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Racconto di Natale, una storia assurda, tanto incredibile da essere reale e buon Natale alla Changeling


25 Dec

Film Title: The Changeling

Ieri sera, ho rivisto Changeling, uno dei grandi film più sottovalutati di Eastwood. Che assai presto recensirò.

La prima volta che lo vidi fu in una sala cinematografica a Rastignano, in provincia di Bologna. Era pieno novembre, il novembre dell’oramai lontano, orribile, almeno per me, 2008.

Era sabato e avevo ricevuto il permesso di due giorni per tornare a casa.

Perché stavo svolgendo servizio militare ed ero stato congedato per il fine settimana? No, io son stato obiettore di coscienza, il servizio civile lo svolsi nel 2000, se non ricordo male. Sì, o meglio nella stagione 2000-2001, anno più anno meno. Dovrei, per esservi più preciso, andare a controllare l’attestato rilasciatami dopo averlo terminato e che conservo da qualche parte nella marea di scartoffie e documenti, certificazioni e ciclostilati burocratici che ho ficcato in uno dei tanti cassetti del mio appartamento.

Sì, svolsi servizio civile in Cineteca perché, dopo i due giorni di leva, fui dichiarato perfettamente a posto, normalissimo, di sana e robusta costituzione e dunque non mi riformarono e dovetti attenermi, come ogni bravo cittadino italiano, a quest’onere a cui tutti i ragazzi maggiorenni adempivano quasi immediatamente se non potevano rimandarlo per motivi di studio o per gravi problemi familiari.

Cosicché, trascorsi pochi mesi dalla leva, mi giunse a casa la lettera secondo la quale, nel giro di un paio di settimane, forse qualcosa in più, avrei dovuto presentarmi ai vari uffici con la mia domanda da obiettore. Non ricordo esattamente, forse i funzionari dello Stato, dopo che compilai i questionari e mi sottoposi alle varie visite mediche, mi chiesero in quel posto fatiscente se volevo far il militare, la cosiddetta naia, o se invece preferisco dichiararmi un pacifista come Stanley Kubrick o Terrence Malick e non avessi alcune intenzioni belliche, come si suol dire. Insomma, mi domandarono se fossi un fervido sostenitore delle teorie contro ogni forma di guerra come Gino Strada. Ah ah.

Sì, scusate se la memoria, dopo circa vent’anni da allora, un po’ mi tradisce. Insomma, non mi ricordo se feci domanda subito come obiettore oppure, soltanto dopo aver superato brillantemente la leva, mi fu chiesto di presentar domanda.

Fatto sta che inoltrai un’altra domanda. Come forse sapete, all’epoca, prima che abolissero la leva obbligatoria, chi aveva deciso di svolgere il servizio civile, poteva, nel limite del consentito, vagliare alcune opzioni rispetto ai luoghi nei quali avrebbe dovuto ottemperare a quest’obbligo irrinunciabile.

Fra i vari posti sottoposti alla mia attenzione, fortunatamente, essendo io da sempre un cinefilo incallito, vi era niente meno che la Cineteca di Bologna. Subito, mi affrettai a selezionare quella “crocetta”, inoltrando seduta stante il documento per battere la concorrenza. Ah, di certo non volevo finire a pulire il culo agli anziani e a sorbirmi quasi un anno in mezzo a persone che, con tutta la stima e il bene del mondo che posso voler loro, sicuramente avrebbero infranto, col loro carico di tristezze e malattie spesso, ahinoi, penose, il mio gaudente giovincello che voleva vedere il mondo nella sua luccicante bellezza più sana e portatrice di letizia.

Ebbi grande didietro, lo ammetto. E, infatti, fui scelto assieme ad altri tre miei concittadini dalla Cineteca di Bologna.

Cazzo, i primi giorni ero spaventato. Era un ambiente del tutto nuovo, pieno di cinquantenni boriosi e schizzinosi. E io, sebbene avessi già vent’anni suonati, mi sentivo un imbarazzato, timido pesce fuor d’acqua. Ma la paura scomparve abbastanza presto. Prima mi affiancarono a una bella signora, la Marc… san, sì, forse di origini veneziane, una donna con delle cosce stupende che, però, mi guardava dall’alto in basso, mi squadrava sempre con pose da stronza insanabile e mi dettava i numeri da scrivere e da appioppare ai manifesti e alle locandine che dovevo pazientemente enumerare come un monaco amanuense de Il nome della rosa.

Era una bella donna, indubbiamente, anzi, vi dirò di più. Secondo me, col suo fare altezzoso, mi provocava apposta perché s’era accorta, all’istante, che ero l’unico che non ci provasse con lei. E il mio atteggiamento schivo, pudico e timoroso non poco paradossalmente la metteva in soggezione e la disturbava, non riuscendo lei a spiegarsi perché fossi schifosamente taciturno, indisponente con la mia atimia e non le lanciassi, come tutti gli altri, delle occhiate bavose, desiderose d’invitarla a cena e semmai scoparmela.

Cazzo, avevo vent’anni, non ero più un bambino, lei in verità non era molto più grande di me. E allora non capiva come mai un ragazzo discretamente di buon aspetto fosse così chiuso e non si lanciasse.

Sì, le piacevo, ma aveva un modo assai strano di dimostrarmelo. Sogghignava e cercava di trattenere le risate, pensando fra sé e sé, come cazzo devo fargli capire che mi piacerebbe se si azzardasse a fare la prima mossa? Sì, ero io che doveva fare la prima mossa. Se l’avesse fatta lei, i suoi colleghi l’avrebbero scambiata per una poco di buono che circuiva, oscenamente troia, i ragazzi obiettori da immorale, sessuale predatrice porca.

Alla fine, mi mandò a fanculo. Sì, non sopportando oltremodo la mia ritrosia allucinante, trovò una scusa bella e buona per sbattermi… via dal suo ufficio e mi fece accoppiare… con uno scimmione quarantenne obeso, sozzo e lercio, scoreggione. Era il fotografo della Cineteca. Un semi-invalido che nella vita non aveva trovato di meglio.

Furono mesi interminabili nei quali dovetti sopportare tale gorilla flatulente che, afflitto da nostalgie tardo sessantottine fuori tempo massimo, mi parlava dei suoi miti musicali, di Lou Reed, Nico e compagnia bella. E mi voleva invogliare al maledettismo più di maniera. Mi disse anche che apparteneva al cosiddetto gruppo degli Enfatisti: gli Enfatisti furono per la decadente e post-politicizzata Bologna una scarica di adrenalina narcisistica e autodistruttiva

Una sera, invitò me e gli altri tre ragazzi obiettori, a casa sua. Preparò il pollo con le sue mani unte e bisunte e stemmo assieme, appassionatamente, fino a notte inoltrata, ad assistere alle elezioni presidenziali americane. Sì, si stavano compiendo (oh, ora mi viene in mente l’anno esatto, il 2000) le votazioni per eleggere il nuovo Presidente degli Stati Uniti. Lo scontro era tra Al Gore e quel figlio di puttana di George W. Bush, la testa di cazzo che, con la sua politica da macellaio, è stato uno dei responsabili della tragedia delle Torri Gemelle. Avvenuta infatti l’11 Settembre dell’anno successivo.

Devo dirvi la verità. Mi fece molto bene quell’anno. Fu tostissimo, duro più di Bruce Willis, ma mi svegliai parecchio, stando a contatto da mattina sino a pomeriggio pieno con tutta quella gente. In realtà, io son sempre stato sveglissimo ma mi piaceva dormirmela. Ah ah.

Fu al termine di quest’anno che cominciarono i casini. La gente attorno a me, accortasi della mia metamorfosi comportamentale, di una sorta di risveglio ai limiti dell’inverosimile, cominciò a chiedermi spiegazioni, non capendo più chi avesse di fronte. Come… uno che aveva passato quasi tutta l’adolescenza barricato nella solitudine delle sue notti malinconiche, ora, di punto in bianco, che si era messo in testa? Ah, doveva subito ora cercare lavoro o continuare gli studi che aveva interrotto. Eh sì, non era “malato”, come per qualche anno orrendamente si era arbitrariamente supposto, era solo un povero stronzo che, terminati i suoi obblighi, diciamo, coscienziosi, ancora se la tirava da artista ante litteram e adesso gli era perfino balzata in mente l’idea folle di scrivere un libro di memorie autobiografiche, romanzate e cazzute.

Dopo tira e molla estenuanti, indagini alla mia psiche, congetture, pettegolezzi, incomprensioni ai limiti del grottesco più furibondo, ecco che davvero cominciò un’altra indagine.

Stupefattomi e stufatomi di essere preso per i fondelli, mi accomiatai da quel delirio e ricominciai davvero a pensare a me.

Dato che amavo infinitamente il Cinema, volli iscrivermi al DAMS. Ma dovevo prima diplomarmi. Sì, avevo interrotto il Liceo Scientifico ed era oramai troppo tardi per ributtarsi lì. Tanto, cultura ne avevo già da vendere, in quegli anni da mio autodidatta superbamente lontano dai miei coetanei stronzissimi, avevo letto più libri io dello stesso Umberto Eco. Il diploma, il primo che mi capitasse a tiro, mi serviva solo per accedere a quella facoltà da me designata. Che poi comunque è una stronzata, diciamocela. Non è la Laurea al DAMS a renderti Orson Welles. Parafrasando Totò, signori si nasce e io modestamente, emulo di Bob De Niro lo nacqui.

Incontrai nel frattempo anche una ragazza di Trieste e poi pure un’altra. E in quel periodo mi sverginai perfino.

Ma, nei vari forum su Internet, mi arrivavano missive devastanti, con offese infamanti, calunnie obbrobriose e qualcheduno scrisse addirittura e addusse che una di queste due ragazze, da me mostrata su YouTube, era una prostituta raccattata sulla strada e dal sottoscritto, dietro laido pagamento, fosse stata obbligata a filmarsi amoreggiante con me per far sì che, finalmente, dopo anni in cui fui adocchiato come uno sfigato cosmico, volevo dimostrare che non ero un citrullo poco dotato in ogni senso, impotente e vigliacco. In verità vi dico che Rocco Siffredi m’ha sempre fatto un baffo. Lo sanno i miei ex amici coi quali giocavo a Calcio. I quali, quand’eravamo tutti ignudi nello spogliatoio, mi guardavano come fossero tutti omosessuali. Eh sì, in mezzo alle gambe, nonostante non l’abbia dato molto a vedere, c’era e c’è qualcosa di molto succulento.

Ma non perdiamoci in desideri maschili e non. In seguito a tali atti spregevoli e diffamatori, mi comportai da scriteriato e cominciai a sbraitare a destra e a manca.

Al che, come se non bastasse, essendo io tanto irrequieto e in preda a ire fortissime, fui sottoposto a una perizia, eseguitami da uno psichiatra totalmente pazzo e di una superficialità da far ammattire davvero.

In solo mezz’ora di colloquio, quando tentai di spiegargli la situazione, addivenne boriosamente, senza voler sentir ragione alcuna, che fossi paranoico e schizofrenico.

Dopo pochi giorni, vennero i carabinieri a prelevarmi coattamente. E mi trascinarono alla clinica psichiatrica più rinomata, si fa per dire, di Bologna. Finiti, sfinendomi, i quattro mesi orrendi di sedazioni e neurolettici, imbottito com’ero di tranquillanti in seguito ai quali a stento riuscivo a parlare e a camminare, i medici, dopo un’attentissima osservazione, sì, osservandomi così malridotto, incapace di esprimermi, decisero che per il mio bene dovevo essere trasferito lontano da genitori e amici.

Bello schifo.

Ed è per questo che, nel novembre del 2008, ebbi quei due giorni di permesso da quella sorta di comunità terapeutica e potei vedere a Rastignano il magnifico Changeling.

In quel posto di matti, ove io non stavo a dirci nulla, come infatti sostenuto dallo psicologo del luogo, il quale si accorse dopo trenta secondi nei quali gli parlai che si era trattato di un enorme, mostruoso equivoco giudiziario e diagnostico, e lottò affinché potessi essere liberato il prima possibile (ed è per questo che mi concedeva permessi a iosa, cose che ai “matti” sono assolutamente proibite), dovetti avere la forza immane di tenere tutto dentro, mantenendo una condotta ineccepibile che permettesse di appurare che, in effetti, era stato commesso un criminoso errore, anzi, un orrore.

Fui quindi liberato ma l’iter burocratico durò altri quattro anni, in cui fui costretto a dimostrare la mia sanità mentale.

E, in un flagellante, umiliante percorso riabilitativo ingiusto e spossante, dopo che mi sbudellai, distrussi il fegato, dopo che lavorai perfino sottopagato per acclarare che ero socialmente funzionante, fui dimesso.

Vi svelo questo, se non lo sapete. Una persona dichiarata matta, nel novantanove percento dei casi, è matta davvero. E, in quanto matta, non essendo cosciente della sua malattia mentale, nonostante tutti provino dolcemente a spigargliela, rimane matta tutta la vita. Perché la sua malattia mentale non le permette di comprendere la patologia della quale è affetta, poiché una persona matta soffre appunto di manie interpretative e distorce ogni cosa sulla base della sua alterata percezione della realtà.

Nessuna persona viene dimessa da un centro di salute mentale. Provate a informarvi e chiedete in giro.

Quindi, se ciò è accaduto, è perché i medici stessi, sconvolti, si eran accorti che la diagnosi era infinitamente sbagliata.

Insomma, ero stato cornuto e mazziato. E in questi casi nessuno ti risarcisce.

Al che, dopo poco, passato circa un anno dalla mia dimissione, imbufalito per tutto l’inferno che avevo dovuto vedere, mi sfogai ancora.

E giù di altre diagnosi inventate giusto per legalizzare e burocratizzare il casino successo. E per evitare beghe. Sennò si doveva giustificare l’ingiustificabile. Chi mai se ne sarebbe preso la briga?

Nessuno che voleva avere il coraggio di ammettere i propri scellerati sbagli, partoriti dalla fretta cattivissima consigliera e dall’arrembante sveltezza di uno psichiatra immondo che io vedrei bene, appunto, a pulire i glutei dei vecchi per scontare le sue vergognose diagnosi che hanno rovinato e spezzato centinaia di ragazzi soltanto bisognosi di essere ascoltati. Analizzati in momenti sbagliati.

Oltre alla mia tragedia, una settimana fa n’è avvenuta un’altra.

Sconvolgente.

E io sono dispiaciuto davvero.

Io ero solo arrabbiato.

Ma, nonostante ciò, auguro a tutti buon Natale.

Perché, come narra la leggenda di Changeling, io sono un folletto.

Forse, in questa brutta storia, non saprò mai chi è stato il deficiente che all’epoca mi perseguitava e mandava, vilmente, messaggi tanto da provocatori d’aver scatenato tal evitabilissimo putiferio. A me non lo confesserà mai. E io voglio soltanto che schiatti nel dolore della sua colpa.

Comunque, festeggiamo, e presto uscirà in cartaceo il mio nuovo libro.

Ringrazio il mio John Malkovich, che io so chi è ma non posso rivelarvi, strepitoso personaggio che mi ha salvato dalle grinfie della follia altrui, non la mia.

È un uomo che mi ha detto: – Vedi, le istituzioni hanno potere e non vogliono che la loro integrità possa essere minata. Quello psichiatra non ammetterà mai il suo sbaglio, gli stessi in medici e quelli che ti hanno avuto in fantomatica cura non riconosceranno i loro scempi. Perché altrimenti sarebbero radiati dall’albo.

Preferiscono dire che andavi curato anche se non ne avevi alcun bisogno e ora, dopo la cura immaginaria, stai bene ed evviva la vita.

Ti saluteranno con una stretta di mano e ti sorrideranno. Anche se, una volta che chiuderai la porta, penseranno… mio dio, che cazzo abbiamo fatto…?!

– Ma è una menzogna terrificante. Ricusare la patologia del loro malato cervello, il loro delirante abbaglio colossale, negare di aver sciupato anni di vita con una diagnosi fuori di testa.

– Lo so. Ma resisterai e vincerai, come infatti hai vinto.

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di Stefano FaloticoFilm Title: The Changeling Film Title: The Changeling

The Night Of vs Le ali della libertà, un capolavoro contro una bischerata retorica


05 Jun

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faccia da culo
Sì, credo che Kill Bill sia un brutto film. In toto. Soprattutto nel finale che perde ogni rotta. La storia di una donna che ammazza tre miliardi di persone solo, sostanzialmente, perché è entrata in coma e le hanno ucciso il ragazzo con cui aveva deciso di passare il resto della vita ad ammirare i tramonti, vendendo probabilmente i peggiori dischi di Tom Jones.

Tutto questo “danno” non l’ho visto. O, perlomeno, non giustifica la carneficina che ne consegue. La figlia non l’ha persa, non ha subito alcuna lesione, né cerebrale, nonostante Bill le abbia trivellato il cervello, e neppure fisica, anzi dopo il risveglio è meglio di prima. Più cazzuta, una macchina da guerra.

Ammazza chiunque le capiti a tiro, robe che succedono solo nei film perché questa qua devasta un’intera sala da ballo, mozza teste, amputa arti, compie insomma una strage di proporzioni epiche, e tranquillamente, dopo il massacro sesquipedale, continua a gironzolare a piede libero, ascoltando pure la musica dall’autoradio!

E dire che se uno va in un bar e manda a fanculo qualcuno, si becca una denuncia e tre mesi di arresti domiciliari. Oppure, come fanno in America, appunto, ti obbligano alla “riabilitazione” con lavori “socialmente utili”.

Invece no, questa dimezza demograficamente la popolazione statunitense, ficcando nel calderone omicida tutti, neri, negre, giapponesine, cinesi, white trash, alcolizzati e boss, e alla fine si gusta pure i cartoni animati con la figlia. Ringraziando iddio.

Sì, vuole che sua figlia cresca nella non violenza e nella pace perpetua. Che legga filosofia buddista. Ma non ha previsto la dura realtà. Superata l’infanzia, la figlia, educata a quest’assurdo buonismo, sarà derisa e umiliata a sangue dai bulli della scuola, cominceranno le immani crisi depressive, al che porterà la figlia da uno psicologo che la sederà come una cavalla, mentre tutte le sue coetanee, tatuate e belligeranti, con gli ormoni a mille, saranno su Instagram a mostrar le chiappe chiare. A gozzovigliare con quelli della loro età, mangiando uccelli come fossero caramelle. Poi, codeste, arrivate alla “maturità”, dopo un’adolescenza brada, sposeranno l’industriale di turno, che le tratterà, come si suol dire, a pesci in faccia ma che sta con loro perché indubbiamente hanno dei culi atomici. Eh sì, dopo il “duro” lavoro aziendale, ci vuole la figona ignorante come una capra per “alzare” l’inflazione…

Ma torniamo alla figlia di Uma Thurman. Ecco, complessata e compressa, farà la fine di Amber Heard di The Ward, compirà il gesto folle e verrà istituzionalizzata. In un ospedale psichiatrico ove lei, come il Sam Neill de Il seme della follia, sarà l’unica sana fra mostri, infermiere sadiche che, semmai, leggono Novella 2000 ma impartiscono ordini terrificanti come Nick Nolte de La sottile linea rossa, e le diranno che quella creatura che vede è frutto della sua immaginazione, e che soffre insanabilmente di deliri allucinativi. Giù di farmaci e neurolettici potentissimi. Diagnosi schiaccianti, in poche parole, quest’Amber Heard il suo Johnny Depp che fu lo vedrà col binocolo. Ah ah.

Sì, ce ne sarebbero da dire su questa società del cazzo. Donne che lavorano nelle case-famiglia, accondiscendenti e prodighe verso i “malati”, e poi, finito il turno lavorativo di prese per il culo, ove dicono ai malati di contemplare le roselline nel prato, vanno sui siti di appuntamento per cuori solitari. E stasera è il turno di Armando, uomo che ha letto solo Il Corriere dello Sport ma è ricco, va in palestra e ha un uccellone che la fa godere come una matta… Domani invece è il turno di Michael, ragazzo del Texas che vive in Umbria ad Assisi perché, dopo aver cavalcato tante mucche, ora sta cercando di avere una vita ascetica da San Francesco. Ma la donna della casa-famiglia, frustrata a mille, nel tempo libero l’ha circuito perché non desidera diventi San Francesco, appunto, ma parli alla sua passera. E diventi l’incarnazione del Fratello Sole, sorella Luna di Zeffirelli, versione erotica, molto spinta, del metaforico concetto di congiunzione di due sessi peraltro già ipocritamente espresso nell’ambiguo titolo della pellicola ignobile di Franco.

Ora, quando ero un adolescente, credevo come quasi tutti, che Le ali della libertà fosse un grande film. No, capolavoro non l’ho mai considerato ma ora, da adulto, lo considero proprio brutto, un film terribilmente falso e retorico all’ennesima potenza.

Le ali della libertà è un film per borghesucci che lo amano, mangiando grissini con la “capocchia” bagnata di Nutella, che probabilmente non hanno mai ascoltato Radio Radicale, e adorano i finti dolori e le tragedie rappresentate nel mainstream a stelle e strisce. Sì, perché Andy Dufresne forse non ha ucciso la sua donna e non meritava quella punizione mostruosa. Come non la meriterebbe nessuno. Ma questo qui, sembra che stia ad Honolulu, ha una calma olimpica, perde gli anni migliori della sua vita e, alla fine, con un altro povero Cristo come lui, concorda che, tutto sommato, la vita va avanti e con quella barchetta faranno il giro del mondo.

E se invece Andy avesse davvero ucciso la sua donna? Già il film non regge se ammettiamo che Andy fosse stato innocente, secondo voi potrebbe reggere, partendo dall’assunto che invece è un uxoricida dalla doppia personalità? Ah, certo, ha sbudellato la moglie solo perché l’ha tradito, e ora è pure libero come un uccellino. Bella roba.

Molto più vero The Night Of. La storia di un altro povero Cristo accusato di stupro e omicidio per un enorme equivoco giudiziario. Che, in attesa di giudizio, si mangia la schifosa merda più merdosamente vomitevole. Alla fine viene assolto, dopo che in quel carcere ha visto pedofili farsi fare pompini da ragazzini, uccisioni a mani nude, gente arsa viva, e chi più ne ha più ne metta.

E dire che John Turturro l’aveva capito subito che era solo un timidone…

Libero! Libertà! E infatti sta in riva al fiume Hudson completamente destrutturato.

Ma sì, andiamo al cinema, danno Han Solo: A Star Wars Story.

FORZA, coraggio!The Night Of

 

 

di Stefano Falotico

Il masochista di Shutter Island contro chi ama City of Angels con Cage & Ryan


19 Sep

 

ASHECLIFFE

Da an(n)i irredenti, “ridentissimi”, (insalva)bile, detengo lo scettro di “matto” per eccellenza. La gente mi teme, sono il più “pericoloso”, sì, mentre gli altri s’ubriacano di fighe, pizze, pizzicotti e (ri)cotte, io, “violento”, mi sparo “solo” la sega d’essere un investigatore. Delle mie indagini ho narrato nel libro “Cuore angelico, tenere tenebre sanguigne” (se lo compraste, uscirei dal “manicomi-c-o”), mia rielaborazione sui generis di Angel Heart, per una storia che assomiglia a questo corridoio della paura di natura scorsesiana. Sono uno scrittore alla Torrance, Shining… il mattino ha l’oro in bocca e non sfamerò bocche né di figli né di (s)figa, “elevandolo”, no, innalzando la mia vita a totale menefreghismo e fottuta presa per il culo alla Giuliano Ferrara e anche alla Abel di The Addiction. Leggendo quanto segue, capirete il perché del mio atteggiamento nei confronti della società del “cazzo”.

Sì, “vampirizzo” (ca)risma in me sorvolante placida pazzia di cieli infiammati del mio egoismo, sempre meglio che essere un solipsista. Ad esempio, cercate sul (WCnet, le opinioni “cinematografiche” d’uno “laureato” in “Scienze della Comunicazione” che si spaccia per “giornalista”. Ha intitolato il suo ultimo post così: “I veri attori, eccetera”.

Egli, sì, che è “acculturato” e “direttore-ritto” d’avermi alla “schizofrenia” ridotto.

Sì, come il mio alter ego Andrew Laeddis, dopo che infamò la mia sessualità, dopo che mi calunniò, dopo che barbaramente invase la mia privacy dell’anima, io mi ribellai e gli minacciai di bruciargli la cas(s)a.

Fui fermato e mi diedero l’infermità mentale, quattro mesi di ricovero psichiatrico e sei mesi in una struttura di “recupero”, con l’accusa che m’ero inventato tutto e me l’ero presa, “senza motivo”, con un perfetto “estraneo”, “san(t)o”. Insomma, “diagnosi” di deliro paranoide e sdoppiamento di personalità.

Ci fu un processo e il farabutto, sebbene non confessò tutta la verità, cioè che era lui a volermi ardere vivo, perché “semplicemente”, come fanno i nazisti, mal sopportava la mia “bella” fig(ur)a, fui scagionato e reso “libero”, con l’aggravante non da poco di mesi e anni devastati.

Al che, m’incazzai e su uno dei suoi siti “cinematografici” scaricai la mia rabbia.

Adesso, m’ha denunciato per stalking. Ma “lui” è uomo di “dignità!”.

Insomma, oltre al danno la beffa, perché rischio che m’internino di nuovo a “Shutter Island”.

La cosa-Casa horror della storia che avete letto è questa: il film era pura invenzione tratta da un libro di fantasia, la mia storia è “reale”, così tanto che nessun produttore vuole investire su una dura (tras)posizione, perché nessuno gli darebbe credito. Anche il mio avvocato sta mollando la presa.
E che c’entra City of Angels? Insomma, io sono l’autore de “Il cavaliere di Parigi”, altro libro monumentale in vendita nelle migliori librerie ma poco comprato, lui è uno che adora questo Nic Cage che, melenso e scimunito, “ama” la sua Meg Ryan.

Ognuno, in fondo, ha la scem(enz)a che si merita e che lei si “marita”.

(Im)morale della storia: i matti vivono “felici e contenti”, i sani di mente, che scrivono libri, hanno in corso giudiziarie vertenze.

Tutto ciò è “normale”.

 

 

di Stefano Falotico

Genius-Pop

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