sfogliano solamente il giornale e non le margherite.

Per finire, tralasciando gli scherzacci e le cos(c)e goliardiche, il bacio fra Russell e Cate è una delle scene più ficcanti di sempre.

Scena masterpiece.

 

di Stefano Falotico

 

Nicolas Cage, lo strano caso di un attore fenomenale come il sottoscritto, il quale non sa se amare Nic, essere amato o rimanere uno, nessuno, centomila… da du’ lire? O uomo lirico ed onirico amante di De Niro?


08 Apr

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Ora, ciò che è successo alla carriera di Nic Cage ha dell’incredibile. Poi, nemmeno tanto. Era prevedibile che dovesse avvenire, prima o poi, tale sua débâcle oramai irreversibile.

Lui, nipote di cotanto Francis Ford Coppola, lui che esordì col tv movie Best of Times, accreditato per l’appunto come Nicolas Coppola.

Dopo aver interpretato molti personaggi borderline, matti, psicotici o mancanti di qualche rotella nel cervello, lui che assieme a Sean Penn fu il protagonista di Fuori di testa, lui che rubò Diane Lane al ben più bello Matt Dillon di Rusty il selvaggio, chiedendo poi il divorzio a Kathleen Turner di Peggy Sue si è sposata, lui che fu vampirizzato da mrs. Flashdance, alias Jennifer Beals in Stress da vampiro, lui che dissennò, con pargoletti all’attivo, in Arizona Junior, lui che fu tormentato in Birdy, lui che fece all’amore in maniera selvaggia, ai tempi di Cuore selvaggio, sia con Laura Dern che con Erika Anderson in Zandalee, riuscendo da panettiere a infornare Cher in Stregata dalla luna, lui, sì, interprete di Nato per vincere, parente alla lontana forse pure dei fratelli Abbagnale, campioni olimpionici del canottaggio italiano, lui che esibì la canottiera sudata da macho imbattibile in Con Air su parrucchino da laboratori specializzati in alopecia androgenetica alla Cesare Ragazzi, cazzo, lui che fu metafisico-schraderiano-scorsesiano in Al di là della vita e depalmiano in Omicidio in diretta su occhi glauchi e languidi da Don Chisciotte che diede più di una botta a Patricia Arquette, sorseggiando un amore al liquore, su seno marmoreo e maestoso, con l’insuperabile super figa e milf Elisabeth Shue di Via da Las Vegas,  lui che riuscì a baciare, in Apache, persino Sean Young, la mitica Rachael di Blade Runner, film di David Green, lui che fu eroe in Joe di David Gordon Green, lui, uomo 8mm, soprattutto con Angelina Jolie di Fuori in 60 secondi (sì, vedi Angelina e sei incontenibile…), lui, uomo romantico e patetico ne Il mandolino del capitano Corelli, lui, fascinoso anche in bretelle, disadattato geniale ne Il ladro di orchidee ed edonista berlusconiano redentosi in The Family Man, lui, sì, The Weather Man che non calcolò però le previsioni della sua filmografia umorale, molto da temporale. Di forti precipitazioni e poco oramai serena variabile.

Una tragedia come il crollo delle Twin Towers da World Trade Center.

E dire che, per Alex Proyas, malgrado precipitò l’aereo entro il quale Nic viaggiò in Segnali dal futuro, lo mise in guardia ma lui girò pure L’ultimo dei templari. Interpretò anche un veggente in Next. Pellicola di Lee Tamahori, il regista di Once Were Warriors.

Sì, una volta Nic fu un guerriero, adesso è capace pure che, fra una cinesina e l’altra, paghi una meretrice zotica di Napoli dal cognome Guerrero.

Sì, sapete, queste donne che fanno la sfoglia fra un attacco isterico e vulcanico da Vesuvio e una pizza capricciosa? Le quali, per sbarcare il lunario, la regalano con tanto di mozzarella filante a ogni mariuolo partenopeo? Uno che spesso si tocca e mangia il cornetto alla crema.

Donne dai nomi e cognomi che sono tutto un programma come Carmela Benedice, Euridice Pomicia, Antonella Scamicia, Licia Liscia, Luisa Losà, Alessandra Santa, Susanna Lavandaia, Pamela Miele, insomma, roba così.

Nic, figlio di un insegnate universitario, originario di Bernalda, paese limitrofo a Matera. Che a sua volta è una città vicina al paese natio dei miei genitori.

Io sono figlio di un padre che, come me, ammiratore di Nicolas, al Festival di Venezia di 2009 assistette assieme al sottoscritto alla prima del remake, firmato Werner Herzog, de Il cattivo tenente.

Questa foto lo dimostra. Provate a riconoscermi. Tanto è facilissimo.

Il mio viso è come un film di Woody Allen. Nel senso che, come avviene per i film di Woody, riconoscibili dopo solo venti secondi, per chi mi conosce, eh già, bastano solo i miei occhi dietro una videocamera per capire chi sono e sia. Chi fui e chi sarò.

Inconfondibile, inimitabile. Anzi, imitato da tutti, benvoluto da chiunque, però poco amante di sé stesso.

Spesso, infatti, la mia autostima raggiunse e raggiunge tutt’ora livelli deprimenti e depressivi davvero sconcertanti. Come la malinconia incurabile di Nic Cage stesso ne Il genio della truffa.

Mi affiancai a ragazzi più figli di puttana di Sam Rockwell.

Ed è forse quindi giusto che Nic ora si dia a ogni film come un mentecatto, un accattone, no, mercenario.

Ché si attacchi al tram. Peraltro, molte ex di Nicolas assomigliano a dei trans.

Nic che ne fotte bellamente e gioiosamente, bevendo a più non posso come una spugna, da lui non ancora gettata nonostante molti film da lui interpretati, eh sì, siano delle pugnette, sbraitando e ancora urlando, senz’alcun freno inibitorio gigioneggiando a tutto spiano.

Egli è Nic Cage, signore e signori.

Vi mostro questo trailer e ho detto tutto.

Un uomo, un idolo. Un genio inaudito.

Il Marlon Brando della demenza cinematografica, l’antitesi e la nemesi di Bob De Niro.

Nic, il più grande folle della storia. Con l’unica differenza, fra lui e i pazzi, che i pazzi finiscono in manicomio, lui forse finì in mutande ma, in banca, fidatevi, ha ancora soldi a palate perché…

Ricordate: a Castor Troy dà gusto mangiare la patata.

Egli viaggia sempre in prima linea, servito e riverito dall’hostess di (longi)linea.

Poiché egli confuta anche il detto: non fai i conti con l’oste.

E non crede nelle ostie.

Insomma, Nic è l’emblema della schifezza, non solo attoriale, fattasi carne.

Sì, un primate, un uomo Primal, un uomo con viso da primitivo australopiteco che però, come ne Il mistero delle pagine perdute, conosce non solo gli egizi, bensì anche gli aztechi.

E soprattutto, per l’appunto, i soldi della Zecca. Ah, vuota zucca, panza piena eppure spesso scolpita da addominati più piatti del suo encefalogramma.

Ma che c’azzecca col Cinema con la A maiuscola?

Forse lo punirà Di Pietro, sputtanatore di Tangentopoli.

 

di Stefano Falotico

THE NIGHT OF THE HUNTER; in dirittura d’arrivo il remake, i miei film preferiti e le mie favourite actress insospettabili


08 Apr

92362860_2304348563203429_9048889398476668928_n

night of the hunterOra, stilo subito la lista dei miei film preferiti. Che, su per giù, sono sempre gli stessi.

La mia top ten di film monumentali, oserei dire intoccabili, senonché inarrivabili.

Anzi, meno di dieci.

Non saranno inseriti in ordine, bensì citati a caso ma non a casaccio. Film poco caserecci non adatti alle comuni, frustrate casalinghe, bensì pellicole che svettano magnificenti al di sopra perfino dell’inimmaginabile.

Da questa lista, sviscerandola a fondo, potrete comprendere anche vagamente il mio animo in maniera non so, però, se profonda.

Orbene, figlioli e fratelli della congrega.

In tale clima di quarantena tremenda, isperando noi di rivedere un pieno giorno fisiologicamente e biologicamente, oserei dire normalmente vissuto senza controlli e proibizioni, intanto possiamo soffrire d’insonnia. Dunque rimembrare e celebrare le pellicole più belle e più rinomate, magicamente sognanti.

In linea col mio spirito naturalmente sofisticato, non sempre al comune volgo allineato.

Io, essere spirituale che fui tale non ricordo nemmeno quando, quindi tramutato in uomo ancestrale dal fascino abissale malgrado ancora sia latente, fra le mie viscere e all’interno delle mie tempie, una mia inquietudine spesso incurabile.

Io, autore de Il fascino e la seduzione della solitudine, disponibile su Amazon, io che forse fui (ri)evocato tramite una seduta spiritica, io che mi persi nei meandri dei miei tanti antri eppure giammai vissi né vivrò con scheletri nell’armadio.

Avrei da raccontarvene tante di questi strani miei anni.

Ma torniamo ai miei film preferiti su cui, comunque, primeggia invincibilmente The Night of the Hunter.

Prima e unica regia di Charles Laughton. La morte corre sul fiume!

Film che, col solo potere d’immagini antesignane d’ogni stile lynchiano più squisitamente delirante, abbatté ogni teoria psichiatrica soltanto grazie alla fotografia di Stanley Cortez.

Un film misterioso, capace di trasmettere emozioni immani soltanto in virtù d’un Bobby Mitchum spettrale, predicatore invasato dal carisma compianto ma immutato.

Come il sottoscritto, d’altronde. Uomo che fu scambiato per pazzo quando, invero, riuscì a detronizzare Freud soltanto con la forza espressiva della sua arcata sopraccigliare. Poiché, così come insegnò Marlon Brando, non servono troppe parole per comunicare la propria anima. Tantomeno occorrono trattati filosofici, esegesi del cuore, disamine e bacate diagnosi.

Stesso discorso umanamente ineccepibile, ah sì, dicasi, traslandolo cinematograficamente, per Mulholland Dr. Un film sul quale ogni ermeneutica di Umberto Eco va a farsi fottere dopo tre frame.

Poiché solamente ai malati di mente, forse laureati in Scienze delle Comunicazioni, può importare del retro-pensiero che sta alla base di un capolavoro. A me non interessa la storia che originò un film oramai storico poiché non sono così presuntuoso come uno strizzacervelli.

E so benissimo che dietro uno sguardo e una poetica scalpitò e ruggisce un cuore, figlio del suo sentire, del suo emotivo vivere, del suo aver respirato il profumo indecifrabile, per l’appunto, della più nera, dunque anche illuminante e catartica notte.

Adoro anche Rusty il selvaggio di Francis Ford Coppola. Poiché la vita è un sogno e non bisogna sperperarla, cercando d’interpretare i propri stessi sogni. Per questo vi è la Smorfia napoletana, per l’ermetica rielaborazione inconscia delle nostre quotidiane memorie filtrate durante la fase non diurna, ripeto, v’è solo il subconscio.

Un bianco e nero elegantissimo, memore a sua volta della beltà pura dell’innocenza perduta.

Forse smarritasi nell’insonnia di Taxi Driver.

Oppure nelle hitchcockiane (re)visioni di Brian De Palma coi suoi vertiginosi piani sequenza magistrali.

Culminati nella perfezione rammemorante, d’omaggi citazionistici stratosferici, i voli pindarici di Vertigo in Femme Fatale. Notti di vendette letali, di traumi risvegliatisi, d’ingiustizie atroci punite ne Gli spietati.

Un film di ombre, di fantasmi, di spettri, di chi la fa l’aspetti, un film su cui aleggia il più grande revenant di sempre. In quel saloon, al volteggiare dei corvi lassù, fa timida irruzione uno straniero senza nome…

Resuscitato dalla cupezza delle sue colpe mai da sé stesso peraltro perdonate, giunto a tarda notte come un ladro a ripristinare l’antico torto, farà piazza pulita d’ogni porco in pochi secondi netti, miei inetti ed esseri più infetti dei vermi che strisciano sulla terra. Titanico, devastante, più cattivo del villain.

Bene, finiamo qua, per ora… Passiamo alle mie attrici preferite. Sono solo due, ah ah.

Una è Elizabeth Olsen. Io sono del ‘79, lei del 1989, ci starebbe benissimo un 69 e non fate finta di non vederla per come appare straordinariamente bella, sennò siete Bob De Niro di Red Lights.

La seconda è Shannon Tweed. Ancora attuale moglie di Gene Simmons. Attrice pessima, dunque non un’attrice. Bensì un’ex playmate, detta anche coniglietta, della quale collezionai quasi tutti i suoi film da regina dei softcore moltissimo tempo fa.

Quando, verso le mie venti primavere, tutti pensarono che fossi scemo come la Zellweger Betty Love ma io, già all’epoca, compresi che in futuro, cioè oggi come oggi, sarei stato un amante anche della pornostar Brandi Love. Invero, già nel 2003 divenni sfegatato fan di Rhiannon Bray. Oserei dire ammiratore sconfinato, sventrato, forse eiac… o. Di cui vi consiglio un “suo” film con Mr. Biggz e un altro film con Mick Blue.

Tornando invece a Shannon… Le sue scene migliori, sessualmente più arrapanti, sono presenti in quasi tutti i suoi b movies. Anche se, nonostante molti miei dubbi persistenti e duraturi, durevoli più di Siffredi, credo che nel film Singapore Sling non simuli l’amplesso. Sebbene, a rallentatore, l’attore forse indossi un calzino. No, è scalzo, intendo il calzino che si usa quando si filmano scene di sesso in un film non per adulti (diciamo pure così…).

Ora, gigioneggiando ancora un po’, cazzeggiando senza dare nell’occhio, con estremo decoro, nuovamente mi tuffo nel mio oceano di perdizioni senza coloranti né asettici c(l)ori. Annegherò sempre nel mio pianto, non vivendo di rimpianti e, lontano dagli squali, mangerò il plancton e anche forse gli omogeneizzati Plasmon. In quanto uomo che non si plasma né si omologa alle dittature adulte, uomo che non sarà mai adulto e dunque non sposerà, giustamente, mai una donna adultera.

Sono un uomshannontweedo tenero, duro all’occorrenza quando serve…

 

di Stefano Falotico

 

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L’ESORCISTA di WILLIAM FRIEDKIN? No, ho le corna in testa, miei cornuti. Mangiate e usate i cornetti, evviva Il rito!


07 Apr

91785870_10216129042721679_259445771621892096_oQuesta è la video-recensione gigionesca. Oserei dire giullaresca. In tempi di quaresima, no, quarantena, questo è il film che fa per voi. Per me, non lo so. Per molti anni infatti fui monastico, forse solo iconoclasta. Ah ah.

Il ritratto iconografico di un uomo sfigato, sfigurato, indemoniato, sfregiato, crocifisso o forse solo appeso a un chiodo, cioè il mio giubbotto di pelle. Fui sul punto di sfiorare la santità. Invero, persi la mentale sanità. Ma la recuperai, sì, diventando superiore a ogni monaca superiora di clausura e battendo pure ogni monco. Adesso, anche le donne angelicate vogliono possedermi ma continuo a preferire Maruschka Detmers di Diavolo in corpo L’ora di religione.

Non sono per niente fin… o, bensì un uomo alla Bellocchio, è inutile che mi facciate il malocchio, figli di ntrocch’.

Non potete farmi nulla se non, per rabbia, divenire blasfemi e malsani, inverecondi e iracondi da Pugni in tasca.

Comunque, L’esorcista non fa paura a nessuno. Neanche a gente ingenua e campagnola che adora L’esorciccio. Cari ciccini, da piccolo massaggiai il mio topolino Ciccillo, regalatomi da miei parenti lucani. Ricordate, non si sevizia un paperino…

Ah, parenti serpenti, anche loro spesso irascibili, dunque vulcanici. Però Ciccillo è un nomignolo partenopeo, suvvia, non facciamo i napoletani e i vesuviani.

In Sicilia vi è l’Etna, scrissi il libro Il diavolo è un giocattolaio ma, a differenza di ciò che afferma Anthony Hopkins in questo film, non sono un ingannatore. Anthony dice, a ragione, che la gente mente a sé stessa per non affrontare la realtà.

Dunque, spesso magnifica C’era una a…  Hollywood di Tarantino perché, secondo me, è più frustrata di Charles Manson.

Diciamo che io fui ingannato, quasi scannato, da gente troppo perbenista sistemata, come si suol dire, perbenino.

Insomma, Rambo mi fa un baffo. Anzi credo che, come Mefistofele, sia pure cornuto. Infatti, Rambo è ascetico. In tutti i film della saga, il secondo peraltro è una sega, cavalca solo stalloni di razza.

Comunque, sì, Rambo è un puro. Un unicorno.

Facciamo i seri!

Ma aggiungerei questo. Conobbi molti psichiatri. Sono fissati con la schizofrenia. Per forza, la loro moglie è posseduta dai loro pazienti più deliranti. Gli psichiatri fanno credere loro di essere pazzi quando in verità vi dico che vogliono solo sedarli, altrimenti chiederebbero il divorzio, da soli impazzirebbero e comincerebbero a seguire le repliche di Gabriele Amorth.

Questa battuta o la capite oppure siete da manicomio come il fratello della co-protagonista di questo film. Internato a 19 anni.

Oggi, recensiamo una pellicola piuttosto recente. A nostro avviso, leggermente sottovalutata dalla Critica, ovvero Il rito di Mikael Håfström (1408).

Il rito dura un’ora e cinquantotto minuti e fu distribuito, tramite la Warner Bros, sui nostri schermi l’11 Marzo del 2011.

La sceneggiatura è di Michael Petroni ed è ispirata (suggested by…) al libro saggio di Matt Baglio, cioè The Rite: The Making of a Modern Exorcist, da noi tradotto ne Il rito. Storia vera di un esorcista di oggi.

Trama:

Michael Kovak (l’esordiente al lungometraggio Colin O’Donoghue) è un giovane statunitense che lavora per suo padre Istvan (il compianto, grande Rutger Hauer), impresario di pompe funebri.

Per emanciparsi dalla tradizione di famiglia piuttosto macabra, funerea e cimiteriale, controvoglia s’iscrive in seminario. Michael non possiede alcuna vocazione religiosa ma, durante una notte lugubre e tempestosa, assiste una ragazza scampata, per miracolo, a un grave incidente stradale.

Il suo mentore spirituale, Padre Matthew (Toby Jones), assistendo all’evento, rimane impressionato dal modo graziosamente caritatevole e fino col quale Michael s’approcciò alla ragazza, consolandola e benedicendola con parole di estrema, profonda delicatezza.

Al che, stupefatto e commosso dalla spiccata, forse innata indole di Michael per le persone disperatamente angosciate, lo dissuade dall’abbandonare il suo percorso ecclesiastico, raccomandandolo invece, come rappresentante speciale della diocesi, a Lucas Trevant (Anthony Hopkins).

Un prete ritiratosi a vita privata che, a Roma, esercita la missione di esorcista. Da lui praticata nella segretezza spettrale della sua fatiscente casa immersa, forse, nella quietezza e nel buio misterico e ancestrale non soltanto della città eterna per antonomasia, bensì metaforicamente nelle viscere dell’eremo, potremmo dire ermetico e persino dogmatico, del suo cuore tenebroso di uomo afflitto da una perpetua fede perennemente, religiosamente tormentata. Interiormente combattivo contro ogni ateo e indefesso, caparbio sostenitore del suo dubbioso eppure inscalfibile, permanente credo religioso granitico e incrollabile. Anche forse infallibile…

Trevant è infatti convinto, malgrado le perplessità e lo scetticismo della medicina psichiatrica, che il diavolo esista realmente e che davvero, in molti casi di ragazze possedute, nelle loro menti e nelle loro anime sconvolte, non risiedano ragioni di natura psicologicamente perturbante. Sì, secondo lui, il maligno alberga viscidamente in loro e se ne celi con scaltra, pericolosa malizia. Quindi, a suo avviso, gli scompensi delle donne e anche degli uomini affetti, potremmo dire, da deliri demoniaci, fermamente non credo che siano spesso razionalmente e scientificamente spiegabili.

Intanto Michael, nel frattempo ancora incredulo e miscredente, incontra una giornalista, Angelina (Alice Braga), giunta nella capitale per prendere informazioni da vicino, facendo ricerca sul campo, come si suol dire, riguardo lo strano, occulto fenomeno dell’esorcismo. Frequentando, d’altronde come Michael, le lezioni a riguardo, tenute dall’inquietante Padre Xavier (Ciarán Hinds, religioso ambasciatore in Silence e il suo ruolo, per l’appunto di Mefisto in Ghost Rider – Spirito di vendetta, probabilmente docet).

Ovviamente, nell’ultima mezz’ora, a Michael salteranno molte certezze poiché verrà divinamente messo alla prova quando lui stesso sarà costretto a esorcizzare il suo maestro.

Ecco, Il rito è un film mediocre, certamente. Ma, come scrittovi a inizio recensione, le bassissime medie recensorie piovutegli addosso impietosamente, ai tempi della sua uscita nelle sale, col senno di poi c’appaiono ingiustificate e del tutto ingrate. Diciamo, furono superficiali ed esagerate.

Poiché Il rito, a dispetto di molte banalità e di alcune gratuite scene ad effetto piuttosto scontate, può vantare una bella, suggestiva scenografia e può avvalersi, come soventemente accade, di un Hopkins in ottima forma gigionesca e carismatica. Il cui ruolo sarebbe da confrontare, di parallelismi meta-cinematografici, col suo meraviglioso papa Ratzinger de I due papi.

Il suo Trevant, peraltro, è una sorta di versione religiosa, antipsichiatrica del suo celeberrimo cannibale Hannibal Lecter. Come sappiamo, freddo, analitico e spietato esploratore dell’animo più antropofago e carnale, sottile, perfido e viscerale indagatore perfino del suo corpo e della sua psiche totalmente sconsacrata, elevata, intellettuale ma anche animale.

Inoltre, la tetra fotografia di Ben Davis non è quasi mai da cartolina. Come invece purtroppo accade coi film stranieri girati nel nostro Paese.

Il rito mantiene anche un buon ritmo e, in più punti, sa intrattenere con dialoghi intelligenti, inchiodandoci alla sua visione con una ben distillata tensione.

Il rito è un film che merita un’immediata, ampia rivalutazione.

L’unico, vero difetto vistoso che possiamo imputargli è sinceramente quello di avere, nel suo eterogeneo e multinazionale cast, Maria Grazia Cucinotta. Presenza qui, come non mai, puramente accessoria e inutile, per di più mal utilizzata.

La Cucinotta interpreta, con pochissime battute all’attivo, Andria. Vale a dire la madre di Rosaria, la ragazza indemoniata, incarnata invece dalla brava Marta Gastini.

L’esorcista dei vostri demoni interiori: The Irishman è un capolavoro, i cinecomic non valgono Joker, Marra e il critico Alò sono Linda Blair indemoniata e io invece il curatore di ogni grammatica, anche cinematografica di tutte le anime malate

Ora, l’altra sera rividi Il rito con Anthony Hopkins.

Già vi narrai degli antefatti che stettero alla base della mia illuminazione, ah ah.

Sì, eppure con perizia, non psichiatrica, bensì minuziosa e ponderatamente calibrata, discendendo alle origins del mio Joker o forse del mio Superman, dopo le furie mie vendicative da Uma Thurman di Kill Bill defraudata della sua purezza delicata da donna forse quasi angelicata, perdonando ogni inventore di fandonie e combinatore di porcate come David Carradine, uno che, più collezionista di fumetti fu solo un fumato archivista di nefandezze, benedicendolo dall’alto della mia maestria e della mia giusta sofisticatezza, senza trucidarlo con mosse da disciplina di Hokuto alla Ken il guerriero, su musica epica di Ennio Morricone, volai nel vento, sublimando ogni trauma patito nella costernazione più evidente.

Ogni mio trauma fu rinsavito, non so però se sarà beatificato o glorificato, miei uomini ingrati.

Dopo lotte fratricide assolutamente evitabili eppure tremende, dopo varie amnistie concesse ai miei contendenti che provarono a distruggermi psicologicamente con bieche reprimende dolorose quanto le ferite inferte da oggetti appuntiti e contundenti, dopo tanto mio e loro ottundimento, dopo psicanalisi miei reminiscenti un passato non proprio lucente, dopo tanti equivoci e fraintendimenti, dopo perfino che persi la mia mente, dopo molti anni passati nell’oscurità del mio tenebroso solstizio assai poco brillante, sì, mi tolsi qualche sfizio e mi liberai di vecchi, patetici vizi aberranti.

Ritornando lindo, fulgido, forse ancora un po’ dal mondo fuggitivo eppure non più schivo né schiavo.

Insomma, risorsi rifulgente, digrignando dapprima i denti, enormemente soffrendo. Quindi sciogliendo ogni mio interiore nodo poco smagliante con indagini riflettenti questa vita vostra da fetenti, persino sbudellandomi le interiora tormentosamente, mi mostrai non più mostruoso o malmostoso, bensì mi denudai più esteriormente ancora ruggente. Non più arrugginito.

Giammai fatiscente, talvolta volontariamente deficiente e maledetto decadente eppure non ancora decaduto né perduto in questa società rabbrividente.

Applauso! E che sia sc(r)osciante.

Confessando l’atroce verità con ilare onestà straziante, redimendomi da una vita troppo mia mentalmente abbiente, dunque malvista dai ricchi possidenti moralistici però ipocritamente materialistici e loro, sì, davvero nella vita perdenti anche se nella figa indubbiamente spesso scalpitanti e molto ficcanti, ridendo di me stesso con autoironica beltà auto-strafottente, mi ridestai nuovamente. Gioendo interminabilmente.

Smascherando molti vili che, mentendo a sé stessi con gratuità sconvolgente, si credettero fortemente virili quando in verità vi dico che furono e sono ancora uomini inutili adatti al porcile solamente.

Parliamo ora, con cognizione di causa e forse il mio ancora aperto caso, della malattia mentale, delle possessioni demoniache reale e dei vostri mali di vivere soventemente immaginari da ipocondriaci incurabili… irreversibilmente.

Fate venire il latte alle ginocchia, sì, voi uomini che vi credete mentori ma, invero, malgrado le vostre maschere da vincenti, non valete niente.

Parlate di gnocche, pensando di essere fighi nell’apostrofare il prossimo con superficiali patenti di sfigato e/o stolto nullafacente quando in verità vi dico che è esattamente nell’inverno del nostro chiuderci dentro che gli uomini e le donne trovano un’esistenza pienamente sentita, dunque interamente soddisfacente.

Ora, va fatto però un importante distinguo. Se gli uomini si aprono troppo, fanno la figura dei pagliacci. Se le donne chiudono eternamente, diciamo ermeticamente anche le loro gambe infinitamente, finiscono a fare le suore imperituramente.

Detto questo, voi credete all’esorcismo?

L’esorcismo è innanzitutto tutt’ora in voga, una pratica oscurantistica giammai superata e ancora segretamente attuata.

Molte donne possedute, forse non dai mariti, neppure dagli amanti, non vi credono e trovano la catarsi delle loro isterie nello yoga. Forse solo mangiando molti yogurt.

L’esorcismo viene praticato anche negli ospedali psichiatrici.

Sì, provate a recarvi all’Ottonello di Bologna o in cliniche specializzate ai mentali (mal)trattamenti come Villa Baruzziana, ne prenderete coscienza, orrendamente.

Persone addolorate, scioccate da tristissimi eventi a loro occorsi per sfortunate circostanze agghiaccianti, finiscono al pronto soccorso di tali posti orridi ove vidi molti preti benedire gli ammalati, lavandosene poi le mani dopo aspersioni poco nell’acqua benedetta. Semplicemente perché, bestemmiando, i traumatizzati furono scambiati per esseri indemoniati.

Perciò per assatanati malati.

Ora, assistetti dal vivo anche a delle ninfomani e a dei maniaci sessuali. Internati poiché, diciamo, troppo le loro voglie bollenti furono da loro, senza vergogne/a, esternate con far esageratamente, incontenibilmente effervescente. Ma non andarono sconsacrati, a mio avviso avrebbero meritato l’assoluzione abluente e spurgante ogni loro peccato carnalmente affliggente nel perdonare i loro desideri più ardenti delle fiamme dell’inferno.

Torniamo a Il rito.

Anni fa, come già vi raccontai, incontrai un ragazzo col quale divenni amico.

Fu lui a propormi di andare a vedere, nell’oramai remoto, mica tanto, 2011, tale film assai sottovalutato.

L’anno prima, peraltro, mi portò a vedere l’inguardabile L’ultimo esorcismo.

Mentre, quando m’invitò a casa sua per bere assieme amichevolmente un caffè, di notte si collegò spesso su Rai 3 per visionare le repliche molto serali concernenti le pratiche esorcistiche di Gabriele Amorth. Oggi morto.

A cui fu dedicato un film particolare, recentemente, da William Friedkin. Indimenticabile autore de L’esorcista.

Fu allora che cominciai benevolmente a nutrire dei sospetti su di lui da fine indagatore à la Mindhunter.

No, non mi trovai di fronte a Dente di fata di Manhunter né dinanzi a Errol di True Detective.

Bensì dirimpetto a un ragazzo che sublimò le sue mancanze, anche sessuali, nel delirio maniaco-religioso meno a sé stesso provvidenziale. Forse però assistenziale…

Poiché alle superiori fu immondamente bullizzato da coetanei empi che lo umiliarono in maniera pazzesca ed allucinante. Cosicché il suo vuoto s’illuse di riempire, sublimando nel suo solipsismo spirituale ogni angoscia, frustrazione sua mal assorbita e mai sopita, nel fare molto l’elevato sofista amante degli esorcisti.

Naturalmente, per esorcizzare sé stesso, inconsciamente, liberandosi in modo effimero, sterile ed estemporaneo da ogni male oscuro suo di natura irrazionale.

Detto questo, Hannibal Lecter mi fa un baffo.

Andiamo avanti.

Vedo ogni giorno persone derelitte che, pur di appagare le loro vite miserabili, comprano pure dei rettili orripilanti da tenere in casa. Dato che, a quanto pare, il loro fare i vermi solitari non basta. Indossano pure gli anfibi più schifosamente colorati. Alcuni hanno anche i capelli cotonati come se non bastasse la loro vita ovattata.

Sì, la gente è viscida ma questi sono sinceramente ancora più repellenti e andati…

Ah, incontro un altro malandato per strada. La sua vita, come si suol dire, andò completamente a puttane.

Le uniche donne che, fra l’altro, non solo da tale individuo furono e vengono mal pagate, bensì mal palpate, più toccate di lui comunque, che gli donarono momenti di grazia.

Diciamo anche di fazzoletto e garze.

Ora, che c’entra The Irishman?

Da me il primo, così come disse Terry Gilliam, l’ultima sua mezz’ora m’apparve senilmente girata e scontata, addirittura retorica e didascalica.

Ma a ben vedere, rivedendola…

Frank Sheeran/De Niro sta nella sua stanza e l’infermiera gli misura la pressione. Lui le mostra la foto dell’amico Jimmy Hoffa. Personaggio che, ai suoi tempi, fu famoso quasi quanto John Fitzgerald Kennedy.

Hoffa fu da lui sciaguratamente assassinato.

L’infermiera non sa chi sia Hoffa e dice a Sheeran di stare soltanto buono e calmo ché deve misurargli, per l’appunto, la pressione.

Pensando già, fra sé e sé, che presto avrebbe smontato dal lavoro per incontrare il suo moroso. Andando al cinema a vedere Checco Zalone. Cado dalle nubi!

Quindi, come poterono avere il coraggio Marra e Francesco Alò ad affermare che The Irishman sia un filmetto?

Che dio vi benedica.

Come si suol dire, se non v’arrivate, andate riabilitati.

Ma, per caso, dove mai abitate?

No, non m’interessa. Mi piacerebbe però sapere come fate a vivere felici se il vostro cervello è disabitato?

Forse perché l’abito fa il monaco?

Capisco…

 

di Stefano Falotico

Stasera andiamo di poesia: non m’importa nulla dei film preferiti di Tarantino, ecco invece i miei insospettabili


04 Apr

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Sì, ogni anno Quentin Tarantino vi ammorba con la lista dei suoi film preferiti della passata stagione.

Ora, non voglio discutere su Tarantino e Dio abbia in gloria Le iene, Pulp Fiction e Jackie Brown.

Ma c’è poco da dire. Gli altri suoi film sono disorganici, cinematograficamente dislessici, illuminati da scene meravigliose alternate a un potpourri di stronzate sterili.

Sì, mi divertii anche io col misogino bastardo Stuntman Mike/Kurt Russell di A prova di morte.

E, in Bastardi senza gloria, la scena della taverna varrebbe da sola il prezzo del biglietto oltre a un Christoph Waltz titanico e spaventoso.

Kill Bill è bello solo nella scena finale con l’epica frase pronunciata da un Michael Madsen che, stranamente, recita per pochi secondi come Marlon Brando di Apocalypse Now. Cagandosi però già nelle mutande.

Ma il finale invece del capitolo due fa ribrezzo. Non soltanto a Sergio Leone di C’era una volta il West ma anche a Ken il guerriero.

E non basta riciclare la colonna sonora di Ennio Morricone de La cosa per The Hateful Eight al fine di spacciarsi per eredi leoniani.

Un filmaccio infarcito solo di dialoghi ove il formato 70mm Panavision c’entra come i cavoli a merenda per un kammerspiel quasi totale.

Dov’è la Monument Valley di John Ford? Che senso ha allargare le immagini quando ci si trova in un posto così ristretto e angusto in cui, peraltro, Tarantino gira in maniera poco mozzafiato, tediandoci con uno splatter sanguinolento che, per l’appunto, non è per nulla funzionale alla catarsi a differenza del Cinema di Carpenter?

Insomma, fa cagare.

Non parliamo poi di C’era una volta a… Hollywood. Bischerata tremenda ove Margot Robbie, più che assomigliare a Sharon Tate, sembra una valletta. Sì, è bella. E quindi? Che c’azzecca con l’ex moglie di Polanski?

Chi definisce C’era una volta a… Hollywood un capolavoro, ah ah, è meglio che capisca che cosa sia l’etica, l’estetica e anche la f… a.

Ridley Scott, dopo Black Rain, girò mezze schifezze. E Il gladiatore è il film più sopravvalutato della Storia, non solo romana.

Allora! I capolavori veri di Scott sono I duellanti, Alien e Blade Runner.

Poi, come ben affermò Gianni Canova, straordinarie scene qua e là in tante pellicole esageratamente pompose, retoriche, mal amalgamate.

Un po’ come Christopher Nolan. Ripeto, a costo di apparire pleonastico e antipatico, Interstellar dura cinquemila ore ed emoziona solo nei cinque minuti finali.

Dove cazzo lo vedeste il capolavoro? A proposito, Anne Hathaway è ancora persa nello spazio? Se sì, non mi spiacerebbe esserle il suo “alieno” mentre indossa un paio di slip striminziti come Sigourney Weaver.

Sì, sono un uomo intergalattico, amante dei buchi neri esplorati non soltanto da Stephen Hawking, bensì da ogni eterosessuale maschile desideroso di mitragliarvi come in Black Hawk Down.

Ah, per molto tempo fui la lindezza e l’innocenza fattasi carne. Cioè un uomo affetto da disturbo ossessivo-compulsivo come Nic Cage de Il genio della truffa.

Mi diedero del criminale, quasi dell’American Gangster perché fui un cannibale solo di me stesso.

Altro che Hannibal. Peraltro, non vorrei dire. Lecter sarà pure uno psichiatra geniale che sa entrare in ogni mente col solo potere dell’intuito bestiale ma, a coiti fatti, no, a conti fatti… rimane un coglione.

È l’unico uomo che riesce, infatti, a ipnotizzare, grazie al suo carisma animalesco da uomo di pazzesco intelletto, sì, Julianne Moore.

Alla fine la lascia scappare. Insomma, come si suol dire, un uomo che sa entrarti dentro subito.

Dappertutto, nell’anima e nel cuore ma non tanto in quella zona molto sensibile quasi quanto Jodie Foster ne Il silenzio degli innocenti. Donna tutta d’un pezzo e lo seppe Miggs/Stuart Rudin.

Ora, a parte le cazzate, adoro questa scena. Quando si aprono le acque…

Qui c’è la poesia, ragazzi e ragazze.

E poi, lasciando stare Scott e le cotte, ne vogliamo parlare di Balla coi lupi?

Chiedete anche al Kevin Costner di Open Range come si giri un western coi contro-cazzi.

Il Cinema è sogno ed è forse oggi perduto nelle purezze estinte di un sommerso nostro mondo eclissatosi in Atlantide.

Sì, a quarant’anni sono ancora un adolescente. E, se vivrò ancora a lungo, lo sarò anche quando un prete alla The Irishman mi darà l’estrema unzione o mi ricorderà che presto, anziché Natale, sarà Pasqua.

Sono oramai in disaccordo con quasi tutti i critici dei quotidiani e della rete. Ce l’ho spesso anche contro il mio amico Federico Frusciante.

Dai, Fede, non si può dire che Freddie Mercury non fosse un genio. Se poi, amico, vuoi mantenere un profilo cazzuto da uomo che non si fa fottere mai, stai mentendo.

D’altronde, chi non vorrebbe vivere per sempre?

Solo nella fantasia, gli uomini e le donne si ricreano. Altrimenti c’è il progressivo spegnimento emotivo, l’abitudinaria routine d’una vita piatta e borghese, mestamente corretta, dunque orrida.

Anche Cristoforo Colombo fu un sognatore.

Dunque, quali sono i miei film preferiti? Non lo saprete mai poiché non mi va di dirvelo.

Così è. Amen.

 

di Stefano Falotico

Genius-Pop

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