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Non si scherza con Jesus/Turturro, si scherza eh, poiché John è come il grande Guglielmo


29 Mar

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Eh sì, sono sempre più simile anche al mitico John.

Attore di una versatilità pazzesca. Capace di essere amico di Scorsese, di Spike Lee, dei fratelli Coen, il mitico Jesus Quintana, uno dei cammei più straordinari della storia del Cinema.

Ed è stato bravissimo in The Night Of, superandosi ancora con Il nome della rosa.

Sono molto simile a John, passo dalle monografie su John Carpenter ai libri erotici, vado di palo in frasca, mica come voi che vi nascondete tra le frasche, ah, state freschi, so giocare a bowling, in tutti i sensi, sono un po’ alla Johnny Depp e un po’ come Buster Scruggs.

Sparatevi questa video-recensione.

Come John, ho origini mezzo pugliesi e mezzo della Basilicata, son nato a Bologna e ho fatto l’amore da Trieste in giù.

Leggo Umberto Eco e anche James Ballard, guardo un film francese e poi amo una thailandese.

Insomma, non si scherza con il Genius.

Ah ah. Sono un trasformista.

Alla prossima, amici.

E fate meno i bastardini. Eh eh.

 


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Il Genius-Pop è come John Turturro/Jesus de Il grande Lebowski #joker #jesúsquintana #thebiglebowski #johnturturrofanclub #joelcoenandethancoen

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di Stefano Falotico

Il Cinema perduto: la memoria nostalgica de Il nome della rosa, di un saggio che non indossa il saio e non prega col rosario


23 Mar

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– Maestro, posso chiedervi una cortesia?

– Chiedi pure, ragazzo.

– Mi distruggeresti una volta per tutte questi nani?

– Con molto piacere.

 

Come saprete, poiché voi sapete di me tutto e spesso fiutandomi e poi inevitabilmente rifiutandomi, vivo mi linciate e come se io fossi una strega mi bruciate, rattristandovi io coi miei rifiuti poiché uomo malinconico che suona il liuto e, avendo gran fiuto, non può accettare parimenti e inversamente voi in quanto maliziosi e infingardi, della mia anima ingordi e di pettegolezzi pronti a rendermi lordo, ecco… io rifletto nel silenzio delle mie scelte monastiche, forse soltanto dinastiche. Ereditarie d’una generazione famigliare avvezza all’innata dannazione della propria sanguigna, genealogica, dunque consanguinea idea alogica d’una realtà materialistica a cui noi, combattendola da sempre, schierandoci a muso duro contro le false credenze popolari, le superstizioni voraci, infrangendo un dio finto, opponiamo la resistenza lupesca degli uomini melanconici afflitti da troppo mal d’amore. Dai cangevoli umori. Da diavoli agnostici.

Un nostro sentimento accorato alla verità del nostro pulsante, romantico cuore elevato e immolato a magnificazione della santissima trinità d’una reale oggettività.

Siamo malati di licantropia. Così come recita Adso da Melk al suo mentore nella famosa biblioteca dell’abbazia.

Rimembro il tempo e medito severamente sulla dissipatezza dei vostri inutili giorni che si fingono allegri e si acconciano di frivolezze da me reputate stantie. E sconce.

Ho rivisto Il nome della rosa con Sean Connery, raffrontandolo poi con la serie televisiva con John Turturro.

So che mi screditerete e forse scomunicherete per questo mio lancinante dubbio che mi sta tormentando in modo martellante. Ma, dopo dovute e acute, appunto, riflessioni in merito, malgrado riconosca a Connery la sua allure magnetica e, nel rivederlo così calibrato, misurato, interpretativamente carismatico, debba io porgli e rinnovargli complimenti sentiti di stima profonda ed eterna, forse gli preferisco Turturro.

No, non bestemmio come il gobbo Salvatore/Ron Perlman, uomo eretico di penitenziagite e blasfemo, deforme di sue estetiche bruttezze poco piacevoli ai vostri sguardi giocondi.

Sono un giudice forse troppo frettoloso come Bernardo Gui? Lo riconosco. Eppure, nonostante la classe di Connery, Turturro, sì, maggiore finezza e sfumature psicologiche rilevanti al suo Guglielmo da Baskerville ha saputo sobriamente infondere.

Detto ciò, dopo averlo opportunamente recensito, posso asserire altresì, in pieno orgoglio, che Il nome della rosa con Connery è un grande film soltanto nell’ultima mezz’ora. Quando, nel tripudio incandescente ed evaporante su rifrangenze lunari fantastiche di un casino pirotecnico, fotografato e immortalato in modo crepuscolare da Tonino Delli Colli che giocò sapientissimo con luci languide, esotericamente di fiamme dardeggianti e taglienti il buio di un’era oscurantistica e tetra, esplode il putiferio salvifico d’una incommensurabile notte degli orrori e degli spettri smarriti di quel che fu ieri ed è già svanito.

Oramai tutto è finito.

La biblioteca, bruciata da cima a fondo, il luogo meraviglioso ove erano raccolti i maggiori manoscritti della cristianità, appassisce e crolla in un batter d’occhio nell’essiccante erosione dell’inesorabile tempo turbolento, anzi, s’inaridisce istantaneamente a crocifissione tombale e al contempo monumentale del suo stesso tempio maledetto. Covo di oscure macchinazioni inconfessabili, di luciferini ciechi che odiavano il riso. Forse amavano gli spaghetti. Ah ah.

 

La cultura e la conoscenza sono state distrutte dal progresso barbarico dell’imperscrutabile volere di dio.

Ma la vita va avanti e, come in Blade Runner, è tempo di morire. E forse rinascere.

Sì, adoro questo Cinema fuori dal tempo. Era più bello, più stupefacente.

E si respirava davvero l’aria mitologica della Settima Arte benedetta dal fuoco virulento e vibrante di storie strepitose che c’entusiasmavano in maniera vigorosa.

Il Cinema di allora profumava di leggenda portentosa.

Quando noi tutti, raccolti intorno a un falò, auscultavamo l’odore del nostro cuore e c’emozionavamo come bambini nelle abissali voragini stupende della sospensione mistica e metafisica del tempo.

Dei nostri templi…

Ora purtroppo questo tempo è stato distrutto dalla volgarità, dall’ignoranza, dalla superficialità di un mondo più medioevale di quei tempi bui dei quali vi ho narrato.

Buonanotte.

 

 

di Stefano Falotico

Genius-Pop

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