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Compagni di scuola – Recensione del film (?) di Carlo Verdone


21 Feb

carlo verdone cenci compagni di scuolaEbbene, m’accingo qui a distillare la verità assoluta e incontrovertibile riguardo Compagni di scuola.

Film lontano anni luce dalla visione mesmerica e trascendente, onirica e cupa della mia esistenza non ancora caduta o perduta, bensì certamente caduca.

Provocato involontariamente da un mio contatto Facebook, il quale l’altra sera postò nella sua bacheca un frame di tale inguardabile e indigeribile pellicola di Carlo Verdone, magnificandola e incensandola in forma del tutto poco necessaria e, a mio avviso, totalmente fallace, intendo nelle prossime righe sentenziare in merito a questa cagata bestiale.

Tale mia apparente scurrilità dovete subito perdonare poiché trattasi indubbiamente di un film che fa, senza se e senza ma, oggettivamente cagare. Una diarreica galleria di attori, perlopiù natii di Roma, figli d’arte o di papà, probabilmente (mal)educati in licei classici capitolini da bravi, si fa per dire, signorini della borghesia agiata stazionante non a Termini, bensì forse già (s)terminata nell’aver perso il binario dalla nascita.

Vi ricordate, in Bianco, rosso e verdone, Pasquale, emigrato che ritornò in Italia per le politiche elezioni nazionali?

Egli, deluso dal Belpaese, scappò in Germania ove scopò e sposò una valchiria.

I crucchi, perfino nelle camere degli alberghi, non hanno il bidet. Il mio ultimo, sì, ultimo dell’anno lo passai a Monaco di Baviera e posso garantirvi che i tedeschi, detti anche germanici, sono intransigenti per quanto concerne il rispetto dell’ordine pubblico vigilato da una severa, freddissima polizia di Stato, ma non sono affatto igienici in fatto di pulizia, non solo pubica.

Pasquale, lungo l’autostrada di ritorno, ascoltò dall’autoradio l’immensa Binario di Claudio Villa.

Vecchio casellante che fermo te ne stai

Dimmi come mai ?!

Non vedi che il mio amore fuggia via lontano (fuggiva da Foggia?)

E lo inseguo invano

Ferma tu quel treno che muoio di dolore

Fallo per favore

Fa che io possa rivederla ancor

Binario, triste e solitario

Tu che portasti via col treno dell’amore

La giovinezza mia

Odo ancora lo stringere del freno

Ora vedo allontanarsi il treno

Con lei che se ne va

Binario, fredde parallele della vita

Per me è finita

 

Per recarmi a Monaco, io presi l’aereo, comunque.

Torniamo ora agli interpreti merdosi di questo film schifoso. Da alcuni definito persino Il grande freddo alla romana.

Sì, Lawrence Kasdan guarderebbe in faccia chi ebbe la sfrontatezza di associarlo al suo film e, con spietatezza da Clint Eastwood de Il buono, il brutto, il cattivo, lo ghiaccerebbe subito con tale freddura micidiale:

– No, non giochiamo di cinematografici duelli, neppure di un triello, mio uomo da Un sacco bello. In cui vi fu Mario Brega. Sergio Leone raccomandò Carlo Verdone ma qui stiamo parlando di saltimbanchi come Nancy Brilli e Massimo Ghini. Cioè di pagliacci-magnaccia d’avanspettacolo che se avessero davanti a loro, in posizione orizzontale, Claudia Cardinale e il compianto Indio/Gian Maria Volonté, neppure con la massima volontà, applicandosi da diligentissimi studenti del Ginnasio, ripeto, dirimpetto a due così, non finirebbero di sentirsi dei born loser come Noodles di C’era una volta in America.

 

Personaggini che, grazie a spinte e potenti raccomandazioni, fattisi strada non presso il litorale di Ostia, ove Pasolini fu assassinato e omaggiato da Nanni Moretti nel primo episodio di Caro diario, riuscirono a cenare molte volte assieme in qualche ristorante chic della metropoli caput mundi.

Anche oggi, invecchiati più di Fabio Traversa/Fabris, da nostalgici Amici miei alla Monicelli con tanto di toscanacci, a tavola come Alessandro Benvenuti e Athina Cenci senza però Francesco Nuti, adesso malato gravemente e non più Ad ovest di Paperino, bensì col pappagallo in ospedale a leggere, flebo permettendo, Topolino, ecco, anche ora tale congrega di uomini e donne partoriti da una canzone à La grande bellezza di Antonello Venditti, fra un primo, un secondo, un prosecco e il dessert intonerebbero, in memoria delle loro giovinezze viziose su pizza Capricciosa, il Tommaso Paradiso de I nostri anni.

Di cover, al pianobar, messa su dal duetto formato dal volgarissimo Christian De Sica e da Natasha Hovey, donna anche lei oramai non più da Borotalco.

De Sica, il quale qui interpreta la parte di Ciardulli, also known as come er mitico Tony Brando. Brando, omaggio a Marlon, nome di battesimo del nipote di Vittorio De Sica, peraltro. Avuto da Christian con la moglie Silvia, sorella del Verdone.

E vai di tricolore, semmai invitando come guest star pure Sabrina Ferilli, Francesco Totti e l’ospite inatteso non romano, anche se d’adozione, spesso sì. Ovvero Calogero Alessandro Augusto Calà, in “arte” detto Jerry.

Protagonista, insieme alla Ferillona, di Diario di un vizio e idolo di Vacanze di natale. Il quale, fra un piatto di fusilli e un bis di bucatini all’amatriciana, in versione spumeggiante, inciterà tutta la combriccola di avvinazzati marci a non mollare…

Alzando il ritmo degli sbronzi fradici con la leggendaria Maracaibo!

Al che, nel locale, come ne La maschera della morte rossa di Edgar Allan Poe, fa irruzione il fantasma dell’opera, vale a dire il Falotico.

Dicendo agli avventori e astanti:

– Mi sa che sono stufo del vostro Cinema relativistico, ristretto fra le vostre pareti anguste da ruffiani. Un Cinema provinciale, più asfittico de Il pozzo e il pendolo.

Ora, chiariamoci molto bene. Perdiamoci di vista, subito.

Mi scambiaste per una ragazza schizofrenica come Asia Argento. Non è che di me molto, eh, capiste.

Ne Il bambino e il poliziotto vi fu Barbara Cupisti. Attrice di Opera di Dario Argento.

– Ah, quindi tu…

– Sì, non sai quante me ne sparai su Barbara.

 

 

Carlo Verdone, scioccato, al che mi urla da nevrotico qual è:

– Maledetto il giorno che t’ho incontrato! E dire che pensai che tu fossi Acqua e sapone come Silvio Muccino.

Ma che colpa abbiamo noi? Scusaci, pensavamo che tu fossi Zora la vampira e Gallo cedrone. Insomma, uno storico coglione.

Invece fosti tu a coglionarci, oddio, sei Il volpone. Sei proprio Il mio miglior nemico.

E ora tutti fuori.

Al lupo al lupo!

A parte gli scherzi, un Cinema cucinato su misura per una generazione già fallita all’epoca, figuriamoci ora.

Cinema alla frutta. Soprattutto secca. Di donne e uomini strafatti e sfattissimi non secchioni ma onestamente con la panza piena già, nemmeno quarantenni, più acidi dei settantenni.

Che tristezza. Lo squallore italico nella sua patetica reminiscenza di mai sbocciate adolescenze in fiore neppure davvero iniziate ma solo interrotte e/o rimandate. Già inaridite prima di ogni esame di maturità, già imbolsite, imborghesite, appesantite, scolarizzate in una visione liceale perennemente incurabile da battutine scontate come quelle fra due ragazzine che, dopo un orale su Ovidio, si nascosero nel bagnetto per sparlare di Livio. Spettegolando su Linda, amante sia di Lando che di Armando, sognando in due di lasciar perdere Quinto Curzio Rufo e anche Ponzio Pilato, dandosi invece solo a Renzo, lo sfigato forse pure leggermente pelato. Ma quali Promessi sposi! Ma quale Manzoni! Ma quale Leopardi! Queste, dopo il diploma, vollero il visone con la pelle di ghepardo e il visetto con ogni epidermide strappata ove la gatta va al lardo e ci lascia lo zampino, pure il ritocchino.

Cinema già al bivio, Cinema per niente bello, non piace nemmeno al più analfabeta bidello.

Cinema davvero piccino adatto solamente ai poveri bambini mai cresciuti nel cervellino.

I quali pensano, purtroppo, che basti una laureetta per essere Carmelo Bene o Woody Allen. Entrambi, peraltro, non laureati.
E mi pare giusto. Non si fotterono con le lodi e con le leccate da pasciuti ben appagati, solamente già amareggiati. Dunque, futuri padri retorici e falsi educatori per tramandare soltanto tale immane limitatezza da Italia in miniatura.

Vanno nanizzati.

Ridimensionat, stroncati. In una parola, trombati.

 

 

di Stefano Falotico

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