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Di Joker al mondo ne esiste solo uno, lui è il più grande anche quando recita la parte del demente


24 May

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Eh già, hanno veramente rotto quelle persone che si credono intelligenti e si ritirano da ogni confronto, che offendono senza chiedere scusa e vogliono sempre avere ragione.

Sia sul Cinema che sulle persone, sulla vita e sull’arte.

Strucchiamoli un po’.

La Palma d’oro di Cannes quest’anno va alla superbia dell’italico uomo moderato, elitario ma radicalchic. Soprattutto nei confronti della sua immagine allo specchio

Sì, in radio impazza ancora una volta quella cornacchia di Francesco Gabbani. Uno che vorrebbe fare il Daniele Silvestri di turno. Nella sua nuova canzone, opera magna dei poveri ma soprattutto dei magnaccia, canta codesta strofa come una scrofa:

La marjuana puritana non funziona

Promette poi non fa

Io per partito preso non son più partito

Ci credi che non credo se non ficco il dito?

Indubbiamente, quest’uomo di Carrara, che ha vinto Sanremo con Occidentali’s Karma, ama le assonanze soprattutto del suo ciuffo di banana, ben allineato alle doppie punte della sua voce gracchiante e stonata.

La marjuana puritana cosa sarebbe? Quella che si fumano tipi alla Sean Penn di Carlito’s Way? Cioè personaggi loschissimi ma con una maschera impeccabile da avvocato del diavolo?

Io per partito preso non son più partito invece è un’anafora sui generis di questo degenerato, debosciato, decerebrato, dunque cerebroleso, sinonimi e variazioni sul tema esegetico di costui che potrebbe sembrare un participio passato della sua musica inclassificabile, dunque non collocabile in nessuno spazio tempo delle sue tempie, o è piuttosto è un prefissoide di un cantante che vorrebbe essere ellenico ed eclettico e invece ama essere solo ellittico?

Non vi fissate con questo Francesco. Questo qui è un esaltato, meglio Lucio Battisti…

Francesca non ha mai chiesto di più

Chi sta sbagliando son certo sei tu

Francesca non ha mai chiesto di più

Perché lei vive per me

Gabbani invece campa per gabbare gli uomini che si comprano i suoi dischi e per far sì che il suo gabbiano venga… fra le gambe ingabbiato da donne gabbianelle che se lo girano.

Come diceva Totò dinanzi a personaggi del genere… in galera ti mando.

Sì, al Gabbani preferisco i gabbiani. Al rumore del mare, un peto nell’acqua di un oceano di notte quando la gente s’addorme e il tempo delle mie memorie fa a botte con Jung e Freud. Sognando fra le stelle non una stellina di Hollywood, bensì una giornata seguente con qualche normale donnina.

Scindo io me stesso e il mio medesimo sesso alle origini della mia scimmia ridens, sapendo che la società occidentale è cosmogonica, innanzitutto tragicomica come la pellicola Tree of Life o come Hidden Life di destino filmografico d’un Terrence illuminato, soltanto forse bucolico o involontariamente ridicolo?

Ah, capisco, eremitico. Probabilmente anche rincoglionito.

I critici cosiddetti moderni fanno bene o male a stroncare il metafisico Malick e invece ad apprezzare le super fighe dei film con De Sica? Una questione anale, no, annale su cui pendo dalle vostre labbra. Ditemi voi. Imboccatemi.

C’era una volta a Hollywood è il nono film di Tarantino. Per alcuni è bruttissimo, per altri è un capolavoro.

Molta gente in Italia vuole sempre avere ragione, spacciandosi per intellettuale. Invero, questa si chiama superbia e arroganza. E, più che pensatori liberi, mi sembrano spocchiosi come Vittorio Sgarbi.

Uno che ebbe il culo di avere il culo di diventare famoso come il paroliere Gabbani oppure semplicemente quello di Casalegno Elenoire?

Sì, me lo vedo Sgarbi che ora, rimpiangendo quella Venere di Botticelli, dopo tanti suoi video da bottana sul suo canale YouTube, medita psicologicamente come il corvo gabbiano, no, Gabbani, oppure come quello di Edgar Allan Poe? Sì, adesso Sgarbi è come De Niro di Nonno scatenato che, per corteggiare le donne giovani come Aubrey Plaza, cita Lenore nei suoi discorsi in piazza e si trucca il viso alla Brandon Lee di The Crow o alla Mickey Rourke dei salotti televisivi per far colpo su una starlette come Angie Everhart di Another 9 ½ Weeks.

Secondo me, Sgarbi vuole mettere il becco su tutti ma non ne imbrocca più una. Sono imbeccate barocche che al massimo andranno bene a qualche brocca. Sì, di vino…

Sì, Sgarbi è un uomo sgarbato soprattutto verso sé stesso. Perché si reputa il migliore critico d’Arte della storia, invero non sa neanche farsi l’autoritratto. Sì, in Italia sono tutti critici dopo che hanno visto tre film. Anche dopo che ne hanno visti tre milioni ma non ne hanno capito uno perché, avendo miliardi, sono a Cannes e, fra parties e puttan(at)e varie, danno da ubriachi i voti da 1 a 10, dimenticando che la vita non è un Decalogo di Krzysztof Kieślowski, ma scordando soprattutto le valigie di cocaina nella stanza d’albergo ove l’acclamato Pierfrancesco Favino sta scopando le loro donne da vero Traditore.

Io vi avevo avvertito.

Amo l’ipocondria, dormirmela.

Ma se fate gli stronzi, divento il miglior Joker di tutti i tempi.

Sì, ho rivisto Will Hunting.

Ve l’ho raccontata questa?

Io assomiglio molto a questo Matt Damon, demone indubbiamente un po’ matto.

Lei stava con me perché era affascinata dalla mia mente:

– Sai, mi attiri perché vorrei scoprire come funziona la tua mente.

– Tu invece, donna, mi tiri perché vorrei sapere come ti funziona qualcos’altro.

 

Sì, gli opposti si attraggono.

Per questa mia misantropia, misoginia conclamata, sono un caprone, farò la fine di Al Capone o di Truman Capote? E mi cappotterò? Non lo so.

E ricordate: la vita è come il film di The Doubt. Quando pensi che sia stato il prete a farla sporca, forse è stata semplicemente la finta suora…

Quando pensi di avere incontrato un coglione, cioè il sottoscritto, hai appena invece incontrato chi ti fa ora davvero paura. Voi continuate a impalmarvi. A imbalsamarvi. Sì, giudicate con troppa severità i film e le persone e avete perduto il dono burlesco dell’autoironia. Datevi al burlesque.

Il mondo, vedete, si divide in due categorie. Chi a forza di abbozzare va giù e chi, a forza di provocare, trova un pagliaccio migliore di lui.

– Bravo, mi stupisci sempre, complimenti. Sei imprevedibile.

– No, non sono imprevedibile. Io ho sempre ragione. È diverso.

– Sì, infatti. Più che chiamarsi mentalità elastica, si chiama superbia.

– Ma che cazzo dici, povero idiota? La superbia è credere di avere ragione. Avere ragione significa essere superiore a tutti.

– Hai ragione. Sono stato impreciso. Non soffri di superbia, bensì di delirio d’onnipotenza. Oh, non prendertela, si scherza, eh.

– Io no.

– Allora confermo la prima. Sei superbo.

– Ora ti distruggo! Ti spedisco in manicomio!

– Siamo sicuri? Anche su questo avrai ragione?

Guarda, abbozziamola qui. Non voglio farti male. Poi, sai, se per crisi psicotiche finisci sedato come un cavallo e a Ottobre non potrai vedere con occhi lucidi il Joker, sarà perché avrai perso lucidità.

Andiamo avanti?phoenix joker

di Stefano Falotico

C’era una volta a Hollywood entusiasma gli statunitensi ma noi no, Tarantino deve ritirarsi a vita privata con la sua Daniella


23 May

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Sì, C’era una volta a Hollywood ha lasciato assai perplessa la nostra Critica mentre negli Stati Uniti, ma anche altrove, quasi tutti sono andati in brodo di giuggiole, lanciandosi in lodi sperticate.

Dove sta la verità e dove pende l’ago della bilancia?

Pare che un maestro dell’intellighenzia nostrana, Anton Giulio Onofri, detto appunto AGO dalle sue iniziali, nella sua recensione su Close-Up, non abbia il benché minimo dubbio che l’opus numero nove del Tarantino sia un capolavoro.

Sul serio, non si può dirvi di più. Se non un’ultima cosa, questa sì: che Once Upon A Time In Hollywood, come pochissimi altri film di ogni epoca (e i primi a venire in mente sono Brigadoon di Vincente Minnelli e La Finestra Sul Cortile di Hitchcock), ‘dice’ una delle cose più belle che siano mai state dette del cinema dal cinema. Basta. StopCut.

D’altronde Onofri crede fermamente che Tarantino non abbia mai sbagliato una sola pellicola. Anzi, lo magnifica, dicendo addirittura che tutte le sue opere sono indiscutibili capidopera di un Cinema sempre profetico e più avanti rispetto a quello di tutti gli altri.

Ci siamo attaccati leggermente su Facebook. Io gli ho detto che il Cinema di Tarantino m’interessa, ora come ora, assai pochino e lui mi ha definito gratuitamente uno scemino.

Riconfermando la dolce offesa con protervia da Gene Hackman de La giuria.

No, non me la sono presa. Ma non mi ha persuaso, no, per niente.

E poi avrò da dirvi in merito alle manipolazioni che, sin dalle mie prime fasi adolescenziali, ho subito da gente che si credeva più cresciuta di me.

Mereghetti giustamente ha scritto questo: «Ne vale la pena? Senza esitazioni rispondo “no”, con buona pace dei tarantiniani pronti ad applaudire comunque, ovunque e semprunque il loro idolo». Secondo Mereghetti, «Tarantino si è concesso il lusso (onanistico?) di rifare intere sequenze dei suoi amati film di serie B» e ha scritto che gran parte di quel che c’è nel film serve solo a costruire «l’auto-monumento di un regista convinto di potersi permettere qualsiasi cosa a cominciare da una cosa che arriva solo nell’ultima mezz’ora, e che cerca una complicità a senso unico: quella dell’adoratore muto e devoto».

La parola SEMPRUNQUE non è male. Mereghetti ha assegnato una misera stelletta e mezzo al film di Tarantino e io invece do un voto di simpatia, stavolta a Paolo. Il quale per una buona volta si è lasciato andare a un’espressione da mangia-spaghetti, non so se western. Visto che non gli piace Sergio Leone.

Pure Natalia Aspesi ha definito il film di Tarantino una boiata. Odiandolo per il suo efferato maschilismo.

Molti anni fa io invece dissi: Natalia Aspesi è donna che va ogni mattina a far la spesa. Poi tira su di pesi e pensa: quanto m’è pesata questa fatica ma i soldi ben spesi rendono la donna meno sospesa.

No, non soppesai molto la presa per il culo.

Di mio, che posso dirvi?

Tarantino si fa oramai le seghe e s’imbroda. Tanto s’è sposato con questa Daniella. Un mezzo cesso. Meglio tirarsela…

Intanto, qualcuno su YouTube cerca ancora di farmi capire come si sta al mondo, cacciandomi pistolotti moralistici degni della peggiore Inquisizione. Gli do ragione, dicendomi che incontrerò una brava ragazza con cui stare abbracciato e poi, cinque minuti dopo, mi guardo un porno.

Sì, non mi lascio più condizionare dai capoccia. E ora prendo la macchina e gigioneggio nel traffico.

Se volete fare le donnette, vi guardo così:

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Mi farete il culo ma me ne fotto.

Sì, una volta una era innamorata di me:

– Stronzo di merda, secondo me tu mi hai tradito con quella lì, vero?

– No, non è vero.

– Ah, scusami. Avevo pensato male.

– Infatti, non ti ho tradito con quella. Ti ho tradito con tutte quelle dentro questo locale.

 

 

 

di Stefano Falotico

Un anno di Cinema è oramai andato, è iniziato Cannes, non m’interessa tanto, non sono più il tipo da Croisette, aspettiamo la prossima stagione


15 May

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Ora, domani esce John Wick 3. E chi se lo perde? Sono diventato un fanatico di questa serie.

Dalle critiche che ho letto, questo terzo capitolo pare pure superiore e più violento dei primi due messi assieme. Nonostante il consenso altamente positivo della Critica, però ho letto anche qualche recensione negativa. Alcuni hanno affermato che, sì, Chad Stahelski pare aver indovinato la formula vincente ma lo stile non si è rinnovato molto. E sa di ripetitivo. Due ore e mezza di botte da orbi, arti marziali, pistolettate e il solito Keanu Reeves scatenato rischiano, alla fin fine, di annoiare. E per il quarto si presuppone che ci possano essere delle varianti appetibili. Altrimenti, sarebbe meglio chiuderla qui.

Detto ciò, il film di Jarmusch, uno dei miei registi preferiti, The Dead Don’t Die, pare che sia andato molto male. Dopo un filotto di film delicatissimi e bellissimi, Jim ha toppato.

E questo film di zombi alla Romero, che voleva essere nelle intenzioni, travestite da horror demenziale, una critica sociale all’America di Trump, sembra che rimanga assai in superficie e che Jim, stavolta, abbia peccato di troppa compiaciuta autoreferenzialità.

Io non l’ho visto, non posso esprimermi dunque giudiziosamente. Mi attengo, per ora, a quello che mi dite voi che l’avete visionato a Cannes.

Detto ciò, è periodo di fiacca. Il Cinema andrà presto in vacanza.

Quindi, tralasciando qualche ultimo colpo dell’ultima ora, quali sono stati a conti fatti i film migliori di quest’annata 2018/19?

Al primo posto della mia personalissima classifica, ovviamente The Mule di Clint Eastwood.

Un film che, come ho scritto nella mia recensione, parte maluccio, sembra un b movie becero e persino volgare. Poi, nell’ultima mezz’ora, Eastwood compie un prodigio da maestro numero uno.

Ribalta totalmente ogni prospettiva.data per assodata. E The Mule diventa un film emozionantissimo, commovente come pochi.

Ce la vogliamo dire? Un capolavoro. Forse non all’altezza delle massime opere di Clint, quali sono Gli spietati Gran Torino, ma ricordate: un film apparentemente minore di Eastwood, come possono essere stati Debito di sangue e Fino a prova contraria, vale mille film dei cazzoni che vanno ora di moda oggigiorno. Film girati col culo e interpretati da attori di merda.

Al secondo posto, Green Book. Oscar sostanzialmente meritato. Molto retorico ma di una retorica che sa il fatto suo. La storia di due sfigati, di due esclusi. Di un buttafuori cafonissimo, un italoamericano non educato alle buone maniere, e di un nero, un genio della musica però emarginato non solo dai bianchi, bensì persino dagli stessi neri che dovrebbero accettarlo e invece lo sfruttano solamente per il suo talento, fregandosene della sua anima.

Alla fine, il personaggio di Mahershala torna a casa e saluta con altezzosità il suo amico. Si accorge che è ricco, servito e riverito dal maggiordomo ma è anche solo come un cane.

E forse è meglio quel suo amico ignorantone rispetto a tanti illustri, altolocati stronzi che, sì, lo riempiono di soldi ma non gli danno niente a livello umano.

Anche qui siamo dalle parti del capolavoro, a mio avviso.

Dunque, Benvenuti a Marwen, il film più sottovalutato probabilmente di tutti i tempi. Film magnifico con un grande Steve Carell. Un film tristissimo ma, come i due precedenti succitati, umanissimo.

E quale sarà il film migliore del prossimo anno?

Voi avete dei dubbi? Martin Scorsese torna a lavorare con Bob De Niro e, per la prima volta in vita sua, vi è Al Pacino in una sua pellicola.
Ho tanta paura che non sarà il capolavoro assoluto che noi tutti ci aspettiamo.

Ma invece lo sarà.

Ah ah.

 

di Stefano Falotico

David “Twin Peaks” Lynch a Cannes, ed è di nuovo capolavoro


26 May

David+Lynch+70th+Anniversary+Red+Carpet+Arrivals+AqwCLzwHeSXl

Molti non l’hanno già capito, lo snobbano e lo liquidano con frasi superficiali. Impera in loro non l’Inland Empire bensì la “critica” che non sa guardare oltre il proprio naso. Lynch ne possiede uno di cartilagine sinuosa nei fotogrammi liquidi della sua maestosità e se ne frega bellamente, fregiandosi a settant’anni suonati del suo ciuffo alla Elvis Presley, come docet il suo Sailor di Cuore selvaggio. Stamane, al primo fiorir allegro e melanconico al contempo di una nuova giornata tediosa, mi balzò “in capo” di scrivere un libro lynchiano, ma poi mi ricordai che già ne scrissi e altri ne verranno, ma voi invece non addivenite al suo perfetto scrigno delle meraviglie. Al che i suoi (sob)balzi temporali vi paiono solo tristi giochi mentali e qualcuno addirittura, in preda alla follia di massa(ia), sostiene che Lynch sia un malato nel cervello. Lo denigra, in maniera pusillanime gli affibbia etichette distorcenti il suo genio, sibillino, metafisico, ALTRO, come si confà anche al Falotico che sono io, non so se Dio, sicuramente un fantasma di Bob delle elucubrazioni, dei viaggi mesmerici della coscienza, un uomo dalla faccia rugosa, precocemente invecchiato, che passeggia nei suoi neuroni e fa della “suspense” cervellotica un qualcosa in più in tale squal(lid)o mondo. Io sono come Lynch e me ne crogiolo, ordinando un altro caffè al bar mentre la schiuma dei miei pensieri volteggia come latte morbido, “indigesto” per chi non può comprenderlo. Me e Lynch vorrebbero relegarci alla banalità degli schemi preconfezionati, ma noi siamo vendibili solo al banco dell’oreficeria più raffinata. Con questo mi congedo e a Lynch tutto concedo. Anche di essere indubbiamente joker e “matto”, perché va bene così. E voi che lo criticate finitela di stronzeggiare. Al pub “Bang Bang” troverete forse una squinzia che ve la darà “liscia”, ma sarà una vostra vita di merda. Diciamocela “tutta”.

 

di Stefano Falotico

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Cannes 2016: che i “critici” critichino le opere migliori a (s)favore della qualità (s)oggettiva?


22 May

 

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Solita storia, solita solfa. Il film di Sean venne totalmente, inopinatamente eppur di molte sfavorevoli opinioni, stroncato, bistrattato, deriso, “ucciso”, “oscurato”, cancellato immediatamente dal concetto di beltà. E a spadroneggiare son “solo” Jarmusch con la sua “leccata” sofisticatezza “minimale”, ché fa tanto figo e “delicato”, e la sorpresa Verhoeven con un film spiazzante eppur forse, a tavolino, di pr(ogr)ammatica…, “studiato”  a tavola…, stavolta per far felici coloro che avevano (in)giustamente macellato il suo Basic Instinct.

Chi vince(rà)? La giuria, spesso, non si fa “compare” né corrompere dai giudizi della “critica” e alle volte ci stupisce, regalando i premi maggiori a film appunto dalla “critica” massacrati. In verità, ciò accade di rado. Rarissimamente, infatti, film distrutti dalla stampa vengono poi omaggiati della Palma e delle “specialità”, peraltro “contentini” per non far incazzare chi (non) meritava.

La cosiddetta critica. Ah, il discorso va fatto a monte. Bisogna soffermarsi, dunque tornare indietro, appunto alla parola “bellezza”. Cosa loro… ritengono e reputano degno di bellezza, tanto da volerlo insignire di “onorificenze?”.

Mi par strano che il film di Penn sia così brutto come, di luoghi comuni e “coste azzurre”, si dice in quel di Cannes. Qualcuno, addirittura, proprio d’oltralpe, l’ha definito un masterpiece. Questione di gusti, di piace ciò che va a genio. E in questo caso Penn non è andato nel “piacere” di quelli a cui, molti, non è piaciuto. Film senza garbo, han proferito, film “hollywoodiano”, come se poi fosse un difetto infarcir la pellicola di qualche spruzzata retorica. È un mondo in(f)etto e Penn forse lo guarda con lucido (s)gua(r)do. In fondo, è meglio il vicino di casa “ubriacone” e puzzolentissimo, oppure un compagno di lavoro incipriato e in ghingheri che, sotto la facciata perbenista, nasconde scheletri nell’armadio più orripilanti di Penn con la sua “aprezza” e i suoi “insopportabili” zoom e ralenti?

Rallentiamo i giudizi, pen(s)iamo. E, nel frattempo, ricordiamoci che (non) tutti i premi sono delle stronzate.

A buon rendere…

E uno stupro di Verhoeven con la Huppert, attrice “alta”, è logico che “vinca”.

 

Insomma, personalmente, dopo mille “vittorie” e delusioni “patite” nella mia (r)esistenza, posso orgogliosamente dichiarare che un culo eccita sempre anche chi è, in cor(po) suo, un “eunuco”, e che i soldi van dietro ai “Soli”.
Il resto son le cazzate.

 

 

di Stefano Falotico

Festival(ieri) di Cannes, solo De Niro salva questi scem(p)i di parassiti “cinematografari”


16 May

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Ecco De Niro, pacato, ingrassato, invecchiato, rincoglionito, che con la “mano morta” saluta il photocall di Hands of Stone, mentre giovani dive pazze impazzano e la solita marmaglia di paparazzi s’accalca sulla starlette di “tour”. Ogni anno dobbiamo, anzi, dovete sorbirvi questa kermesse di “messi” in scena, sì, attori ridicoli, come Joel Edgerton, un incapace senza carisma, sfilanti in passer(ell)e, con la poesia di Jim Jarmusch ad allentare i marmittoni e farli scendere sul pianeta Terra, ove la gente fatica e non c’è molto “figume”. Che sfigati quelli di Jim, ferrotranvieri o autisti di autobus, “defenestrati” da voi, che “pippate” Canne(s) in tutto questo sfog(gi)o di vanità. Ah, meglio il mio falò, da Falotico appunto che se ne (s)freg(i)a e, mentre un altro coglione va a dar soldi ai produttori di The Boy, seguendo la scemenza modaiola di oggi, io me ne sto al bar, a bere un altro caffè “mac(i)ul(l)ato”, serenamente “infegatato”.

Altro che questi sfegatati.

Una donna parte per la Costa Azzurra e scatta un selfie in train, appunto, scrivendo: “Cannes, sto arrivando”.

E intanto un altro bambino in Africa muore per colpa sua, perché anziché riempir le tasche del divismo, poteva versare l’otto per mille.

Di mio, me ne sbatto il cazzo di tutto. Andate a farvelo dar in quel posto. Posto di drogati.

 

– Guarda, Falotico, che anche De Niro, quando era un Dio, si drogava e andava a puttane.

– Sì, ma ha anche girato Taxi Driver.

The Irishman di Scorsese con De Niro, Pacino, Pesci, Keitel si girerà a Gennaio del prossimo anno


15 May

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Era ora. Ieri notte, dopo trattative interminabili durate estenuanti giorni infiniti e una lotta fra major senza precedenti, la STX Entertainment si è aggiudicata i diritti internazionali di The Irishman, progetto di lunghissima gestazione che finalmente si sta concretizzando. Dopo gli ultimi accordi, infatti, adesso la sceneggiatura di Steven Zaillian, tratta dal libro di Charles Brandt, “I Heard You Paint Houses”, sarà “messa in scena” dal Maestro per antonomasia, Scorsese, a partire (solo?) da Gennaio del prossimo anno. Pellicola costosissima il cui budget supererà i 100 esosissimi milioni di dollari, perché verrà utilizzata la tecnica digitale alla Benjamin Button per ringiovanire i volti degli attori nelle numerose scene “temporali” di flashback. Il film, come sappiamo, segnerà il ritorno di De Niro diretto dal grande Martin, affiancato per l’occasione dal redivivo, anche lui, Joe Pesci, e dall’ex aficionado Harvey Keitel, che non girava un film con Scorsese, appunto, addirittura dall’epoca de L’ultima tentazione di Cristo. Inoltre, last but not least, sarà il primo film “con” Al Pacino sotto l’egida di zio Marty. Insomma, stavolta ci siamo. È dal lontano 2008, infatti, che circolano notizie riguardanti questo epico film ma, sino a ieri notte, nulla di veramente ufficiale e certo era stato “garantito”.  Data delle riprese, ripetiamolo a scanso di equivoci, fissata per Gennaio del prossimo anno. Sì, dovremo aspettare ancora abbastanza, considerando, riponiamolo in evidenza, il costo della realizzazione. Ma la notizia è assai confortante ed esaltante!

Le scenografie saranno, come sovente accade quando si parla di Scorsese, affidate al nostro strepitoso Dante Ferretti.

 

di Stefano Falotico

Un De Niro in riv(ier)a di maglia blu simil canottiera


21 Jul

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Nicolas Cage ancora con Paul Schrader per un Cane che mangia il Cane, Dog Eat Dog


17 May

Da Variety

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Nicolas Cage is to star in “Dog Eat Dog,” a crime thriller being directed by Paul Schrader.

The film is being launched at Cannes and sold by Arclight Films. Writers are Matt Wilder and Schrader, as an adaptation of the award-winning book of the same name by celebrated author Eddie Bunker.

“We’re absolutely thrilled to be working with industry legends like Paul Schrader and Nicolas Cage as well as accomplished producers Mark Earl Burman and David Hilary of Pure Dopamine,” said Gary Hamilton, Managing Director of Arclight Films.

“Dog Eat Dog” is a contemporary crime thriller about a trio of ex-cons, deep in the underbelly of Los Angeles, who are hired for a kidnapping. When the botched abduction goes awry and gets completely out of control, the cons find themselves on the run, vowing to stay out of prison at all costs.

Producers are Mark Earl Burman and David Hillary of Pure Dopamine. Executive Producers are Gary Hamilton, Don Rivers, Tim Peternel, Shaun Redick and Ray Mansfield.

Movie Packaging Co is handling additional sales.

Cage is repped by CAA and Link Entertainment. Schrader is repped by Parseghian Planco, and Jeff Berg at Resolution. Edward Bunker and his estate are represented by Jeanne Field at Windfall Management.

Bus 657 with De Niro, new pics


06 May

BUS1 BUS2 BUS3 BUS4Described as a mix of “Dog Day Afternoon” and “Speed,” with the added twists and turns of such heist movies as “Ocean’s Eleven” and “Inside Man,” the movie stars Jeffrey Dean Morgan as Luke Vaughn, a broke father desperate to save his daughter’s life as her medical bills pile up. Vaughn soon turns to his boss, casino owner and retiring mob-boss Francis “Pope” Silva (De Niro), for help. Pope rejects his pleas, forcing Vaughn resort to other means. Facing an impossible deadline for his daughter’s life-saving surgery, Vaughn joins forces with a psychotic co-worker (Bautista) to rob Pope’s casino. When the daring heist goes awry, Vaughn and his partners take refuge on bus 657, taking several commuters hostage. The cops and Pope close in as Vaughn’s deadline approaches.

Genius-Pop

Just another WordPress site (il mio sito cinematograficamente geniale)