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Bringing Out the Dead, il migliore Scorsese degli ultimi vent’anni, finalmente ce l’ho in dvd, che società era?


24 Apr
 
Film misterioso, fallimentare dal punto di vista commerciale, film che alla sua uscita videro in tre gatti, Al di là della vita, titolo enormemente sbagliato appioppatogli in maniera new age soltanto perché, appunto, viviamo in Italia e inserire la parola morto in un titolo, in questo popolo di arretrate persone scaramantiche, l’avrebbe sin dapprincipio precluso dai buoni incassi. Che comunque non sono arrivati in nessuna parte del mondo. Essendo stato, Al di là della vita, un flop colossale.Per fortuna che, a parte i soldi spesi per un paio di pirotecnici effetti speciali della Industrial Light & Magic, il budget fu risicato. No, non è un colossal o kolossal che dir si voglia.

Una catastrofe al box office. Un film pressoché mai citato da nessuno quando si parla di Scorsese. Tant’è vero che non ne esiste a tutt’oggi l’edizione in home video sul mercato italiano. Prima c’era ma, visto che non vendeva neppure il dvd, anzi, visto che in pochissimi l’hanno visto e vogliono vederlo, non esistono ora più copie in circolazione audio-visive di questa pellicola. Scandalo da The Last Temptation of Christ!

L’altro giorno, mi sono comprato l’edizione inglese di questo straordinario film. Che possiede la traccia audio nella nostra lingua. Ma è pur sempre un dvd. Il Blu-ray non c’è praticamente da nessuna parte.

Esiste invece ancora chi, sulle insegne stradali, scrive dio c’è?

No, questa scritta, un tempo messa anche sulle panchine dei parchi, non so se a Central Park, ah ah, serviva per identificare i luoghi di spaccio. Ove i pusher, segretamente, rifornivano i loro clienti.

Non lo sapevate? Ora, lo sapete. Vi ho svelato l’arcano ermetico.

Mi ricordo, or che le mie memorie, ottenebrate da offuscamenti farmacologi inutili, sguinzagliate dopo le coatte compressioni tremende, son ritornate nella superficie neuronale dei miei più vitali spasmi, sì, mi ricordo di quando lo vidi al cinema, qui a Bologna, città probabilmente più tetra e mortifera della New York descritta da Martin Scorsese, appunto, in questo suo ultimo grande film incendiario ed emozionatissimo. Al primo spettacolo delle tre pomeridiane. Non vi era anima viva in sala. Tranne me e due lerci che si sbaciucchiavano a manetta. Più dell’incipit frenetico a luci purpuree di questo capolavoro purissimo.

Immerso in una livida New York spaventosa. Prima della rifondazione fascista effettuata dal braccio ferreo del terribile Rudolph Giuliani. Che ripulì le strade dai barboni e dalla feccia. Rendendo Hell’s Kitchen una bomboniera. Sì, a livello superficiale. Perché la metropolitana fauna alla Taxi Driver, di cui questo film è una sorta di continuazione ideale, infatti Paul Schrader n’è ancora sceneggiatore, esiste ed esisterà sempre, sebbene sia stata addolcita e sepolta sotto un cumulo di apparenti levigatezze forse ancor più funeree nella loro ipocrita patina dolciastra.

Da allora, Scorsese ha girato solo film mediocri. Io ho le mie riserve anche su Silence.

Sì, non sto bestemmiando. Io sono un patito di Scorsese. Nel senso di amante sfegatato del suo Cinema cupo, veritiero, privo di quelle melense retoriche che invece, oggigiorno, par che tanto allettino quest’imbellettamento di massa e un mondo nel quale io non più tanto mi riconosco.

In Italia poi, lasciamo stare. Roba da Cinema pietistico. Vedo gente di cinquant’anni regredita alla prima adolescenza che si scatta selfie più patetici di Mick Jagger. E vedo settantenni che, essendo arrivati alla pensione, si crocifiggono, ascoltando J-Ax in un tripudio anacronistico teribile con una sola r romanesca, come direbbe Carlo Verdone. Ah ah.

Anche se in quel periodo venivo considerato un patibolare sfigato, il mio Falotico era proprio sintomatico.

Che società era quella di allora? Da poco tempo erano approdati i primi pc degni di nota. E, per vedere integralmente in anteprima, appunto su Internet, il primo trailer di questo film targato Paramount Pictures, dovevi aspettare circa mezz’ora. Affinché il caricamento su QuickTime fosse arrivato alla fine.

Non vi era l’ADSL, la connessione era lentissima. E non era come oggi. Oggi sappiamo tutto di un film ancor prima che inizino a girarlo. All’epoca, nonostante il film fosse totalmente completato, al massimo potevi vedere qualche immagine di scena appiccicata in riviste internazionali come Studio o Premiere magazine.

Neppure Ciak infilava più di due/tre images al suo interno, essendo questo un film ostico poco adatto a una rivista patinata.

Io non sono mai stato di questo mondo, forse come Edgar Allan Poe. Poeta del mesmerismo, maestro estroso e nerissimo della trascendenza più metafisica. Ancora oggi, nonostante le mille esperienze accumulate nella mia strana e lunatica vita stramba, non mi si può definire una persona gioviale.

Sono molto spiritoso, oserei dire spiritato. Fantasmatico come la ragazza morta e semi-resuscitata nel film.

Appaio, scompaio, danzo al plenilunio e considero Lullaby dei The Cure, diciamocelo, un’emerita stronzata.

Vivo senz’infanzia, senz’adolescenza, senz’infamia e senza lode. No, che me ne faccio delle lodi se son solo effimere glorie? Meglio Gloria, donna gloriosa e anche molto golosa. Ah, ha sempre fame…

Sono giovanissimo adesso e fra tre minuti vecchissimo. In un interminabile continuum spazio-tempo pieno d’intemperie esistenziali, di precipitazioni umorali più grandinanti e forse gravi di un lurido temporale, perennemente angosciato da una luce del giorno crepuscolare e opalescente. Poi son di nuovo vividamente fluorescente come la fotografia di Robert Richardson. Con traslucidi battiti di mie ciglia pittate a mo’ di pagliaccio sciocco, incastonate nel mio cuore asmatico, ficcate nei miei polmoni che profumano aromatici di sigarette lisce come l’olio. Ah ah.

Arrabbiato come la musica dei Clash, melanconico come lo sguardo in ambulanza, giocoso, innamorato e simbiotico fra Nicolas Cage e Patricia Arquette.

Io non ho mai vissuto la mia epoca, essendomi già allontanato dai miei coetanei chiassosi e volgari.
Eppur vissi, vidi, vigilai, confabulai e fui io stesso una vivente favola.

Ho vissuto di attimi, di frenetici frangenti, di amori quasi mai sessualmente tangenti, di viaggi in tangenziale, di virtuose, magmatiche, liquide incandescenze, anche caratteriali, ah ah. Crateriche come la peggiore crisi isterica di Marc Anthony. Qui fa il cavallo imbizzarrito, con Jennifer Lopez è stato uno stallone e basta.

Ho incontrato nella mia vita uomini bifolchi davvero pazzi come Tom Sizemore. Ché, mentre ero assorto nelle mie riflessioni profonde, dimenandosi appunto da matti, mi battevano le mani per spronarmi a vivere da idiota. Incitandomi al porcile generale.

Ma non come nel capolavoro omonimo di Dostoevskij.

Persone ossessionate dal sesso, poco cristologiche, casinari da Chemical Brothers, impasticcati nell’anima da troppo lerciume quotidiano, ah, pacchiani imitatori del peggiore grunge.

Quindi penserete: ah, allora Eddie Vedder, con la sua musica malinconicamente rock, deve piacerti un casino.

No, mi fa schifo.

Io non esisto. Hanno provato a curarmi, a rendermi normale. Per me la parola normalità fa rima con baccano, superficialità, con scemenza e bieca carnalità, con puttanesca svendita della mia anima notturna.

Io sono immortale. Sì. Quando pensi che sia morto, ecco che esco dai sepolcri delle mie depressioni e ti dico ciao, sorseggiando lo zucchero delle mie labbra amarognole ma sincere.

E non c’è stato verso. Inutile che mi facciate i versi. Io versai sangue e mi feci il culo per scrivere da dio. Voi che fate? Ma che cinguettate? Cosa ciangottate? Che farneticate? Ma che cazzeggiate?

Sono un paramedico delle mie ossessioni, delle mie stanche ossa, del mio teschio ambulante come una rossa ambulanza sfrecciante nel fascino intermittente del suo (neo)n alla Bob De Niro.

Se tu pensi che io sia un Don Chisciotte e che dunque necessiti quanto prima di un pronto soccorso, devi prima aver letto questo.

Se pensi che mi piaccia Jennifer Connelly, adesso non più, è anoressica. Ma ricordo che impazzii quasi quando vidi il suo seno della madonna per la prima volta. Quello, sì, che fu un istante da manicomio. Le mie orbite oculari subirono disconnessioni più cataclismatiche della neuronale demenza senile mista a un semi-infarto sesquipedale.

Pur di averla come Eva, ignuda e impudica, mi sarei genuflesso a ogni afflittiva pena che dio mi avrebbe inflitto con severità impietosa. Mi avrebbe sbattuto all’inferno. E allora? Ma almeno avrei goduto del paradiso più celestiale.

Ero un fuoco. Dovevate vedermi. Il mio corpo, incendiato come questo capolavoro esplosivo, subì numerose detonazioni. Credo che, se Jennifer in quel momento, fosse stata vicino a me in quel fatale putiferio mio ormonale, avrebbe avuto solo due possibilità. O chiamare i pompieri oppure sentire davvero la furente passione vibrante di un uomo totalmente datosi e denudatosi senza remissione di peccati a colei che simboleggiava la mela di Lucifero. Altro che quel baccalà freddissimo che s’è pigliato, Paul Bettany.

Sono un personaggio eastwoodiano. Adoro Blood Work, tratto dalla novella di Michael Connelly.

Se credi che io sia schizofrenico, sì, stammi bene. Se credi questo, te lo dico io, sei insalvabile. Ti do l’estrema l’unzione. Inutile cercare di estrarti dalle tenebre e dalle lamiere della tua anima arrugginita.

Mentre in questi giorni, Nicolas Cage è impazzito del tutto, io posso oramai affermare che sono un miracolato.

È oramai visibile, conclamato. Allucinante come questo film lisergico.

Sono un Nic Cage. E anche Van Damme di Lionheart!

– Ho scommesso quello che avevo su Atilla!

– Hai fatto male…

 

Un Man on Fire.

    dio pronto soccorso  

di Stefano Falotico


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After Hours #martinscorsese #rosannaarquette #fuoriorario #griffindunne

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Stefano De Sando, un doppiatore da rivalutare, così come la mia voce del cazzo


23 Sep

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De Sando, nato a Pizzo Calabro, uomo dai denti storti che cura il suo diaframma prestando le corde vocali ad attori di livello internazionale. Come tutti sanno, è oramai da anni la voce ufficiale di De Niro e, dopo l’esordio in Mission, alternandosi a Ferruccio Amendola, prima che quest’ultimo morisse, si è oramai impossessato di Bob, con buona pace dei suoi detrattori, che sostengono che non abbia le qualità “sonore” di Ferruccio, più capace di sfumature e di toni meno crespi, duri. De Sando non ci sta e ribadisce che lui e De Niro sono una “musica” sola. E continua a doppiarlo, regalandoci “performance” calde, pastose, innestate appunto sulla sua voce roca, tosta, perfino “permalosa”, sfumata fra la meridionalità verace, aggiustata e ammorbidita dalla perfetta dizione, e “squilli di tromba” per le nostre trombette di Eustachio. Sì, il condotto che collega l’orecchio medio alla faringe. A proposito di medietà e non mediocrità, De Sando ha doppiato un’infinità di attori grandiosi e non solo famosissimi. Una voce anche caratteristica, di carattere e un po’ di catarro, per enormi caratteristi. Spesso è stato la voce anche di John Goodman, “livellando” il suo grasso in melodie cangianti della sua gola secca, “smagrita” in “pentagrammi” fatti di la, esclamazioni forti, un diapason vivente che dà gusto alla parola recitata, animata, articolata nella bocca.

Non sempre piace De Sando, ma a me sì. Specie quando nel bistrattato Sfida senza regole accent(u)a così tanto il doppiaggio da rendere De Niro, in alcuni passaggi, un vero detective del mercato ortofrutticolo, ah ah, che sbraita, “latra”, iroso s’incazza e spara “gutturalmente” cazzate immonde.

Così, in “dicotomia” con De Sando, “passo in rassegna” la mia voce, che negli ultimi anni sta riscuotendo successo. Una voce “peculiare”, ancor difettosa in alcuni punti “critici”, rilassata quando mi sveglio alla mattina con l’anima di un gallo gaio, triste e malinconica quando bevo i caffè amari delle mie disperazioni. E si fa incarnata piaggeria, rimembrante la grande bellezza di Toni Servillo.

Ma è una voce che adopero per salvarmi dal caos di massa, per chiedere altro zucchero di canna alla barista nel mio porgerle un occhiolino “ammiccante” di sonorità che possan far sì che lei mi carezzi la mano con far poco equivocante. Sì, le bariste conoscono il mio “cliente” furbastro e vengono compiaciute dalla sobria gentilezza del mio diaframmatico “respirar” loro senza bavaglino. Ah ah. Una voce che sa farsi voler bene e poi sbanda in urla glaciali, spaventando anche me stesso nei momenti in cui vorrei solo un cagnolino accompagnante il mio volpino.

Siate come De Sando, non fate i finti santi. Dio santo! Siate voci “ficcanti”.

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“Al di là della vita” – Recensione


14 Oct

Arcana “letargia” dell’anima 

Torreggiante malinconia “sapida” di “malincuore”. Deragliato in uno stato di “trance” mortifera, Frank Pierce, paramedico di New York, avvolto nei nitori “squillanti” di sirene “asfaltate” nel naufragio mesmerico a una perenne “chimera” trasparente e “traspirante” di carne sua corporea dissolta, anzi purpureamente “dileguata” e “sghemba” fra “tagli” inferti nei fotogrammi densi di “liquori” nervici, d’una sbronza febbricitante di nervi tesi, “conciliati” solo a un complesso di colpa di tormentato “corto circuito”, “sinaptico” al dolore, ai tremori, alle allucinate “sovraimpressioni” d’uno Scorsese “notturnissimo”, “circense” in un’inquadratura che “blatera” di delirio, “confabula” coi fantasmi riemersi da memorie “piangenti”, su “lieve”, detonante e “dormiente” ticchettio scandito in un Cuore che brucia selvaggio. Stupito, “impudico” nelle sue “urla” sedate dagli occhi d’un Nic Cage “invertebrato”, overacting stavolta “accor(d)ato”, appunto, alla tetra vacuità “zampillante” e disinibita d’una eterna Notte profonda, affliction nei “bruciori” delle vene, della “flebo” smarrita “diluita” dentro “sventrate” sue cangianti iridi azzurre di cieli intorpiditi dal marcio d’una città violenta, prima dell’opera di “risanamento” del sindaco Giuliani, che la “deturpò” del suo fantastico “imbizzarrirsi” anche nelle “orge” dei suoi folli, dei barboni, degli emarginati, dei “vigliacchi”, ecco… deambulanti.

“Ovatta” che, invece, sanguina… ancora più fragorosa, perché “ammutolita”.

Ove personaggi “infermieristici”, di “donchisciottesca” reminiscenza ai “mulini a vento” dell’assurdità più grottesca, “afferrano” i pazienti più “pazzi” e insanabili, appunto, su “spranghe” che ne stuprano l’innocenza, marmorea, candida, “infreddolita”, come “carta vetrata” al velo troppo “zuccheroso” di chi ha deciso d'”assopirsi” per non contrattare con Satana il proprio Faust mercificato e “prostituito” ai frivoli abbagli, alle “allodole”, ché tanto lo specchietto retrovisore, “tassista” dostoevskijano “incarnatissimo” nei sospiri mai ammortizzati dell’inquietudine più sfrenata e “out of control“, è combattiva “crocifissione” a un Mondo falso da (s)lavare senza mai sventolare bandiera bianca.

Ottusa “utopia” o salvezza?

Scorsese resuscita i morti“, i demoni e i “mostri” del tuo sonno leggero da Paul Schrader.

Sì, un Light Sleeper fra gli spacciatori dei raggi (dis)persi. Fra chi brulica e, da b(r)uco “tossico”, non evolverà mai nei livori d'”ardori” apparenti, perché non vuole.

Dalla novella “biopic” di Joe Connelly, trasposizione tutta personale ch’echeggia di Frank Sinatra, delle sue “stranezze” di night, d’un “punteruolo” ghiacciato che spacca e distrugge tutti gli “antibiotici”, che si slabbra in amori sognati, per una Patricia Arquette vitalisticamente (ir)reale che deve fuggire prima d’essere uccisa o di venire “scarnificata”.

Eccentriche solitudini della downward spiral con una colonna sonora che “esagita”, “shakera“, esaspera, di Clash “suonati”, bastardi, incazzati, di grandi pezzi storici mentre un “verme” penzola da un cornicione, s'”arrampica” nel suo “orlo” lì a precipitare e viene all’ultimo momento “preso per mano”, sui fuochi artificiali d’una splendida decadenza tutta di Martin, tutta “martire”, tutta “matta”.

Svenata Bellezza. Attimi d’antologia, di grande Cinema.

Un cast eterogeneo di caratteristi “impresentabili”. Il “placido” John Goodman, “pasciuta” placebo che “oscura” e cela i suoi casini personali, Ving Rhames mastodontico “stregone” dei suoi Voodoo (ir)religiosi, nero ectoplasma “ridicolo” da “stregone ciarlatano e “ciarliero”, Tom Sizemore più grasso del porco che combinò sua “moglie” per le feste, Marc Anthony, il latino amante che fu di Jennifer Lopez, qui “scemo” al “punto cotto”.

Robert Richarson in “cabina” macchinista di sprazzi, di alterazioni “igieniche” alle immagini, illuminate, poi a spegnere il “lumicino”, poi a colorire il viaggio.

Mary, Mary Burke è la Madonna? La locandina cristologica, “intrappolata” nel rosso che vive dei suoi incubi, “(e)spiati”, “(ri)morsi” dentro…

(Stefano Falotico)

 

 

 

 

“Trouble with the Curve”, il Trailer


08 Aug

 

 Uno scopritore di talenti del baseball (Clint Eastwood), ormai sul viale del tramonto, sta lentamente ma inesorabilmente perdendo la vista. Prima che questa sia ormai del tutto compromessa, decide di fare un viaggio fino ad Atlanta per incontrare un giovane promettente giocatore (Joe Massingill). Lo accompagna la figlia (Amy Adams), con cui i rapporti sono da tempo compromessi, ma la situazione si complicherà quando sul loro percorso incontrano un giovane talent scout rivale (Justin Timberlake). 

 

(Stefano Falotico)

Bringing Out the Dead (“Al di là della vita”) di Martin Scorsese – Recensione da “Premier(e)”.


24 Jul

Salve, mi conoscete, non necessito di presentazioni.

Son Silvio, il cavalier mascarato che spacca il culo a “tutte”.
Invincibile, “bellissimo”, di parrucchin sempre più fascista e parruccon’!.

Mi ripresenterò alle elezioni, senza macchia e senza vergogna, defenestrando tutti i miei miseri avversari e impiccandoli col mio sorriso “piccante”.

Non c’è nessuno come me.

Ma sono qui, in veste di recensore, poiché dopo innumerevoli, indicibili, inenarrabili scandaletti e zoccolettie, da “ruby-condo” e “bel gioioso”, mi han costretto a una cura riabilitativa al fin propedeutico di curar il mio “sbatterle” da “imbattibile”.

Sì, mi han incatenato ma il mio uccell è sempre più scatenato.
“Infiammato” e di oratoria “raffinata”, oral o anal, quel che importa è affettarvi, fotterle e sfilettar la Minett’!

Ma, come vi dicevo, dopo questa grande abbuffata, son seguito dall’assistenza sociale che vuol ficcarmi un po’ di sale in zucca.

Sì, son capitalista e tutte per me si “sgolano”, mentre voi ardite al “decollarmi”.

Così, per “colpa” vostra, io “tocco”, ma or mi tocca una “stronzata” che non avrei mai visto in vita mia: Al di là della vita di un “certo” Martin Scorsese.

Sì, questa gente non la sopporto. Io, che me ne sto in villa col mio “gabbiano”, devo scender in “basso” a farmi i cazzi dei paramedici e degli eroi dostoevskijani della Notte.

Ebbene, se la Legge è uguale per tutti, allora anch’io, mi “abbasserò” al suo volere.

Partiamo, or dunque.

Il film è tratto dal libro omonimo di Joe Connelly edito (o si dice “editto”, vaffanculo all’edilizia…) dalla Tropea (che sarà un’altra da ficcar in cul’!).

Questo romanzo “di merda” è la storia di uno sfigatissimo infermiere che non è riuscito a salvare la vita a una ragazzina drogata e, per tutte le due ore, ci scassa il cazzo con i suoi complessi.

Fine della recensione.

Ora, datemi quattro troie e levatemi dalle palle questa “roba”.

 

 

 

A parte gli scherzi. Pleonastico sarebbe descrivere quest’immensa opera di Scorsese, allucinazione impressionante, costruita sulla malinconia di Frank Sinatra, “squillante” nel nostro nervico, inquieto Cuore. Magmatica discesa negli inferi, nel Mondo che piange i suoi dolori e non mendica materialismo.

 

 

Signore e signori, il Maestro è tornato.
La folla, per le strade, mi omaggia, spargendo petali rosa lungo il mio cammino, e salutando l’Altissimo, fra donne impazzite d’amore che non stan più nelle mutande e uomini che me “lo” ardiscon rosicando d’una invidia come non mai

 

 

 

Per anni “penai”, perché credetti d’esser drago, invece sono Drugo


01 Dec

 

Il grande Lebowski

 

Il bowling d'”asfalti” nitidi nel drugo “rugarla”

Los Angeles, issata nelle sue luci di svenevoli neon intrisi dell’effluvio maestoso dei narratori.
Nell’intimo tepore d’un Uomo, una pigrizia d’esuberanza vivace nel grigiore di vite appassite nel loro passo “felpato” da “benestanti”.

Parassitario cerbiatto addolcito nell’anima, che vaga in un picaresco viaggio nottambulo, tra la sua identità “sovraimpressa” e immersioni nella nichilista dormienza di spettrali surrealismi, madidezza d’un white russian, candor nelle vene che la danzan assopiti in ciglia senz’accidia, su una pista ove si “balla” innalzati nel grembo del “fanciullismo”.
Forse, le memorie incastonate nel terso liquore… ché gorgoglierà sempre armonica per le tue eteree “amniosi”.

Personaggio di creatural levigatezza, immerso in sé, nel sognarla di librate fughe, forse dalla noia o dal Tempo che non “arrochirà” le illusioni, intinto in Lune di luci morbide “abbarbicate” a “scarpette rosse“, per musical “valchiri” ove le ballerine sventolan nella festa d’ormonali occhi allibiti dal loro, floreale, vivido, monroeiano profumo di purissimo cristallo erotico che s’innaffia di “birichina” estasi mai ammansita, senza prigionie di chi la svezzerà dal Sogno, per avvizzirlo nell’esser “adatti” all’avvezzo o ai vezzi che lo corroborino d’una patina amarognola.

Dude, fluttuerà, incantato dalla svagatezza di cui, fugace, s’imprime in un gioco “strabiliante” che pulsi di labbra “ammattite” nella feroce commedia umana, e poi s’arrampicherà ad altre dormienze, nel Cuore intiepidito da una sbornia o da un’altra mossa guardinga da “can tartufo”, dall’olfatto che non abbaia, ma è “abbagliato” dall’essenza della sua fioca, commovente impalpabilità.

A “trasandarla”, curato nello “scucirla” e non oscurarla, anima che balugina senza fremerla, senza spasmi nervici, la carezza a dondolarla fra nostalgie da cullare e melodie intonate al suo inattaccabile, “sfigato” gaudio.

Menestrello dei colori e dell’arcobalenico “balenarla” di bofonchii, d’un altro pallore triste che non lo stingerà, e d’una “infinitezza” a ronzargli il suo ritmo.
Fra lenti stiracchiarla, un tappeto d’una “indagine” senza detection, e una Venere “vaginale”, libera quanto “pruriginosa” come tutte, a concupirlo perché sia seme, anche della sua “scemenza”.

Dell’adorabile, dorata unicità che tanto lo rallegra, e a cui s’affilia con la sua vita defilata, d’effervescente “bollicinarla” di fantasie.

Jeff Bridges, fra sussulti e una barbetta incolta da chi non si scotta né si scote, e un titanico John Goodman, pagliacco come Lui, della serena rabbia “scolpita” nella “pasciuta” mortalità in cui, noi, siamo. E, mai, sfuggiamo. Nel captarla o capitanarla, pacati, e poi non placarci. Irosi o irascibili, con la bile un po’ nel “caffettierarlo”, questo strano, variopinto, “putrido” Mondo.

Serata speciale, quella odierna.
Nel 1998, qui in Italia, uscì in contemporanea assieme a Jackie Brown. Il film di Tarantino, sempre su Iris, passa subito dopo.
Sono entrambi dei capolavori.

Le coincidenze della “programmazione” dei ricordi…

(Stefano Falotico)

Genius-Pop

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