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JOKER: a parte Joaquin Phoenix, Richard Gere meriterebbe l’Oscar


22 Dec

mindhunter

La mia vita è stata una tragedia? Una commedia? Una pantomima? Una recita scespiriana? Una pochade? Una porcata? Un kammerspiel, una stronzata o una comica puttanata? Chissà.

Sì, posseggo un’innata vis comica.

Riesco sempre a trasformare gli attimi tragici della mia vita in qualcosa di ridicolo grazie al mio pigliare l’esistenza con filosofia. Con classe, soprattutto.

Figuratevi se la vita l’avessi pigliata davvero. Sì, credo aver vissuto Al di là della vita. Sono l’incarnazione di Nicolas Cage di Bringing Out the Dead.

Mi do ancora sensi di colpa per eventi occorsimi anni addietro dei quali invece non dovrei più preoccuparmi o discolparmi.

Nel film di Scorsese, Nic si affligge per non essere riuscito a salvare una tossica.

Nel mio film, invece, quello proiettato nella mia anima ogni santo giorno maledetto, vari demoni dostoevskijani mi rendono agitato e nevrotico come De Niro di Taxi Driver.

Devo esservi sincero. Salvai la vita a molti ragazzi in tempi non sospetti. Prima che costoro, a cui regalai una speranza esistenziale, mi coglionassero per volermi vedere rovinato.

Sì, alle scuole medie, consigliai alla ragazza di cui fui innamorato, eh già, d’iscriversi a un istituto per geometri. Le dissi che, una volta che si sarebbe diplomata, avrebbe dovuto poi laurearsi in Ingegneria Edile.

Ciò infatti avvenne ma lei a letto con me mai venne. Da qualche anno, peraltro, lei ha messo su famiglia col mio ex amico di banco delle scuole elementari. Lei progetta palazzi e per le sue progettazioni viene pagata così tanto da poter permettere a tutta la sua famiglia di comprare nuove ville. Spesso suo marito, cioè il mio ex compagno, non lavora e lei lo mantiene. Il mio ex amico regalerà alle figlie, per Natale, la casa di Big Jim. Ho detto tutto.

Comunque, per consolarmi, l’altra sera rividi La zona morta. Ove, come sapete, Chris Walken si risveglia dal coma e, dopo aver subito un tragico incidente, scoprì che la sua donna scopò e sposò un altro. È penoso, sì, questo Chris ridotto come un povero cristo “illuminato” che concede pene, solo per una notte, alla donna che, involontariamente, gli causò la disgrazia. Sì, se quella notte lui non l’avesse mai accompagnata a casa, lui non avrebbe mai fatto il frontale contro il camion che si sfracellò contro la sua macchina. Cioè, La zona morta è la storia di un professore che diede lezioni di cultura e di vita a degli studenti, forse pure ripetenti, ma rimase poi indietro rispetto anche all’ultimo analfabeta che lo trattò da ritardato. Ah, bella roba.

Secondo me, fra l’altro, il marito dell’ex donna di Walken fu uno dei suoi ex studenti. Ho detto tutto.

Nel film ciò non viene esplicitato ma la faccia di Walken, dopo aver visto il figlio piccolo della sua ex donna, la dice tutta. Sì, pare che con lo sguardo dica:

– Assomiglia a suo padre. Era uno che bocciai tre volte.

 

Sì, dovete sapere che molta gente malata di mente, cioè schizofrenica, quando comprende di non aver mai vissuto pienamente la propria vita reale, penosamente crede di essere Walken de La zona morta. Ne vidi e vedo ancora tanti così.

Sino a qualche anno fa, per esempio, frequentai un tizio. Essendo costui rimasto vergine sino a quarant’anni suonati, una sera mi confidò che voleva metterlo in culo a tutti. E che era (a)sceso sulla Terra per fare l’angelo sterminatore. Sodomizzando l’intera umanità che l’aveva messo in croce.

Gli risposi:

– Anche il prete della tua parrocchia vorresti fottere?

– Sì, lui è il primo della lista. È il Maligno!

– Davvero? Mi pare l’unico che ancora ti dica… che dio ti benedica.

 

Eravamo a casa sua, seduti sul divano a guardare la televisione. Per questa mia impavida freddura, mi saltò al collo. Stette per strozzarmi. Mi sentii spaccato, spacciato, praticamente soffocato. All’improvviso, dalla tv accesa, annunciarono l’elezione al papato di Jorge Bergoglio. Lui, commosso, mi lasciò stare. Inginocchiandosi in estasi come se avesse visto la Madonna.

E io urlai:

– Alleluia, alleluia. Sia lodato Gesù Cristo!

 

Comunque, l’elezione di Papa Francesco non servì a salvare il mio amico. San Francesco parlò agli uccelli. Il mio amico riesce ancora a non parlare con nessuna passera. Però si redense. Adesso, per sentirsi parte integrante di tutti gli animali terrestri, ogni mattina dà da mangiare ai piccioni. Poi, nel primo pomeriggio, guarda Uomini e donne. Ogni volta che una nuova coppia, pagata cento volte di lui per recitare la parte degli innamorati, si bacia, lui piange e canta a squarciagola Grande Amore. E la sua vita riprende Il volo!

Insomma, non tutti nascono Richard Gere.

Già ve lo dissi tempo fa. Richard non è mai stato candidato all’Oscar poiché considerato troppo bello.

Ma è, dopo De Niro, Al Pacino e Anthony Hopkins, il mio attore preferito.

È infatti l’unico attore della storia del Cinema a essere stato protagonista de I giorni del cielode Gli invisibili e de L’incredibile vita di Norman, riuscendo nel contempo a essere il principale interprete di American Gigolo, di Pretty Woman e di Affari sporchi. Richard Gere è un grande uomo, in tutti i sen(s)i. Tu, per esempio, ti saresti arrabbiato a morte se fossi stato considerato, per almeno trent’anni, il più grande sex symbol vivente. Senza però mai aver vinto niente d’importante. Richard Gere invece continua ad applaudire attori e uomini molto meno belli e bravi di lui perché non è un poveretto che delira e dà di matto se qualcosa gli va storto. Il novanta per cento delle persone invece se la prende ed è per questo che il mondo è in guerra e va a puttane. Qualcuno, allora, pensa che il mondo giri attorno a sé stesso (o a sé fesso) e offende il prossimo quando quest’ultimo non la vede come lui. Di conseguenza, si scatenano le lotte personali e nascono spesso le tragedie. L’altra sera, per esempio, mi contattò una tizia:

– Mio figlio non parla più ed è diventato muto dopo che a scuola l’hanno massacrato d’insulti. Che dice? Lo porto da uno psichiatra?

– No, signora. Lo sederanno e basta. Lo porti da me.

– La smetta! Lei è solo un ciarlatano!

– Ah sì? Allora perché sta chiedendo consiglio a me?

– Mi scusi, sono pazza. Le chiedo perdono. Non mi rendo conto di quello che faccio.

– Cioè lei è come il novanta per cento delle persone.

 

Ora, io ho rivisto Joker più e più volte.

Non riesco davvero a capire come possiate considerare C’era una volta a…  Hollywood un film maturo, anziché quello che è, ovvero una bambinata, e Joker invece, al contrario, un film puerile.

È esattamente l’opposto. Tarantino reinventa una tragedia mostruosa, Joker esplicita una tragedia “fantasiosa”. Vidi inoltre molte video-recensioni inerenti il film di Todd Phillips. Non ne vedo molte, invece, sui film di Todd Solondz, ah ah.

Permettete di dirvelo, nonostante vi stimi, siete tutti sbagliati, no, sono tutte sbagliate.

Mi riferisco, perlomeno, a quelle che accolsero tiepidamente tale suddetta pellicola. Per esempio. Mr. Marra sostiene, a spada tratta, che Arthur Fleck impazzisca quando smette di assumere gli psicofarmaci. No, invero non è proprio così. Terminato l’effetto compressivo dei farmaci, così si dice in psichiatria, i suoi canali della mente sono nuovamente liberi. Cosicché, Fleck riacquista coscienza. Quindi si ribella. Prima cioè era stato sedato poiché la psichiatria, erroneamente e orridamente, considera diversa una persona non adatta ai canoni della società. Dunque, come in Minority Report, per paura che, per via della sua alterità emozionale non allineata al pensiero comune, prima o poi Arthur sarà esposto a una reale situazione in cui non saprà gestire le sue emozioni, rendendosi dunque pericoloso per sé e per gli altri, lo arresta chimicamente, imprigionandolo nella castità psicomotoria ed emotivamente alterata, ingannandolo subdolamente. La cosiddetta suggestione. Prevenire è meglio che curare? Antico dilemma per cui Shakespeare si sarebbe scervellato. La risposta giusta è essere anche nel non essere in quanto noi tutti siamo quello che crediamo di essere. La maggior parte delle persone non si rende conto, purtroppo, di chi è/sia. Dunque di chi non è e non sia. E giammai sarà. Forse è l’alta borghesia o la finta cortesia. Forse è la dogmatica Chiesa o, appunto, un generalista, relativistico chicchessia. Pensandosi chissà chi, infatti crede perciò di poter decidere arbitrariamente chi sia l’altro nel volerlo recidere e/o psicologicamente recintare. Questa invece non è né la verità né l’obiettività, né l’intelligenza né l’elevazione ideologica. Si chiama nazismo ed è una cosa oscena. Ancora quanto mai attuale nella cosiddetta realtà. Avete visto C’era una volta a… Hollywood? L’attore che interpreta Charles Manson, ovvero Damon Herriman, è lo stesso che interpreta Manson nella seconda stagione di Mindhunter. A prima vista, quando faccio il cretino apposta, cioè il Joker, potrei sembrare Manson. Purtroppo sono come Holden Ford/Jonathan Groff. Perché purtroppo? Perché è più facile vivere da pazzi.  Se sei uno psicopatico come Manson e ti sbattono all’ergastolo, resisti. Poiché ti crei un altro delirio compensativo. Se sei Holden Ford, vedi tutto lucidamente. Ed è molto dura. Poiché in tre secondi netti, hai già capito chi hai di fronte.

Ora, vi spiego. Partiamo da questo basilare presupposto. Lo psicopatico, quasi sempre, ricommette lo stesso crimine. Non se ne rende neanche conto, è la sua inconscia natura a portarlo a delinquere nelle stesse modalità, sì, modus operandi, della prima volta. Lo fa per soddisfare suoi sopiti desideri sessuali inappagati che riversa nel crimine da lui perpetrato. Vi faccio un esempio lapalissiano. Il carnefice designa nella sua mente la vittima prescelta. Il novanta per cento dei crimini odierni avvengono telematicamente, cioè sono di bullismo psicologico. Il carnefice sceglie, a suo libero arbitrio, la vittima su cui accanirsi. La vittima crolla. E viene ricoverata. La vittima segue un percorso riabilitativo per dimenticare il trauma inferto a suo danno e, finito che ha di svolgerlo, perdona il carnefice e lo assolve.

A questo punto, il carnefice ritorna sul luogo del delitto, infierendo nuovamente e agendo psicologicamente su quelle che crede che siano ferite ancora aperte della vittima per indurre la vittima di nuovo a reazioni psicotiche.

Cioè, il carnefice cerca di nevrotizzare la vittima e portarla a uno stato di disordine post-traumatico.

C’è un piccolo particolare però che è sfuggito al carnefice.

Vale a dire, il carnefice pensa di conoscere a memoria la patologia di cui è affetta la vittima per colpire su di essa nei suoi punti sensibili.

Nel frattempo, però, la vittima ha imparato a conoscere i suoi stessi punti deboli e si è rafforzata enormemente.

È a questo punto il carnefice che rimane scoperto.

Sotto ogni punto di vista.

Sarebbe come dire che i fan della setta di Charles Manson erano convinti di trovare in casa Polanski, eh già, una donna debole e indifesa, Sharon Tate, andando a colpo sicuro.

Invece, sbagliarono la mossa e si trovarono di fronte Brad Pitt.

Dio che inculata bestiale, cazzo.

Il che sarebbe come dire, allo stesso modo, che Roman Polanski, dopo aver appreso della notizia di sua moglie stuprata, dilaniata e squartata, avrebbe avuto due possibilità: spararsi in testa o impazzire e di conseguenza finire rintronato in un centro di salute mentale a vita. A elaborazione impossibile di un lutto senza spiegazioni razionali, plausibili.

Lui invece intraprese la scelta più difficile.

Cioè, se già prima dell’omicidio di sua moglie, era un grande, poi divenne ancora più grande, sublimando nell’arte ogni suo demone interiore.

E L’ufficiale e la spia lo dimostra.

di Quentin Tarantino, no, di Stefano Faloticothree christs

La critica moderna, guidata dagli youtubers Joker Marino, Federico Frusciante, victorlaszlo88, Lorenzo Signore, Mr. Marra vs la Critica accademica


17 Jun

james-deanOra, saltate questo lungo preambolo se non amate l’autoironia, la Critica sui generis e passate al capitolo 2 che verte sulla questione enunciatavi nel titolo…

Comunque sia…

Lo spettatore amatoriale che critica i critici veterani è triste quasi quanto Paul Schrader che girò un film con James Deen e più moscio di Richard Gere de Il primo cavaliere?

Sì, ho scritto James Deen, non James Dean.

James Deen è la nemesi di James Dean. Tanto Jimmy fu la simbolizzazione, per quanto mitizzata volgarmente, romanzata, empiamente stilizzata della gioventù bruciata piena di palpiti romantici, d’eterna inquietudine combattiva, d’incandescente purezza sentimentalmente travolgente, ovvero l’incarnazione della rabbia giovane quasi appunto malickiana, oscenamente mistificata però dai cultori e fautori bassamente giornalistico-giovanilistici, appunto, cioè adulti rincoglioniti idolatri e nostalgici delle giovinezze lor perdute nella panza e nella corruzione da riempire e infangare di triti luoghi comuni insopportabili ché, a loro squallido ardire, è bello ardere e identificare in modo pressapochista nella distorsiva nomea iconica d’una idealizzata, forte, eterna sindrome da Peter Pan e nella stupida magnificazione bambinescamente cazzuta de Il selvaggio, quindi a erezione, no, elevazione di nostalgie ed elegie brandiane e coppoliane, Rumble Fish docet, santificanti e dunque limitanti, al solo scopo… mercantilistico e superficiale, agiografico e banale, semplicistico e oserei dire scandaloso, scostumato, vergognoso di alzar in auge quella… che è invero l’emotiva complessità di un periodo importantissimo della vita di noi tutti, cazzo, dicevo… mi son perso fra anacoluti dal costrutto sintattico più articolato di un infinito rutto brutto… in parole povere, James Deen, il pornoattore osceno, è un misogino edonista mostruoso e marcio, un sodomita violento e ai limiti della legalità delle donne comunque più vicine alla femminilità animale, quindi di Dean ha solo il nome.

Deen è uno sgorbio e ha storpiato pure il fantastico cognome del protagonista della Valle dell’Eden.

E The Canyons è un film impresentabile non perché io sia un moralista che fatica/chi a digerire l’idea che lo sceneggiatore de L’ultima tentazione di Cristo abbia ficcato… Dean nella sua porcata per rendere Autofocus la sua bischerata, no, capisco benissimo che dietro questa sua scelta di casting via sia un’idea meta-cinematografica pari quasi alla metafisica di Taxi Driver, comprendo appieno che, così facendo, Schrader abbia voluto eccentricamente omaggiare appunto sé stesso, essendo lui un calvo cineasta solipsista e calvinista, ossessionato dalla carne, da temi come il peccato, l’irredenta natura ambigua del sesso e dell’amore in una società andata a puttane più delle clienti di Woody Harrelson di The Walker o del super figo Richard Gere di American Gigolo, no, non è questo il punto. Nemmeno G.

Il grande Cinema è splendida finzione. American Gigolo è un bellissimo film proprio perché non c’era John Holmes a interpretarlo. Non so se mi stiate seguendo. Bensì appunto v’era Gere.

Forza, sveglia, non dormite da ghiri!

Un sex symbol, certo. Che peraltro sarebbe divenuto totalmente tale soltanto dopo questo film. Richard Gere, un celeberrimo donnaiolo incallito che è stato sposato a Cindy Crawford, l’unico stronzo di classe che poteva permettersi la lussuria, no, il lusso di essere il protagonista della pellicola All’ultimo respiro, remake neanche tanto malvagio, a darla tutta, no, a dirla tutta, di Fino all’ultimo respiro di Jean-Luc Godard, recitando spesso semi-ignudo in piscina assieme a quell’ex Femme Publique immane e stra-gnocca di Valérie Kaprisky, donna impudica e pubica, senza far rimpiangere del tutto l’originale puro.

Evviva le guerre puniche!

Ma Gere è un attore coi contro-coglioni, non schizziamo, poveri idioti schizofrenici, e soprattutto… non scherziamo.

Guardatelo ne L’incredibile vita di Norman oppure ne Gli invisibili. E capirete che, oltre al sempiterno fascino virile da piacione, v’è sempre stato molto di più, miei cazzoni.

Richard Gere è uno che ha sempre saputo eccome il fallo, no, fatto suo. Un attore con due palle così.

E qui ci vorrebbe, a gridarvelo in faccia, Mario Brega di Un sacco bello, così come urla infatti al figlio scemino che Don Alfio è uno di Chiesa che la sa lunga.

James Deen è il peggio del maschio, roba che Bobby Peru di Cuore selvaggio, cioè Willem Dafoe, vale a dire uno degli attori preferiti di Paul Schrader, neanche a farlo apposta, se lo tromba più velocemente di un’eiaculazione precocissima senza neppure cagarlo di striscio.

Paul Schrader, che film merdoso che è il tuo The Canyons. Per fortuna, ti sei rifatto con First Reformed. Sennò ti avrei spedito a fumarti un cannone…

Sì, un tempo, ai due giorni di leva, chiedevano ai ragazzi se amavano i fiorellini. A me chiesero come mai mi piacevano i tortellini ma non gradivo molto le bolognesi.

Se qualcuno rispondeva sì ma, alla domanda se gli fosse piaciuto fare il fioraio, rispondeva che, altresì, amava la natura colorata e bella eppure al contempo non si sarebbe mai sognato di fare il giardiniere contento o di vendere rose rosse alle donne innamorate non solo di Richard Gere per una vita apparentemente felice, ecco, a questo qualcuno prescrivevano la visita dallo psichiatra.

Io sono il Joker, anche Matthew Modine di Full Metal Jacket.

Se costui si opponeva a questa sorta di castrazione psicologica assurda, lo riformavano. Ma non rilasciandogli la patente di uomo troppo dolce ed educato, dalle buone maniere sensibili non pronto a un mondo guerrafondaio manieristico di fascisti-filonazisti, bensì lo rispedivano al mittente con la patente discriminatoria di frocio assai prossimo alla demenza.

Sulla lettera, diciamo, di dimissione non v’era scritto esattamente frocio bensì eufemisticamente lo si mandava a cubiste, no, a cubitali lettere, a quel paese poiché non ritenuto macho abbastanza e dunque adatto, oddio sto morendo, a una vita da duro che tutti incula.

È questo che ci ha insegnato la nostra Italia. Complimenti, valori di “sana e robusta Costituzione”.

No, non ho nulla da dissentire in merito. Come no? Infatti io ho svolto il servizio di obiettore di cosce, no, di coscienza.

Detto ciò, non traviate le mie parole, non travisatemi.

Tutto quest’ambaradan, questo pen(s)oso panegirico per arrivare a una questione che mi sta sinceramente più a cuore.

Sì, tutti questi damerini, questi (ig)nobili figli di papà di vent’anni che non se lo sono mai fatto a dovere, mi stanno sul culo.

Se avessi detto che mi stanno in un posto simmetricamente perpendicolare allo sfintere, mi avrebbero pure tolto la possibilità di obiettare e dire la mia. Vi pare normale?

A noi, critici e figli della generazione X, forse con una Lancia Ypsilon, uomini “Smart” insomma, chi spezzerà delle lance in nostro favore? Ah, non ci disprezzerete e dunque l’anima non ci spezzerete.

Vi faremo a pazzi, no, a pezzetti, a pezz(ent)i. Paz e devi avere Pazienza, anche Andrea…

Dobbiamo mettere i puntini sulle i e anche forse su quelle greche, non siamo probabilmente dei latinisti e amanti dei peplum ma forse adoriamo i piedi femminili, siamo feticisti di e come Tarantino?

Siamo misogini come James Deen o come Stuntman Mike di A prova di morte?

Odiamo gli attori cani, dunque non siamo dei cinofili, bensì solo dei cinefili?

La domanda sarebbe da porre al mitico Ignazio La Russa. Vi ricordate?

Incorre in un frequente lapsus il candidato di Fratelli d’Italia Ignazio La Russa mentre si rivolge a Luca Miniero, regista del film Sono tornato che ha come protagonista il Duce: “Un film troppo commerciale…”.

Alcuni sostengono che io meriti molto più successo E che i miei circa 370 iscritti al mio canale YouTube Joker Marino siano davvero pochi. E sul modello 730 abbia poco da recensire…

Ora, noi siamo bravissimi, in effetti. Spesso, lo dico orgogliosamente, siamo più intuitivi, colti e preparati di gente che scrive, dietro fior di quattrini, per quotidiani nazionali.

E mi riferisco naturalmente, oltre che a me stesso, ai succitati Frusciante, Victor, Signore, forse anche a Willy Signori e vengo da lontano.

C’è chi ha mille iscritti al suo canale e chi invece 100 mila. Chi invece ne ha tre, ovvero sé stesso e i suoi genitori. Io non sono invidioso di chi ha più di me. Chi fa da sé…

Dunque, lunga vita a Fede, nostri fedelissimi.

È meglio insomma Falotico, detto Falò delle vanità, oppure Francesco Alò?

È meglio Mereghetti o le sorelle Laura e Luisa, figlie di Morandini?

Chi è nato prima? L’uovo o la gallina?

E Falotico è una gallina dalle uova d’oro? Cioè, quasi (a) gratis, continua a fare le video-recensioni di film altissimi ma, se fosse andato, ogni santo giorno, al semaforo di Via Prati di Caprara, per elemosinare du’ lire, forse oggi avrebbe più soldi?

È un critico amatore pur non essendo un armatore, è un amante della più elegante Ars Amandi e un adoratore del Cinema bello, non bellico, quanto i migliori film di Elia Kazan? Oppure era meglio se fosse nato davvero come Antonella Elia?

O è invece un cazzaro, un casinaro, un coglione, per farla breve e sveltina?

Siamo tutti pirla in questo mondo?

E perché mai sfruttarono la virilità grandiosa del magnifico Richard Gere a uso e consumo delle donnette che hanno sempre utopisticamente sognato di vederlo nei panni di Lancillotto?

Tornando a La Russa, stamattina uno in radio, un lavoratore stacanovista e bravissima persona, a tale domanda fattagli, ecco, ha risposto così:

– Che cosa faceva nella vita jean-Jacques Rousseau?

– Russò.

 

Invero, non fu una domanda ma una barzelletta raccontata dallo stesso radioascoltatore che, finito di spararla, volle puntualizzare che lui, oltre che lavoratore duro, è un grande musicista.

Ci siamo capiti. Ho detto tutto. Noi siamo più bravi dei cosiddetti critici da cui tutti pendono dalle labbra ma forse ha fatto bene James Deen a buttarla in vacca.

Se proprio ci andrà grosso, no, grassa, potremmo pure campare con un mezzo stipendio ottenuto dalle visualizzazioni, ma non potremmo mai permetterci di avere la villa a Mulholland Drive.

Noi continueremo però, resilienza e Resistenza permettendo, ad amare alla follia Lynch, vedendo Naomi Watts e Laura Harring col binocolo e invece il Pinocchio Deen vedrà gnocche a tutt’andare, sgranocchiandosele, le gambe sgranchendosi, scrocchiandosi le nocche, pieno di balocchi, no, baiocchi.

Chi ha occhio, no, orecchie per intendere, intenda. Altrimenti, se non volete starci a sentire, c’è sempre la RAI.

Evviva noi, youtubers a cazzo loro, gli altri sono tutti troioni.

Perciò, arriviamo al punto cruciale, alla morale della fav(ol)a:

se James Dean interpretò Il gigante, se James Deen è un cane e La Russa un cinofilo, perché Falotico non può essere un cinefilo normale?

Dio can’!

 

di Stefano Falotico

01 Jan 1955 --- James Dean --- Image by © Sunset Boulevard/Corbis

01 Jan 1955 — James Dean — Image by © Sunset Boulevard/Corbis

Sì, Richard Gere non si tocca. So che voi donne l’avreste voluto toccare eccome, ma è un grande untouchable, ah ah


13 Apr

gere motherfatherson

Io l’ho già detto. L’ho già scritto più e più volte. Come scriveva il Morandini, Richard Gere ha il “sessappiglio”. Ah ah.

Sì, è indubitabile. È un uomo dal fascino caliente.

No, sfatiamo per l’ennesima volta quest’immonda diceria sul mio conto. Al mio co… to ci penserà qualche donna cotta. Ah ah.

No, non sono omosessuale. Ma adoro molti attori bellissimi. Io sono un adoratore della bellezza totale. Che sia maschile, femminile, di ogni t… a, tipa, che sia la bellezza dei quadri del Caravaggio, un dribbling di Roberto Baggio, una sensuale ninfea che posa (s)velata nei primaverili giorni inoltrati d’un dolce Maggio, amo come ogni topo il formaggio, ottimo…

Pecorino ma forse meglio pecorina. Ma, come Gere, non sono mai pecoreccio.

No, nonostante io emani un fascino a pelle, diciamo, odio la volgarità, conservo intatta l’eleganza dell’uomo che facilmente non si dà. Che ammicca silente, gioca taciturno di sguardi complici finto-acquiescenti, sguardi bollenti eppur freddi che vorrebbero qualcosa di più di un rapporto amichevole e stucchevole, mi becco spesso degli schiaffi disdicevoli eppur conservo una faccia da c… o, come si suol dire, indiscutibile. In una parola, estremamente piacevole.

La faccia di un uomo che non si vende eppur le donne con me (s)vengono.

Sì, ne ho a bizzeffe. Ah, son sventole. Sì, mi dan delle pizze con tanto di olive. Mi contattano sempre. E ciò, amici maschi, sapete bene che fa venir du’ palle tremende.

A parte gli schizzi, gli schiaffi e gli scherzi, Richard Gere è stato penalizzato, sì, famoso participio passato derivato da pene, ah ah, per il fallo, no, il fatto di esser troppo bello.

Quando si dice… ah, ma quello lì buca lo schermo. E anche qualcos’altro.

Sì, Richard è uno dei massimi bucanieri. Non piace solo alle bianche. È un uomo talmente sensuale che non ha sesso. Lo fa alle rosse, alle svedesi, alle portoricane, alle thailandesi, alle giapponesi, alle nere e perfino alle eschimesi. Ogni mese, a ogni ora del giorno e della notte, questo ci dà eccome di “botte”.

Spinge, insomma. Ah ah.

È uno dei più grandi glandi viventi della storia. Sì, no, perdonatemi.

Un grande col sex appeal piccante.

Fu scambiato solo per un bellimbusto aitante. Ma io vi dico che in Cotton Club fa la sua porca… figura anche di recitazione pura e sfavillante.

Lui dà fiato alla trombetta, Diane Lane si tromba ed è tutto un sassofono da duro di marmo.

Sì, col tempo il Gere si è tolto molti sassolini dalla scarpa.

Negli ultimi suoi film è stato proprio superbo.

E ora voglio spararmelo di brutto in questo.

Ricordate: Richard non perde il pelo, no, i capelli ci sono ancora tutti, il vizio ovviamente no.

E indossa giacca e cravatta da piacione di razza.

Su capigliatura albina che fa sempre molto volpino. Oggi, più che da Cotton Club, da cotton fioc. Miei finocchi.

Sì, Richard è uno che lo guardi e capisci che in certe cos(c)e sei ancora all’abc.

Mentre lui, cazzo, recita pure per la BBC.

Richard, un uomo delicato e sensibile come lo shampoo Neutro Roberts.

E infatti Pretty Woman ne sa qualcosa…

O no?

 

 

di Stefano Falotico

Attori rinati: Richard Gere, che rimonta per un sex symbol intramontabile!


20 Jul

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Oggi voglio parlarvi del mitico Richard Gere, un attore tutt’altro che bollito. Recentemente, mi sono divertito un po’ sadicamente a sbeffeggiare quegli attori che, filmografia alla mano, negli ultimi anni ci hanno deluso parecchio, e hanno arrancato in pellicole di dubbia qualità. Un discorso assolutamente inverso va fatto, appunto, per Richard Gere che, fra l’altro, tanto per ribadire il suo attuale stato di perfetta forma psico-fisica, è convolato a nozze con Alejandra Silva, donna che ha trentatré anni meno di lui.

Richard Gere è nato a Filadelfia il 31 Agosto del 1949, e quindi presto compirà sessantanove anni. Ma, alla soglia della settantina, possiamo affermare che la sua carriera cinematografica, e non solo, è rinata.

Un sex symbol intramontabile, dal fascino indiscutibile, che da giovanissimo eccelleva in ginnastica e musica e, infatti, dopo In cerca di Mr. Goodbar e I giorni del cielo di Terrence Malick, incanta attrattivamente e fisicamente ogni donna del pianeta con American Gigolò di Paul Schrader. Un ruolo talmente sensuale che, paradossalmente, lo imbriglierà per decenni nell’icona del bellissimo irresistibile. Basti pensare a pellicole come Ufficiale e gentiluomo o All’ultimo respiro, per non parlare naturalmente di Pretty Woman.

Ma, a prescindere da film notevoli come Cotton Club di Francis Ford Coppola, Gere non si stacca di dosso l’etichetta limitante di bello impossibile, non riuscendo mai davvero a far rilucere, al di là di questa maschera, il suo talento attoriale.

Infatti, Richard Gere non solo non ha mai vinto un Oscar ma è forse una delle pochissime grandi star a non aver ricevuto, pensate, nemmeno una nomination.

Varie candidature ai Golden Globe, sì, ma nessuna candidatura agli Academy Award.

Non che la grandezza di un attore si misuri esclusivamente dagli Oscar vinti, ma questo ci fa capire come Richard Gere sia stato maltrattato spesso e volentieri dai critici, soprattutto statunitensi, che raramente l’hanno preso in seria considerazione.

A torto, secondo me.

Perché come detto, tranne quando è relegato unicamente al ruolo del piacione, Gere sa recitare eccome, perfino in maniera suadente e stupenda.

Se non mi credete, riguardate che allure, che classe, che finezza interpretativa e che presenza scenica esibisce in Schegge di paura e The Mothman Prophecies.

E che dire, inoltre, delle sue interpretazioni in due dei suoi ultimi film, nel magnifico L’incredibile vita di Norman di Joseph Cedar e ne Gli invisibili di Oren Moverman?

E l’attendiamo, trepidamente, il prossimo anno nella serie televisiva MotherFatherSon.

 

 

di Stefano Falotico

Il mitomane, insomma, il contrario di me


14 Mar

KSM Film Time out of Mind

You’re smart, talented and you know a few things but talent means nothing in this game if you don’t make the right choices, there’s plenty of talented people that never see the light of day anymore, this whole thing takes discipline because it’s one big long shot and if you don’t have the discipline to stay away from the “flyers”, the “gambles”, or whatever else you want to call a stupid move, then one day you will go down it’s inevitable.

Robert De Niro nei panni di Wells, The Score

 

Sì, è così. Puoi avere tutto il talento del mondo ma se non lo canalizzi ti si ritorce contro. Molta gente ha sempre preferito avere una vita serena, e non ha mai pensato molto. Insomma, ha agito d’istinto senza tentennamenti o ripensamenti. Non calcolando mai le conseguenze delle loro scelleratezze e delle loro vili e spregevoli azioni. Probabilmente, son stati più calcolatori, non avevano grosse pretese e si sono adattati a una vita abbastanza normale, anche abbastanza piatta. Priva di sorprese, d’imprevisti, ma tutto sommato serena. Molti fanno così, la maggioranza. Accettano fin da subito le regole del gioco della vita che sono competitive solo all’apparenza, invero acquietano i dubbi, li seppelliscono sotto un mare di bugie e spesso se la raccontano perché, se non se la raccontassero, dovrebbero guardarsi allo specchio e indietro non tornerebbe loro un’immagine gradevole o accettabile.

E così si affonda nel porcile di massa, si viene a scoprire che tutto quello che avevi imparato serve davvero a poco nelle logiche affaristiche del mondo, dove bisogna sempre vendersi, presentare una maschera piacente, compiacente, ruffiana e diplomatica. Tacendo il vero o mentendolo per comodità, per avere maggiori comfort.

Ci sono poi gli illusi. Quelli ignoranti che pensano di conoscere la verità perché fino a quel momento se la sono sempre cavata e grossi guai non li hanno mai passati. Anzi, tutt’altro, più son stati stronzi e più hanno avuto sfacciata fortuna, questione di culo. Al che si son dati ai culi femminili dalla mattina alla sera e se la son goduta da matti, trattando gli altri come fuori di testa. D’altra parte, a che serve guardarsi un film di Paul Schrader se concepisci la vita come un divertimento di balli, bevute e puttan(at)e?

E poi ci sono i mitomani, i contafrottole, quelli che affabulano in continuazione, ingigantiscono gli accaduti più banali, li romanzano, li riempiono di meraviglia, tanto per prendere sempre per fessi il prossimo.

Ci sono quelli che prendono per i fondelli gli impiegatini, perché secondo loro sono metodici, noiosi, privi di creatività, modestamente anonimi. E ci sono quelli che si dichiarano comunisti solo a parole e nel concreto mandano a cagare chiunque appena non la pensa come loro. E rifiutano il confronto.

Poi c’è la pazzia “divertente” di massa. Al che i pornoattori sono i nuovi idoli, gli attori più bravi, non si sa perché, sono anche i più boni, e tutto scorre, fra un’altra partita di calcio e prenderla con filosofia.

Io sono un tipo noioso, credo sia giusto che lo sia.

 

– Ah sa, ho letto alcuni suoi scritti. Non si rammarichi, un giorno potrebbe perfino vincere il Nobel.

– Sì, e me lo metterò a brodo.

– Ma come… stamattina ha detto che è sexy.

– Sì, ma non ho l’indole del puttanazzone.

– E quindi?

– Quindi, vaffanculo.

– Guardi, secondo me il problema è che lei vede la vita in maniera distorta.

– No, no, la vedo sin troppo bene. Se lei abbisogna di un nuovo paio di occhiali, vada da Avanzi, i miei vanno benissimo.

 

 

 

 

di Stefano Falotico

L’illusione di realtà, la solita politica e il fascino “buddista” di Richard Gere


24 Feb

Richard Gere

Uno dei ricatti maggiori che un giovane subisce da coloro che si reputano, senza ragion veduta, “adulti”, è il continuo rimprovero, estenuante, triste, manicheo, assillante, secondo il quale deve attenersi alla realtà e “crescere”. Il concetto di crescita è qualcosa che mi ha sempre ossessionato e al quale non riesco a darmi una risposta chiara ed esaustiva. Ho una visione “aliena” del mondo, e poco a questo mondo mi allineo. Credo che siamo creature evolute dotate d’intelligenza, di un cervello che ci ha permesso di vivere lontani dalla bestialità e, da scimmieschi Neanderthal, ambendo a definirci appunto umani, nel senso completo del termine, affettivo-cognitivo e sensibile, anzi, senziente agli stimoli esterni, ci siamo inventati un sistema di sopravvivenza che ci ha concesso l’illusione di realtà. La cosiddetta realtà non esiste, è un basamento, potrei dire, rapportato alla nostra età e a ciò che ci viene chiesto in base alla nostra anagrafe e a quel che si suppone debba essere il modello comportamentale attinente al nostro periodo vitale.

Non credo in Dio, sebbene da piccolo il lavaggio del cervello giudeo-cristiano a cui fui sottoposto, come quasi tutti della mia generazione, deve avermi indotto ad astenermi dal piacere, anche frivolo, per buona parte del mio “processo evolutivo”. In fin dei conti, ritengo qualsiasi tipo di religione, soprattutto quella cristiana, appunto, un limite sesquipedale alle nostre potenzialità emotive, un freno ricattatorio alle nostre innate, immense potenzialità. Perché, aderendo a questi falsi credo, ci si castra in tutta una serie di dinamiche, anche relazionali, improntate al senso di colpa, alle responsabilità più mendaci e ingannevoli, e il pensiero, libero e anche vivaddio autarchico, viene così castigato da precetti e “prescrizioni” assurde, figlie della paura, della superstizione, perfino dello scaramantico più medioevale oscurantismo ideologico.

Benché meno credo alla politica. I partiti sono soltanto la propaggine, fintamente incarnata a livello illusoriamente istituzionale, di quelle idee che un certo gruppo di persone ritengono essere quelle valide al fine che la società “progredisca” secondo i dettami che vogliono loro. Allorché s’istituiscono per “garantire”, almeno così sostengono loro, mentendo, quelle stabilità apparenti per le quali si prodigano.

In questa società odierna, confusa, esterofila, cultrice di un bello soltanto di facciata, superficiale e sbrigativa, impostata unicamente sul “valore” dei soldi, in cui le individualità vengono orrendamente soppresse solo perché si viene considerati come merce produttiva e non come uomini, appunto, le persone sostanzialmente votano chi possa garantire loro i privilegi e le comodità per le quali vivono, o meglio s’illudono che sia la vita.

Un povero vota i grillini perché è stato “rassicurato” che avrà un sussidio di disoccupazione, un insegnante vota PD perché, nonostante le tante bugie e le promesse mai mantenute del pinocchio Renzi, comunque si sente protetto in quella realtà con cui ha imparato a convivere e che, nel bene e nel male, gli sembra l’unica possibile e incontrovertibile. Perché almeno avrà il suo stipendio, perché almeno non perderà nulla e, pur sapendo che la sua esistenza sarà sempre alquanto mediocre, patetica e lamentosa, non ne vede un’altra realizzabile e probabilmente non vuole neppure vederla.

Poi ci sono i salviniani, persone di cultura retrograda, fascista e razzista, sessuofoba e quant’altro, spaventati perennemente da tutto ciò che ai loro occhi appare inconcepibile. E dunque temono il “diverso”, quello di un altro Paese, ché gli frega il lavoro o la fidanzata perché semmai è solo più bravo e più sexy, e allora si rifugiano nella retorica più bieca, ignorante e secessionista. Nel giustizialismo agghiacciante.

Ci sono gli artisti, persone che credevano nel potere della parola, nel potere della bellezza, nella comunione appunto fra i popoli attraverso la vera cultura, che non è il nozionismo becero di chi s’illude che la “perfetta” forma mentis possa nascere da licei e scuole istitutrici di un sapere puramente, stupidamente appreso, dunque “rappreso”, solo a livello teorico, mai davvero empaticamente comunicante con le istanze reali, ma astruso, astrattissimo, parto degenerato del classismo più abbellito da quel porco orpello del classicismo più dottamente, anzi indottamente, scolastico, sciocco e bambinesco, paraculo e irresponsabile, buono solo a quelli… di papà con la panza piena e il cocktailino in mano fra “grandi” discorsi oratori e chiacchiere da studentelli col ciuccio in bocca. Noiosi, prevedibili, in una parola insignificanti.

La realtà stessa è un’illusione. Oggi vieni considerato un nano perché nessuno ha investito sul tuo talento, sempre compresso, punito e ingiuriato, domani sei un gigante perché la tua “piccolissima” idea ha fatto felici molte persone.

Di mio, posso dire che non credo a quelli che dicono che fanno le “cose” per gli altri, perché vogliono dare.

Quando si dà qualcosa, ci si aspetta sempre un riconoscimento, un apprezzamento, ci s’illude allo stesso modo che, attraverso il valore datoci dagli altri, il nostro stesso valore umano possa uscirne gratificato, lo si fa per ottenere maggiori “garanzie” sulla propria autostima, per venirne appagati e semmai anche più “istituzionalmente” pagati.

Ma questa si chiama vanità, non grandezza, e nemmeno umiltà, neppure bontà.

Ma io parlo al vento…

 

Mah, prima mi piaceva Al Pacino, col passare degli anni sto prendendo maggiore confidenza con il mio fascino alla Richard Gere. Belloccio, moderato, di classe, sempre sulle sue, un uomo che ammicca, scherza con gusto, è autoironico anche quando potrebbe permettersi di fare lo stronzo, pacifico, contemplativo, calmo, pacato, in una parola falotico…

 

di Stefano Falotico

 

Franny

Gere The Dinner Hachiko Gere

Genius-Pop

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