Posts Tagged ‘Henry Chinaski’

Falò, un man polanskiano e Mickey rourkiano, diciamo tarantiniano?


12 Jul

Rourke Polanski The PalaceAvrei dovuto scrivere, perdonatemi, di Roman Polański (con la n di perfetta dicitura, sì, nessun refuso) o di Martin Scorsese? Sì, ma nel titolo non si possono superare i 100 caratteri. Tu, invece, che carattere hai? Di solito, io, attenendomi a uno stile molto classico, utilizzo il Garamond 12. Ah ah. Inoltre, in soli 14 min. netti, secondo più secondo meno (invece, secondo te? Eh eh), non so se sono stato sempre perfetto nella mia doverosa esposizione. Avrei dovuto specificare meglio i singoli e rispettivi nomi degli sceneggiatori. Ma voi, in fin dei conti, non conoscete neanche le napoletane sceneggiate. Al massimo, siete da Un posto al sole, sì, un pessimo sceneggiato adatto ai mediocri. Me la tiro? Sì, mica solo una. Ah ah. Comunque, state sereni. Voi non scop… te mai. Al massimo, solo a terra. A meno che non vi siano rimaste nemmeno le brioche. No, scusate, le briciole. Di mio, in passato fui sbriciolato, oggi come oggi, sono accreditato. Comunque, la mia pronuncia di Folie à Deux vale il prezzo del biglietto, ah ah. La tinta ai capelli? Invece, la tintura? Sì, la mia vita è tutta una pittura, no, una fregatura. Ora, scusate, mangio della confettura. A te piace la confettura? Sono un Pulp Fiction vivente. Parafrasando Quentin:

– Non c’è bisogno che tu mi venga a dire che il mio caffè è buono, intesi? Sono io che lo compro e so quanto è buono. Quando è Bonnie a fare la spesa, compra delle cagate. Io compro sempre roba gustosa (oppure dice costosa, non si capisce bene, ca… o, ho detto che botta, caz… o, no, lo disse Uma Thurman) perché, quando la bevo, voglio gustarla.

P.S.: i miei haters pensarono di stanare un uomo debole, sprovveduto, inesperto e fragile. Cioè, una donna. Si trovarono di fronte Brad Pitt di C’era una volta a… Hollywood? No, di fronte a Macaulay Culkin di Mamma, ho perso l’aereo (Home Alone). Ah ah. Su questa freddura finale, al momento vi lascio. No, ancora no. Comunque, Chris Columbus non è lo stesso regista di Rent, prodotto da De Niro? Con Rosario Dawson. Una che sarebbe piaciuta a De Niro se lui, dopo Naomi Campbell, anziché impantanarsi in due cause di divorzio con Grace Hightower, ci avesse provato? Lei gli avrebbe risposto, però:

– Voglio farti una domanda. Quando sei arrivato qui, hai visto per caso scritto, davanti a casa mia, “deposito di negri morti?”. Sì, Bob. Con me, anche Lexington Steele & Sean Michaels crepano d’infarto. Sono tutti morti, sì, i miei amanti. Tutti, prima fottuti, poi schiattati. Anche Spike Lee, amico di Samuel L. Jackson, da quando è stato a letto con me, è rinco… Pare che soltanto un certo Falotico possa resistere con me, senza subire danni. Sì, credo che durerebbe molto di più di De Niro con Bridget Fonda in Jackie Brown.
E non ci vuole molto a superarlo…

Al che, interviene il mio hater à la Tim Roth:

– Ma che stai a di’! Quel povero caz… n’ non gliela fa manco col Viagra.

Gli controbatte la sua ragazza: – Forse, volevi dire Garçon means boy.

– Che vuoi dire? Sei stata col Falotico?

– Sì, non solo una volta.

 

Succede il finimondo. Lui, per gelosia incontenibile, salta alla gola della sua ragazza e la picchia brutalmente da “maschio siculo”. A simbolizzazione penosa del macho verace ferito nel suo orgoglio ridicolo. Ecco dunque che, finalmente, entro in scena io e sussurro da Clint Eastwood dei poveri eppur carismatico: – Sono Ierda e non è con le chiacchiere che ti salverai dalla me… a. E sono pure William Munny.

Finisce il “film” e il mio hater pensa, fra sé e sé: por… o dio, e io che pensavo fosse un demente come Tarantino di Dal tramonto all’alba.

Alla fine dei titoli di coda, la sorpresa rivelatoria su scritta: Sì, hater, non avevi torto. Falotico è un demente ma tu non sei George Clooney.

Sì, un collage di veloci immagini allineate al sottostante testo su cui, gentilmente, se vole(s)te, potete cliccare per leggerlo e visionarlo: https://www.geniuspop.com/blog/index.php/2022/07/falo-un-man-polanskiano-e-mickey-rourkiano-diciamo-tarantiniano/

Cioè, questo post, ah ah. Che testa, no, testo, peraltro già inserito integralmente in una precedente description, sì, italianizziamo in descrizione? Sono giocoso, verace, schietto. Ed evviva Eddie Murphy? Sì, ma soprattutto sir Eddie Cook, alias uno dei famosi epiteti affibbiati al Falò? No, lo gnomo, no, il nomignolo con Mickey si è autobattezzato varie volte. Lui, Heny Chinaski, a sua volta alter ego di Charles Bukowski in Barfly. Lui, motociclista come Valentino Rossi dei tempi dorati? No, amico di Don Johnson, cioè Mr. Miami Vice, in Harley Davidson & Marlboro Man. Specialmente Motorcycle Boy di Rusty il selvaggio (Rumble Fish). Doveva lavorare con Quentin Tarantino in Death Proof. Le vostre offese, cari haters, contro di me fanno sempre FLOP! Cari puff(i)!. Non fatemi la fine degli impotenti come BULLET. Eh eh. Anche perché, essendo sprovvisti di autoironia e dunque essendo incapaci in fatto di umorismo, non capite i miei meme? No, divertissement. Non hanno scopo didattico e/o istruttivo. Non sono una professorina, infatti, frustrata degli istituti tecnici commerciali, sono giustappunto un selvaggio. E così voglio rimanere. Senza se e senza ma. Sennò, ti spacco la chep! Forza, se non vi piaccio, picchiatemi e spaccatemi la faccia. Non sapevate che sono anche Johnny il bello? Vi rifaccio nuovi e ve la rifaccio. Ah ah. Sì, ho la faccia come il cu(cu)lo. Sono amante dello stream of consciousness. Anche delle cosc(ienz)e.

Avanti, saltatemi addosso e non fatevela sotto, damerini e coccolini…

 

di Stefano Falotico

Pulp Fiction

Tutto avrei immaginato nella vita, tranne diventare Harry Angel, Marv, Johnny Walker, Francesco, Henry Chinaski, Stanley White e soprattutto John di Nove settimane e mezzo


01 Feb

rourke marv sin city

BARFLY, Mickey Rourke, 1987. (c)Cannon Films

BARFLY, Mickey Rourke, 1987. (c)Cannon Films

rourke anno dragone

Accadimenti miracolistici sempre più fatalmente si susseguono nella mia (r)esistenza (im)plausibile, forse solo da plauso, anche da applauso scrosciante o dai cinici reputata risibile.

Sino a due anni fa, mi davo per spacciato, per spaccato dentro e spappolato, sebbene non sia mai stato uno spacciatore, nemmeno un drogato. Quindi, non potevo addebitare le mie colossali sfighe a cause, diciamo, “stupefacenti” alla pari di sostanze dopanti come L’LSD. Neanche mi ammalai di AIDS.

Debbo però esservi sincero, sì, per molto tempo il mio cervello, la mia anima e soprattutto il mio corpo si sganciarono dalla realtà comunemente intesa e vissi il mondo solo… attraverso l’ADSL.

Tant’è che per un bel po’ la gente pensò di affidarmi all’AUSL. In verità vi dico che il mio isolamento fu soltanto, all’apparenza, virtuale. Ebbi sempre difatti profondamente coscienza di non essere un essere speciale, bensì un ragazzo uguale agli altri? No, opterei per essere meglio di me stesso, ah ah.

Di mio, protestai da sindacalista autonomo della mia CGIL, CSIL e UIL, confederando da me. Specialmente, fra me e me, confabulando in merito all’essere un uomo da partito comunista contro ogni demone interiore mio fascista che volle, inconsciamente, improntarmi a una visione della vita di matrice capitalistica.

Sì, scrissi come un ossesso un sacco di libri esistenzialistici ma mi sentii ugualmente inutile alla produttiva società in cui, invero, sembra che la gente lavori ma è solo fancazzista. Ci furono attimi, amici, in cui m’identificai non poco in Ed Wood di Tim Burton, malgrado la mia bellezza da Johnny Depp dionisiaco di C’era una volta in Messico. Ascoltando perciò a tarda notte, nel mio cuore auto-ferito auscultando, l’esoterica e metafisica Under the Bridge dei Red Hot Chili Peppers, cantata splendidamente da un Anthony Kiedis in stato debosciato, no, di grazia di/da dio quasi simile alla strepitosa disperazione esistenziale del protagonista di Angel Heart.

Sì, parecchi anni or sono, mi considerai precocemente vegliardo, senesco e canuto, citando Adso da Melk, vergato di prosa sopraffina ne Il nome della rosa di un mai così ispirato Umberto Eco compianto.

Autocommiserandomi in maniera non tanto poetica, bensì patetica, lamentosamente insopportabile, insostenibilmente penosa e quantomeno per me stesso pericolosa e troppo cervellotica. Arrovellandomi per il futile più stupido e controproducente, rinunziando scandalosamente al dilettevole più godibile e brillante.

Furono nottate insonni in cui fui preda del diavolo tentatore, forse Louis Cyphre/De Niro, forse furono serate allucinate e allucinanti, anche allucinatorie, bramanti un’isperata, insperata mia vita romanticamente, possibilmente piacente a una donna bellissima e straordinariamente avvenente da Orchidea selvaggia. Una f… a della madonna.

Sì, fui segreto fan di Carré Otis. Per questo mio peccato veniale, vorreste forse che prendessi l’ascensore per l’inferno? No, non ho né ebbi colpa se mi smarrii nella dissolutezza di me stesso preso in giro, no, rappreso e molto perdente, no, perso nella perdizione più ancestrale, contemplando solo il Creato alla pari del santo di Assisi, non ebbi colpa alcuna se la gente, di fronte alla mia rinascenza impressionante di natura psichiatricamente inspiegabile, non capì nulla e pensò che mi fossi inventato la storia secondo cui, oh me immemore, oh me misero da miserere, oh me miserrimo e tapino, vi fu un tempo della mia vita in cui vidi il mondo nella sua nuda venustà più lieta e dolcemente sinuosa come un seducente serpente della Genesi. Ah, che cherubino tradito e traditore io fui, cornuto e diabolico…

Al che, contro di me peccai e m’imbruttii come Mickey Rourke di Johnny il bello del primo tempo.

Affliggendo e flagellando la mia innata beltà misericordiosa, indiscutibile e, oso dire, perfino gloriosa.

Romanzai ogni tragedia occorsami, chiamarono il pronto soccorso e sublimai tutto, delirando a più non posso, a tutto spiano buttandomi via come un Charles Bukowski di felsinea periferia. Bologna la rossa! Vivendo di cianfrusaglie neuronali tendenti al poco sereno variabile umore della mia anima tumefattasi nella melanconia più ipocondriaca e dolorosa. Quasi lacrimosa, eh già, versai infinitamente amare lacrime angosciose, veramente sterminate e costernanti.

Girovagando, nottetempo, fra consiglieri fraudolenti e bar(i) fetenti, tra deficienti uomini di Bari trapiantatisi a Bologna e il mio incagnirmi, no, incarognirmi, no, incarnarmi in Barfly.

Furono frangenti di acuti, psicologici scompensi, come dettovi, d’inascoltabili e inascoltati lamenti quasi pietistici al limite del cristologico più indicibile.

Non so cosa in me sia accaduto. Nemmeno i più grandi luminari della scienza furono in grado di darsi una spiegazione, razionale e non.

So soltanto che, malgrado tutti noi fummo funestati dal tremendo e nefasto Covid-19, l’anno scorso vissi l’estate più bella della mia vita e amai una donna più bella di Debra Feuer dei tempi d’oro.

Dopo La Mer di Charles Trenet, dopo quella boiata di Tenet, dopo tante amarezze e rabbie parimenti rapportabili all’ira esplosiva del protagonista de L’anno del dragone, voglio ivi, testé e tostamente dichiarare che la favola con la mia lei non finirà come in 9½ Weeks.

Sì, mi guardo allo specchio e non posso mentire a me stesso.

Voi non vorreste un uomo così?

Ah no? Allora siete invidiosi come John Lone. Oppure non siete una donna. Siete degli amici? No, dei gelosi a morte.

Oppure davvero pensaste che fossi mezzo scemo come il protagonista di Homeboy?

In effetti, avete ragione, sono lui.

E, come il grande Robin Ramzinski di The Wrestler, sono ancora sceso sul ring.

Be’, i capelli non sono quelli di una volta, lo so.

L’importante è che qualcos’altro non abbisogni di Crescina…

Comunque, rimanga fra noi, a Mickey Rourke continuo a preferirgli Bobby De Niro.

Sono un camaleonte. Sì, il Chamaeleonidae, essere mutevole, falotico, stravagante, bizzarro, versatile, piacione, all’occorrenza piacevole e recensore di Cinema alquanto invincibile.

Se non vi sta bene, alla pari di Henry Chinaski, i cocktail li offro io.

Aspetteremo una croccante alba e gusteremo anche, tutti assieme appassionatamente, una colazione con passione.
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di Stefano Falotico

Mickey Rourke, intrepide vene di un wrestler


10 Mar

Mickey Rourke,

intrepide vene di un wrestler

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Una monografia dedicata al grande Mickey, attore sopraffino eppur selvaggio, scalpitante in muscoli tonanti, rifatto, slanciato in funambolico frizzo dei suoi lampi abbarbaglianti e abbaglianti in zampillii   furibondi smaltati, piangenti nella lussu(ri)osa “machine” (imbatti)bile del coriaceo suo corpo mutevole, trasfuso in sinergia dinamica d’iridi luminescenti, miscelate, esplosive, (s)tirate in vulcaniche detonazioni repentine, un flusso ininterrotto d’un purpureo lottatore, tumefatto da tanti colpi spappolanti d’una sua (r)esistenza sempre sbraitante, emotivamente instabile, arcuata a suo ispirato, magnifico attore rotante la gioia del sé stesso (t)esser la fibra ipnotica dell’anima dirompente, eruttante sua illanguidita, romantica posa, diguazzante e smargiasso in un oceano nero del suo intimo cangiarsi potente, impressionante nudità d’uno spropositato ego maniacale a narcisistico perfezionismo attoriale erto a una recitazione carismatica che a lui vien così naturale, timidezza nascosta dietro un abito malsano da ubriacone, com’appare infatti tale, spesso sconcio, marcio, distrutto in molti film, svelante lentamente il suo sex appeal magnetico, un uomo che si martoria, macellante divora il toro che, nel cuor suo feroce, lo sbrana e, angosciandolo, strozzandolo, strepitante rabbia (in)esplosa, vivo lo mangia. Mickey s’incarna nei suoi occhi mangiati vivi dal sé già smembrato e chirurgicamente palestrato, le palpebre sbatte fra mille donne sbattute, scorato poi si lascia andare come dovesse esser presto deceduto, disarcionato della sua dignità, si crogiola nel far nulla vizioso, capriccio personificato della sua immediata venustà cataclismatica, frenesia d’ardori densi di vita roboante, titanica e splendente, pura, suadentissima, simbiotica ipnosi ammaliatrice che trasmette e infonde istintivamente agli affini spettatori che, applaudendolo in gloria del san(t)o elevarlo come il suo Francesco, lo riveriscono quando, sul tappeto rosso, innanzitutto delle sue tremende, sacrosante ire emozionali, irresistibili/e, picchia inesausto nel ring(hiar) con rabbia e inestimabile, vampiristica, sanguigna bravura..

Va giù, poi si “tira a lucido”, su.

 

Un man barfly sui marciapiedi del suo silente star (in)espressivo, bolsa trasparenza d’un corpus attoriale “mortificato” nel suo amar(si)… (in)finito


Forse, Mickey, cereo, (in)certo, scolpito nello sgretolato pianger il sangue zampillante d’un suo mutarsi sempre in dissipato(re) del suo talento (s)confinato, rannicchiato nell’angust(iat)o spacc(i)atore di sé rotto nell’anima illimitatamente (com)battuta, si sbraccia, tutti bacia, si brucia e si buca, s’arrabatta nello scriversi da solo la storia della sua “troia”. Cadendo, d’angelo v(i)olato, in tal putrido squal(l)o(re) del mondo ubriaco… salta di palo in frasca, s’ammorbidisce (forse il pelo) e quindi scappa, sé stes(s)so scopa, scoppiato.

Pugile suonato, libra, lib(e)ro aperto, troppo.

Chiuso poi dalle limitate mentalità borghesi, arroganti ché deturparlo vogliono affinché, tarpato, come tutti i tappi, si recida in ali bruciate e non più brucianti da fiero attore-toro… crolla o solo barcollante, bar-col(l)ante vivente, collante di chirurgia, sì, svenato, (s)venutissimo…, (dist)rutto sputato nel “normal” eloquio ove l’etica falsa, ahinoi imperante, col suo imperioso, inderogabile motto, è non dovere dar di matto mai e star b(u)oni, belli di plastica. E, non (r)esistendo a tal (in)visi finti, fa una brutta fine, facendosi “rozzo” di chirurgia al suo vol(t)o seg(n)ato, si plastifica da bella “figa”.

Nel ficcar il suo orgoglio arrostito, avvilito, gioendo dell’icona immor(t)ale di cangianti suoi sempre conturbanti e perturbanti lineamenti stanchi, lui, giammai allineato, come se “aggiustarsi” la faccia da “culo”, per (parad)osso (sm)unto, da pallido gonfiato “pallone” d’ingrassato faccione come se avesse assunto il cortisone, lo salvasse dal “coglione” andato a ma(ia)le, che fesso-sesso… n’è ossesso, lo (s)mascheri in (ca)muffa, lo (s)vesti e (s)copri da una furiosa… (insana)bile sua troppo malsana, ah, sano o non tanto santo, intanto ancora sul tappeto rosso salta con la saliva salata da lottatore non più zuccherato nei suoi tempi d’oro ma ora arrugginito nei suoi denti cariati e non più a mille carati. Malgrado sia una vecchia cariatide e cera troppo sincera sviscerata nel suo viso macerato, ancora vola come una mosca da bar(o).

Barcolla fumante, Mickey, fischiettando, dentro la sua anima corrugata da mille sfregi ed errori (in)volontari, un motivetto canterino da barbone appiedato col dono però ergente dell’erigersi vanaglorioso, per l’appunto grandioso, grazie al suo letterario talento grandissimo. Chinaski, suo alter ego, no, di Bukowski, da lui interpretato.

Ubriacone, non spegnerti ma accenditi d’animo maudit come un’altra sigaretta rubata alla tua angoscia inaudita. Sfogliala tra le dita, dai, bell’uomo sempiterno, che dio ti maledica.

Delira sinché puoi, insisti su questa sbandata, meravigliosa vi(t)a sregolata, non ammainarti e ammanettarti al destino borghese, vacuo, ricco solo fuori di finti fiori, di dolori immani interiori perforati. (S)colpito, un altro pugno da letterato sfoderi e sferri di classe alta mischiata al tuo (mal)essere… un frequentatore di una prostituta di basso bordo.

Un’altra sconcia storiella importante nel tuo fragile cuore innaffiato d’alcol, lordo, cari lord, un’anima da mille e una notte e cento, cento più botte come un’umana, disumana e immane lode andata a bottane.

Qui, nel brutto letamaio di questo baretto di periferia del borgo, sei rugoso più di una spugnetta da te mai davvero gettata nonostante via ti buttassi in tanti filmacci che sono delle orride pugnette.

Altri pugni e di tutto punto, con qualche ferita in più e suture di punti sempre aperti, non rimarginabili, da emarginato, scrivi la tua storia un po’ da fina troia, tu sto(r)ico, immor(t)ale.

Lasciati andare, lasciatelo stare, Hollywood merita i suoi scritti ma non fa per lui un’iscrizione agli Oscar.

Meglio tirarsela, Mickey. Anche se la tua vita è sbagliata e oramai stirata. Ti sei rifatto il volto ma non rifarti contro chi te lo spaccò, scoreggiando cagate ché son soltanto, cazzo, lucide cazzate di lusso per pochi maledetti eletti.

Un’altra bagascia entra nel tuo letto ed è sempre il solito autodistruttivo leitmotiv, cazzone!

Sempre a letto, sì, con la pancia gonfia e il fiatone da porcellone, sotto lo pseudonimo di Eddie Cook un’altra ne cucchi e lei te lo ciuccia ma rimani un ciuco malgrado tu scriva a perdifiato, oh no, stramazzi al suolo per averle prese in un’altra rissa, per colpa di un potentissimo schiaffo datoti da una sberla coi capelli rossi, hai il volto (ar)ross(at)o perché invero sei timido, biancastro nell’incarnato viso d’angelo ceruleo di pessima cera ma ci sei ancora, però, però che stile.

Bastardo impeccabile.

Quello di Mickey è il pianto disperato di un bambino imprigionato in un corpaccione d’adulto all’apparenza smargiasso, guascone, discolo e da troppe discoteche ove, impenitente, tutte le donne scopasti impunemente.

Sei un po’ demente, Mickey, ma fa niente.

Poi arriva la realtà ed è un incubo a occhi aperti recidente il tuo troppo far il deficiente, ti pialla nella sua dimensione claustrofobica di grandi praterie chiuse solo nell’infinitezza del tuo sognare sempre una realtà sconfinata bigger than life, in verità, scioccamente destinata a collassare in modo mortificante.

Fosti per un po’ disteso poi ancora steso, esser tensivo palpito esistenziale (s)fattosi in un destino poco terso ma sempre nevroticamente teso, sei un languido bacio rubato alla Luna, l’ipocondria e il dolore di esistere da nato bruciato.

Da qui, da questo coacervo di contraddizioni, nasce il combattuto Rourke. Che passeggia sbilenco, inciampa nel suo carattere magmatico o forse scivola nel suo cratere vulcanico, si fa tante facciali plastiche per sfuggire al suo “ritratto da Dorian Gray” come se una strega gli avesse perpetrato un maleficio per scipparlo della sua bellezza, soprattutto interiore, per depredarlo del suo vol(t)o angelico, per turlupinarlo con l’arte ingannevole della seduzione da Nove settimane e mezzo.

Ma, nonostante molte grinze, non perdi la tua grinta e non fai una grinza. Anzi ti fai una e glielo dai tutto tosto e ritto. Tu, Homeboy cavallerizzo, scopi come un riccio. E sei pure ricco.

Sei proprio un dritto.

L’arte insita in Rourke, la sua danza spettrale nel suo mor(t)o vivente tendente al platinato artificiale da dio greco scialbo e putrescente con accenni di forte, indubitabile biondezza lacrimante i sussulti del suo cuore inferocito, poi armonico, l’impeto dell’ardore che scalpita, lo tramortisce, non gli lascia tregua, l’attanaglia, lo corrode, scalfisce il suo stomaco bollente, rigurgiti di endovena in esibirsi di panza oscena, oh, onesto, troppo vivo per l’insincerità d’un mondo ammaestrato a (in)dotte regoluzze stantie.

Prendine le distanze, avanti. Mickey, ordina un’altra stanza del motel e scopatela tutta bell’.

Lui, che si camuffa dietro tanti vol(t)i, pseudonimo di Sir Eddie Cook, scrittore di sceneggiature raffazzonate a cui manca una pezza, lui, sì, pezzo di merda, rabbioso, inesausto, (in)frangibile pazzo. Che cazzo!

Schietta divinità cinematografica ch’è frutto di mille traumi, patimento dell’essenza, esistenza e/o resistenza, oh, sarebbe un delitto incommensurabile, un sacrilegio blasfemo se accantonasse la sua grinta di (non) de-mordere, (non) si lascia andare, viaggia nei suoi crepuscoli, insegue bramoso la preda della sua escoriata, striata anima turbolenta e si ricicla, faccia da schiaffi ch’è incarnazione dello sberleffo contro la borghesia pasciuta di massa, un ammasso di pelle e ossa in muscoli (s)tirati a (non) lucido che è, oh, sempre vagabondo come si confà al suo esser cuore angelico, tenere tenebre sanguigne dell’Angel Heart in lui ardente.

Così, ad ogni alba della sua mistica arte recitativa così masticata, rinasce agli albori della sua ticchettante fatiscenza (dis)organica poco armonica, viso incandescente, purpureo di ferite da vanitoso fetente!

Bile… “palle” in buca d’un biliardo tutto suo, d’un perso binario, dei suoi diari, del suo esser “a bordo” perennemente delle degradate periferie color bullet.

E dopo essersi scopato un’altra biondona, Mickey si fa il bidet.

Poi esce dal motel e fa l’occhiolino a un bambino senz’ambizioni che, da grande, vuol essere un bidello.

Quindi, Mickey lo stomaco ancora si sbudella, roso dentro dall’essere consapevole che ne passò di tempo e oramai non è più tanto bello.

Sì, un attore col don’, col Condom (im)perfetto del roditore… di chi si mangia dentro per (non) soffrire sterminatamente, soffoca, si dilania, persegue obiettivi (mal)sani, si dimena e da solo se le dà, se lo mena, sì, abbrustolisce la sua pelle satanica in sfide accorate, forse mal accordate, al suono e gioco magico del profanarsi sempre, eternamente stronzo.

Risplende, poi si rabbuia con impertinenza, sba(di)glia(to), cartoccio ch’è mosca da bar, del tempo buttato via per noia o perché la vita è troppo piccola, oppure grandissima e dolorosa per chi ha un cuor di ca(r)ne. Come il suo… protraiti, Rourke, inimitabile cazzone.

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Esordirà, dopo lo Sbielberg di 1941…, in una particina con Michael Cimino, suo mentore, “prossimamente”, ne I cancelli del cielo, per poi rifulgere in ver’auge, da protagonista assoluto, nello stupendo L’anno del dragone, firmato al solito da Michael. Nella parte del “furbo”, scafato, iper-decorato capo della polizia Stanley White dalle origini polacche che sta con una brava donna che non è affatto una mentecatta polacca, o forse sì, messosi a rivaleggiare contro un leader del narcotraffico, un magnifico cattivo, John Lone.

Una battaglia senza esclusione di colpi ove non si salverà nessuno, neppure l’anima bruciata proprio d’un Rourke oltre la sfera del tuono nel finale “invincibile” e da duellanti western, simil Ore disperate.

Capostipite, in tal modus, in questo mondo, d’uno stile attoriale unico e immediatamente riconoscibile, con una recitazione tutta “introflessa”, interiore, a captare gli stati d’animo variegati della sua anima in mo(vi)mento dinamico, “ripida”, forte, combattiva, variopinta, stravagante, eccentrica e dalle scelte professionali intinte nella più disarmante stranezza, da villain del videoclip con Enrique Iglesias, “Hero”.

Let me be your hero

Would you dance if I asked you to dance?

Would you run and never look back?

Would you cry if you saw me crying?

Would you save my soul tonight?

 

 88982449_10215897681417791_5143216439242522624_oAllora si punisce ancora, si protrae la sua sofferenza, “intarsiata” in rivoli sudati delle pulsioni meno mansuete. Si “sradica” dal suo corpaccione, “basculante” dondola nel mondo, si dà con furia, fagocita il proprio cuore e se lo divora, lo inghiottisce, deglutisce, sputa, s’infervora e si “sbrana”, sbraita la pelle della sua atroce inviolabilità senza pari.

Seppur attorniato da mille donne, corteggiatore indefesso, (non) ne sceglie una, principe delle punizioni che s’infligge, tormentato, combattente e anche combattuto.

Harley Davidson and the Marlboro Man del suo “ubicato” trash corporale collegato all’anima(le).

Titanico, imperfetto, scultoreo, bronzeo d’una faccia che (non) chiede perdono, un nostro… o mostro fattosi purezza di rozzezza, di famelica (non) voglia di vincere, instancabile wrestler.

Lottatore del suo istinto primordiale, “faceto”, scorbutico, “bassotto” in una società di nani, di Giovani Marmotte, bellissimo, angelo sceso da un “dirupo” di meraviglia.

(In)etto di sudore, perversità primigenia, furore appeso a un corpo che oscilla fra un peso medio e un homeboy.

Sconfitto, “tracima” nelle sue interiora un sacco di fitte, di tagli e cicatrici, di pestilenziale puzza da Bukowski. E suo alter ego Henry Chinaski.

Si mura, muta, fa il “muto”, non parla, biascica dolore, singhiozza, starnutisce la sua alterità, (non) adatto a un mondo che non risparmia colpi nel/al fe(ga)to…

Scorriamo, “curiosamente”, la sua filmografia e “annotiamola” a memoria, un “carnet notturno”, un sogno vivido di birbante, euforica “pazzia”…

1941 – Allarme a Hollywood (1941), di Steven Spielberg (1979)

Dissolvenza in nero, di Vernon Zimmermann (1980)

I cancelli del cielo (Heaven’s Gate), di Michael Cimino (1980)

Brivido caldo (Body Heat), di Lawrence Kasdan (1981)

A cena con gli amici (Diner), di Barry Levinson (1982)

Rusty il selvaggio (Rumble Fish), di Francis Ford Coppola (1983)

Il Papa del Greenwich Village (The Pope of Greenwich Village), di Stuart Rosenberg (1984)

Eureka, di Nicolas Roeg (1983)

L’anno del dragone (Year of the Dragon), di Michael Cimino (1985)

9 settimane e ½ (9½ Weeks), di Adrian Lyne (1986)

Angel Heart – Ascensore per l’inferno (Angel Heart), di Alan Parker (1987)

Una preghiera per morire (A Prayer for the Dying), di Mike Hodges (1987)

Barfly – Moscone da bar (Barfly), di Barbet Schroeder (1987)

Homeboy, di Michael Seresin (1988)

Johnny il bello (Johnny Handsome), di Walter Hill (1989)

Francesco, di Liliana Cavani (1989)

Orchidea selvaggia (Wild Orchid), di Zalman King (1989)

Ore disperate (Desperate Hours), di Michael Cimino (1990)

Harley Davidson & Marlboro Man (Harley Davidson and the Marlboro Man), di Simon Wincer (1991)

White Sands – Tracce nella sabbia (White Sands), di Roger Donaldson (1992)

F.T.W. – Fuck The World (F.T.W.), di Michael Karbelnikoff (1994)

Fall Time, di Paul Warner (1995)

Uscita di sicurezza (Exit in Red), di Yurek Bogayevicz (1996)

Bullet, di Julien Temple (1996)

Double Team – Gioco di squadra (Double Team), di Hark Tsui (1997)

9 settimane e ½ – La conclusione (Love in Paris), di Anne Goursaud (1997)

L’uomo della pioggia (The Rainmaker), di Francis Ford Coppola (1997)

A costo della vita (Point Blank), di Matt Earl Beesley (1998)

Buffalo ‘66, di Vincent Gallo (1998)

Thursday – Giovedì (Thursday), di Skip Woods (1998)

Shergar, di Dennis C. Lewiston (1999)

Out in Fifty, di Bojesse Christopher (1999)

Cousin Joey, di Sante D’Orazio (1999)

Shades, di Erik Van Looy (1999)

Animal Factory, di Steve Buscemi (2000)

La vendetta di Carter (Get Carter), di Stephen Kay (2000)

Invasion (They Crawl), di John Allardice (2001)

La promessa (The Pledge), di Sean Penn (2001)

Sola nella trappola (Picture Claire), di Bruce McDonald (2001)

Spun, di Jonas Åkerlund (2002)

Masked and Anonymous, di Larry Charles (2003)

C’era una volta in Messico (Once Upon a Time in Mexico), di Robert Rodríguez (2003)

Man on Fire – Il fuoco della vendetta (Man on Fire), di Tony Scott (2004)

Domino, di Tony Scott (2005)

Sin City, di Frank Miller e Robert Rodríguez (2005)

Alex Rider: Stormbreaker (Stormbreaker), di Geoffrey Sax (2006)

The Wrestler, di Darren Aronofsky (2008)

Killshot, di John Madden (2009)

The Informers – Vite oltre il limite (The Informers), di Gregor Jordan (2009)

13 – Se perdi… muori (13), di Géla Babluani (2010)

Iron Man 2, di Jon Favreau (2010)

Passion Play, di Mitch Glazer (2010)

I mercenari – The Expendables, di Sylvester Stallone (2010)

Inferno: The Making of ‘The Expendables’, regia di John Herzfeld (2010) – Documentario

Immortals, regia di Tarsem Singh (2011)

Black Gold, regia di Jeta Amanta (2011)

Dead in Tombstone, regia di Roel Reine (2012)

Generation Iron, regia di Vlad Yudin (2013) – Documentario – Voce narrante

Sin City – Una donna per cui uccidere (Sin City: A Dame to Kill For), regia di Robert Rodríguez e Frank Miller (2014)

 

E qui mi fermo… Poi va avanti, non so se io andrò ancora indietro.

Ma comunque vaffanculo!

di Stefano Falotico

 

Faye Dunaway, un’ex grande attrice con delle belle gambe?


29 Apr

58543785_10213538399437216_2566063507036438528_nSì, dopo tanto tempo, ho rivisto Barfly.

Film che mi fu consigliato molti anni fa da un uomo alquanto balzano, abbastanza lercio con cui svolsi lavoro di archivio di manifesti e locandine presso la Cineteca Comunale di Bologna.

Per meglio dire, lui era l’addetto di quest’ufficio, potremmo dire, di manutenzione d’antichi manufatti, opuscoli, poster e dépliant, io ero un semplice obiettore di coscienza che stava prestando servizio civile in tale ameno luogo di amanuensi cinematografici, di burocrati e data entry di vecchie perle della Settima Arte da conservare e custodire gelosamente, liberandole dalla polvere, posizionandole in appositi compartimenti.

In verità, io lavoravo al posto suo. Lui pigliava lo stipendio, a me arrivava dallo Stato solamente un misero compenso retributivo davvero irrilevante se paragonato alla mole di fatica da me spesa. In poche parole, pochissima roba rispetto al culo pazzesco che mi facevo.

Comunque, con quei risparmi ottenuti, mi comprai un lettore dvd di ottima fattura. Adesso peraltro superato e da buttar via. Ah ah.

Una volta, venne a farci visita perfino il mitico Tatti Sanguinetti. Sì, la Cineteca era ed è ancora spesso bazzicata da gente del settore. Il Sanguinetti, critico sanguigno e anima al sanguinaccio, dopo aver mangiato avidamente una pizza capricciosa, incapricciatosi del manifesto d’un film del quale or mi sfugge memoria che, a suo dire, era molto bello, senza pulirsi le mani, coi polpastrelli unti e bisunti, totalmente macchiati perfino d’olio di peperoncino, estrasse il suddetto manifesto e ne palpò la lieve, zigrinata superficie, accarezzandola morbidamente come si farebbe con le gambe delicatamente eccitanti di una donna bellissima che si ama.

Come le gambe di Faye Dunaway in Barfly.

Sì, la Dunaway è andata sempre orgogliosamente entusiasta e fiera dei suoi quadricipiti, al pari di Alba Parietti.

IMDb infatti, proprio nella pagina di Barfly, inserisce a mo’ di specchietto per le allodole, come frame del trailer inserito, esattamente il belvedere di Faye.

Nel film interpreta la parte della matta fatalona Wanda, donna che invero avrebbe avuto bisogno di una lavanda. Però non gastrica, bensì mentale.

Una donna sbandata, andata, dal rossetto sbavato. Donna che riesce nonostante tutto a far sbavare i maschi. Una donna che non è una puttana ma vive in un appartamento piuttosto confortevole, non facendo niente da mattina a sera. Poiché ha trovato un vecchio nababbo innamorato platonicamente di lei che la mantiene.

Bel coglione, questo qui, ah ah. Wanda infatti non gliel’ha mai data ma passa le sue giornate a darla agli altri. Eppure costui le fa da benefattore. Insomma, un pappone sui generis. Ah ah.

A dirla tutta, con una come Wanda, dunque come Faye, non andrei neanche se mi pagassero tutto l’oro che la stessa Dunaway deve aver guadagnato coi suoi film.

Trattasi di una donna indubbiamente toccata, anche quando non scosciata, marcia, mangiata dalla vita, dall’alcol e dal sesso.

Una donna comunque assai romantica. Quasi incantevole. Per cui potresti perdere la testa, a meno che tu non sia già matto come Henry Chinaski.

Faye Dunaway, checché se ne dica, è stata un’attrice magnifica. Non sto adesso parlando del suo piacente aspetto fisico, parlo della sua recitazione. Perversamente attraente. Ammaliante, conturbante.

È stata protagonista di alcuni dei più grandi film degli anni settanta e ottanta.

E la sua filmografia è impressionante. Sì, perché soltanto un anno dopo Barfly, recitò perfino per Carlo Vanzina!

Oggi ha la sua età. E non poco mi dispiace che assieme al rimbambito suo ex e anche compagno di set, Warren Beatty, alla Notte degli Oscar abbia rimediato una delle più grosse figure di merda della storia.

Sì, oggi Faye è alquanto rincoglionita, ha recitato perfino in un film inconcepibile di nome e di fatto, l’abominevole Inconceivable con un Nicolas Cage totalmente sputtanatosi.

Be’, che si può dire di me, invece?

Sono esattamente spiccicato a Bukowski, il quale partorì questo: accavallò le gambe e si tirò su la gonna. Si può andare in paradiso anche prima di morire.

Bukowski disse anche che non stimava il gentil sesso e che delle donne, sinceramente, gli piacevano solamente le gambe.

Sì, ad esempio, io non sopporto intellettualmente la giornalista televisiva Tiziana Panella. È faziosa, ha una voce sgraziata, è insomma odiosa.

Ma che gambe, ragazzi!

Bukowski vergò tante cosce, no cose come quest’altro suo epocale aforisma:

alcune persone non impazziscono mai. Che vite davvero orribili devono condurre.

Frase recitata da Mickey Rourke proprio in Barfly.

Sì, io sono una persona onesta con sé stessa e con gli altri.

E ammetto, appunto in tutta onestà, che impazzii varie volte in vita mia.

Credo che s’impazzisca perché si provano emozioni troppo forti e incontenibili.

Perché non si crede che la vita sia andare solo a lavorare, aspettare il sabato sera per fare gli scemi e sposarsi una racchia che ti tradisce pure.

Forse, a volte la vita può essere ammirare le gambe di Tiziana Panella alla tv.

Gambe che mettono di buonumore come un cremoso tiramisù.

Come no? Se dici di no, ti sbattiamo subito fra i pazzi di Barfly.

di Stefano Falotico

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Barfly Incipit – Bukowski/Chinaski in Canoni Inversi


03 Jun

Icaro/i in sottofondo rigenerante.

La nostra vi(t)a, illuminata alcolica negli an(s)imi nostri (s)profond(at)i.

Dal libro-sceneggiatura al film rourkiano e dunawayaino, molta gente sogna le Hawaii, altri una vodka e un gin tonic(o).

Simone Osmari e la sua musica, Stefano Falotico che recita il personaggio Henry/Mickey di strepitoso incipit stridulo.

E la vita (non) stride, (s)trit(ol)a.

Poesia!

Alt(r)a, v(i)ola vi(nt)a.

Ancor li(n)di.

Genius-Pop

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