Posts Tagged ‘Peter Weir’

Bentornato professore: being Johnny Depp


20 Jun

depp arrivederci professore

Sì, è uscito oggi nelle nostre sale Arrivederci professore con Johnny Depp. Un film discreto, non un granché. Un film assai simile all’Attimo fuggente.

Il messaggio di fondo, infatti, è identico: ragazzi, carpe diem…

Però, Arrivederci professore è annacquato in dialoghi retorici che, con la finissima retorica di Peter Weir, hanno poco a che vedere.

Come si dice in questi casi, un film dagli intenti nobili e mirabili, giammai miserabili, ma che a livello qualitativo non poco ha difettato nei risultati.

Film da me, ovviamente, già visto. Altrimenti che cinefilo sarei? Mica sono un cinofilo come La Russa.

Nicolas Cage è stato spesso invece un attore cane durante la sua carriera ma fu lui a regalare a Johnny Depp uno dei primi ruoli importanti. Suggerendogli d’istradarsi pian piano a Hollywood ai tempi in cui condividevano la stessa stanza d’albergo. Erano entrambi giovanissimi. Il primo, Cage appunto, è nipote di Francis Ford Coppola, come sappiamo. E, sebbene nelle sue ultime interviste, abbia affermato che l’onere d’indossare un cognome così responsabilizzante l’avesse indotto persino a colpevolizzarsi, inizialmente a snaturarsi e ad assumere atteggiamenti innaturali per dimostrare al mondo che l’Oscar di Via da Las Vegas lo ottenne per l’intrepidezza d’aver rischiato con un personaggio ingrato, rifiutato da tutti poiché, appunto, gli altri attori l’avevano considerato lesivo della propria immagine, ecco, malgrado ciò, il signor Cage dovrebbe sinceramente ammettere che in Rusty il selvaggioCotton Club e soprattutto Peggy Sue si è sposata campeggia(va), correggetemi se sbaglio, eh eh, il suo nome in cartellone, come si diceva una volta.

I suddetti tre film mi pare che siano firmati dal regista del Padrino e di Apocalypse Now. Eh già, non mi sembra, a meno che abbia avuto le traveggole, che siano stati diretti, che ne so, da Sofia Coppola. La quale, ai tempi di The Godfather, aveva appena un anno, quasi due…

Vorrebbe, signor Cage, obiettare in merito alla veridicità, alla validità di questa mia affermazione?

Detto ciò, tralasciando nepotismi e leccate di culo, spintarelle e raccomandazioni, Johnny Depp è la simbolizzazione incarnata del bellissimo sognatore per antonomasia. Ultimamente, ha perso parecchi colpi ma è stata tutta colpa di quella baldracca che s’era sposato, Amber Heard. Donna assai figa e slanciata ma artisticamente poco elevata. Che Johnny Depp, con le sue infamie e le sue denunce smodate, forse un po’ ha rovinato.

Dovete sapere che, per un tempo immemorabile, mi dissociai dai miei coetanei in quanto già oltre il comune volgo adolescenziale di questi pubescenti starnazzanti.

A Bologna, città che mi diede i natali, calci nelle palle sesquipedali e ove m’innamorai, anche se solo per tre secondi, di Natalia la fioraia, quelli della mia generazione, dopo settimane di compiti a casa prescritti loro da insegnanti boriosi, barbosi, accademicamente noiosi e soprattutto ipocriti, andavano a gozzovigliare al pub Estragon.

Dunque, dopo sei giorni feriali di castighi scolastici a cui doverosamente si erano attenuti da fighetti ligi, canne permettendo e la musica di MTV a distrarli dal dolore insopprimibile di saper inconsciamente che non avrebbero mai avuto una notte con Alanis Morissette, peraltro una donna androgina tutta mossette, dopo aver accontentato, da bravi figli di papà e mammà, i precetti educativi dettati loro dalla genitorialità più pedagogicamente ruffiana, si precipitavano nell’Estragon suddetto per sabati sera sudati.

Scalmanandosi nei bagni scalcinati fra zampillii di birra scaduta e lingue copulanti in accoppiamenti perfino promiscui in mezzo a tutta la folle mischia. Godendo da matti nel putiferio di vodke lisce e della cantante guest star della serata, Mascia la bauscia. Esaltata di Milano scesa a Bologna per tirarsela da Annie Lennox. A me fu fatto credere di essere Johnny Depp di Edward mani di forbice. Sì, i fricchettoni amavano da morire maltrattarmi da freak monco. Mi proibivano subdolamente di voler toccare ragazze gnocche come Winona Ryder ma ora sono io, in questo personalissimo Ritorno al futuro, a recarmi nei pressi del maialino di turno, gridandogli… ehi tu, porco, levale le mani di dosso.

Al che, il buzzurro, esce dalla macchina e spera di suonarmele:

– Tu stai sognando, idiota. Tu dai ordini a me? Ma mi hai visto bene? Io ora ti smonto.

 

Non posso dirvi chi l’abbia prese fra me e lui. Sicuramente lui non l’ha presa e me la sono montata io? Non mi riferisco alla testa. Fui oggettivamente pazzo come Don Juan De Marco – Maestro d’amore ma mi salvai dal manicomio, salvando gli psichiatri. Da cui ora ho ricevuto perfino l’encomio. Una situazione, diciamocela, tragicomica. Dinanzi a me, questi strizzacervelli compresero di aver sbagliato tutto. Anziché perdere tempo a lobotomizzare i loro pazienti facilmente suggestionabili, invece di rincoglionirsi con le fredde teorie freudiane sull’Eros, rimpiansero di non essere stati come Mickey/Rourke di Barfly.

Ah, è troppo tardi. La vostra Faye Dunaway ora scambia Warren Beatty per Marlon Brando.

– Faye, Marlon è morto.

– Anche Warren non lo vedo benissimo, diciamo sul giovanissimo.

– Brava, andata del tutto non lo sei…

 

Sì, Faye riesce sempre a non farsi internare perché, nonostante la demenza senile oramai galoppante più di come, negli anni settanta, faceva cowgirl in tanti letti e divani ruvidi e sessualmente strafottenti, rimane una donna dal fascino spiritoso, sempiterno. Anche se nessun uomo, oggi come oggi, vorrebbe entrarci dentro.

Di me, invece, che si può dire?

Sono Johnny Depp di Finding Neverland. Faccio leggere le prime pagine dei miei libri al mio editore.

Puntualmente, succede sempre la stessa cosa:

– Falotico, che razza di stronzata è mai questa? Si rende conto della cazzate immonde che ha scritto in queste prime dieci pagine?

– Il libro ha ancora 190 pagine. Lo legga tutto.

– Già. Guardi, lo leggo sino alla fine ma, se il registro non cambierà, lei in ospedale psichiatrico finirà. Questo almeno lo sa?

– Lo so, lei legga.

– Va bene.

 

Insomma, la vita è una sola, spesso una sòla. Spesso ancora sono solo ma fuori oggi c’è il sole.

 

 

di Stefano Falotico

neverland depp

Primo giorno d’estate, esame scritto di maturità, che grande sciocchezza, che tragico inganno alle coscienze giovanili


21 Jun
Pictured: Captain Jack Aubrey (RUSSELL CROWE).

Pictured: Captain Jack Aubrey (RUSSELL CROWE

Sì, non si può dire che io sia un ritardato. Nei giorni tranquilli di mia euforica baldanza, la mia mente, saggia e articolata come un leone nella savana, reattivissima agli stimoli, intelligente più di un pappagallo non drogato, ragiona di grandi e profondi pensieri e s’inerpica nelle vie, vivaddio, deliranti della prosa poetica, arrampicata com’è alla selvaticheria savia del mio an(s)imo vitale. E il mio corpo non è quello di un vecchio, di cui però comprendo le amarezze, né mi si può annettere ai “giovani”, perché essi mi paiono tanto incoscienti quanto così volgari, presuntuosi, “untori” e violenti nelle loro ideologie “scostumate”. Ma i miei ormoni, ancor pulsanti, non riescono a sganciarsi da pene…

Vedo giovani vecchi parlar di Cinema in modo pretestuoso, malamente ambizioso, e sfogliano soltanto enciclopedie di un sapere nozionistico che poco s’addice alla mia indole curiosa eppur sempre suscettibile di dubbi. Nelle perpetue incognite mi riverbero e ogni giorno mi “paio” ignorante, perché l’apprendere non ha mai fine e in questo salir-scendere non mi appendo alla ricerca di stabilità sia emotive sia cerebrali.

Ma, tornando alla maturità, cari Caproni, che significato hanno o possono avere gli “elaborati” sul lavoro nella società contemporanea e sulla robotica, se i giovani ancor non lavorano e credo non abbiano mai letto Asimov? Tutta una tremenda sconcezza, in cui i giovani pensano che, oggi “penando”, avranno un domani migliore. E zotici, insipienti questi insegnanti piccolo-borghesi che già li reprimono in burocratiche “adultità” dello scibile. Sì, che brutta stirpe, il cosiddetto “insegnante”. Che poi non si sa bene cosa insegni, cosa redarguisca, cosa premi, se non il perbenismo plebeo, la già rigida compostezza oserei dire “carabinieristica”, “pulizie” della mente al servigio dello Stato. Crescono e poi vanno in pensione, dopo una vita passata sui b(r)anchi, e si riciclano semmai attori di “teatro”, per patetiche, parrocchiali recite dei loro furono Mattia Pascal.

Allorché, prendo in mano la carta igienica e li pulisco da tanto cagare. Che stronz(at)e.

 

di Stefano Falotico

19397033_10208932539613599_9052263991615296373_n

“Fearless” di Peter Weir, recensione di Davide Viganò


09 May
Scampato a un incidente aereo Max Klein vede la su vita rinnovarsi e sconvolgersi del tutto. In lui nasce un distacco verso la famiglia e gran parte delle persone, ma anche una profonda sensazione di onnipotenza. Ed è proprio questa che lo spinge ad aiutare Carla, una giovane donna di origine messicane che nel tragico incidente ha perso il suo bambino di appena un anno.
Sono due modi diversi di affrontare la sciagura che si incontrano e cercano faticosamente una sorta di equilibrio, un tentativo di ritorno alla vita, (Max parla spesso di “scomparire,siamo già morti,siamo fantasmi”) ma, mentre l’uomo ha trovato una dimensione di esclusione e “strafottenza”, quasi noncuranza nei confronti della vita e della morte, (ad esempio mangia fragole, frutto per lui pericoloso in quanto allergico),la donna si abbandona totalmente a un straziante dolore e un feroce senso di colpa.
Max è circondato dai media, da un avvocato delle assicurazioni cinico e invadente, da un bambino che ha salvato e che non lo molla mai, da uno psichiatra abbastanza goffo che vuole psicanalizzarlo e sta vivendo una grossa crisi matrimoniale. La salvezza da una morte certa in realtà la legato fortissimamente alla stessa morte. Nel suo rapporto con Carla ritrova un vero motivo di esistenza, un reale scopo.
Peter Weir è un grande regista, sopratutto nel suo periodo iniziale in Australia ha diretto dei classici legati a un Cinema d’atmosfera inquietante come L‘ultima onda tanto per citarne uno, in America si è sempre comportato più che bene: Witness, lampante esempio.
Questa pellicola del 1993, per me è tra le sue migliori, un film complesso  e intelligente sul lutto, la sopravvivenza a un grosso disastro, la perdita di un figlio, lo scontro e incomprensione tra chi è sopravissuto e gli altri, ma anche tra gli stessi che son usciti salvi dal funesto e terribile incidente, la casualità della vita, il senso di impotenza di fronte alla morte dei cari e quello di onnipotenza, il cinismo della società che sfrutta una vita per riempire giornali e tv o per prendere più soldi dall’assicurazione.
Tratto da un romanzo di Raffael Yglesias, che firma anche la sceneggiatura della trasposizione cinematografica, è un’opera di lucidissimo dolore, che evita quasi sempre facili scivoloni nel sentimentalismo o nel ricatto emotivo, un’attenta indagine psicologica non solo dei due protagonisti,ma anche del mondo che li circonda
Il tema della morte per me è fondamentale, amo i film che l’affrontano e sopratutto quello che come si vive o supera un lutto, che trasformazione porta nelle persone e nella cerchia famigliare o il rapporto con la società. E questo lavoro del regista australiano, grazie a una buona sceneggiatura, affronta questi temi con la giusta misura di melodramma e dramma, sa quando spinger un po’ di più e quando fermarsi.
E poi è Cinema, grande Cinema. La scena iniziale con Jeff Bridges che esce dal campo di granoturco ha una potenza visiva meravigliosa, esattamente come l’incidente aereo che ci viene mostrato nel finale. Pare di essere su quel maledetto aeroplano, (io ho paura di volare e questo film mi conferma tutto eh!), ci si commuove anche per quella gente che muore o quella che sopravvive, per le mani che si cercano e non si trovano,veramente un pugno nello stomaco.
Il rapporto tra Max e Carla, che non sfocia mai nella inutile sequenza di sesso o nella storiella sentimentale, ha un rigore morale raro nei film che in un modo o nell’altro sono comunque non relegati alla nicchia del Cinema d’autore, ( e io amo le nicchie eh!), così come la scena dell’incidente di macchina che Max si procura per eliminare il senso di colpa a Carla è un momento, ripeto, di grandissimo Cinema, per montaggio,suono,recitazione, tutto.
Fearless ha un grande cast che funziona alla meraviglia, dai due memorabili e indimenticabili, Jeff Bridges e Rosie Perez, fino a Isabella Rossellini, John Torturro, Benicio Del Toro, Tom Hulce.
Opera forse dimenticata e trascurata, ma validissima, da rivedere.
Portate i fazzolettini perché si piange e tanto eh!

Tre libri che dovreste leggere prima della profezia di Maya Hills


29 Jul

 

Sì, quella civiltà fu “apocalyptica“, quasi quanto un Coppola leggendario, che impiegò degli anni per smaltire l’insormontabile fatica d’un capolavoro assoluto, ma “lavoraccio” durato interminabili mesi e un culo pazzesco di “riprese”, anche in senso lato.
Fidatevi, meglio la “caramellina” balsamica di “Lei”, piuttosto che l’eucalipto(lo).

Poiché, “salin” salendo, Lei va sempre più piluccando “captandolo” al Capitano…
La “famosa” capitaneria di “porco”

 

Nella mia libreria, scorro libri che l’umano medio, con alluce “di traverso”, non leggerà mai.
Da qui, la mia acuita genialità che spazia da un film dei Marx, dal Mars “scioglievolissimo” per amplessi al Twix, da un Wahlberg Mark a un “marcamento a zona”, senza “marchette”, a una Donna di nome “Marcantonia“, “composto” alla Marlon Brando di Marcella + Antonio, uomo “tutto d’un pezzo”:
Sì, “pezzato”.

 

La mia professione è di attraversare frontiere. Quelle strisce di terra di nessuno fra due posti di controllo sembrano sempre zone piene di promesse: la possibilità di nuove vite, nuovi profumi, nuovi affetti. Ma al tempo stesso scatenano in me un disagio che non riesco a reprimere. Mentre i doganieri rovistano fra le mie valigie, sento che tentato di aprire la mia mente, alla ricerca di un contrabbando di sogni e di memorie proibite. Però c’è anche uno strano piacere nell’essere messo a nudo, e questo è ciò che può aver fatto di me un turista di professione. Mi guadagno da vivere scrivendo dei miei viaggi, ma mi rendo conto che questo è poco più di un travestimento. In realtà i miei bagagli non sono quasi mai chiusi a chiave, come se non vedessero l’ora di essere aperti.

Questa è “musica” per le mie orecchie “visivo-emozionali”, un ballo per rinfrescar i neuroni, insomma un Ballard d’annata, meglio dell'”ottima” d’un Ridley Scott poco fantascientifico ma di Cotillard già da “sbaciucchiar” tutta.
Sì, nella “botte piccola” c’è il vino di “botta!”. Pienissima!
Marion eccita i “maroni”.

Ecco cosa succede quando un Uomo, “pulcino” come me, scavalcò la linea d’ombra.
Che Lei ti chiarì il dubbio fra le mutande.

Sì, la mia casa è una biblioteca babilonese, trovate romanzi “inaspettati”, e il mio cervello, sconvolto da quest’ipertrofia, si sta “surriscaldando” in mezzo a “signore” che amano la mia “raffinatezza”.

Firmato il Genius
(Stefano Falotico)

  1. Apocalypse Now (1979)
    C’è anche un’altra versione con Tim Roth e John Malkovich.
    Il problema è che il film non sarebbe poi neanche male ma, in confronto a cotanto ben di Dio, ci pare uno spazz(ol)ino.
  2. Un’ottima annata (2006)
    Eh ci credo, quando un Russell incontra una “rossa” così, la faccia d’angioletto diventa “dannatissima”.
  3. Strange Days (1995)
    Dite a Battiato che, paragonato a me, la sua musica è da “educatore”.
  4. Apocalypto (2006)
    Quando Mel Gibson comprese di essere un alcolista, tornò indietro nel Tempo delle “scimmie”.
    Distopico.
  5. L’attimo fuggente (1989)
    Sì, ma ci vuole anche l’istante “ficcante”.

Genius-Pop

Just another WordPress site (il mio sito cinematograficamente geniale)