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Mickey Rourke non smentisce la sua triste fama/e da Joe “Crazy” Gallo del suo Irishman mancato e attacca Bob De Niro, definendolo una femminuccia, idolo “wrestler” impavido


20 Jul

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rourke postEbbene, Mickey Rourke, dopo essere andato l’anno scorso dalla d’Urso, abbassandosi le brache nel piangersi addosso coi catenoni d’oro e, malgrado tutto, il conto in banca di Rockefeller, dopo aver elemosinato compassione e forse chiedendo anche, dietro il camerino, di poter incontrare privatamente Gabriella Pession al fine di ravvivare le sue passioni sopite da Mr. Orchidea selvaggia, dopo essersi mostrato nudo e crudo, soprattutto prostituito più di Rocco Siffredi nel suddetto scult di Zalman King ove, oltre a improvvisarsi semi-pornoattore da quattro soldi, conobbe la sua ex fiamma storica, Carré Otis, donna per la quale s’amputò perfino un dito quando lei, dopo mille tira e molla, finalmente gliene mollò tante sulla sua faccia già rifatta, rinfacciandogli di essere diventato solo un puttaniere come Don Johnson (d’altronde, suo lercio “partner” in Harley Davidson & Marlboro Man, di mio preferisco fumare solo le Chesterfield), ecco, dopo aver rifiutato, con sfacciataggine immonda e strafottenza da bisonte unto e bisunto, tanti anni fa, il ruolo di Stuntman Mike in Death Proof di Quentin Tarantino (ruolo, come sappiamo, andato poi a Kurt Russell), dopo aver chiesto scusa anche a Robert Rodriguez per questo suo ignobile affronto, domandandogli umilmente perdono e prostrandosi per riceverne l’assoluzione, quindi sfigurandosi in Marv per il superbo Sin City, film nel quale comunque sfoderò una classe attoriale, malgrado il trucco aberrante da lui esibito, da magnifico figurone, ecco, dopo essere stato a letto con le più grandi figone, qualche sera fa se n’uscì, sul suo profilo ufficiale Instagram (seguito perlopiù, per l’appunto, dalle sue ex andate più di lui a puttane, oramai illanguiditesi nel penoso rivederlo nelle più provocanti foto migliori di scena, forse anche di slacciata cerniera, tratte da 9 settimane e ½ , pellicola in cui appare come un mezzo incrocio fra un interprete di film per adulti di origini canadesi e un fighetto del Liceo Classico Galvani di Bologna), ecco… dicevo… Mickey la fece fuori dal vasetto. Sparando a zero su Bob De Niro. Rinnegando ancora una volta Satana, cioè Louis Cyphre di Angel Heart e poi facendo, come si suol dire e per l’appunto, l’innocente angioletto.

Definendo De Niro un bugiardo e un mitomane.

Dandogli la patente di crybaby, cioè piagnucolone e checca isterica, alzandogli metaforicamente il dito medio e augurandogli il peggior male possibile.

Mickey è definitivamente un genio.

Un uomo il quale, checché se ne dica, iniziò la sua carriera in modo serissimo. Dopo aver frequentato l’Actor’s Studio, difatti incontrò presto Michael Cimino e, dopo il cammeo ne I cancelli del cielo, tirò fuori una performance da urlo ne L’anno del dragone. Capolavoro “rovinato” soltanto dal parrucchiere di Rourke. Il quale, sebbene gli donò un taglio di capelli meraviglioso, per alcune scene gli tinse il bulbo, per altre invece se ne dimenticò del tutto. Cosicché, Stanley White/Rourke appar(v)e inspiegabilmente brizzolato in un frame e, tre secondi dopo, corvino. Poiché, come sapete, le micro-scene della stessa scena vengono spesso girare in tempi differenti per esigenze di tempistica, diciamo, per motivi logistici.

Rourke, in Homeboy, recita meglio di Marlon Brando pur non recitando affatto. Semplicemente inscenando il suo freak vivente e carismaticamente deambulante da sciancato col fascino del disadattato cazzuto che si piega ma non si spezza. Poi, senz’ombra di dubbio alcuno, non abbisognava di recitare. Bastava che lo inquadrassero, di primissimo piano, e coi suoi occhi languidi e al contempo incandescenti, eh già, richiamava immantinente in sala migliaia di donne che, pur di vederlo anche da dietro un grande schermo, avevano già prenotato due settimane di sauna per essiccare la diga incontenibile da lui provocata loro. Sapete dove…

Oggi, queste donne, malgrado la menopausa, rivedono il Mickey giovane semplicemente in sala.

Che fra Rourke e De Niro non sia mai corso buon sangue, si sapeva. Sul set di Angel Heart, pare infatti che Rourke e De Niro litigassero, perlomeno non si sopportassero.

Dunque, di tanto in tanto, Rourke inventa balle per richiamare l’attenzione su di sé.

Continua a menarla da mesi con la storia secondo cui Scorsese lo contattò per affidargli una parte importantissima in The Irishman. Ma, dopo che Scorsese si consultò con De Niro, il quale per l’appunto odia Rourke, Rourke rimase disoccupato, altresì nuovamente sputtanato come attore inaffidabile.

Ecco, io vorrei sapere… ma se The Irishman è incentrato quasi esclusivamente su tre attori e i loro relativi characters, (De Niro, Pacino e Pesci), quale parte così fantomaticamente rilevante avrebbe dovuto avere Mickey?

Quella del Johnny il bello della situazione? Vale a dire quella andata a Sebastian Maniscalco di Joe Gallo?

Premesso che Mickey dovrebbe, oggi come oggi, guardarsi allo specchio e prendere consapevolezza che, oltre a essere molto più vecchio del Maniscalco, le sue chirurgie facciali non hanno sortito lo stesso effetto del grande film di Walter Hill appena succitato, il caro Rourke abbisognerebbe esattamente di De Niro stesso nei panni di Frank Sheeran.

Che dovrebbe andare a trovarlo in un locale notturno di Beverly Hills e suonargliele come Sylvester Stallone de La vendetta di Carter.

Mickey, che cazzo fai? Alla tua età, ancora puttaneggi e a tutto spiano sputtani?

Dammi retta, Mickey. Recati dal fratello di Stallone di Barfly e ordina un Amaro Averna.

Sì, dopo decenni da te trascorsi nel gusto pieno della figa, no, della vita, mi sa che stavolta per te è davvero finita.

Invita al bar anche Jack Nicholson, oramai affetto da fortissima demenza senile, per cantare assieme a lui appassionatamente:

miserere, miseri noi, però brindiamo a Zucchero Fornaciari!

Ora, a parte gli scherzi, Mickey Rourke è un grande. Anche Sugar.

A Pavarotti, invece, ho sempre preferito un panzerotto. Da ordinare soprattutto a Ferrandina, cittadina di amari lucani ove, per rabbia e disagi sociali incommensurabili, la gente deve reinventarsi e può darsi che, fra mille cassaintegrati, nasca uno più bravo di Rourke di
Francesco
.

Intanto, Mickey è stato querelato da De Niro e ha rimosso tutto.

di Stefano Falotico

Leo Gullotta doppia Joe Pesci in THE IRISHMAN: ogni volta che vado a Roma, divento Mio cugino Vincenzo


29 Oct

vincenzo pesci tomei

Sì, sarà Leo Gullotta a doppiare Joe Pesci in The Irishman.

Se possedete Netflix, potete già gustarvi il doppiaggio di Gullotta nel trailer. Su YouTube ancora non vi è!

Ora, il doppiatore storico di Joe Pesci è stato Manlio De Angelis. Peccato che Manlio sia morto nel 2017.

Negli ultimi anni, non c’è stato bisogno di doppiare Joe. Dato che s’era semi-ritirato.

Facciamo però chiarezza. Pesci è stato doppiato in Toro scatenato da Piero Tiberi, no, non da Tiberio Timperi. Questo doppia solo Francesca Fialdini. Eccome se fa la doppietta.

Lei invece fa un po’ la tr… tta e allora Tiberio con lei non va più a cenare in trattoria.

Francesco Alò invece, stroncando l’interpretazione di De Niro e il film di Scorsese, ha detto che il personaggio di Robert va avanti nel film come un trattore.

Ma torniamo a Leo. No, non DiCaprio. Sebbene Scorsese e DiCaprio, secondo me, si amano segretamente.

Gullotta doppiò Joe anche in C’era una volta in AmericaMoonwalker e Mio cugino Vincenzo.

Ecco, io ho visto The Irishman al Festival di Roma. Ma non ho voluto saperne d’imbucarmi alle feste.

Sono come Rust Cohle/Matthew McConaughey. Ove sento puzza di bruciato, cioè di porcume e troiai, divento nichilista e m’ottenebro nella malinconia. I carnai, la frivolezza, le carnascialesche dolcezze mi ripugnano, mi repellono e le odio senza malincuore.

Scorsese è sempre stato scisso fra due poli agli antipodi, ovvero i preti e i gangster. Non uso il plurale di gangsters perché voglio italianizzare. Sì, lo stesso Scorsese ha più e più volte ribadito che, se non si fosse realizzato come regista, avrebbe purtroppo optato, giocoforza, per queste due scelte. Lo “auto-biografizza” anche Jack Nicholson nell’incipit di The Departed.

Scorsese, difatti, entrò in seminario e, se non avesse avuto voglia d’incontrare una donna, semmai per inseminarla, oggi probabilmente sarebbe in un monastero alla Silence oppure dietro le sbarre. Poiché i criminali, prima o poi, la pagano.

Roma è piena di zoccole.

Per dirla alla Pesci di Casinò, ce ne sono un fottio. Ah, pensano solo a (s)fottere, tutte incipriate e, per l’appunto, in tiro. Rifatte, strafatte, a volte strafighe, non lo metto in dubbio ma spesso e volentieri sono solo delle sfigate in cerca dei flash dei paparazzi per essere immortalate come imbalsamate per quattro voyeur rimbambiti.

Gente oramai andata, fottuta completamente. Che s’illude di essere felice solo perché ha i soldi in banca. Poveretti. Gente che col Cinema non ha niente a che vedere ed è infatti meglio che ne stia lontana e non lo veda. Persone che non hanno pathos nell’anima, hanno esistenze piatte. Monotematiche, monolitiche. Fatte, per l’appunto, solamente di soldi a palate rifilati per corrompere qualcuna che non sia suora ma a loro su(p)ina di rosolata, elargita patatina.

Come no? Roma è il cul(t)o per eccellenza di questo puttanaio. Starlette perfino con brutte tette che scosciano in passerella quando non sono belle passere ma hanno solamente la tessera d’accreditate poiché l’unico credit da loro esibito è averla registrata come Belén Rodríguez.

Sì, l’unico film di successo della Belena è stato il suo porno casareccio d’impuro sesso.

Per il resto, piattume totale, encefalogramma d’ameba, cosce d’indubbia, ottima fattura ma, stringi stringi, Belena vuole solo la confettura. Eh, diciamocela, porca puttana.

Senza peli sulla lingua. A proposito, nel suo porno non si vede se sia pelosa sull’inguine.

Sì, Belena non mangia le linguine allo scoglio poiché deve mantenersi in linea… coi canoni non della Rai ma di Mediaset.

Natale in Sudafrica! Eh sì, se l’è sudata questa sudamericana a botte di darla in maniera extralarge su body servito all’uomo accalorato-medio italiano che la deve chiedere sempre.

No, non sono un moralista. Sono pieno di porno in casa. Ma almeno sono porno veri. Non sono film con attrici che vogliono prendere da tutte le parti. Sono almeno attrici deliziose nel prenderlo dappertutto senza remissione dei peccati.

In Italia invece molte donne vogliono la vita moralmente rispettabile da Tú sí que vales per fare pure le brave bambine in Don Matteo.

Incredibile! Qui ci vorrebbe il grande Terence Hill dei bei tempi, ovvero de Lo chiamavano trinità. A queste sberle vanno dati solo calci in culo.

No, io ogni mattina, prima d’approdare all’Auditorium, andavo alla caffetteria Briò Bistrot, ubicata in Piazza Apollodoro.

Praticamente, ho stazionato più lì che in albergo. Ho scolato cinquemila caffè, osservando stomachevoli coppiette sposate intente a litigare fra un primo e l’altro disgustoso, giovani intraprendenti cinefili impegnati a scambiarsi opinioni da ignoranti, sedicenti intellettuali soltanto sedicenni e critici capaci di esegesi magnifiche ma inetti perfino a ordinare un dessert.

Sì, persone che conoscono a memoria tutti i film di Scorsese ma scambiano il ketchup per la maionese e un cappuccino schiumoso con la crème de la crème delle persone che leccano pur di guadagnare 3 Euro in più, cioè gente che a loro volta fa venire la diarrea più di un quintale di profiterole.

Approfittatori!

Sì, sono di Bologna ove le lasagne vanno forti. Ma volevo assaggiarle a Roma. Superbe, con una besciamella che non abbisogna della profilassi per saziarti.

Come dico io, l’appetito vien mangiando. Chi ha i soldi ne vuole fare di più per farsene di più.

Di mio, non ho molta fame. Ma le lasagne mi piacciono. A te invece, donna bagascia, non piace quella cosa altrettanto bianca e densa che ingoi, ti schifa ma lo fai perché lui possa pagarti la cena.

Ah ah.

Poi, durante un pomeriggio super noioso, mi son incamminato per tutta via Flaminio, fermandomi al Caffè dei Carracci.

Sì, avevo finito le sigarette e questo bar è fra l’altro l’unica tabaccheria in zona.

Proprio mentre stavo per entrare, ho avvistato una faccia che, parafrasando Totò, non m’era nuova.

– Davide?

– Sì, chi sei?

– Sono Stefano.

– Stefano Falotico, certo. Abbiamo pure scritto assieme questo libro, Nel neo(n) delle nostre avventure (per caso c’è l’allusione al neo di De Niro? No…).

– Non mi hai riconosciuto?

– All’inizio, no, sinceramente.

 

Onestamente, nonostante parliamo da anni su Facebook in chat, non ci siamo mai visti dal vivo.

Ah ah. Questa è splendida.

– Davide, che ci fai qui? Siamo lontani dall’Auditorium.

– Sono venuto qui per comprare le sigarette della Marlboro. È l’unica tabaccheria della zona. Tu, invece, come mai qua?

– Sono venuto a comprare le sigarette della Chesterfield.

 

Ah, su Roma avrei da raccontarvene tante.

Tanti anni fa, un tizio, il quale su FilmTv.it si faceva chiamare Ragiontravolta, m’invitò a una festa assieme a una di nome Cristina.

Tale Cristina all’epoca era presa da me. Credeva che fossi un grande talento letterario.

Mi propose un favore sessuale. Sì, se mi fossi accoppiato con lei, mi avrebbe raccomandato per la Guanda.

La mandai a farselo dare nel culo. Preferisco rimanere un panda. Sì, sono un essere in via d’estinzione. Lei mi rispose che dovevo crescere e io le ribadii che non doveva rompere le palle.

Al che, partirono pettegolezzi, notti d’imbrogli e sotterfugi. Lei in combutta col Ragion a farmi scherzetti, a telefonare a una tipa, dicendo che c’eravamo incontrati e che io ero stato a letto con lei.

– Non è vero.

– Le dico che è vero. Come fai a smentirmi? Ho la foto di noi assieme.

– Non dimostra nulla quella foto. A chi la mandi?

– A lei.

– Non ci provare.

– Non sei venuto con me e ora ti rovino la vita.

 

Sta qui era pure in confidenza virtuale con un pazzo purtroppo di mia conoscenza. Che la invogliava a deridermi. Della serie scema e più scemo.

Quello che Alò non ha capito è questo. Afferma che non ci si possa affezionare a Frank Sheeran.

Perché è un uomo inutile… Però la scena in cui ammazza Joe Gallo è terrificante.

Di mio, l’altra sera son stato al Gallo Garage. Ho anche il ciuffo di banana.

di Stefano Falotico

gallo garage

Ebbi il presentimento e il sentore istintivo che The Irishman sarebbe stato il mio ultimo film definitivo, posso darvi ora l’addio, alla prossima s-figa


22 Oct

Anna+Paquin+Flack+UKTV+Premiere+Red+Carpet+SQe6nYkAZK0lFrase epica: di cento cose che dico, novantanove sono vere, solo una è falsa ma non mi ricordo nemmeno io quale.

Sì, ho completato il patto stipulato con me stesso anni or sono quando annunciai che, a visione terminata di The Irishman, quando tale opera magna fu ancora in fase d’iniziazione, ancora prima che si parlasse di pre-produzione, pochi minuti dopo aver letto la notizia su Variety in mento alla sua futura lavorazione, avrei posto fine alla mia vita.

Dopo aver visionato tale pellicola mastodontica, dopo un’attesa interminabile durata in modo spropositato, dopo aver assistito all’infinito scandirsi dei titoli di coda, dopo esser rincasato a Bologna post mio viaggio a Roma, dopo aver allestito un’epica, epocale, magniloquente recensione, giunto che son ora nella mia umile dimora, nuovamente asfissiato dall’autunnale incedere inesorabile della mia melanconia incurabile, asserisco testé e ivi che la mia esistenza non ha molto più senso ancor d’inoltrarsi e avanzare.

Mi pare logico e obiettivamente realistico abbandonare ogni utopistica illusione e far sì che la morte possa bussare presto alla mia porta. Le offrirò un dolce caffè e poi scivolerò via, scremato lievemente fra le mie essiccate labbra screpolate nei sepolcri della mia vita solo trasognata e mai davvero lambita, mai veramente voluta e ambita, probabilmente soltanto non capita, per crepare come un bacio di morbida panna nella calda cioccolata del mio squagliarmi lontano da ogni ansia zuccherata. Vivamente mi cremerò nell’estasi della perpetua dissoluzione senza chiedervi omaggianti, retoriche assoluzioni.

Poiché già patii una resilienza immane atta solamente a scagionarmi, in questo decennio abbondante, da vili e spregevoli, malvagie infamie proterve e stupidamente arroganti.

Dunque, dopo essermi inutilmente giustificato dinanzi ai più burocratici, frettolosamente e scandalosamente organi preposti alla valutazione psicofisica della mia interiorità morale, inviolabilmente sacra e mortale, dopo essermi vanamente sbudellato e scorticato le interiora al fine soltanto d’attestare la mia giammai contraffatta integrità a degli animali sesquipedali, affermo che è un mondo affetto da mentale, irreversibile infermità. Cosicché, dirimpetto a una mostruosità disumana dalle proporzioni spaventose forse maggiori del budget enormemente dispendioso di The Irishman, parimenti a questa titanica e indimenticabile, insuperabilmente sopraffina prova artistica improba e impari, decreto catacombale di tale iper-sintetica, poetica silloge la mia devastante dipartita monumentale. Oserei dire cimiteriale.

Ah, per forza. Una volta morto, tu speri davvero di ascendere al paradiso? Stai fresco.

Sì, sottoterra stai freschissimo. È caldo d’inverno e freddissimo d’estate. Stai di un bene…

Senza battere ciglio. Sono stanco delle incitazioni superflue e sdolcinate attuatemi affinché possa fingere di essere felice e di mischiarmi alla baldoria euforica d’un mondo che, dalla nascita, dannatamente non m’appartiene né mai allineato sarà al mio spirito metafisico super raffinato. Puniamola, pugnaliamola, no poniamola così, ah ah. Altrimenti, se dovessi essere obiettivo, mi dovrei suicidare e basta. Ah ah.

Questo è uno scritto di puro afflato sebbene mi senta molto affaticato.

So che posso indurvi a ridere, perfino a deridermi nell’esternare con indubbia fierezza ciò che potrebbe apparire come strafottente, ilare irriverenza o come un’antipatica posa figlia d’un mio momento imbarazzante d’assurda deficienza.

Sì, quando opto per uno stato deficiente, sono un uomo splendente, autentico. Quando invece voglio omologarmi alla contemporanea imbecillità corrente, in quei momenti assumo espressioni innaturali come se stessi fremente cagando la diarrea più puzzolente.

No, mi viene facile essere un uomo ostico, assai difficile. Mi riesce pressoché impossibile ballare e ridere come tutti. Poiché alle scimmie preferisco la solitudine coi miei salati arachidi.

A nulla mi servì la scienza. La psichiatria di fronte a un granitico macigno indissolubile come me, in quanto convinto assolutamente che questa terra a me non s’addica e mi dica da tempo immemorabile e assai spettrale un bel niente, s’arrese esterrefatta e disfatta!

Completamente putrefatta, sconfitta grazie alle fitte che le riservai coi miei metaforici pugni allo stomaco.

Costernata e perfino vilipesa, oltraggiosamente affrontata dal mio genio stupefacente che sfatò e sfondò ogni teoria cretinamente partorita da Freud il malato. Uno che non possedette certamente una bella mente a voler enucleare le psiche altrui quando invero avrebbe dovuto copulare con la sua anima connaturatamente irredenta. Irridendo a stretti denti la sua boria penosamente, sorridentemente vergognosa ed esecrabile nel ridente essersi presa gioco di me con tale orripilante strafottenza.

Poiché chi ardì solamente a voler studiare i meandrici cunicoli della nostra inconscia, ermetica, criptica e perciò non decriptabile sofisticatezza, meriterebbe il manicomio eternamente. Nel suo folle delirio da onnipotente, elevatosi per l’appunto a dio giudicante quest’umanità derelitta e spregiudicatamente, irrimediabilmente violenta anche solo psicologicamente, commise il madornale orrore d’un tragico, insalvabile e insanabile pregiudizio che, in realtà, avrebbe dovuto applicare alla limitatezza della sua ridicola demenza.

Avrebbe dovuto effettuare a danno della sua inconsapevole pochezza, per l’appunto nei riguardi della sua incoscienza, nei confronti della sua presunzione farneticante e immonda, tale abominevole stoltezza.

Vomitante solamente la tristizia della sua boriosità tremenda.

Mi sento come Frank Sheeran, un uomo materico che non soffrì sensi di colpa né ebbe da confessare a chicchessia, tantomeno a un ipocrita uomo di chiesa, la durezza della sua spericolatezza e della sua insopprimibile, folle fermezza.

Visse senza sapere di vivere, camminando strisciante come un fantasma della notte. Aleggiando macabro nel nitore dei suoi estemporanei ardori, dei suoi brillanti seppur rari fulgori.

Vedendo attorno a lui dei fantocci di cartapesta, dei moralisti senza ritegno che, semmai, quando non impauriti dalla sua cupa, ombrosa e lombrosiana grandezza, gli consigliarono solo di redimersi e di mostrarsi al prossimo con più contegno. Quella che, falsamente, denominarono come dignità.

Sì, la dignità di coprirsi dietro un lavoretto per celare tutte le magagne dei loro nascosti magnaccioni. Mannaggia!

Evviva chi s’arrangia e non è mai contento in quanto non è un frivolo uomo di panza.

Ma quale tornare indietro? Ma che state dicendo? Non vi penso nemmeno a infatuarmi di un’altra puttanella. Perderò la testa per lei ma anche i testicoli. Poiché, dopo avermi sedotto e concupito, dopo avermi svuotato le palle e soprattutto il portafogli, m’evirerà come quella bagascia che, tanti an(n)i fa, per mia disgrazia conobbi. Una tale Elvira, baldracca che si spacciò per direttrice d’azienda. So io invece, eccome se lo so, di cosa fu rettrice. Donna poco retta ma comunque amò pigliarlo tutto ritto nel suo ottimo retto.

Sì, pappammo assieme un filetto e poi degustammo una saporita cotoletta. Quindi, ci sparammo un filmetto e lei si ficcò tutto il mio pisello dal notevole infilarglielo come un rastrello, leccandosi pure i baffi con tanto di lamento.

Ma quale amore di questo par de palle. Semmai prendo una cotta per innamorarmi di una con cui mettere al mondo Anna Paquin. Attrice che, dalla faccia, è più stronza del padre.

Infatti, secondo me, tra lei e Hoffa ci fu una sessuale truffa che Gesù avrebbe svelato, scoprendo gli imbrogli d’una insindacabile scopata che non viene riportata nel film di Scorsese né ufficializzata da nessun atto depositato alla cronistoria degli autotrasportatori ma che io so che avvenne poiché Pacino, con duri colpi di bacino, riempì il suo vuoto pneumatico, sgommando anche d’amplesso furioso sulle sue curve mozzafiato da divetta di Hollywood.

Poiché sono The Irishman, l’uomo più cattivo di tutti. Un lupo solitario dallo sguardo di ghiaccio.

No, quello fu Iceman, il signor Richard Kuklinski.

Uno che, arrivato all’età della cosiddetta maturità, non ebbe più il tempo di farsi le seghe su Valérie Kaprisky.

Al che, prima la buttò in vacca come Charles Bukowski ma poi capì che Bukowski non lo caga nessuno perché tutti i ritardati odierni amano i selfie e leccarsi il culo.

Arriveranno all’età di Frank Sheeran col rimpianto di non aver davvero fatto quel cazzo che vollero ma, improntati al buonismo più fariseo, dopo essersi scambiati baci di Giuda similmente ad Al Pacino nei confronti di John Cazale de Il padrino – Parte II, non più avranno il coraggio di mentire a sé stessi e null’altro nelle loro anime vi sarà se non la magra consolazione d’una esistenza da figli di troia.

Di mio, non ho da scusarmi né ricuso le ripugnanti, immisericordiose patologie attribuitemi. Poiché figlie del vostro mondo che, come detto, non è il mio.

E ne sono felice d’estrema unzione ad averlo (s)macchiato con furente passione.

Sentite condoglianze da parte di un uomo forse sfortunato, forse fortunatamente mai nato. Dunque, ancor prima di nascere e morire, ammainatosi.

Su questa stronzata vi auguro una felice notte.

Ci sentiamo domani.

Se devo dirla tutta, The Irishman è un film magnifico.

E la scena in cui De Niro, a tarda sera, entra nel locale in cui v’è quel bastardo di Joe Gallo e lo ammazza a sangue freddo, cazzo, vale un’erezione superiore a quella che potresti avere quando vedi Holly Hunter, madre di Anna Paquin in Lezioni di piano, superbamente ignuda.

Ora capisco perché ad Harvey Keitel danno sempre la parte della merda. Non si riprese dalla figona di Holly. Una che, nel succitato film di Jane Campion, interpreta la parte di una muta ma che riesce a parlare a ogni uccello meglio di tante laureate. Da cui il famoso detto: sì, quella donna è molto colta ma, stringi stringi, non serve a un cazzo.

In The Irishman vi sono quasi solo uomini. Ora però Paolo Mereghetti deve spiegarmi perché C’era una volta in America lo reputa un film misogino mentre The Irishman… no. In The Irishman v’è solamente e molto sola Anna Paquin, figlia viscida di De Niro avuta da un matrimonio con una donna che lui disprezzò. Io so la verità, Paolo scrive recensioni a seconda di come gli tira.

Ecco, Anna Paquin è la classica femmina che non sai se è figa o racchia. Ma un’inchiappettata liscia ci sta a prescindere. Ma sì, fottetevene. Pensate alla salute. Ora vi saluto.

La vita comincia a farsi dura e non la vedo benissimo. No, non ne vedo molte ma so come uscirne.

Non è difficile. Basta che lei ti dica: levati dai coglioni.

Ah ah.

Ricordate: non fate i galli come Joe.

 

di Stefano Falotico

the irishman

Genius-Pop

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