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La morte di Sean Connery e Gigi Proietti ci costerna ed atterrisce ma non dobbiamo svilirci, ci sono io a rallegrarvi, basta con gli sgarbi quotidiani…


03 Nov

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Sì, quasi all’unisono, sono scomparsi due attori molto importanti.

Sebbene qui, in tale sede a sua volta rilevante per la cinematografia tutta, considerevole per ogni cinefilo o improvvisatosi critico nostrano, voglia subito, nettamente compiere un opportuno distinguo e affermare, con estrema fermezza e imperturbabile fierezza, oserei dire con lucidissima chiarezza, che dissento da chi definì Gigi Proietti un grande attore.

Pezzo alla David Foster Wallace italiano…

Riconosco a Vittorio Sgarbi la sua inoppugnabile, imbattibile capacità esegetica di valutare l’Arte, soprattutto ipotetica, pittorica e scultorea, dettagliatamente e con profonda garbatezza. Peraltro, termine che poco gli si addice quando, assalito da pusillanimità figlia della sua innata, inestirpabile arroganza un po’ mendace, elargisce parsimoniosamente, eufemisticamente e contraddittoriamente, con scarsa generosità umana nei riguardi del prossimo, spesso da lui considerato, superficialmente e anti-democraticamente, una capra totalmente, cioè un impresentabile ignorante che di molte più conoscenze, desiderio di affamarsi di scibile ma carente culturalmente, abbisognerebbe al fine di affinarsi e non sfigurare con lui, magnificatosi nel divinizzare sé stesso, non solo Michelangelo, perfino la sua famosa ex storica, la Casalegno, da non confondere con Gianroberto Casaleggio e con Rocco Casalino, neanche con Casalecchio, frazioncina di Bologna ove spesso “alloggio” per bere un buon caffè con tanto di gambe accavallate da uomo intellettuale o forse da Joaquin Phoenix di Irrational Man, ah ah.

Dunque, riconosciuto il valore critico, in termini prettamente inerenti l’esegesi artistica, allo Sgarbi nazionale, debbo però dirgli, in buona fede, che di Cinema non capisce niente.

E sarebbe meglio che si astenga a strumentalizzare la morte di Gigi Proietti per scopi esclusivamente suoi dediti a fare opposizione contro il governo Conte e i 5 Stelle.

Inoltre, tanti anni fa, Sgarbi mise lingua, sì, la sua, erudita, colta, raffinata, forbita, soprattutto furbetta, su Eyes Wide Shut.

Uscendosene con delle esternazioni poco attinenti a Kubrick. Che ne può sapere uno come lui, infatti, di Barry Lindon?

Lui, abituato al tè London, lui che non visse mai un’adolescenza da Alex di Arancia meccanica, cioè Malcolm McDowell?

Lui che non ha figli e, malgrado ci “doni” video scolpiti a suo Jack Torrance dei poveri con lo sfondo di un quadro che vale ventimila Euro o cinquemila dollari, non patì mai nessuna crisi d’ispirazione e blocco dello scrittore da Jack Nicholson, per l’appunto, di Shining.

In quanto giammai necessitò di starsene isolato davvero, soffrendo il gelo della paura orrifica di non poter pagare una bolletta poiché, anche se non avesse scritto molti libri su Giotto, ha così tanti soldi, molti dei quali dalla nascita fra l’altro ereditati, da potersi permettere ogni sera una buona cioccolata calda, un latte macchiato e una gustosa pagnotta?

Ora, io non voglio sapere se con Berlusconi, Vittorio e la d’Urso si diedero anche a “messe nere” viste da Tom Cruise, cioè se Vittorio, fra una sberla data alla defunta Marina Ripa di Meana, il suo glorificare la “povera” Moana e le sue sofistiche moine, si sia adoperato ad aiutare una mondina, liberandola dalla schiavitù a mo’ d’Innominato con Lucia Mondella. Ah, la panza è pienotta, Vittorio.

Cosa ne puoi sapere, tu, della vita sfruttata di una mig… ta?

Quello che so è che elevi in gloria Proietti ma non credo che che tu abbia mai amato davvero RockyMean Streets e Casinò. Film per i quali Proietti donò la sua rocciosa voce rispettivamente a Stallone e a De Niro.

Ora, Vittorio, concordo con te però su una cosa. Non reputo Gigi un grande attore. Quindi, paradossalmente, così come affermi tu, lo è.

Poiché uomo comune profusosi nel Cinema e nel Teatro con immane naturalezza. Rimanendo uguale a sé stesso, un uomo della strada. Che attinse dalla sua “comunità”, in ogni senso, per farne della satira.

Gigi fu un satiro. Vittorio, le sembro satirico?

Gigi non cazzeggiò da Marzullo, né di stramberie mattatrici da distinti tromboni come Vittorio Gassman, nemmeno s’autodefinì antipaticamente un genio, a differenza di come fece Carmelo Bene.

Gigi Proietti fu come Sean Connery, come Sylvester Stallone ma non come De Niro.

Avete mai visto un film in cui Sean, per esempio, ingrassi per la parte? E impari l’accento statunitense, prendendo le distanze dalla sua cadenza scozzese?

Uno vede Caccia a Ottobre Rosso e non vede un capitano sovietico di nome Marko Ramius.

Bensì James Bond ancora coi capelli, dicasi altresì toupet.

Questa è e fu la grandezza di Sean.

Così come, allo stesso modo, io non mi vedo e non vidi (forse non me ne avvidi, fui poco avveduto) come si suol dire gergalmente, Gigi Proietti nella parte di De Niro in Taxi Driver.

Cioè Travis Bickle. Gli sarebbe venuto spontaneo, durante il celeberrimo Dici a me?, strizzarci l’occhiolino e assieme al mago/Peter Boyle, raccontarci una “mandrakata”.

Gigi fu ed è Gigi. Così come Gene Hackman è sempre stato Hackman. Anche in film pessimi come Boxe.

Ecco, se vogliamo battercela su un piano cinematografico, anche letterario, caro Vittorio… non voglio fare il gigione esaltato come Muhammad Ali ma credo proprio che andresti, contro di me, al tappeto come George Foreman.

Aggiungiamo anche che, dalla mia, sono molto più bello, molto più veloce, molto più giovane e che, a differenza di magnificare il mondo e Raffaello, estetizzando tutto in modo un po’ stucchevole, poco addentro la realtà sociale, alla pari di Adriano Celentano di Joan Lui, eh sì, arrivo io… con questo.

https://www.ibs.it/leggenda-dei-lucenti-temerari-libro-stefano-falotico/e/9788855165785?inventoryId=256656577

Insomma, sono un tableau vivant, lei invece, Vittorio, è solo un bon vivant e, onestamente, fra tante cos(c)e giuste, non ha le mie car(t)ucce.

Mi spiace sostenere di essere più grande di Shakespeare.

Anche perché è vero. Ma, a differenza di Shakespeare, non sono un baronetto e devo fare un mutuo per comprarmi una nuova Fiat Punto. La vedo dura, signor Falotico, resistere a questo mondo in modo resiliente senza affidarsi alla previdenza… Sì, lo dico da me. Sapete perché? Perché così non è. Non sono mica un coglione come l’italiano medio.

Sono quello che sono, cioè non sono, poi ho sonno, domani no. Adesso, me la tiro…

Per farlo, devo indossare la mascherina? La uso solo per non contagiare gli altri. Si spaventerebbero se la togliessi. Perché sono sfregiato? No, perché nessuno è capace, in questa società dell’apparenza, di togliersela.

 

di Stefano Falotico

Il ritorno di Gary Oldman, un mio mediometraggio su Villa Clara e Letter to You di Bruce Springsteen, sempre più misticamente simile a Bob Dylan


23 Oct

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Ne vogliamo finalmente parlare di Gary?

Presto, lo vedremo in Mank nei panni dello sceneggiatore di Quarto potere.

Finalmente, il grande David Fincher è riuscito a realizzare il sogno che covava da tempo immemorabile.

Lavorare con Gary in un film da lui diretto. Inizialmente, al posto del primo Hannibal Lecter del grande schermo, ovvero Brian Cox di Manhunter, in Zodiac doveva esservi Oldman. Il quale però, all’ultimo momento, per ragioni ancora ignote, diciamo non del tutto appurate, all’improvviso diede sorprendentemente forfait.

Nel frattempo, negli anni intercorsi fra Mank e l’Oscar assegnato ad Oldman per L’ora più buia, Oldman recitò sfigurato in Hannibal di Ridley Scott. E Fincher accrebbe la sua fama, ottenendo inoltre un figurone con Mindhunter. Del quale diresse e dirigerà alcuni episodi…

Credo, in tutta sincerità, che Gary Oldman sia stato per molto tempo identificato erroneamente soltanto come villain con indole da Joker. Sebbene, nella trilogia nolaniana di Batman, Oldman fu un buon tenente e non quello di Harvey Keitel nel Bad Lieutenant di Abel Ferrara. Per l’appunto, appuntatevelo, appuntati, carabinieri e poliziotti della Critica superficiale. Non impuntatevi con prese di posizione limitate e fasciste. Gary è la versatilità fatta persona, incarnata, pareva morto e datato, incartapecorito e imbalsamato, invece resuscitò e ringiovanì di colpo come in Dracula di Bram Stoker.

Gary, figlio di un saldatore, giammai laureatosi e presto istradatosi da autodidatta.

Un duro, un’anima ribelle, ancora bello nonostante le sue non più freschissime primavere. Ah, incontrò da adolescente molti bulli. Lo so…

Assomiglia a qualcuno di mia conoscenza. Sì, questo qualcuno (che) io vedo allo specchio dalla mia nascita. Non credete?

Sì, come noi uomini sappiamo, non si può mentire dinanzi alla propria immagine riflessa.

Specchiandoci, infatti, cogliamo intimamente il silenzio del nostro vero, vivo, scalpitante e viscerale cuore specularmente simbiotico alla nostra coscienza più inesplorata, riaffiorata dal profondo…

Nella realtà di tutti i giorni, siamo spesso costretti, giocoforza, a indossare delle maschere. Per accontentare il gusto della medietà conformista, adattandoci alla tristizia dei compromessi più puttaneschi pur di essere stimati dal prossimo. Al fine di ostentare, esteriormente, la nostra immagine migliore possibile.

Sto parlando ovviamente di molti di voi. Di mio, non ho mai pensato che un uomo debba svendere la sua dignità per piacere agli altri pur di ottenere la patetica simpatia e un contentino come si fa coi bambini e, semmai, elemosinare piacevolezza da una donna, mostrandosi a lei con un look fintamente perfetto che trasudi impeccabilità morale, invero truccata.

Ma che film sarebbe mai questo che vi siete “sparati?”. Whore di Nicolas Roeg?

Sì, a causa del mio istrionismo personalissimo in linea con la mia autentica unicità indissolubile, i miei coetanei, durante l’adolescenza, credettero che fossi matto e mi consigliarono di vedere Mille pezzi di un delirio.

Essendo taciturno, mi dissero perfino: – Guarda pure Niente per bocca.

 

Al che, ne successero delle belle. Insomma, delle brutte più racchie delle ragazzine da Harry Potter, frequentate da chi mi accusò di essere agorafobico e più incosciente, poco previdente delle conseguenze come Lee Harvey Oswald di JFK.

Se ne fece un caso e voi non fate, per l’appunto, caso se mi va qui di sdrammatizzare sulla situazione assurda che involontariamente innescai, inducendo le persone ad addebitarmi la diagnosi di persona afflitta da disistima, da allucinante atimia affettivamente fredda, forse solo emozionalmente sofferente di tachicardia mancante d’empatia. Ma per cortesia!

C’è da rimanere senza parole. Ah ah. Speechless.

No, al punk di Arthur Fleck, preferisco Sid e Nancy. Mentre, a Nancy Brilli, Gilda Sbrilli. Curatrice di un’edizione dei Promessi sposi.

Ah, Orson Welles ed Hayworth Rita, la leggendaria Gilda.

Mi urlarono… sei Il mai nato. Un film pessimo. Lo andai a vedere solo perché la locandina m’attizzò.

Sì, nel poster originale viene riflessa la strega di Cappuccetto rosso sangue?

No, semplicemente una che fa sesso. Il film invece fa senso e lei non soltanto non si spoglia, bensì non sa aprirsi, a differenza di Oldman, ad una recitazione sbottonata da vetusti codici di rigidità formale assai pallosa.

Adoro Gary. Quest’uomo nevrotico, imprevedibile, che recita col cuore e non a c… o.

Quando carica da matto, no, di brutto-bellissimo da matti come per il suo epocale, gigionesco Norman Stansfield di Léon, è uno spettacolo più eccitante di Monica Bellucci dei tempi d’oro.

Lo amo quando è uguale a me in A Christmas Carol.

E quando se la ride come un pazzo ne La talpa. In cui, degl’ingordi idioti pensarono di aver compreso un mistero alla Rosebud, invece rimasero con un palmo di naso.

Cantando La Mer poiché distrutti e costernati dinanzi alla loro umana miseria oceanica.

Amo anche da morire La finestra sul cortile ma non so se The Woman in the Window sarà un bel film.

Quello che so per certo è che Amy Adams è più f… a di Grace Kelly.

No, non voglio diventare il Presidente degli Stati Uniti. E non so se sia peggio Donald Trump o se sarà ancora più scemo di lui, eh sì, Biden. Per me, quasi tutti i politici sono sporchi e meriterebbero un bidet.

Non sono comunque un anarchico terrorista come Oldman in Air Force One.

So anche che Mozart fu un genio indiscutibile mentre Oldman, in Amata immortale, sembrò una caricatura di Amadeus, sì, il presentatore televisivo. Mica quello divinizzato da Alex di Arancia meccanica. O no?

Gary sbagliò tante volte nella sua vita da fuori di testa. Perse, sì, la testa per molte donne e pensò che un genio come lui potesse accontentarsi di Uma Thurman ed Isabella Rossellini.

Sì, devo dare ragione al mio amico Ottavio. Lui crede fermamente alla dottrina gnostica. Che suddivide l’umanità in tre categorie.

1) I nani, cioè gli ilici. Il 90% delle persone. Che vivono di gelosie, invidie, corna, tradimenti e oscene competizioni superflue.

2) gli psichici. Categoria nella quale Ottavio mi annette. Cioè persone a un passo da essere elette. Spero non a capo degli States. Ah ah.

La terza categoria, comunque, il mio amico pensa che io possa raggiungere fra circa un mese.

Quando pubblicherò il mio prossimo libro.

Un libro che, alla pari di Orson Welles di Citizen Kane, ribalta la concezione di tempo e lo supera a mo’ dell’Oldman del Dracula. Abbattendo ogni barriera.

Sì, Welles è un gigante del Cinema.

Comunque, penso che questo sia un bel mediometraggio mistico-spirituale, perfino ero(t)ico, e che Bruce Springsteen, col passare degli anni, sia uno splendido fantasma ancora capace di commuovere alla maniera di Bob Dylan.

Insomma, date il Nobel anche al Boss.

Date l’Oscar ad Oldman per Mank o ad Anthony Hopkins per The Father.

A me date un bacino. Mi accontento.

Tanto, qualcos’altro, è la mia lei a darmelo(a)…

Goodnight and good luck.

Presto sarà Natale.

E vi regalerò altri sogni.

Sì, sono Clint Eastwood/Babbo Natale di Fino a prova contraria.

Se non vi sta bene, non pot(r)ete amare Gary Oldman. Dividerete le persone fra sfigati e fortunati, tra fighi e cog… ni, chiamerete l’altro orfano di madre od aborto vivente, vi odierete e non amerete, in cuor vostro, l’immagine di voi stessi che si rifletterà davanti allo specchio.

Mi spiace, non vivrete bene, non amerete non solo il Cinema.

E non sarete mai Gary Oldman, Orson Welles, Bob Dylan e Bruce Springsteen.

Per quanto mi riguardi, mi riguardo sempre per migliorare. Io sono io. Va bene così.

No, sì, no, sì, abbasso gli asini e le teste di mulo.3_Tavola disegno 1 2_Tavola disegno 1 1_Tavola disegno 1

Letter To You, recensione del grande, nuovo album di Bruce Springsteenletter-you-recensione-album-bruce-springsteen-copertina

Ebbene, il Boss è tornato con Letter To You. Un’ode alla più dolce, fosca, tenera e al contempo tenebrosa, malinconica sua reminiscenza monumentale di natura mondialmente musicale, un’epica e soffice raccolta delicata, già d’antologia, incastonata e sigillata eternamente nella mirabilissima sua rocciosa eternità perpetua ed eterea. Una carezza lieve donata alle nostre anime. Alle volte spaurite, melanconiche, altre volte grintosamente auto-echeggianti l’evocativa virtù dell’infinità (u)morale delle nostre stesse accorate sensazioni traballanti, in continuo mutamento e rigenerativa freschezza persino euforica dopo tante eclissi dei nostri cuori spezzati, oscuratisi nel buio e poi, di colpo, risorti magnificamente in gloria.

Quest’uomo immarcescibile, oramai appurata ed incontestabile leggenda vivente incarnata nel suo viso oggi smagrito, nella sua ectoplasmatica sagoma avvolta da una nebbiosa atmosfera nevosa, camminando nell’asperità romantica dei suoi perenni, giammai vinti, crepuscolari e al contempo infuocati dubbi esistenziali, pare che riemerga dalle soffuse penombre di sé stesso, incorporandosi nel revenant cantore delle sue incantevoli memorie magiche. Pietrificate nello splendore dell’adamantino rammemorare il suo e nostro cammino poetico, addirittura ambiguamente ermetico. Sobrio e lucente.

Bruce Springsteen, ladies and gentlemen, che nella copertina del suo nuovo, stupendo album imprescindibile non solo per i suoi irriducibili aficionado, ormeggiando in metaforico the river sulfureo della plumbea, “accordata” mareggiata emotiva della sua carriera oceanica, ci regala un’altra perla piena di canzoni dolcemente lievi evocanti forse A Christmas Carol di Charles Dickens, soavi come un’onirica, atmosfera natalizia, per l’appunto, appaiabile a Paul Auster o, forse, alla squisita amabilità commovente del derivatone, cinematograficamente, racconto vividamente sentito di Harvey Keitel in Smoke.

Letter To You profuma di concettuale spiritualità quasi gospel, sì, di mistica ed avvolgente, allo stesso tempo sanguigna vivacità toccante. Pare, a tratti, addirittura un moderno canto gregoriano.

Dopo Western Stars, elegia dedicata alle anime spare parts dell’infinita, folle e visionaria America forse perduta eppur combattivamente resiliente, a settant’uno il Boss si restaura nel ricordarsi, nel contemplare la bellezza sfuggevole e cangevole del tempo rivisto, introiettato e cantato con la forza ancora gagliarda della sua tempestosa leggendarietà inscalfibile ed immutata.

Cosicché, recuperando dal cassetto dei suoi stessi sogni giammai arenatisi ed assopitisi, alcune canzoni incomplete ed inedite degli anni settanta, alternandole a brani del tutto nuovi, levigati nelle sue vocali corde già, puntualmente, indimenticabili, c’allieta e culla con vibrante, senziente beltà marmorea.

Rilluminando sé stesso, estasiandoci nel far sì che, ancora una volta, possiamo immergerci attraverso lui in un altrove luccicante di lucida, fortemente impalpabile voglia di vivere e rivivere. Di amare e ricordare per rinascere nuovamente intrepidi ed agguerriti. Ancorandoci al passato per rielaborarlo, assieme a lui, in forma catarticamente suadente e morbida.

Con Ghosts supera sé stesso, mormorandoci la levità della fantasia immaginativa e della mnemonica frenesia del suo rispolverare il suo e nostro excursus insuperabilmente, strenuamente agganciato alla purezza dei nostri ricordi riscaturiti vulcanicamente in esplosiva potenza vitale, inarrendevole e, nonostante tutto, ancora intatta. Ripetiamo, immutabile.

Anche se a noi è piaciuta da morire soprattutto Song for Orphans.

Sì, Letter To You non tocca certamente le vette di perfezione stilistica di Nebraska, Bruce Springsteen non è più quel ragazzo strepitosamente e meravigliosamente scalmanato di Born to Run, ma è sempre lui.

In Letter to You aleggia anche la presenza, chissà, di un altro rocker immenso, Bob Dylan.4_Tavola disegno 1

 

di Stefano Falotico

 

Christian Iansante e Luca Ward? Opterei per un Falò con fascino da Ermal Meta – Presto, La leggenda dei lucenti temerari, libro cinematografico


15 Oct

Purtroppo, questa è la mia faccia.

Dico purtroppo. Mi sarebbe piaciuto essere molto brutto. Sì, non avrei sofferto. Prevedo infatti un bombardamento di cattiverie mai viste.
Oltre a quelle già ricevute.121615228_949600978862336_6049428251979352116_n

Ma guarda un po’…

Non avrei mai pensato di avere una voce da doppiatore.

Intanto, vengo giustamente corretto per aver scritto erroneamente Massimo al posto di Carlo Mazzacurati nella mia recensione di Caro diario. L’errore, anzi, il refuso ci sta. Basta avvedersene.

Peraltro, Robert De Niro in Red Lights vuol dar a vedere di essere cieco ma è cieco invece Cillian Murphy a non accorgersi di essere sensitivo quanto me. Ah ah.

Sì, va detto. Chris Walken de La zona morta mi fa un baffo.

Ora, se la bellissima Silvia Notargiacomo stette con Ermal Meta, io sono Nic Cage di Cuore selvaggio.

Credo che, in quanto a pazzie amorose, possa battere sia Adriano Celentano di Innamorato pazzo che lo stesso Cage di Stregata dalla luna.

La mia lei sostiene di essersi innamorata di me dopo avermi sentito parlare. Io m’innamorai di lei dopo averla vista…

So che vorreste non fosse vero. Invece, è roba da Verissimo…

Sì, va detto. Sono un “ignobile” bugiardo mai visto. Non per quanto concerni la mia love story, bensì perché sono più bello di Mickey Rourke ed Enrique Iglesias.

Va be’, diciamo di Mickey Rourke di oggi senza dubbio. Ah ah.

No, sono un bugiardo quando mi do dell’ignorante da solo.

Fra pochissimo, il signor Falotico si presenterà in libreria con un romanzo intitolato La leggenda dei lucenti temerari.

La postfazione è stata curata da un mio amico, D. Stanzione, critico di Best Movie.

Vi faccio qui leggere in anteprima assoluta sia la sua postfazione che la prefazione curatami dall’editor.

Le altre 260 pagine sono tutte mie.

Prefazione

Strutturata come un vertiginoso flusso di coscienza, La leggenda dei lucenti temerari somiglia a un lungo sogno lucido, in cui si fondono citazioni cinematografiche e letterarie, ritratti di sensuali figure femminili, suggerite con poche pennellate vibranti e soffuse di un erotismo a tratti crudo e angosciato.

Il linguaggio si inerpica tra vocaboli ricercati e forme arcaiche per poi scivolare in picchiata verso un registro più colloquiale e brutale.

Al filo logico del discorso si privilegia la musicalità della frase, il giocare con le parole spezzandole, creandone di nuove o esasperandone il senso.

È un periodare irregolare e inafferrabile, che bombarda il lettore di immagini e lo trascina su una sorta di ottovolante emotivo.

Chi è il “lucente temerario”?

Non è semplice decifrarlo, a meno che non si accetti di essere travolti dalla voce narrante, che nel corso dell’opera sceglie diversi alter ego per farsi rappresentare, che si tratti del personaggio di un film o di un romanzo.

Una voce, quindi, multiforme ma al contempo sempre coerente con se stessa.

Emerge in modo prepotente un’invettiva nei confronti di un certo tipo di umanità, intrisa di valori borghesi e percepita come ipocrita e repressiva.

Il “lucente temerario” sembra essere consapevole della sua condizione di outsider, di freak, ma non ha nessuna intenzione di scendere a compromessi o di occultare la sua natura.

A un certo punto il narratore si definisce: «Solo, solissimo, eterno e non so dove».

La solitudine talvolta è una condizione inevitabile ed è palpabile anche negli intermezzi erotici, nei lunghi monologhi simili a lettere aperte che il narratore rivolge alle donne che ammira, desidera ma con le quali non sempre riesce a stabilire il “discorso amoroso” ideale.

«Che cos’è la vita se non un girarci attorno, negli orli folli e anche oscuri di amori smidollati?»

Lo slancio vitalistico, adolescenziale, verso il sesso è una sorta di antidoto a un modo di vivere che mette al primo posto il denaro, il successo, l’apparire e che non consente all’individuo di essere libero nella sua diversità.

Alle maschere imposte da una società che identifica l’individuo con la sua posizione lavorativa, il ruolo che gli è stato cucito addosso e non con la sua interiorità, si contrappone la maschera del personaggio cinematografico.

A volte è il guascone da film d’azione, altre volte una scheggia impazzita di una pellicola di Lynch, oppure un ibrido tra Rocky Balboa, il “perdente” animato da un fortissimo desiderio di riscatto, Dracula e il Cappellaio Matto.

A conclusione di questo percorso allucinato e onirico, il “lucente temerario” non è più solo, ha trovato altri individui che vivono la sua stessa sorte e l’io narrante solitario diventa un “Noi” e il monologo si fa proclama e manifesto di una condizione umana.

«Il vivere per piacerci, non per il “piacere” d’un clero ammansito».

Questo è, se non il fulcro, uno dei perni principali del loro pensiero.

Un inno alla libertà individuale, insomma: dionisiaco, enigmatico e tortuoso, ma non privo di un velo di crepuscolare tristezza.

Postfazione

Al cospetto dello stile de La leggenda dei lucenti letterari è legittimo rimanere sbigottiti e tramortiti, come se si viaggiasse dentro un incubo nottambulo in cui i confini dell’immaginazione e della supposta realtà si logorano, sfibrano e frustrano vicendevolmente.

Tutta la letteratura barocca è stata sempre condizionata dal bisogno di fantasticare, di azzardare slittamenti progressivi del piacere per non affondare nelle paludi del già visto e del già noto, di inseguire la bizzarria fantasiosa ed esagerata per esaltare il potere generativo ed eccessivo della follia che cova sotto la superficie di ogni fragile, rassicurante e infingardo ordine sociale.

In un momento storico in cui quasi tutti ci crediamo eccezionali anche senza particolari meriti, e strepitiamo per fare sentire la nostra voce, la prosa di Stefano Falotico tenta un’altra via, più rischiosa e più ardita: si ritaglia un cantuccio sincero e insanguinato, non mira alla comunicazione diretta e immediata, alla leggibilità veloce e istantanea in barba alla complessità, ma si affida al potere vorticoso fascinoso di un turbinio di evocazioni da smembrare, poi ricostruire, con un coraggio autolesionista che è insieme balsamo di libertà e senso di dannazione autodistruttiva che si tocca con mano lungo tutto il testo.

Casualmente, la citazione di Emily Dickinson che apre il libro, «Non conosco nulla al mondo che abbia tanto potere quanto la parola. A volte ne scrivo una, e la guardo, fino a quando non comincia a splendere», è in perfetta sintonia con la dichiarazione d’intenti – lucente, letteraria, temeraria – di un testo che si consegna senza paraurti, indifeso e incandescente, ai sensi delle parole e alle parole dei sensi, come una lama elettrificata e ancora rovente che affonda nella nuda pelle della percezione delle lettere, riga dopo riga, ma soprattutto spasmo dopo spasmo.

Un gesto eversivo nel senso più antico e piacevolmente desueto del termine, di anarchia fuori dal suo tempo e dalle mode, che tiene insieme gli inciampi più vergognosi e inconfessabili dell’erotismo maschile, i tradimenti degli ideali e delle norme, il candore luciferino di un confessionale privato dove ogni nevrosi e angoscia può trovare asilo, in una sorta di porto franco marchiato a fuoco dai demoni dell’insonnia.

Con, a fare da collante, in filigrana ma forse spudoratamente in primo piano, la forza sotterranea e salvifica del cinema e della letteratura che, in una sorta di mostruosa ma benefica simbiosi mitologica a chissà quante teste, si nutrono di isolamento e disagio e lo risputano sotto forma di carne viva, tremante e oscena.

Davide Stanzione*

*Fondatore e redattore del dizionario di cinema online LongTale, è critico cinematografico e firma del mensile di cinema Best Movie e collaboratore del sito di cinema The HotCorn Italia.

Dal 2018 è selezionatore del Sulmona Film Festival.

 

Ecco a voi il trasformista. Folle alla miglior Cage, deniriano. Completamente fuori.

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È meglio Ridley Scott (Gucci biopic coming soon) o il compianto fratello Tony? È meglio Shakespeare, Kenneth Branagh o il funambolico, stravagante artista tout-court Falotico? Chissà…


21 Aug

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suicidioNo, non credo. Dopo un parziale giovamento, un inaspettato ringiovanimento, sento onestamente che sto morendo. In realtà, lo sto sentendo dall’età di tredici anni, non so neanche come, per miracolo, sia riuscito ad arrivare fin qua.

Ma me ne sto andando e, se già poco sentii la necessità di stare assieme agli altri e vivere quella che, volgarmente, viene definita socialità, alla mia età ho/avrei solo bisogno di vergare il mio residuo sangue nel trascriverlo di ultime, lapidarie memorie. No, non morirò in odore di santità poiché vergine non lo sono più dal 2003. E n’è passato, peraltro, da allora di tempo. E ne vidi tante.

Tre, forse quattro. Cinque e mezzo se consideriamo un capezzolo succhiato, una caviglia leccata e una mezza fighetta, no, sfigata da me subito sfanculata ma comunque, per pietà e grazia ricevuta, semi-baciata.

Fulgore, dolore, mormorii di restaurazione, illusione di salvazione. Amore o forse deperimento nella vita carnale che inganna ogni sacro pudore, traviandolo perdutamente nella più miserrima perdizione.

Giornate tumultuose, giornate in cui il tempo mio rinasce sempre più splendente. Macché. Come no…

Ma quale furore!

E, (non) inorgogliendomi sul finire di tale estate per me, sino a questo momento, entusiasmante, sorprendente ed estatica, ancora passeggio qualche volta malinconicamente nel rimestare le angosce ancestrali della mia anima che, dal mio ventre, no, dal mio profondissimo dentro, dopo tanto tenero, tenebroso e tetro essersi auto-sigillata in un caduco, quasi canuto eremo, è rifiorita come un’alba fulgidamente nitida che or asciuga ogni mio trascorso, crepuscolare tormento.

Applauso! Ah ah.

C’è poco da ridere. Ho davvero poco da vivere.

Paio Bruce Lee che, qualche giorno prima di andarsene, in cuor suo, come si suol dire, avvertì il tintinnio assai vicino della morte. Che presto sarebbe giunta a fargli visita. Spegnendogli ogni agonia. Sì, va bene, spegnere è transitivo. Io mi spengo, tu mi hai spento. Gli altri, più bastardi di te, ti spegneranno. Quindi, un cero accenderemo tutti assieme. Prima, ceneremo? Ah, le ceneri. Le feste, le felicitazioni, a tutti auguro condoglianze serene.

Con distinti saluti! Brindiamo, sì, alla salute.

Sì, oggi dovevo ricevere la prima bozza riguardante l’editing della mia nuova opera letteraria, provvisoriamente intitolata La leggenda dei lucenti temerari, per la quale firmai, un paio di settimane fa, un rinomato contratto editoriale.

Non posso ancora svelarvi quale casa editrice pubblicherà tale mio imminente, per l’appunto in via di pubblicazione, romanzo allestito secondo un personalissimo stream of consciousness. E come potrebbe essere altrimenti, data l’espressione stessa del flusso di coscienza che rende la scrittura così creativa e agganciata quasi esclusivamente alle sue sciolte sensazioni interiori riesplose e diveltesi svelte? Sveltamente, dobbiamo essere celeri. Acceleriamo! Ve l’ho detto, sto deperendo a vista d’occhio, sto sinceramente morendo e mi pare che la farsa filodrammatica allestita attorno alla mia persona sia stata già dimidiata, oserei risolta. Nessuno dalle sue colpe va assolto, in principio io, principe a cui fu concesso il lusso di non lavorare mai salariato, bensì a cazzo mio, io, responsabile involontario della mia funerea, tristissima depressione subito deflagrante in un perpetuo addio. Perentorio e spero grandioso.

No, non sono permaloso né malmostoso. La vita è costosa e io non ho più voglia di scervellarmi per prenderlo in culo da chi, per trombare, scopa pure le sue donne male a terra. E le sfrutta senza neanche offrire loro, prima del “dolce”, la frutta. A questi qui io caccio un rutto. Sono tutti brutti.

A scopo informativo, didattico e da tramandare ai posteri, questo mio scritto non dovete cagarlo.

Buttatelo nel cestino e poi pulite il pc, usando CCleaner o solo il WC Net.

Anche in questo siete inett’? Quasi quanto del demente di Nolan. Finalmente, stando ai primi responsi della Critica d’oltreoceano, in molti hanno capito che non solo Tenet sia un film più brutto di Inception, bensì hanno pienamente compresso, no, compreso che Robert Pattinson non scherzi in quanto a impresentabilità estetica quando non viene imbellettato da un visagista dei divi.

Io scrivo!

Affinché non accadano più brutture e orrori di questo genere… umano schifoso.

Ah ah! Secondo applauso! La folla è in visibilio. Io meno.

Son perfino a me stesso inviso.

Sono un moderno Ulisse che dopo una mia interminabile Odissea, osteggiato da dei figli di Troy, fu scambiato per Ettore e invece forse è più bello di Brad Pitt, forse soltanto è assai simile a Edward Norton di Fight Club oppure rappresenta una versione nostrana, sfigatissima eppur indubbiamente carismatica d’un Tyler Durden ante litteram e, a differenza di tal cafone borderline, è molto più acculturato e letterato sebbene decisamente meno palestrato?

Mia madre adora i mobili dell’IKEA, non ha mai letto in vita sua un solo libro di Chuck Palahniuk e va matta per gli oggetti in semi-cristallo di Swarosvki. Di mio, dopo aver vissuto per molti anni come una bambolina matriosca, dopo essere stato scambiato per un leninista-stalinista, più che altro fancazzista da gente lavoratrice solo di bullismo, sì, fui un abitante più che a Mosca in una cameretta con qualche mosca, dopo essere stato preso per un radicalizzato delle sue ansie più fanatico dei musulmani alla moschea, continuo ad adorare The Fly di Cronenberg e penso seriamente che, ripeto, se Christopher Nolan, viene paragonato a Kubrick, io batto Charles Bukowski solamente tutt’ora emulando il grande Lebowski.

Scrivo per Daruma View Cinema. E fui il primo, nella tarda notte di ieri, cioè di stamattina, a dare la notizia in Italia secondo cui Ridley Scott dirigerà Gucci. Un biopic con un cast da brivido, da far paura perfino ala strega di Biancaneve.

A interpretare Patrizia Reggiani vi sarà con tutta probabilità Lady Gaga. Secondo me, una donna bellissima. Sexy da morire sebbene, quando viene mal fotografata, può/possa apparire come Anna Mazzamauro che cerca di sedurre un uomo per niente fantozziano, ovvero Bradley Cooper.

Allora, chiariamoci, fringuelli. I capolavori di Ridley Scott sono tre e basta.

Cioè I duellantiAlien e Blade RunnerChi protegge il testimone vale vale solo per la milfona Mimi Rogers, l’ex di Tom Cruise.

Il gladiatore è un film assai sopravvalutato e non comprendo a tutt’oggi perché Russell Crowe abbia voluto vendicarsi di suo fratello Commodo. Uno che ebbe sempre una vita comoda e sposò la sorella di Keanu Reeves di The Devil’s Advocate. Non poteva chiedergli l’asilo, essendo in questo film, eh sì, Phoenix un eterno bambino, offrendo il suo reddito di cittadinanza a sua moglie che, in cambio, in segno di riconoscenza, diciamo, gli avrebbe fregato l’anima e soprattutto la voce di Luca Ward?

Connie, mah, io conoscevo il cane Lassie e Liz Taylor dagli occhi viola ma Brigitte Nielsen, no, Connie è rossa assai più caliente della moglie di Ridley Scott stesso, ovvero Gian(n)ina Facio. Una che stette anche con Rosario Fiorello, il quale amò (si fa per dire) un’altra rossa di fuoco, Katia Noventa.

Mentre la Facio (io, invece, chi mi faccio?), nel Gladiatore, ebbe lo stesso figlio avuto da Roberto Benigni e Nicoletta Braschi ne La vita è bella. Interpretato da Giorgio Cantarini.

Eh già. Peccato però che, nella vita reale, Nicoletta sia sterile e Roberto la butti in farsa come nell’appena menzionativi suo film oscarizzato, facendo ancora Il piccolo diavolo e recitando l’Inferno di Dante…

Cantarini, alias Giosuè Carducci? No, Orefice. Però senza soldi per fare il gioielliere mentre Fiorello regalò i suoi gioielli a tutte di “Karaoke”, storpiando… la nebbia agli irti colli, piovigginando sale e, sotto il maestrale, urla e biancheggia il mare…

L’italiano medio non ha mai capito il senso di questo ritornello da Fiorello “adattato” in maniera sensuale, vero? Ah, d’altronde cosa ci si poteva aspettare dall’Italia? Un “Belpaese” ove la gente andava fuori di testa per Stranamore e rideva per o famo strano detto da Claudia Gerini, burina mai vista, di Viaggi di nozze.

Credono tutti al matrimonio. Sì, anche al mercimonio quando la moglie si dà al pinzimonio…

Povero Alberto Castagna, scoperto in castagna, per l’appunto, dalla sua ex moglie. Che lo scoprì a letto con Francesca Rettondini. A lei venne un infarto, no, rischiò solo di morire di crepacuore, a lui invece, purtroppo, capitò un mortale aneurisma. E capitombolò.

La Rettondini invece fece tombola e, coi soldi incassati dall’eredità intascata senza battere ciglio, le sopracciglia si rifece, non solo quelle, e frequenta ancora gente di “risma”. Capisc’ a me!

Non sono cazzate queste che vi dico. E Tony Scott non fu affatto un cazzaro.

In verità, se proprio devo esservi sincero, a me il Cinema di Brian De Palma piace perfino di più rispetto a quello del mio amatissimo Martin Scorsese. È folle, romantico oltre ogni dire, visionario come me. Non ha paura di nulla. Neppure di spingersi troppo oltre.

E, a prescindere da Artemis Fowl, sul quale comunque si può a lungo discutere, credo fermamente che Kenneth Branagh sia un vero genio.

Inserisce e infila Dave Gahan dei Depeche Mode con la grande Policy of Truth nel suo trailer di Assassinio sul Nilo e al contempo, nel film medesimo, recita anche nella versione originale con accento francese da Hercule Poirot che conosce a memoria un inglese per eccellenza, vale a dire William Shakespeare.

Di mio, tendo a scrivere libri di quasi 500 pagine che saranno letti da gente che mi stima e, alla pari di me, viene presa per il culo da chi è “sano”, cioè un professore dei miei stivali che della vita non ha mai capito niente.

Secondo me, costui è un coglione come Michael Douglas di Rivelazioni.

Ne vogliamo parlare poi di tanti medici? Per diagnosticare la celiachia a mia madre, impiegarono due anni. A questo punto, è meglio fare i modesti impiegati del catasto. Abbasso le caste!

La celiachia, fanculo la geriatria, la genealogia, la genetica, la fottuta psichiatria e il demente psicologo da cui va a farsi inculare, no, curare quella zoccola di merda di tu’ zia!

Per diagnosticare il “male incurabile” di Nanni Moretti, in Caro diario, vi misero infatti così tanto che, nel frattempo, a lui venne il fegato più amaro del finale devastante del Pasolini di Abel Ferrara.

E un magone più grande di quello da lui sottilmente, mirabilmente espresso nel film suo appena citatovi in cui omaggiò Pier Paolo con la sua memorabile, assai toccante scena del litorale di Ostia…

No, non sono furbo, non vedo il mondo da una prospettiva sbagliata, non sono un diverso.

Sono io. E certa gente, prima di dare fiato alla bocca, avrebbe dovuto capire assai prima chi io fossi.

Perché, quando mi arrabbio come Pasolini, succede veramente un gran casino.

Uno come me è “giusto” che sia odiato e invidiato a morte. Soprattutto da sé stesso. Io cerco di migliorarmi perennemente. Voi, mi raccomando, cari raccomandati, cercate di scrivere e dire ancora più stronzate e sarete laidi ma maggiormente stimati e amati.

Da chi? Vi seguono in tre miliardi di persone? E allora? Tutti falsi, tutti irreali.

In fede, un ateo e uno che non c’è più e presto neppure fisicamente vi sarà. Sarà morto clinicamente parando.

Finisco con una mia classica freddura à la Clint Eastwood:

– Lei cosa fa nella vita?

– Io, il pescatore?

– Lei, invece?

– Lo scrittore.

– Lei?

– Niente.

– Meglio.

– Lei?

– La prostituta.

– Cazzi suoi.

– Lei, signor Falotico, che fa?

– Faccio quel che posso quando la mia lei può. Non posso?

 

E, su questa sparata, scivolo ove so io.

Volete sapere dove?

Ve l’ho detto. Siete più ritardati di quel che pensai e penso.

Nella bara.

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di Stefano Falotico

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