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Marco Montemagno, “comunicatore” doc un po’ meteora, intervista il critico Paolo Mereghetti ma entrambi non sono ferrati nelle loro materie e forse sono banali materialisti?


22 Jan

monty montemagno

Evviva il meteorismo! Ora, Montemagno è un uomo che sta sempre più cifre pazzesche guadagnando, sfruttando la comunicazione SEO. Intanto, l’appetito vien mangiando. Districandosi di qua e di là fra libri di dubbia attendibilità e interviste d’altrettanta inconfutabile, no, (in)contestabile validità e qualità. Eppure, nella sua arrampicata socio-economica senza pari, forse da Hilton Paris o solo da paradiso, comparabile alla scalata di Reinhold Messner senza bombole d’ossigeno sull’Everest, insomma, da uomo della seggiovia, no, da apripista sciistico, no, da arrivista furbamente mellifluo, oserei dire cinico e studiatamente ruffianissimo, Montemagno assomiglia a colui che azzeccò la schedina vincente nel film Al bar dello sport di Sergio Martino, vale a dire Banfi Lino, raggiungendo il Montepremi. Salendo sulla Mole Antonelliana, da Lino ribattezzata Mole di Antonello, decantando le vette alpine che, da lassù, in quel di Torino si possono ammirare all’orizzonte, vicino al confine. Ovvero, il Monte Rosa, il Monte Bianco e…, forse festeggiando la sua vincita miliardaria da super fortunato con un barattolo gigantesco di Nutella da Bianca di Moretti Nanni oppure mangiando la torta intera, anzi il delicatissimo dessert Mont Blanc. Sì, Marco magna il suo dolce… senza volerlo ripartire a fette. Uomo non nazista gerarca, il Marco, bensì scalatore della dura piramide gerarchica. Uomo emancipato, oramai quasi arrapato, no, d’altopiano più ambito, no, un altolocato forse amante di sua moglie, non so se bella come Laura Morante o premio Nobel come Elsa Morante, oppure graziato dalla divinizzazione di sé stesso che, in maniera capziosamente affettata, leggermente affrettata, sta ottenendo soldi e patate, no, a palate grazie alla sua veloce, persuasiva, assai scaltra parlantina da volpino dal pelo candido e pulitino… Uomo spumeggiante, light e piumato. Brinda di grandi spumanti il suo “furfante” o il suo essere scafato malandrino? Uomo navigato, il Montemagno, che lecca tutti a mo’ di gelato Magnum. “Sommariamente”, miei somari, senza in testa la brillantina, in quanto Marco è sul pelato-stempiato quasi attempato, sì, vicino alla pasciuta (finanziariamente parlando) cinquantina da emigrato non alla Lino pugliese in Piemonte ma a Londra ove poche volte, probabilmente, mangia la pastasciutta, Montemagno stappa uno spumantino ed è salito in cima non al K2, bensì sulla sommità di esagerate, pecuniarie somme.

Come se la cava da tuttologo affamato di scibile, obiettivamente? Insomma… Dopo aver intervistato Insegno Pino e Stefano Accorsi, al suo capezzale, Paolo Mereghetti è accorso. Ma tutti e due, a mio avviso, necessiterebbero del soccorso. Perlomeno, di una controllatina da una crocerossima… Loro succhiano un tiramisù da Antica Gelateria del Corso? No, s’arruffianano la gente che, rispettivamente, dalle labbra pende di Lavorability e del Dizionario dei Film scritto dal critico del Corriere della Sera. Il Mereghetti, chi sennò? Celeberrimo opinionista cinematografico che ha un privilegiato editoriale sul più culturalmente celebrato quotidiano nazionale succitato, scrivendo spesso impagabili, assai pagate stronzate, dicasi altresì recensioni sciatte e svergognate, impudiche e spietate. Marco Montemagno di Cinema ne capisce quanto una ragazzina di 18 anni di Instagram che fa sfoggio dei suoi brufoli curati dal Topexan su addome perfettamente piatto, palestrato e gambe depilate in virtù di strepitosi pilates, mostrandola, no, esibendo sua tartarughina comprata allo zoo di quell’animale del suo fidanzato, sinceramente un quarantenne non disoccupato, neanche debosciato, però ignorante come una capra ma ricco sfondato. Eh sì, nella vita ci vuole culo, miei iellati e “caramellati”.  Bisogna farselo per farsi… il Brand oppure Love Brandi. Bevendo poi, felici e contenti con lei strafatta eppur soddisfatta, eh già, un brandy o un Martini con Colombari Martina oppure con un’altra donna, si fa per dire, coglionata. Molte volte, codesta è stata all’università trombata oppure sempre promossa poiché raccomandata, diciamo anche cazzuta, no, fottuta…e vai di spintarelle, di veline e di vedo-non vedo… dell’ipocrisia più troia di questa vita put… na e lurida.  Montemagno chiede a Paolo se qualche regista italiano che Mereghetti stesso disprezza, eh eh, si sia contro di lui scagliato. Palo sostiene che nel suo ambiente è criticato ma al contempo stimato.

Lezioni di Scienze delle Comunicazioni, forse di un’inutile istituzione creata e patrocinata da Umberto Eco, autore de Il nome della rosa, il suo unico capolavoro, cioè un trombone e un finto sapientone…

Paolo non disprezza, invero, alcun regista. Sì, egli valuta di esegesi personali, non so se con della fine ermeneutica, ogni film da lui visto, compreso The Mule, non solo per il Corriere ma al calar della sera. Spesso lui stronca in forma apodittica e aprioristica, diciamo prevenuta e qualche volta ballistica. Se ne frega se i registi contro i quali lui si accanisce in faccia gli stranutiscono, no, starnutano, no, sputano. Non ha prezzo il suo metro di giudizio, in effetti, se vogliamo essere dei puristi della lingua, come appena dettovi, Paolo nessuno disprezza. Diciamo che non molti apprezza. I costi dei suoi aggiornamenti dizionaristici hanno elevatissimi prezzi poiché Paolo vuole essere ottimamente retribuito in quanto auto-definitosi il critico più letto e amato, il più elevato. Dal canto suo, Montemagno non gli è da meno. Non pretende, a differenza di Netflix, che gli iscritti al suo canale YouTube paghino una quota mensile, altresì viene cospicuamente remunerato dagli annunci pubblicitari pallosi, un tantissimo ogni due minuti, che disturbano e interrompono la visione dei suoi filmati ottenenti migliaia di visualizzazioni a mo’ di pausa “ristoratrice” fra il primo tempo e il secondo. Paolo Mereghetti ha assegnato voti mediocri a tutti i film di Scorsese con DiCaprio eppur afferma che è grazie a Scorsese se il bel Leo è arrivato. Dove o con mille donne? Paolo conosce bene la bavetta, no, la gavetta e i ferri del mestiere. Infatti, non si ricorda il nome dell’attore premio Oscar per Il ponte delle spie, ovvero Mark Rylance. Poi, tardivamente, gli sovviene ma non lo perdoniamo e presto sarà citato in aula di tribunale dal giudice Frank Langella de Il processo ai Chicago 7. Sarà assolto da ogni accusa, no, da ogni refuso e lapsus freudiano se reciterà il rosario e avrà il coraggio di ammettere che è troppo precipitoso nei suoi verdetti mai finali. Alzando a tiramento… le stellette in base a ciò che più, col passare del tempo, risulta accattivante e conveniente. In base a ciò che maggiormente lo aggrada. Gli sarà tolto un grado.  A Paolo di ciò non frega niente ed è come il miglior Cinema d’annata. Riesce a unire l’utile al dilettevole, ci tiene fermamente alla sua dignità professionale inviolabile e contemporaneamente vuole offrire ai suoi lettori un punto di vista facilmente fruibile, associabile a un blockbuster divertente, intrattenendo ogni “utente” con una prosa piena di colpi di scena esilaranti, mescolata ad osservazioni pungenti e polemiche alla maniera di Ken Loach e della Settima Arte impegnata. Paolo è il Kubrick di Shining. Sì, il suo dizionario è Arte pura che appassiona e, al contempo, fa godibilmente paura. Con la “piccolissima” differenza che, più che paura, fa pena quando Paolo si lascia andare a triviali battutine sulle donnine a mo’ di Ezio Greggio de Il silenzio dei prosciutti. In quanto Paolo, dinanzi a ogni attrice che scoscia, non riesce a resistere alla tentazione di lodarne le forme estetiche assai graziose e burrose. Paolo adora, per esempio, il delizioso culo di Joanna Pacula e asserisce duramente che Zandalee valga la visione solo per Erika Anderson perché, in tale pellicola inguardabile e “sudaticcia”, Erika è indubbiamente un’inaudita fig… na. Ce la dia, no, ce la vogliamo dire tutta? Uomini e donne, alle prossime erezioni, no, alle prossime elezioni, votate il Falò. Il più severo povero cristo, no, intransigente ed integerrimo Critico di Cinema del mondo, soprattutto di sé stes(s)o. Infatti, a forza di fare autocritica, è un uomo che è riuscito a essere bello e maledetto come Marlon Brando di Ultimo tango a Parigi, conservando orgogliosamente le sue origini e il suo onore da Sophia Loren de La ciociara. Insomma, il Falò, un soprammobile, no, un sopraffino critico perfino più bravo di Francesco Alò. Ohibò, ah ah.

Marco Montemagno, detto Monty. Chi? I Monty Pithon o Montgomery Clift? A Mereghetti Paolo piace da morire Un uomo tranquillo. In questo film non vi è Monty, bensì John Wayne. Uomo che fu sceriffo di grossa stelletta. Mereghetti reputa The Irishman un grande capolavoro. Chissà quante stellette darà a Gray Horse, il prossimo film di Scorsese. Se lo stroncherà, non avrà scampo. E gli farò lo shampoo, no, lo scalpo. Giù il cappello! Sì, anche io dinanzi ad Erika Anderson divento un selvaggio e mi scappello.

Comunque, Nicolas Cage è L’ultimo dei Mohicani? No, non è proprio cane, dai. In Zandalee, spinge…

di Stefano Falotico

montemagno mereghetti

 

Credersi Montgomery Clift e Gregory Peck e scoprire che sei uguale a Mel Brooks e Carlo Verdone


23 Mar

monty clift

Sì, di mio, son sempre stato un uomo di poche parole. Taciturno, come si suol dire. Talmente impeccabile e serioso da indurre il prossimo perennemente a credere che fossi tonto.

E che navigassi nei sogni utopici con le mie folli chimere da spadaccino di mie incurabili ipocondrie da visione della vita distorta e distopica da topo, nel fronteggiare soprattutto la desolazione delle mie aridità e delle desolanti mie alienazioni per proteggermi da un mondo di continue, a me disturbanti feste e ilarità che mi son sempre parse sconsolanti e sconcertanti.

Un uomo cupo, ombroso, enigmatico, indecifrabile perfino per il mio riflesso allo specchio. Che m’ha puntualmente rimandato un’immagine amabile, altamente stimabile della mia persona.

Sì, io non ero avvezzo a specchiarmi molto perché, quando ciò accadeva, era solo per pettinarmi e lavarmi i denti, per sciacquarmi il viso e per tagliarmi la barba. Tutte situazioni in cui un uomo, tenendo alla sua salute fisica, alla sua composta presentabilità elegante e distinta, non è quasi mai smorfioso in selfie elogiatori di sé stesso.

Ma usa, appunto, lo specchio solo per migliorare la già nobile sua raffinatezza. Per aggiustare e rassettare la sua indole innatamente, se non perfetta, almeno ambiziosa e slanciata verso un modello alto di perfezione estetica, lontana da ogni sciatteria e da ogni disgustosa repellenza del proprio io, remota dalla trascuratezza e protesa a un insistito miglioramento della propria apparenza esterna da far combaciare il più possibile, maggiormente alla propria interiorità romantica, oserei dire ottima. Inappuntabile.

Sì, il mio specchio è stato uno dei miei amici migliori. Sapeva dirmi, senza pronunciare una sola parola ma soltanto emanandomi, con la sua smerigliata superficie diffondente, la mia parvenza, che non era certo quella di un deficiente o di un brutto uomo del volgo.

E io, in segno di stima, accarezzavo e lustravo il mio specchio, donandogli baci soffici delle mie labbra appena disinfettate col dentifricio più cremoso ed elargendogli la brillantezza che non avevo poiché, come detto, all’epoca ero melanconico.

Al che, andavo in sala e accendevo lo stereo, infilando uno dopo l’altro tutti i cd di Sergio Cammariere.

Grande artista lunatico da non confondere però con quel fornaio di Nicolas Cage/Ronny Cammareri in Stregata dalla luna.

Ci rendiamo conto? Raramente ho visto e vedrò in vita mia uno zotico come Cage in questo film.

Il quale, senza battere ciglio, s’innamora di Cher, del suo rimmel e delle sue sopracciglia. E, cafone agghiacciante, con tanto di petto villoso da scimmione, all’improvviso l’afferra da manigoldo e quindi la inforna.

Lei s’innamora. Hai capito le donne?

Io son stato invece talmente rispettoso dei pudori e delle sensibilità del gentil sesso da passare per femminuccia, anzi, per asessuato.

Timidissimo, ai limiti del patologico, chiuso in me stesso. Un uomo che adocchiava, sapeva ma troppo titubante si poneva. Patendo sofferenze inaudite di deliri d’amore raramente concretizzatisi.

Un uomo però che, con enorme dignità, indossava ogni suo fallimento esistenziale e sentimentale con uno charme da far invidia ad Alain Delon.

Tant’è che la gente, vedendomi così apparentemente impassibile, prima su di me spettegolava e poi sbottava:

– Ma è impossibile! Possibile insomma che questo continui a ricevere delusioni a raffica e non gli fa né caldo né freddo? Cos’è di marmo? Cos’ha al posto del cuore? Un iceberg?

 

No, come vi ho detto e come sanno gli uomini malinconici e ora perciò malconci, noi di questa razza psicologicamente un po’ anomala, poco chiassosa, non esterniamo quasi mai i nostri dolori. Teniamo tutto dentro nel cuore.

Eppure, dai oggi e non me la dà domani, la maschera del lord si scioglie e la società bavosa ti lorda con le sue porcate. L’infima pusillanimità della gente mediocre ti combina brutti scherzi perché, mal tollerando la tua principesca elevatezza, vorrebbe che fossi un comune stronzo come tutti.

E succede che, abdicando ai ricatti più mendaci, anche tu ti sporchi e cadi preda delle tentazioni più indegne del tuo nome. Del tuo uomo.

Però, anziché diventare appunto uno qualsiasi che ride, lavora per tirare a campare, si diverte come uno scemo e prende tutto come viene senza porsi problemi, il tuo cuore non può mentire. No, devi starlo a sentire.

Fingi una felicità e un’allegria che non ti appartiene. E allora, alla pari di tutti i grandi geni tragicomici, per non sprofondare nella collettiva demenza, ti dai al demenziale.

Così, può accadere che diventi più stronzo di uno psichiatra, come nella celeberrima scena di Alta tensione…

– Sono curioso. Qual è l’esatta percentuale di guarigione dei pazienti, qui all’istituto?

– La percentuale di guarigione? Glielo dico immediatamente. Una ogni morte di papa.

– Una ogni morte di papa. Uhummm…

 

Ora, cosa voglio dire con questo? No, il papa non è morto. Anzi, mi sta simpatico il Bergoglio e spero che possa campare ancora a lungo.

E io non sono guarito da un bel niente.

Come Mel Brooks e come Monty, ho sempre avuto semplicemente più classe e più pudore. Così grande da esser preso per un imbranato… e un sempliciotto.

Questa come la vedete?

Se oggi ho un lavoro?

E che se ne fa Mel Brooks di uno squallido lavoretto da quattro soldi?

Lui è davvero il più ricco di tutti. E sapete dove.

Che peccato insomma non essere diventato Gregory Peck così come avevo sognato.

Ma sarebbe stata in fondo noiosa una vita da gentile, amabile signore.

Meglio essere come Mel. Un genio spaventoso, almeno secondo Mel, no, secondo me.

Sicuramente non secondo a te. Ho detto a te, sì, a te.

E non secondo il modo di vivere falso della maggioranza.

 

mel brooks vita da cani

 

 

di Stefano Falotico

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