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Ecco perché Clint Eastwood è mille volte superiore a Quentin Tarantino. Ecco perché C’era una truffa a Hollywood forse è un film bruttissimo ma certamente più coraggioso di Once Upon a Time… in Hollywood


05 Feb

clint eastwoodOk, cari gringo, chiariamoci assai bene. Tarantino realizzò tre capolavori, cioè i suoi primi tre film. Le altre sue pellicole sono belle ma, al finale di Kill Bill vol. 1, preferirò sempre quello di Per qualche dollaro in più. Che è di Sergio Leone e non di Eastwood.

Comunque, il finale de Gli spietati è superiore a quello di C’era una volta il West.

Secondo voi, Django Unchained è un grande film? Forse, non lo so. Di certo, Franco Nero è più figo di Jamie Foxx, un nerone. E non sono, capite, miei capitalisti che vorreste decapitarmi, un uomo razzista o schiavista. Pensate, sono amante di Amistad, sognai per anni delle amanti come Naomi Campbell e riuscii ad amare De Niro alla follia, protagonista di C’era una volta in America ed ex della Venere Nera, sì, la venerò ma nessuna malattia venerea pigliò, amando al contempo altre negre come Charmaine Sinclair e Grace Hightower. Io amo anche Black Dahlia di Brian De Palma, regista de Gli intoccabili, un immenso western… metropolitano.

Quindi, sono intoccabile. Capito, donne? Toccatemi e non vi denuncerò. Vi amerò.

A dire il vero, quando fui adolescente, volli amare anche la Venere Bianca, all’ana… e, sì, all’anagrafe Manuela Falorni. Pare, fra l’altro, che De Niro amò Moana Pozzi mentre David Bowie, presente anche ne Il mio West, fu sposato con Iman. Sì, il Duca Bianco fu amatore di Iman, donna che amò il suo superuomo da He-Man, forse bravo a solleticarle l’imene.

A proposito, chi sarebbe China Girl? Una delle amanti bisex di David, cioè Mick Jagger?

Ora, secondo il signor Pellegrini di The Fan, Mick Jagger è gay. Eufemismo di frocio, chiaro, finocchi? Io non sono Pinocchio né omofobo e quindi riesco ad amare sia i Beatles che i Rolling Stones. Ai Led Zeppelin, ho sempre preferito la zeppa sullo zoccolo di Jennifer Lopez, sì, ho detto zoccolo…  Alla zuppa inglese, invece, preferisco la maionese. E alla maionese lo zabaione.

Al mascarpone, preferisco i mie scarponi. Non indosso gli stivaloni da cowboy ma adoro il cowgirl. Allo stivalone italiano, preferisco i tacchi a spillo.

Ecco, a mio avviso, chi considera The Hateful Eight un capolavoro è meglio che riguardi The Killing di Stanley Kubrick. E, per l’appunto, Le iene – Cani da rapina di Tarantino. Chi ama Ennio Morricone, si riascolti le sue colonne sonore per Leone e lasci stare la sua soundtrack per il film succitato di Quentin.

È la stessa cosa de La cosa con tre semi-riff in più da Keith Richards attuale. Cioè un rincoglionito come Johnny Depp de La maledizione della prima luna. Ma quali Pirati dei Caraibi, meglio The Curse of Monkey Island.

Sì, Morricone fu un genio come Mozart, lo affermò e sottoscrisse Tarantino. Ma, negli ultimi suoi anni di vita, realizzò soltanto cover più brutte delle sue colonne sonore per Giuseppe Tornatore.

Tim Roth lavorò sia con Tornatore che con Tarantino. De Niro lavorò sia con Leone che con Tarantino.

Sì, è tutto un balletto la vita, insomma una tarantella.

Vi ricordate The Blues Brothers?

– La signora Tarantella?

– No, Tarantino.

 

Kurt Russell lavorò con De Niro in Fuoco assassino, con Tarantino molte volte e con John Carpenter girò tanta roba. Roba che Tarantino riciclò in modo grossolano, cazzeggiando a tutto spiano. Secondo me, Mystic River non è un capolavoro. In quanto troppo retorico e cucinato per gli Oscar. Gran Torino e The Mule, invece, sono davvero dei capolavori. Su Facebook, qualcuno scrisse che Il cacciatore è il capolavoro di Michael Cimino. A parte Il siciliano e forse Ore disperate, tutti i film di Cimino sono dei masterpieces.

Il primo film di Cimino ebbe come attore Clint Eastwood. Il quale si fidò ciecamente di Michael. Michael, chi? De Niro di The Deer Hunter?

Insomma, Eastwood, signore come Sondra Locke e Frances Fisher, cari signori come Walt Kowalski.

Io amo anche Walt Disney, peraltro. Non solo Tom Hanks di Saving Private Ryan e di Saving Mr. Banks.

Sì, è pieno di farabutti in giro. Hanno assalito la banca di Santa Cruz o le banks, per l’appunto? Non datevi al branco ma al banco…

Tu ami Sully?

Bravo, io amo gli spaghetti alle vongole e anche quelli con Giuliano Gemma.

Comunque, ad Anche gli angeli mangiano fagioli, preferisco Un dollaro bucato e la figlia del compianto Giuliano, Vera, è vero che è rifatta ma me la farei.

Con tanto di “remake”.

Se non vi sta bene, porci, sfregiatemi come la puttana di Unforgiven.

D’altronde, sono come Richard Harris, Un uomo chiamato cavallo. Adoro anche l’attrice Valeria Cavalli. Specialmente, quando le gambe accavalla e le vorrei montare in sella. In sala? Dopo averle offerto da bere del whisky, nel saloon o forse solo nel salotto, lei berrà la mia birra…

Sì, molti uomini si montano la testa. Secondo me dovrebbero montarsi la propria donna.

In città, troppi sceriffi dettano legge.

Sono dei panzoni come Gene Hackman.

Eastwood è un genio, Tarantino mi fa un baffo.

Le sue sceneggiature non valgono un cazzo. Infatti, Uma Thurman lo mandò a farsi fottere.

 

 

di Stefano Falotico

 

Rocky Balboa o Rocky & Bullwinkle: dimmi quali attori e cantanti ti piacciono e ti dirò chi (non) sei


01 Jul

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Avete mai visto il film Danny Collins con Al Pacino? Da noi ribattezzato La canzone della vita?

No, non è male ma non è neanche brutto. Così come la vita di quasi noi tutti. A volte, la nostra vita è un capolavoro. Quando viviamo momenti di estasi che, però, scalfiti nella loro omeostasi, sono altresì perturbati da attimi (possono durare pure anni, per la miseria…) dolorosi e certamente non appaganti.

Al che, in alcuni o per molti frangenti possiamo innervosirci, troppo semmai preoccuparci, diventando antipatici e scontrosi. Soprattutto contro noi stessi. Disprezzandoci totalmente, dal mondo oscurandoci, ingiustamente colpevolizzandoci. Autopunendoci.

Diveniamo misantropi oppure solamente apatici, abulici o, di contraltare, pensierosi od eccessivamente contemplativi. In una parola odiosi, facilmente irritabili, nevrotici, cascando per di più nella psicosi.

Al che, crolla la nostra apparente felicità, va a farsi friggere la nostra oasi. Le nostre illusioni vanno pure a farsi fottere e guardiamo il mondo da un oblò, parafrasando la celeberrima canzone di Gianni Togni, Luna, “coverizzata” di recente da Jovanotti. Cosicché, smarriamo la nostra indole spensierata della giovinezza un tempo invece vivamente vivandante, forse solo da allegri viandanti, una gioventù pindarica, colorata e innamorata da gagliardi giovincelli tanto carini che sognavano, anzi, ché sognavamo di suonare non soltanto alla propria conquistata lei il “clarinetto” di Renzo Arbore, non solo il clavicembalo, stimolando le corde vocali di giusto tocco, d’indubbio romantico “taste”, strimpellando il suo splendido fondoschiena a mandolino secondo me molto più arrapante di quello di Penélope Cruz de Il mandolino del capitano Corelli.

Eh sì, miei fringuelli e mie principessine sul pisello, conobbi anni fa un matto che abitava (penso che vi abiti tuttora) a Bologna, in via Arcangelo Corelli.

Si chiama(va) Angelo ma non ha mai chiavato neppure una donna di nome Angela.

Sì, era pazzo, ascoltava Gli angeli di Vasco Rossi e onestamente penso che molte volte sia andato a troie giusto per l’anima del cazzo.

Sì, oltre a essere fottuto socialmente, fotteva di tanto in tanto quelle pure da tutti, non solo metaforicamente, inchiappettate.

Veramente, una vita eccitante. Non c’è che dire. I pochi soldi che gli passava l’assistenza sociale li donava a quelle sui viali.

Cristo! Davvero un filantropo! Lo faranno santo! Ah ah.

Ebbene, riemergono i ricordi della mia vita dapprima auto seppellitasi. Non solo il verbo è riflessivo ma la mia esistenza, da riflessiva che fu, anche da fesso, ricammina adesso spedita.

Ebbene, ragazzi, ho sopra coniato una rima baciata da tramandare ai posteri. A te piace quel poster? Invece, quel posteriore, no?

Voi, maturandi diventati maturati dopo aver dato, malgrado la quarantena spossante, egualmente gli esami di maturità, non dovete amare le pappardelle a memoria (meglio le pappardelle alla panna, fidatevi) rifilatevi dai vostri oramai ex insegnanti andati, i quali fanno tanto i sofisticati ma, alla fin fine, adorano i filmacci Immaturi Notte prima degli esami, identificandosi semmai pure con Giorgio Faletti e rileggendo non Io uccido, bensì uccidendosi di risate, ah ah, sai che ridere, nel riguardare le vecchie puntate del pecoreccio Drive In con Ezio Greggio (ah, super rima da Striscia la notizia) e il mitico, panzone Vito Catozzo. Si riguardassero!

Ma la smettessero. Li inviterò in pasticceria, alle prime luci dell’alba, offrendo alle professoresse nubili, non so se nobili, un maritozzo, mentre ai professori celibi, non so se celebri, un cornuto, no, il film Cornetti alla crema.

Ma quali uomini di cultura!

Questi qua, dei quaquaraquà, vanno “sfanculati”. Gente che, oramai con la panza piena, va integralmente a culo.

Si fottano!

Fanno gli acculturati e vollero farsi Milly Carlucci di Pappa e ciccia ma Scommettiamo che… hanno pessimi gusti non solo in materia letteraria? Sono, sì, effettivamente letterati ma dovrebbero invece essere ignoranti. Poiché, come ben “insegnò” Totò, alias l’auto-definitosi principe De Curtis, autore della ridicolissima lettera epocale scritta assieme a Peppino De Filippo e consegnata alla malafemmina, non solo confondono Il ritratto di Dorian Gray dell’Oscar Wilde con l’interprete omonima dell’amante di Teddy Reno (Rita Pavone?, no) del film sopra menzionatovi, bensì pretendono che la gente, per l’appunto, si acculturi.

Sono dei fessi. Se sono istruiti, devono invece far sì che la gente non s’istruisca. Totò di Miseria e nobiltà “docet” allo zotico campagnolo analfabeta in un’altra memorabile scena di epistole rifilata al villico da “egregio” signore, classica intestazione d’una lettera che si rispetti. Ah ah.

A proposito di mandolini e di luoghi comuni, di stereotipie sugli italiani da John Madden della minchia, è vero comunque che, in Italia, si vive/a di nepotismo mafioso da Francis Ford Coppola e Nicolas Cage.

Per esempio, il succitato, spesso sovreccitato Angelo, per ricevere il rispetto della gente che lo piglia(va) per il culo più di come lui prenda/prendesse per il popò le prostitute, ricevendolo parimenti nel posto a livello economico, andava in giro a recitare la parte di De Niro ne Il padrino – Parte II. Vale a dire Vito Andolini. Voleva farsi valere, che uomo caloroso, valoroso!

Cazzo, veramente un tipo tosto, che stoico, che Corleone! Ah ah.

Detto ciò, ancora in Italia permettono a Fabrizio Moro di cantare a squarciagola e d’impazzare in radio a briglia sciolta.

Lui, vincitore assieme a Ermal Meta d’un recente Festival di Sanremo, è un fake mai visto. Poiché, nella sua nuova canzone, Il senso di ogni cosa, già nelle primissime strofe si comporta da ipocrita, forse solo da scrofa.

Sbraitando la testuale, seguente falsissima frase aberrante assai vergognosa. Oserei dire scandalosa, più orripilante del caso Aldo Moro. Veramente scabroso/a!

posso fare a meno dei milioni.

Certo, come no?

Per questo nuovo singolo del cazzo, la sua etichetta quanto gli ha dato?

Invece, per il nuovo tour, quanto gli daranno?

Fabrizio è un bel ragazzo e sono altresì convinto che tante gliela daranno. Insomma, Fabrizio, grazie a questo singolo, riceverà molte donne single.

Al che, lui non rinuncerà soltanto ai danari per riempire il suo salvadanaio. Bensì, ben presto, rinunzierà al credo del suo ritornello… il mio unico amore.

Per fare invece il figo con tantissimi amori, si fa per dire, con una moltitudine di belle (forse delle groupie?) senza cuore ma sicuramente, dopo avergliela data, più ricche a livello esteriore.

Al che, fra questi falsi uomini belli, preferirò sempre il re degli ignoranti, colui che è tuttora sposato con Claudia Mori e, in Segni particolari: bellissimo (Distinguishing features: beautiful), scopa Federica Moro.

Di mio, sto vivendo un periodo da Innamorato Pazzo. Dopo essermi, per molti anni, chiuso nel mutismo, faccio ora all’amore con una donna più bella di Ornella Muti.

La sua venustà mi lascia, infatti, senza parole.

Invece, in televisione ancora propinano la soap opera Beautiful. Non solo l’ex gnoccona Katherine Kelly Lang non è più quella di una volta, bensì Ron Moss è stato, da tempo immemorabile, rimpiazzato da uno ancora più brutto. Sì, credetemi. È meglio Javier Bardem di Biutiful. Ha una vita orribile ma spinge…

Ah ah. Sì, diciamocela, per il ruolo di Ridge ci vorrebbe il sottoscritto.

Sì, però nella parte di Sean Connery di Scoprendo Forrester. Ah ah.

Senz’ombra di dubbio, molti personaggi dei film di Gus Van Sant mi fanno un baffo.

Sì, alla pari di Angelo, voi andate con le battone.

Dovreste ripulirvi dai vostri peccati, miei “toccati”.

Per voi, ci vorrebbe Giovanni Battista.

Non fate i romantici, ricantando le vecchie canzoni di Mogol e Battisti.

Siete solo degli ipocriti e degli uomini tristi. A te piace invece quel batterista?

Sì, va bene. Scopatelo e suonagli l’ocarina.

Sono veramente un battutista e, se mi va, non solo faccio il bell’uomo come Connery/James Bond ma interpreto pure la parte di Sean ne Gli intoccabili.

Sì, per anni fui solo come un cane, fui un tipo veramente alone. Però, al contempo, fui almeno carismatico come Jimmy Malone.

Gli adulti, i quali per l’appunto vollero istruirmi, non mi scambiarono per un metronotte, bensì solamente per un poetico, no, patetico amante del film Warriors.

Fui quasi scambiato per un criminale come Al Capone. E mi gridarono: ti piace solo De Niro? Le ragazze, invece, no? Sei uno zuccone!

Mi presero quasi a testate, urlandomi: – Devi crescere! Sei ancora un bambino da bolognese Teatro Testoni!

Al che, me ne fregai dei loro attestati e attestai di essere un giornalista, scrivendo su una cinematografica testata senza neppure essere laureato.

Roba da matti!

Ecco, perdonate questo lungo preambolo e perdonatemi se non riesco a perdonarvi per non avermi perdonato, ah ah.

Molti di voi si fanno i film sulle persone, non solo su di me.

Cazzo. Pensavo che si trattasse soltanto di pettegolezzi riguardanti la mia persona. Allora, guardate, ho da proporvi un lavoro. Potreste farvi i soldi, scrivendo della nuova fiamma, su Novella 2000, non solo del sottoscritto, bensì anche di Fabrizio Moro.

Lei è mora? Ah no? È bionda?

Parafrasando il grande Bob De Niro del già citato The Untouchables, quando si rivolge a Kevin Costner:

– Con me non ce la fai, buffon’!

È la stessa cosa che dice Ilaria D’Amico a suo marito. Il quale, anziché ritirarsi, da poco ha firmato un contratto che lo legherà alla Juventus sino al 2021.

Sì, Ilaria ammonisce Gianluigi. Non lo espelle, però. Neanche più lo spella. Gli dice soltanto di possedere un invidiabile coraggio per voler dimostrare di avere ancora le palle di scendere in campo, non parandone più nessuna. Ah ah. Ma sì, Gigi lo fa per garantire alla sua prole, sì, ai suoi figli, un futuro da campioni. Più che altro, da paraculi.

– Amore, dovresti tirartela di meno. Hai fatto il tuo tempo. Anziché cazzeggiare, perché non ti fai me? Ti devo fare lo spelling?

L’ultimo figlio che abbiamo avuto assieme risale a parecchio tempo fa – sacramenta Ilaria.

Buffon, al che, le risponde:

– Tu ancora ti fai, no, scusa, per me tifi?

– Solo quando i tuoi compagni di squadra, troppo machi e volgari, vogliono farmi il culo.

– Quello te lo faccio io.

– Gigi, cazzo! Ma come ho fatto a sposare un tonto come te?

E dire che le donne dicono che sei affascinante.

– Lo sono perché ho più soldi di Fabrizio Moro.

– In effetti, entrambi non avete i coglioni per essere sinceri. Ma i soldi servono. Basta chiederlo a Olivia Wilde di Richard Jewell. Confermerà che ho sposato un tipo alla Jon Hamm. Anzi, sai che faccio? Le chiedo lo scoop. Gliela do, no, glielo do in esclusiva.

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Sì, molte persone sono come Buffon e come Fabrizio.

Sono retorici, fanno i grandi, i duri.

Ma, secondo me, non sono tosti come Rocky Balboa né possiedono la cultura di un uomo che conosce anche questo film semisconosciuto con De Niro.

Dovrebbero rivedere anche Buongiorno, notte. Mentre, alcuni miei parenti, i quali abitano in un paesino del sud, cioè della Basilicata, in cui v’è peraltro un quartiere estremamente periferico e fatiscente che si chiama Aldo Moro, non sanno neanche cosa siano le brigate rosse.

Almeno, dopo una vita da disoccupati, troveranno un posto fisso subito, divenendo brigadieri. In quei posti, statene sicuri, ci sono delle mafie che non potreste immaginarvi.

Sì, va detto. Fui anche scambiato per un “duce”. Cioè per Filippo Timi di Vincere. Fui giudicato paradossalmente anche troppo timido e, appena mi ribellai, sputtanando tutti, molti fascisti vollero sbattermi in manicomio come Giovanna Mezzogiorno. Mi spiace deludervi.

Non sono Clint Eastwood di Gran Torino ma possiedo una faccia di merda come quella di Sam Rockwell del film sopra scrittovi, firmato dal maestro, con la Wilde.

Per questo, la mia lei è follemente innamorata di me. Sì, se avessi prestato fede alle fandonie messe in giro sul mio conto da tanti stronzi e poveretti, oggi sarei ancora subissato di psicofarmaci e sarei più grasso di Paul Walter Hauser.

Sì, aveva ragione John Lennon. I Beatles non mi sono mai piaciuti ma John disse il vero. Sì, disse che la gente la dovrebbe finire di guardare e adorare la vita degli altri. Secondo me, molta gente non capisce i film anche se ha tre lauree al DAMS, non capisce la Musica anche se guadagna più soldi di Fabrizio Moro, ah ah, secondo me, sì, detta come va detta, si fa solo le seghe.

E, su quest’ultima freddura, vi lascio con un’altra inculata che vi ha messo totalmente a pecora.

Infine, aggiungo questo. Fottetevi. Tanto non sono cazzi miei. Ah ah.

Voglio continuare, andare avanti!

Eh già, per molto tempo la gente pensò che io pensassi di essere Robert De Niro.

Sono davvero costernato ma debbo nuovamente smentirla. Pensai di essere solo De Niro di Taxi Driver. Ah ah.

Sinceramente, ce la possiamo dire in tutta franchezza?

Non sono un coglioncello ma, alla pari di Zac Efron di Nonno scatenato, ho un bell’uccello.

E sapete che vi dico?

Ammazzatemi pure ma, a mio avviso, Dirty Grandpa non è affatto un film triste e triviale.

Non è niente male, cazzo, non è niente male, cazzo, non è niente male.

Apparentemente sembra un film, per l’appunto, di merda e del cazzo, invece, a ben vedere non è per niente banale. Vi è tutto un discorso, sì, certamente campato per aria contro il conformismo e, sostanzialmente, rimane un film debolissimo e innocuo, prestissimamente dimenticabile.

Ma le spara grosse.

Ci vogliono le palle per dire la verità.

Altrimenti rimanete, anzi, rimarrete fermi a Il laureato, al Cinema oramai superato e alle puttanate di Pieraccioni e dei Laureati cazzoni…

Detto ciò, ora vado a leccare un gelato.

Più tardi, qualcos’altro.

Ripeto, come già dissi, mia nonna paterna è sempre stata appassionata di fotoromanzi.

Non ho mai capito come io abbia fatto a nascere.

Sì, mia nonna ebbe due figli. Mio zio e mio padre.

Ma credo che mia nonna abbia solo leccato il gelato ai gusti di crema e nocciola.

La verità è che, nessuno di noi, della vita degli altri sa nulla. Ma qui ora il Falò fa tutto un altro gioco. S’è stufato di parlare solo di film. Vuole farli e vuole con la sua lei rifarlo. Ancora e ancora, ancora e ancora. Cazzo, quando si dice… hai proprio una bella voglia, ma chi te la fa fare?

Ah, nessuno. La mia lei è una donna magnifica e non è una facile. Se non vi sta bene, fatevi ma non “stantuffatemi”.

Oh, rimanga fra voi, no, fra noi… Sono molto, molto più giovane di Al Pacino.

Sì, debbo ammetterlo.

Avevo sbagliato tutto nella vita.

Per forza, ho aperto la lettera che mi inviò John Lennon, cazzo, un po’ tardi.

Comunque, c’è di peggio.

Conobbi donne laureate in Lettere che non lessero mai una sola lettera scritta loro dal sangue del proprio sangue.

In compenso, adorarono La stanza del figlioMah, che tipe.

Che fossero e siano delle gran tope, ecco, stendiamo un velo pietoso. Queste qui non si salveranno neppure mettendoci molte toppe. Sono già, di loro, zoccole. Ah ah.

Non sono un terrone, non amo le tettone, sono nato a Bologna, ho origini terragne, ah ah, non mi fanno schifo i ragni e ho solo paura del terremoto. Che è provocato dallo smottamento tettonico.

Non sono neanche daltonico.

Comunque, a Fabrizio Moro, di mio, continuerò a preferire Fabrizio De André.

 

di Stefano Falotico

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Men & Women: tutto quello che avreste voluto sapere sul mio sesso ma non avete mai osato chiedermelo – Meglio così, a causa del vostro domandarmelo, scoppiò… la poetica erezione, no, elevazione


05 Jan

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Parafrasando il titolo di un celeberrimo film di Woody Allen e adattandolo, diciamo, al vostro essere assatanati, vergherò qui, con candidissima omissione, no, ammissione della mia ancora invincibile purezza che non abbisogna né di altre confessioni né d’inutili abluzioni, tutto il travaglio partorito e, oserei dire, generatosi dopo che, sessualmente nascituro ma soprattutto duro nella prima ragazza che mi sverginò nella supercazzola prematurata con scappellamento a destra, venne, no, avvenne un casino che me lo introdusse, no, me lo disossò, no, me lo dissanguò, no, m’indusse, finite che furono le molte compenetrazioni da ossessi dei nostri entrambi sessi spolpati, spompati e spossati, congiuntisi, molto untisi ma non coniugatisi nel matrimonio, ovvero non sposati, ad addentrarmi alle origini uterine della nostra umanità animalesca per la quale, secondo l’istinto primario della suzione mammaria e anche materna, tutti i maschi, anche quelli dalla carnagione colore bianchissima come i latticini, si affidano al Vaticano, no, vaticinano la vag… a. Il che mi condusse a sprofondare a Prénatal e a Bim Bum Bam, no al pre-Big Bang di tale disumano pianeta delle scimmie.

Secondo il biologo Stanley Kubrick, no, Kubrick fu “solo” il regista di 2001: Odissea nello spazio, no, secondo Stanley Miller, non so se anche andrologo o pediatra ontologico, non so se pneumologo, astrofisico attorniato da super fighe cosmiche o uno che amò scoprire il vuoto pneumatico prima dell’esplosione atomica del primo uomo di Neanderthal, detto primate, in una milf, no, in una mammona, no, in un Mammuth, no, in una primitiva mammifera pelosa con gli estrogeni, ecco, secondo Miller, la vita sulla Terra si originò per via di scariche elettriche precipitate in uno stagno.

Per dimostrare la sua teoria, oserei dire fangosa, quasi sporcamente cremosa come l’eiaculazione più focosa, Miller creò artificialmente un brodo primordiale in forma quasi microscopica. Sottoponendolo a insistite “radiazioni” quasi elettromagnetiche, notò che, a distanza di qualche orgia, no, ora, nel brodo si svilupparono degli organismi unicellulari. I quali, crescendo intellettivamente, migliorarono raffinatamente il loro uccellare nel farsi più elegantemente, comunque fornicando assiduamente con tutte le bestie con più cellule e anche con più cellulite senza neanche riflettere alle conseguenze neppure per un solo istante.

Insomma, nulla cambiò, ancora oggi gli uomini e le donne pensano sempre a quello/a infinitamente.

Sì, tutto partì nell’acqua e ancora tutto parte da lì. In fallo, no, difatti le femmine, quando sono eccitate, si bagnano, ribollendo effervescenti.

Così facendo, il Velociraptor maschile entra nella loro grotta per appiccare il fuoco con tanto di finali graffiti. Similmente a come gli ominidi, dopo aver fatto i predatori, sì, dopo essere andati a caccia, dipingevano le pareti in maniera grezza e pure gretta. Poi, le donne divennero più sofisticate e più garbate come Garbo Greta e gli uomini migliorarono i loro primigeni, barbarici spruzzi pittorici, affrescando come Michelangelo non solo i “vasi di terracotta” di Demi Moore di Ghost ma anche la Cappella Sistina, un capolavoro cosmogonico. E ho detto tutto, miei uomini e donne calorosi e macrobiotici.

Questa è la verità, non ce ne sono altre. Lo capirete a scopo da ritardat(ar)i, no, a scoppio ritardato poiché le altre sono care, stanno anche con le cariatidi purché costoro possano pagare loro i migliori dentisti per curarle dalle carie e comprare loro i divanetti anti-acari, miei esseri eucarioti che foste fottuti, ah, mie conigliette, no, miei conigli da carote.

Da tale pseudo-evoluzione, saltarono fuori pure i Beatles.

Banda ecumenica che cantò la bellezza dell’amore universale, capeggiata da John Lennon, il quale si accoppiò con una giapponese semi-naturalizzata americana, e formata dal belloccio Paul McCartney, dal metafisico George Harrison e dallo scimpanzé Ringo Starr.

– Stefano, a te piacciono le donne?

– Non tanto.

– Allora, ti piacciono gli uomini.

– Per niente.

– Sei misogino e misantropo, dunque.

– No, ho letto troppi libri di un altro Miller, Henry. Sono un uomo da Tropico del Cancro, non da brasiliane ai tropici. Quelle fanno venire l’AIDS.

– Ma come mai non vai matto per le donne?

– Alle donne piacciono gli uomini. E gli uomini sono per la maggior parte matti.

– Quindi, sei un eremita.

– Sì, vivo in una spelonca al freddo e al gelo. Sono un cavernicolo ma non uso la clava.

– Come mai sei arrivato a questo agghiacciante processo evolutivo?

– Perché le canzoni di Ed Sheeran piacciono a tutto il mondo. A me paiono false.

 

A proposito di cazzate, a me il film Ghost parve fin dapprincipio una boiata.

Non ci crede nessuno che Demi Moore volesse il compianto, ahinoi deceduto non solo nel film, eh già, Patrick Swayze, così tanto da non desiderare più nessuno.

Demi Moore è una conclamata, innegabile donnaccia di malaffare. Nemmeno l’interprete della sega, no, saga di Die Hard riuscì a curarla dalla sua an(n)ale ninfomania sesquipedale.

Così come, allo stesso modo, in questo mondo nessuno riesce ad alleviare la mia malinconia ancestrale.

Per quanto mi concerne, senza neppure slacciarmi la cerniera, a mio avviso potete anche andare tutti a farvelo dare nel culo.

Odio le cerimonie, son uomo di acrimonia e forse sono pure un angelo e domani un demonio.

 

di Stefano Falotico

Siamo tutti Joker, chi più chi meno, siamo un jolly, forse domani di nuovo polli, non male Polly


26 Apr
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Ma quant’è bel, sembra Mabel, non è un giochino della Mattel, non è affatto matto, indovina chi è

Non voglio sentire ragioni. Questa canzone spinge. La cantante è bellina, anzi è Mabel e con lei giocherei di alte maree come Mont Saint-Michel. Come in To the Wonder, un amore malickiano, puro, romanticissimo…

Michelle, ma belle, sont des mots qui vont très bien ensemble…

Come cantava Paul McCartney, il più bello dei Beatles. John Lennon era la mente, Yoko Ono invece fornicava, no, forniva la materia prima…

Don’t Call Me Up, sì, è una gran canzone.

Come le migliori canzoni, appunto, del gruppo musicale di Liverpool più famoso della storia.

Che, fra l’altro, sono tre e basta. Quella succitata, Yesterday e la terza la prendi te, visto che piace più a te che a me. Sì, per te va bene, io pretendo qualcosa di meglio.

Noi tutti di questa generazione aspettiamo Joker con Phoenix.

C’è pure da chiedersi perché?

Questo Phoenix è proprio un attore monstre.

Lunga vita e grande Cinema a tutti.

 

di Stefano Falotico

C’era una volta a Torino…


30 Dec

 

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Ieri, era il 29 Dicembre e Rai 3, come di consueto in questo periodo, in concomitanza con la fine dell’anno e l’approssimarsi vicinissimo dell’Epifania, ha trasmesso C’era una volta in America.

Stefano Falotico, il qui presente-assente, Bickle e Joker Marino, uomo rispuntato dalle tenebre per fortunati accadimenti miracolosi della sua mente che, dopo essere andata a letto presto, invero tardissimo da After Hours scorsesiano per molti anni, dopo essersi persa nei vicoli meandrici di amnesie storiche, dopo tanti eventi rovinosi, impazzimenti vari, ha riacquistato la luce, una luce tenue come il crepuscolo adamantino del suo Nosferatu passeggero in questo mondo bislacco ch’è il nostro.

Così, ho deciso di far visita a un mio amico di Torino, per una giornata e mezza di allegre rimpatriate.

Sono passati tanti anni dalla prima volta che lo incontrai e più volte ci siam rivisti, anche se di rado, negli ultimi tempi.

Così, quando la malinconia si fa così forte nel mio animo che ho bisogno d’incendiare i miei ombrosi umori in serate piacevolmente amicali, non perdo mai il treno.

Che, semmai, sosta anche alla splendida stazione di Milano. E il mio animo, in quel frangente in cui le ruote del treno stridono sui suoi binari e sospendono il loro cammino nella metropoli lombarda per eccellenza, si placa, vien colto da spasmi romantici e ripenso a quando, nel 2006, amoreggiavo con una ragazza che forse non amavo neppure. Un periodo seppellito nelle mie memorie. Con lei non andai d’accordo tantissimo ma mi piaceva baciarla.

Poi, finito che ho di rimembrare quell’amore bizzarro, ecco che chiudo gli occhi ma non dormo. E odo, a palpebre abbassate, il casino dei passeggeri. Il treno è pieno di gente e, sapete, io mi sento sempre a disagio in mezzo alla folla ciarliera e rumorosa. Fra bambini che piangono, cullati dalle loro madri appunto amorevoli, trogloditi che urlano al cellulare e nuove persone che salgono nel baccano generale.

E, come per magia, eccomi a Torino. Scendo piano, m’incammino verso l’atrio e incontro il mio amico che mi aspetta. Prendiamo il taxi, alloggio nel mio albergo, sento una donna strillare, inizialmente pensavo che ridesse sguaiatamente. Apro la porta della mia camera e colgo un’ombra fuggevole che, disperatamente odorante di lacrime, chissà perché scende le scale, l’uomo della reception cerca di chiederle che succede ma lei esce dall’hotel e, dalla terrazza, la scorgo furtivamente inoltrarsi nella sera già buia.

Chi è questa donna? Chi era? Mistero.

Stordito, indosso il mio giubbotto, chiudo delicatamente la porta, consegno le chiavi. E il mio amico è lì che mi aspetta. Mi porta in un locale molto accogliente, molto d’elite, raffinatissimo. Doveva essere solo un aperitivo ma alla fine ci vien servita una lauta cena. E il mio stomaco è ben sazio.

Girovaghiamo per questa periferia torinese, fra parchi illuminati fiocamente e gente che come noi passeggia o beve nei bar, dunque sostiamo a un pub.

Vien la notte, dormo. Mi sveglio prestissimo, è alba ma a Torino sembra ancora notte. Notte, notte, notte. Esco a prendermi un caffè. Pochissimi passanti e l’odore genuino di un inverno freddo ma al contempo mite.

Aspetto mezzogiorno, incontro nuovamente il mio amico. Pranziamo a un ottimo ristorante, ricordiamo assieme i film che Dario Argento ha girato a Torino. Profondo rossoNon ho sonnoLa terza madre.

Il mio amico li ricorda assai meglio di me. Inferno? No, è stato girato a Roma.

Suspiria all’estero. Altri giri, altre bellissime chiacchierate, un altro taxi. Il viaggio finisce.

Intanto mi arriva la recensione di un egregio direttore di una rivista letteraria importante.

Ve la faccio leggere in anteprima. Sono commosso, davvero, non so se merito queste parole.

Ho fatto tantissimi sbagli, tanto ho sbadigliato, tanto ho peccato, tanto sbaglierò ancora. Ma mi sento della vita ancora innamorato.

 

UN SAGGIO CRITICO SU STEFANO FALOTICO

 

L’inserto tutto-cultura PROMETEIA sarà un allegato costante del Faro Italiano, che nel 2019 sarà sottoposto a un’importante evoluzione. Nelle prossime edizioni di PROMETEIA appariranno i saggi critici sui libri di Stefano Falotico con riferimenti a tutte le pubblicazioni precedenti. In questo saggio, invece, mi soffermerò sull’Autore. La crisi che vive la lettura italiana (ma anche mondiale) è dovuta essenzialmente all’inconciliabilità fra lo scrittore e il lettore. Il lettore del XXI Secolo non è più quello del XX e, meno ancora, quello del XIX. La tradizione scolastica, che ha le sue radici in una specie di ripetitivo classicismo, si scontra, volenti o nolenti, con una trasformazione, che, posta in essere nel XX Secolo, ha trovato nel XXI il suo compimento. Ovviamente, molti scrittori, pervasi da un agone egotistico, non si rendono conto della nuova capacità di lettura e insistono in un canovaccio inestirpabile forse a causa di una cultura eccessivamente libresca. I grandi scrittori hanno trovato invece elementi “istruttivi” e “insegnanti” nella vita di tutti i giorni, nel quotidiano vivere, nell’analisi della società e delle sue evoluzioni culturali, economiche e di costume. Restare “classici” in questo contesto non avrebbe avuto come sfogo il lettore, ma una ristretta cerchia di amici “complimentosi” per “adeguarsi all’occasione”. Stefano Falotico si è posto il problema di come restare classici, senza “urtare” la suscettibilità del lettore. Ha dato vita così a una prosa complessa, attiva, interattiva, non dormiente, non assuefatta, non cantilenante, non ripetitiva, ma sempre fornitrice di soluzioni letterarie che, scatenando l’intimo sentimento, come forse era accaduto soltanto a Victor Hugo e Lev Tolstoj, ha “tradotto” in realtà pensante anche i lettori più indifferenti e sopiti. Lo ha fatto non solo attraverso la curiosità “linguistica” avveniristica, ma soprattutto a mezzo di una sequenza di contenuti che si susseguono in una “asfissiante devozione” al mondo. Se, in qualità di critico letterario (ma sono soprattutto autore di non indifferente livello), mi soffermo sul fenomeno Stefano Falotico, è perché il nostro soggetto letterario offre al divenire culturale soluzioni che dapprima non abbiamo rinvenuto neppure nei maggiori scrittori contemporanei. Stefano Falotico si è certamente posto il problema: Come “raggiungere” il cuore del lettore? Come “svegliare” la sua mente? Come evitare di essere scontatamente evolutivi? Come essere evolutivi e “classici”? I suoi libri narrano di “dame” e “cavalieri”, ma in questo costante divenire-trasformativo-interattivo non troveremo Torquato Tasso, Ludovico Ariosto e, ancor meno, Dante, Virgilio e Milton. Non troveremo il narratore romanzato. Non troveremo “scontati-inutili” castelli. Troveremo invece l’uomo pluridimensionale, l’amore per l’enigma-vita (Il Cavaliere di Londra – in una mia prossima recensione), lo snodarsi lungo le difficoltà della vita (Il Cavaliere di San Pietroburgo). Le avvisaglie della nuova filosofia linguistica si hanno già nel Cadavere di Dracula (che si pone come confine fra il vecchio dire e il nuovo dire). “La libertà e anche il libero arbitrio passano attraverso perigliosi cammini e ardui ostacoli. Anche la libidine e la lussuria per l’Autore passano attraverso la catarsi “profetica” di un’intima soffusa sofferenza (La mia lussuria si scaglierà terribile di veemenza arsa a vostra finta sapienza. – Il Cadavere di Dracula – Stefano Falotico), attraverso la paradossale lente di un epidiascopio, che, con le sue immagini alterate e “assurdamente iperboliche” ci offre una visione “esagerata e folle” della vita, perché, in fondo, la vita umana non è che “un mezzo” per perfezionarsi per pervenire a vite “diverse”, a mete da conquistare nell’evoluzione biologica, sociale e filosofica, che si dipana nell’incessante comporsi e scomporsi degli “elementi” – così nella mia recensione (già ampiamente pubblicata e inerente libro di riferimento). Stefano Falotico si è quindi posto il problema di come innovare, trasformare, essere “contenutistico”, concreto ed “emblematico”, non travolgendo totalmente i canoni classici della scrittura, ma adeguandoli e rielaborandoli con l’immissione di una straordinaria linfa vitale. Come riesce a ottenere questo? “Caratterizzando” i personaggi, facendoli “lievitare”, crescere, come un padre e una madre pazienti che intendono impartire la migliore educazione alla prole. La prole, nella fattispecie, si chiama libro, scrittura, passione per la crescita letteraria. Non allievo mai, Stefano Falotico è in realtà un appassionato “Maestro”. Ha l’ascia di chi colpisce e il cuore del bambino che rimane tale per tutta la vita. A lui piace “bere” nei suoi stessi libri, non per quel sentimento “draculiano” che, oberato dal peso del nome, si trasferisce nella realtà, ma perché fra incantesimi, “diavoli”, “estemporanee divinità” e uomini-dei, si dipana in lui la “tragedia” dell’umanità nel divenire e nell’essere sempre uguale o simile a se stessa. In questo modo Egli infligge una lezione morale e sottilmente satirica, se non palesemente ironica, agli “umani”. Costoro amano, odiano, non amano, non odiano, finiscono nella spirale dell’indifferenza, si “mediocrizzano”, risorgono dalle ceneri del proprio pensiero, si interrogano, si esaminano, sono contemporaneamente “allievi” e “maestri”: allievi teneri e “maestri d’ascia”. I personaggi di Stefano Falotico sono composti Cavalieri, ma anche uomini bizzarri, fedeli a se stessi e senza una reale fede universale (nel senso classico della parola). Sono esseri ribelli, che fuggono dalla realtà quotidiana, dalla “ripetitività”, dalla tristezza “comune”, dal lirismo della piaggeria e del finto altruismo, dalla pace senza costruzione, dal “senso del dovere”, ovvero da quell’inferno intimo che costringe l’uomo a fare sempre le stesse cose, non chiedendosi nemmeno perché e non domandandosi il perché del “mancato cambiamento”. Nei personaggi di Stefano Falotico la vita chiama a soccorso se stessa, esce dall’infantilismo letterario-creativo per “erompere” come petali in fiore. La sua prosa è fiore e taglione, magistrale rievocazione classica e distruzione del passato “inutile”, in una specie di “anti-religiosità”, che si perpetua in un moto uniformemente accelerato e in un bizzarro divenire. Se i suoi personaggi dovessero delinquere, lo farebbero conservando la loro compostezza, la coscienza di stare a fare sempre bene come nel “Kick-Boxing”. Essi sono incassatori e “canne al vento”. Sono deboli e forti. Sono cani che mordono e arpie feroci. Sono “angeli custodi” della tradizione e innovatori “implacabili”. Leggono in se stessi e fuggono da se stessi. Si ribellano a se stessi quando scoprono di essere “quotidiani”, “sensibili” alle solite cose e vicini allo scorrere delle ore, lo scorrere monotono come le parole che si susseguono con un nesso logico che non si identifica mai con l’evoluzione. Spesso gli scritti dell’Autore “cercano” la “soluzione” e non sembri strano che tale soluzione si identifichi con la tragedia. Sono Romeo da Villanova e dittatori solenni. Sono schiavi e “contumaci ribelli”. Sono condannati alla vita e condannati a morte. Tornano vincitori e si comportano da vittime “solenni”. Sono il futuro, il presente e il passato, con tutte le patologie che proprio il passato può trasmettere e che, pur tuttavia, trovano un organismo ribelle e una “pelle” così mutevole da essere “portatrice” di novità e trasformazioni perenni, tali da “vanificare” il passato medesimo. I personaggi di Stefano Falotico corrono, vanno, cercano, si dimensionano diversamente, in base ai casi e alle circostanze, ma mai in qualità di vittime reali, bensì di protagonisti, anche impavidi e caparbi. Essi sono la volontà che incide nella loro vita. Quando i casi della vita vogliono che essi tornino al loro quotidiano essere, scoprono in se stessi una sorta di ambiguità, di plurivalenza, di crudeltà, di crudezza e nel loro cuore rinvengono un “cruciforme” destino. Essi non si deprimono mai: lottano, escono allo scoperto, vincono e perdono, ma non sono mai realmente sconfitti. In loro si legge: desiderio, brama, moto variamente accelerato, ricerca della vastità del creato, in una specie di sublimazione che consente loro di uscire dal greto del fiume della vita per cercare un’onnipotenza personale, in un “irreligioso” silenzio. Essi troveranno siepi e alberi, aspre montagne e fiumi agitati, alte maree e ripidi camminamenti, tunnel e altipiani lussureggianti. Essi troveranno estati, primavere, autunni e inverni. Ma non si arrenderanno al destino o al fato. In loro la lotta è un “classico essere” e un “azzardato divenire”. Incontro, scontro, conversazione, avversità, devozione, “dialogismo”, biasimo, amore, “disamore”, dolore, costanza, “endemica malattia”, catastrofe, polimorfismo e fallimento si aggrovigliano in un “enclitico” divenire, che fa sì che un’azione priva di tono ne assuma uno, avvalendosi di un “precedente soggetto”. Tutto l’insieme diviene in Stefano Falotico “filosofia vitale” e “naturale disfacimento” in vista di successive “grandezze”. Grandezze che egli non identifica, ma che lascia intuire o supporre, perché è cosciente che sia un cattivo scrittore colui che fornisca soluzioni o che faccia di ogni argomento una “tematica” per riduttive conversazioni.

 

Eliano Bellanova Direttore della Rivista Il Faro Italiano. Presidente dell’Araba Fenice Edizioni Magna Grecia

 

 

Dopo tutto ciò, potrei anche suicidarmi. Come Mishima.

Ho perso tanti amici, alcuni sono morti addirittura e non ho avuto il tempo di chiedere loro scusa.

La mia Deborah, il grande amore della mia vita, si chiama, lo sapete, Tiziana. E si è sposata. Ha anche dei figli.

Sono stato dappertutto nella mia vita. Con la fantasia e anche realmente.

Ma il viaggio non finisce qui.

No, non è ancora giunta la mia ora.

Ancora soffrirò, riderò, piangerò, mi emozionerò.

E dunque buon anno a tutti. A chi è ancora di questo mondo e a chi, dall’alto, non c’è più ma forse è orgoglioso di me.

 

 

di Stefano Falotico

I Beatles mi hanno sempre debilitato, meglio i Rolling Stones, per una riabilitazione da stronzo alla James Woods


30 Jul

James Woods Vampires

 

Sì, mi son guardato allo specchio stamattina. Ho la stessa “cartola” di James Woods in Vampires.

Ora, il termine cartola non si riferisce a costui. Bensì, è un’espressione tipicamente bolognese, coniata da qualche zuzzurellone in vena di spiritosaggine che, dopo essersi specchiato, ha inventato tale cartola. Appunto.

A Bologna, uno vede uno che è un mezzo barbone, un drop out, un contestatore da figlio dei fiori. E dice: – Uè, visto che cartola ha quello?

Cartola, per i bolognesi, significa carisma. Un uomo che, nonostante viva costantemente nella merda, emana un savoirfaire da uomo che sa come va il mondo.

Sì, un termine del quale non ho mai capito il vero significato. L’anno scorso, Roberto Donadoni era l’allenatore del Bologna Calcio e tutti i tifosi, nonostante abbiamo rischiato la serie B, appena lo vedevano, urlavano: – Vai, Roberto, hai una gran cartola!

Sì, perché Donadoni, pur essendo un allenatore mediocrissimo, troppo impettito e ruffiano, leccaculo e finto gentleman, è stato talmente forte come calciatore negli anni ottanta/novanta che, oramai di diritto, è stato elevato presso la plebe a indiscutibile cartola.

Lo stesso dicasi per gli attori. L’altro giorno, ho postato su Facebook la foto di Mickey Rourke sfatto, gonfio, iper-tatuato, probabilmente con un carcinoma alla gola, e un mio amico ha esclamato… vai, Mickey, tu sì che hai la cartola.

Sì, Mickey Rourke può andare da tutti gli psichiatri del mondo, fare il puttanazzone in filmacci più brutti di tua madre, ma avrà sempre la cartola perché ai tempi d’oro era proprio uno “a cazzo duro”.

Ecco, sì, tornando a Woods, ora che sono nuovamente dimagrito, gli assomiglio. Stessa faccia macilenta, con ancora i segni dell’acne che fu, brufoli dissipati nella maturità di una pelle meno elastica ma grumosa, spugnosa, bastarda, da uno che conosce l’odore del suo sperma e non si fa fottere più tanto facilmente, nemmeno da un mostro come Valek.

Ora, James Woods in Vampires ha la pancetta o no? Secondo me un po’ sì. Come me. Una pancetta non pronunciatissima sorretta da due gambe sbilenche, storte, oserei dire “traviate”. Sì, in tanti onanismi e letti peccaminosi da cacciatore, più che di taglie, di altrui “quaglie”. Sì, lurido figlio di puttana, ti tira il pistolino? Se non ti tira, te lo tiro io.

Ecco, sì, non ho mai amato i Beatles. Questi quattro ebeti, capitanati da John Lennon, un mezzo matto, diciamocela. Poi c’era anche Ringo Starr, l’esemplificazione vivente della scimmia poco sapiente.

All’epoca, le ragazzine ne andavano matte. Si strappavano i capelli e ci davano dentro di brutto con questi semi-froci all’amarena.

Mamma mia, a me han sempre trasmesso una moscezza immensa. Sì, moscissimi. L’unica loro canzone decente è Yesterday, infatti in C’era una volta in America… James Woods era al suo Max storico, e io non ho mai voluto impararne le parole, come il grande Massimo Troisi di Non ci resta che piangere.

Sì, Massimo era onestissimo. E dovreste esserlo anche voi. Cerco in Italia uno che conosca le parole di Yesterday a memoria. Non trovo nessuno che le sappia. Tutti cantano… du du daradaradà, Yesterday!

Non sapete proprio una beneamata minchia!

Questo per dire, mentecatti, che io sono come Jack Crow. Uno che non sopporta puttanate melense come i film di Truffaut, roba come Jules e Jim e altre troiate false come Michelle, ma belle…

Questa gente paracula, che li ascolta, ha rotto i coglioni.

Metti Mick Jagger in radio. Vai, sii ficcante, davvero disarmonico eppur latin lover che avercene.

Via, spacca tutto.

Ecco, il cuore. Qui ci sta il paletto.

 

– Ehi, che fai? Carichi questa zoccola?

– Sì, è una zoccola che può tornarci utile.

– Utile a che?

– A essere mandata a quel paese.

 

Che cartola!

 

di Stefano Falotico

Genius-Pop

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