Michael Mann & De Niro, sfida heat per Ferrari

16 Apr

Ferrari De NiroEh sì, a quanto pare avremo, quasi in contemporanea, due progetti cinematografici su Enzo Ferrari.
Se qualche giorno fa, è stata riportata la notizia secondo cui De Niro sarà interprete del fondatore della famosa casa di Maranello, poche ore or sono, ufficialmente è stata data anche la news che, per un film ambivalente ma in competizione con quello deniriano sopraccitato, Michael Mann, guidato dalla produzione di Cecchi Gori, dirigerà la sua versione differente e ispirata a fatti, diciamo, quasi contrastanti.

Intanto, da qui prendiamo un bellissimo articolo che io copio-incollo a ludibrio del grande Cinema così ben argomentato e vividamente esposto.

È un film che aspettavamo. Lo aspettavamo da tempo immemorabile, dopo essere stati costretti per oltre quarant’anni a sciropparci pellicole contrabbandate per capolavori quando invece altro non rappresentavano che retorica anti-italiana, intimità minimaliste, stravolgimenti per fini politici della grande madre che si chiama Storia.

È Ferrari, opera cinematografica sulla vita di Enzo Ferrari, creatore e anima della leggendaria Ferrari, prodotta da Gianni Bozzacchi, nome nuovo per le nostre orecchie, bene così: la speranza, che sul piano dell’intuito, del “naso” del cronista, riteniamo fondata, è che Bozzacchi s’imponga come un caposcuola, caposcuola di una generazione di produttori i quali detestino il “facile”, lo scontato, il convenzionale: vale a dire tutta la retorica dell’antiretorica firmata fratelli Taviani, Lizzani, Monicelli; tutta l’oleografia firmata Salvatores, Tornatore, Fellini: sì, Fellini, avete capito bene, care lettrici e cari lettori, il sopravvalutatissimo regista romagnolo, capostipite d’una schiera di registi e aspiranti-registi incapaci come lui di cogliere il vero aspetto epico della natura umana, del carattere italiano; cantori d’una miseria raccontata malissimo, affronto alla miseria stessa e quindi all’oggettività sociale e morale; presi da una malsana attrazione verso il brutto, verso l’orrido, il nauseante. Lontani anni-luce dal realismo inglese degli anni Cinquanta, Sessanta, Settanta, e dal cinema sociale americano degli anni Quaranta e dei primi anni Cinquanta.

Le riprese dovrebbero iniziare ai primi del 2016. Il protagonista si chiama Robert De Niro. Sarà infatti il grande debuttante di Mean Streets a interpretare la figura di Enzo Ferrari, di un Ferrari che il celeberrimo attore, in unintervista rilasciata in queste ore al ‘Messaggero’, ha definito “uomo fuori dal comune, personaggio grandioso sotto ogni aspetto”. E ha aggiunto: “Sarà un onore per me portare nel cinema il ‘Drake’, l’uomo che col proprio genio conquistò tutti noi”.

Ci convince De Niro nel ruolo di Enzo Ferrari. De Niro è attore possente, ma anche duttile. Nella grande tradizione cinematografica americana, come Humphrey Bogart, Gary Cooper, Gregory Peck e altri ancora, risulta efficace, disinvolto, “vero”, sia nei ruoli drammatici che nei ruoli brillanti. A differenza di nostri attori “impostati”, “scolastici”, incapaci di disincagliarsi dalle pastoie del manierismo che inghiottirono perfino il primo Gassman, De Niro afferra all’istante la natura, “l’animus” del personaggio affidatogli. È un eclettico. Un artista serio. L’attore appunto americano che manco si sogna di vivere di rendita, d’andare, già, sul “facile”. Che non ci pensa affatto a ingannare sé stesso, a ingannare produttore e regista; a prendere in giro il pubblico, che per lui è sacro.

Non c’è ancora il regista. De Niro punterebbe su Clint Eastwood. Idea brillante, questa, non c’è che dire. Eastwood è forse il regista americano più versatile, il più preparato, quello fornito d’un pensiero, di un’indole cosmopoliti; persona di eccellente cultura, tanto da rifiutare d’indossare i panni dell’intellettuale di professione il quale passa la vita a fingere modestia e umiltà quando invece rappresenta l’esatto contrario e riesce a imbrogliare un mucchio di gente e a riscuotere il plauso di quelli fatti della sua stessa pasta, insapore, stracotta… Basti ricordare Invictus per avere un’idea delle straordinarie qualità del campione di Per un pugno di dollari, diventato poi regista con “somma sorpresa” di un assai mediocre cineasta romano incontrato nel 1998 al “Caffè Greco”, qui a Roma…

Ci volevano quindi un co-produttore italiano “sconosciuto” e una casa di produzioni cinematografiche americane, la “TriBeCa”, di cui De Niro è fondatore e “deus ex machina”, perché fosse varato il progetto, appunto, di un film sulla vita di Ferrari dall’immediato dopoguerra al 14 agosto 1988, data della morte dell’Ingegnere, nato a Modena nel 1898.

Enzo Ferrari. Uomo complesso, come del resto tutti i personaggi che fanno la storia, che contraddistinguono i propri tempi, stabiliscono un indirizzo, creano perfino un’epoca, lasciano insomma un timbro, il più delle volte una grande impronta. Ferrari, il padre che perse il figlio Dino, nel 1956, a ventiquattro anni, stroncato dalla distrofia di Duchenne. Il padre che il proprio, immenso dolore, lo tenne sempre, e soltanto, per sé. Il papà che in qualche suo pilota intravedeva l’amatissimo rampollo già ingegnere automobilistico di alto valore e pilota di talento, ma che teneva ben stretto in sé anche questo toccante, molto umano, stato d’animo, per farne parola solo con suoi vecchi meccanici…! Soltanto con loro.

Enzo Ferrari democratico e assolutista… Cosmopolita e “casareccio”, d’estrazione emiliano-romagnola… Conservatore e progressista. Chiuso, introverso, eppur espansivo. Esigente, ma al tempo stesso comprensivo. Duro, e comunque umano. Nel complesso, un generoso; ma non voleva che lo si sapesse, e questo è il tratto del signore; del signore d’animo, non tanto di quello per via del censo. In fondo, il tratto del timido, quale egli era dietro la “corteccia” dell’uomo deciso, autoritario, a volte impulsivo, per poi pentirsi, e pentirsi coi fatti, dello scatto di pazienza.

Così, un film su Ferrari. Un film che ci voleva davvero. Una grossa, forte idea dinanzi alla quale dovrà pur rimpicciolire certo Cinema italiano che si perde con gusto malsano nella politicizzazione della Storia, mostra un’assai morbosa attrazione verso i peggiori istinti umani, soffre tuttora d’un provincialismo di cui non sa, o forse nemmeno vuole, liberarsi.

Eccolo qua il cinema italiano… Con tutti i “compagni” potenti, ricchi, influenti che abbiamo avuto fino a poco più di vent’anni fa, non siamo riusciti a realizzare nemmeno un film come si deve sulla figura di Antonio Gramsci, figura notevole, interessante, comunque la si pensi in termini storici o in termini politici… Non siamo stati capaci neanche di fare un film sulla Grande Guerra che non fosse un soggetto di rissosità social-massimalista inneggiante alla diserzione… Ma abbiamo sfornato pellicole di dubbio gusto e storicamente scorrette, mendaci, tipo quel Mediterraneo del conformista Salvatores con il monocorde Abatantuono quale protagonista. Non era, no, così il Regio Esercito nella Seconda Guerra Mondiale: fu altro, fu ben altro.

Non abbiamo un film vero, aderente alla verità, sul Risorgimento o sulla Repubblica Romana del 1849 o sulla Repubblica Partenopea del 1799. Non un film sui Fasci Siciliani! Non un film, uno vero, profondo, su Cesare, Augusto, Adriano; sulle Guerre Sociali romane; su Mario e Silla. Non un film-affresco, con luci e ombre, sul Boom italiano, sul Miracolo Economico.

Non un film su Sigonella o su ascesa e caduta di Craxi.

Che povertà, che tristezza.

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