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JOKER: a parte Joaquin Phoenix, Richard Gere meriterebbe l’Oscar


22 Dec

mindhunter

La mia vita è stata una tragedia? Una commedia? Una pantomima? Una recita scespiriana? Una pochade? Una porcata? Un kammerspiel, una stronzata o una comica puttanata? Chissà.

Sì, posseggo un’innata vis comica.

Riesco sempre a trasformare gli attimi tragici della mia vita in qualcosa di ridicolo grazie al mio pigliare l’esistenza con filosofia. Con classe, soprattutto.

Figuratevi se la vita l’avessi pigliata davvero. Sì, credo aver vissuto Al di là della vita. Sono l’incarnazione di Nicolas Cage di Bringing Out the Dead.

Mi do ancora sensi di colpa per eventi occorsimi anni addietro dei quali invece non dovrei più preoccuparmi o discolparmi.

Nel film di Scorsese, Nic si affligge per non essere riuscito a salvare una tossica.

Nel mio film, invece, quello proiettato nella mia anima ogni santo giorno maledetto, vari demoni dostoevskijani mi rendono agitato e nevrotico come De Niro di Taxi Driver.

Devo esservi sincero. Salvai la vita a molti ragazzi in tempi non sospetti. Prima che costoro, a cui regalai una speranza esistenziale, mi coglionassero per volermi vedere rovinato.

Sì, alle scuole medie, consigliai alla ragazza di cui fui innamorato, eh già, d’iscriversi a un istituto per geometri. Le dissi che, una volta che si sarebbe diplomata, avrebbe dovuto poi laurearsi in Ingegneria Edile.

Ciò infatti avvenne ma lei a letto con me mai venne. Da qualche anno, peraltro, lei ha messo su famiglia col mio ex amico di banco delle scuole elementari. Lei progetta palazzi e per le sue progettazioni viene pagata così tanto da poter permettere a tutta la sua famiglia di comprare nuove ville. Spesso suo marito, cioè il mio ex compagno, non lavora e lei lo mantiene. Il mio ex amico regalerà alle figlie, per Natale, la casa di Big Jim. Ho detto tutto.

Comunque, per consolarmi, l’altra sera rividi La zona morta. Ove, come sapete, Chris Walken si risveglia dal coma e, dopo aver subito un tragico incidente, scoprì che la sua donna scopò e sposò un altro. È penoso, sì, questo Chris ridotto come un povero cristo “illuminato” che concede pene, solo per una notte, alla donna che, involontariamente, gli causò la disgrazia. Sì, se quella notte lui non l’avesse mai accompagnata a casa, lui non avrebbe mai fatto il frontale contro il camion che si sfracellò contro la sua macchina. Cioè, La zona morta è la storia di un professore che diede lezioni di cultura e di vita a degli studenti, forse pure ripetenti, ma rimase poi indietro rispetto anche all’ultimo analfabeta che lo trattò da ritardato. Ah, bella roba.

Secondo me, fra l’altro, il marito dell’ex donna di Walken fu uno dei suoi ex studenti. Ho detto tutto.

Nel film ciò non viene esplicitato ma la faccia di Walken, dopo aver visto il figlio piccolo della sua ex donna, la dice tutta. Sì, pare che con lo sguardo dica:

– Assomiglia a suo padre. Era uno che bocciai tre volte.

 

Sì, dovete sapere che molta gente malata di mente, cioè schizofrenica, quando comprende di non aver mai vissuto pienamente la propria vita reale, penosamente crede di essere Walken de La zona morta. Ne vidi e vedo ancora tanti così.

Sino a qualche anno fa, per esempio, frequentai un tizio. Essendo costui rimasto vergine sino a quarant’anni suonati, una sera mi confidò che voleva metterlo in culo a tutti. E che era (a)sceso sulla Terra per fare l’angelo sterminatore. Sodomizzando l’intera umanità che l’aveva messo in croce.

Gli risposi:

– Anche il prete della tua parrocchia vorresti fottere?

– Sì, lui è il primo della lista. È il Maligno!

– Davvero? Mi pare l’unico che ancora ti dica… che dio ti benedica.

 

Eravamo a casa sua, seduti sul divano a guardare la televisione. Per questa mia impavida freddura, mi saltò al collo. Stette per strozzarmi. Mi sentii spaccato, spacciato, praticamente soffocato. All’improvviso, dalla tv accesa, annunciarono l’elezione al papato di Jorge Bergoglio. Lui, commosso, mi lasciò stare. Inginocchiandosi in estasi come se avesse visto la Madonna.

E io urlai:

– Alleluia, alleluia. Sia lodato Gesù Cristo!

 

Comunque, l’elezione di Papa Francesco non servì a salvare il mio amico. San Francesco parlò agli uccelli. Il mio amico riesce ancora a non parlare con nessuna passera. Però si redense. Adesso, per sentirsi parte integrante di tutti gli animali terrestri, ogni mattina dà da mangiare ai piccioni. Poi, nel primo pomeriggio, guarda Uomini e donne. Ogni volta che una nuova coppia, pagata cento volte di lui per recitare la parte degli innamorati, si bacia, lui piange e canta a squarciagola Grande Amore. E la sua vita riprende Il volo!

Insomma, non tutti nascono Richard Gere.

Già ve lo dissi tempo fa. Richard non è mai stato candidato all’Oscar poiché considerato troppo bello.

Ma è, dopo De Niro, Al Pacino e Anthony Hopkins, il mio attore preferito.

È infatti l’unico attore della storia del Cinema a essere stato protagonista de I giorni del cielode Gli invisibili e de L’incredibile vita di Norman, riuscendo nel contempo a essere il principale interprete di American Gigolo, di Pretty Woman e di Affari sporchi. Richard Gere è un grande uomo, in tutti i sen(s)i. Tu, per esempio, ti saresti arrabbiato a morte se fossi stato considerato, per almeno trent’anni, il più grande sex symbol vivente. Senza però mai aver vinto niente d’importante. Richard Gere invece continua ad applaudire attori e uomini molto meno belli e bravi di lui perché non è un poveretto che delira e dà di matto se qualcosa gli va storto. Il novanta per cento delle persone invece se la prende ed è per questo che il mondo è in guerra e va a puttane. Qualcuno, allora, pensa che il mondo giri attorno a sé stesso (o a sé fesso) e offende il prossimo quando quest’ultimo non la vede come lui. Di conseguenza, si scatenano le lotte personali e nascono spesso le tragedie. L’altra sera, per esempio, mi contattò una tizia:

– Mio figlio non parla più ed è diventato muto dopo che a scuola l’hanno massacrato d’insulti. Che dice? Lo porto da uno psichiatra?

– No, signora. Lo sederanno e basta. Lo porti da me.

– La smetta! Lei è solo un ciarlatano!

– Ah sì? Allora perché sta chiedendo consiglio a me?

– Mi scusi, sono pazza. Le chiedo perdono. Non mi rendo conto di quello che faccio.

– Cioè lei è come il novanta per cento delle persone.

 

Ora, io ho rivisto Joker più e più volte.

Non riesco davvero a capire come possiate considerare C’era una volta a…  Hollywood un film maturo, anziché quello che è, ovvero una bambinata, e Joker invece, al contrario, un film puerile.

È esattamente l’opposto. Tarantino reinventa una tragedia mostruosa, Joker esplicita una tragedia “fantasiosa”. Vidi inoltre molte video-recensioni inerenti il film di Todd Phillips. Non ne vedo molte, invece, sui film di Todd Solondz, ah ah.

Permettete di dirvelo, nonostante vi stimi, siete tutti sbagliati, no, sono tutte sbagliate.

Mi riferisco, perlomeno, a quelle che accolsero tiepidamente tale suddetta pellicola. Per esempio. Mr. Marra sostiene, a spada tratta, che Arthur Fleck impazzisca quando smette di assumere gli psicofarmaci. No, invero non è proprio così. Terminato l’effetto compressivo dei farmaci, così si dice in psichiatria, i suoi canali della mente sono nuovamente liberi. Cosicché, Fleck riacquista coscienza. Quindi si ribella. Prima cioè era stato sedato poiché la psichiatria, erroneamente e orridamente, considera diversa una persona non adatta ai canoni della società. Dunque, come in Minority Report, per paura che, per via della sua alterità emozionale non allineata al pensiero comune, prima o poi Arthur sarà esposto a una reale situazione in cui non saprà gestire le sue emozioni, rendendosi dunque pericoloso per sé e per gli altri, lo arresta chimicamente, imprigionandolo nella castità psicomotoria ed emotivamente alterata, ingannandolo subdolamente. La cosiddetta suggestione. Prevenire è meglio che curare? Antico dilemma per cui Shakespeare si sarebbe scervellato. La risposta giusta è essere anche nel non essere in quanto noi tutti siamo quello che crediamo di essere. La maggior parte delle persone non si rende conto, purtroppo, di chi è/sia. Dunque di chi non è e non sia. E giammai sarà. Forse è l’alta borghesia o la finta cortesia. Forse è la dogmatica Chiesa o, appunto, un generalista, relativistico chicchessia. Pensandosi chissà chi, infatti crede perciò di poter decidere arbitrariamente chi sia l’altro nel volerlo recidere e/o psicologicamente recintare. Questa invece non è né la verità né l’obiettività, né l’intelligenza né l’elevazione ideologica. Si chiama nazismo ed è una cosa oscena. Ancora quanto mai attuale nella cosiddetta realtà. Avete visto C’era una volta a… Hollywood? L’attore che interpreta Charles Manson, ovvero Damon Herriman, è lo stesso che interpreta Manson nella seconda stagione di Mindhunter. A prima vista, quando faccio il cretino apposta, cioè il Joker, potrei sembrare Manson. Purtroppo sono come Holden Ford/Jonathan Groff. Perché purtroppo? Perché è più facile vivere da pazzi.  Se sei uno psicopatico come Manson e ti sbattono all’ergastolo, resisti. Poiché ti crei un altro delirio compensativo. Se sei Holden Ford, vedi tutto lucidamente. Ed è molto dura. Poiché in tre secondi netti, hai già capito chi hai di fronte.

Ora, vi spiego. Partiamo da questo basilare presupposto. Lo psicopatico, quasi sempre, ricommette lo stesso crimine. Non se ne rende neanche conto, è la sua inconscia natura a portarlo a delinquere nelle stesse modalità, sì, modus operandi, della prima volta. Lo fa per soddisfare suoi sopiti desideri sessuali inappagati che riversa nel crimine da lui perpetrato. Vi faccio un esempio lapalissiano. Il carnefice designa nella sua mente la vittima prescelta. Il novanta per cento dei crimini odierni avvengono telematicamente, cioè sono di bullismo psicologico. Il carnefice sceglie, a suo libero arbitrio, la vittima su cui accanirsi. La vittima crolla. E viene ricoverata. La vittima segue un percorso riabilitativo per dimenticare il trauma inferto a suo danno e, finito che ha di svolgerlo, perdona il carnefice e lo assolve.

A questo punto, il carnefice ritorna sul luogo del delitto, infierendo nuovamente e agendo psicologicamente su quelle che crede che siano ferite ancora aperte della vittima per indurre la vittima di nuovo a reazioni psicotiche.

Cioè, il carnefice cerca di nevrotizzare la vittima e portarla a uno stato di disordine post-traumatico.

C’è un piccolo particolare però che è sfuggito al carnefice.

Vale a dire, il carnefice pensa di conoscere a memoria la patologia di cui è affetta la vittima per colpire su di essa nei suoi punti sensibili.

Nel frattempo, però, la vittima ha imparato a conoscere i suoi stessi punti deboli e si è rafforzata enormemente.

È a questo punto il carnefice che rimane scoperto.

Sotto ogni punto di vista.

Sarebbe come dire che i fan della setta di Charles Manson erano convinti di trovare in casa Polanski, eh già, una donna debole e indifesa, Sharon Tate, andando a colpo sicuro.

Invece, sbagliarono la mossa e si trovarono di fronte Brad Pitt.

Dio che inculata bestiale, cazzo.

Il che sarebbe come dire, allo stesso modo, che Roman Polanski, dopo aver appreso della notizia di sua moglie stuprata, dilaniata e squartata, avrebbe avuto due possibilità: spararsi in testa o impazzire e di conseguenza finire rintronato in un centro di salute mentale a vita. A elaborazione impossibile di un lutto senza spiegazioni razionali, plausibili.

Lui invece intraprese la scelta più difficile.

Cioè, se già prima dell’omicidio di sua moglie, era un grande, poi divenne ancora più grande, sublimando nell’arte ogni suo demone interiore.

E L’ufficiale e la spia lo dimostra.

di Quentin Tarantino, no, di Stefano Faloticothree christs

Il professore e il pazzo, ennesima storia banale di genio e sregolatezza?


20 Mar

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Ebbene, siamo agli sgoccioli. Domani in sala approderà Il professore e il pazzo.

Paradossalmente, esce prima da noi che negli Stati Uniti perché in America sta avendo problemi distributivi.

Doveva uscire lo scorso anno e invece son sorte delle complicazioni.

Segna finalmente il debutto, parentesi esclusa di The First, serie televisiva, di Sean Penn come attore di Cinema dopo quattro anni, su per giù, sabbatici. In cui si è dato a cause umanitarie e anche alle case delle sue mille amanti che non poco devono averlo distratto dalla celluloide. Chissà, forse una di queste sue sempre bellissime (detto per inciso) amanti aveva un po’ di cellulite.

Insomma, dopo divertimenti e tanto impegno, Sean è tornato a recitare con dedizione di ottima dizione e pure col dizionario. Ci mancava questa faccia lupesca, un attore che, come disse il suo amico Bob De Niro, al di là della conclamata bravura, è sempre stato specializzato in personaggi alquanto borderline, molto sopra le righe, non propriamente degli straight men.

Personaggi che si vanno a cacciare sempre in qualche guaio per il loro carattere iracondo e manesco, per colpa delle loro personalità indomabili e furenti.

Ed ecco allora che, a prima vista, questo pazzo rinchiuso in un manicomio criminale di tal suddetto film, gli calza a pennello.

Sean ha il viso spigoloso dell’uomo mangiato vivo da mille dubbi, distrutto da ineludibili complessi di colpa, angariato dalla sua anima angosciata, tormentato più da sé stesso che dagli altri.

Sono curioso di vedere questo film. Tempo fa, ironizzai in merito. Perché le storie di pazzia, soprattutto sul grande schermo, mi han sempre puzzato di romanzata idiozia.

La pazzia è una cosa alquanto seria e non bisogna né scherzarci in maniera cafona né prenderla in maniera spesso falsissima come fanno e han fatto molte versioni, appunto, cinematografiche. Assai retoriche.

Nemmeno il tanto osannato The Master secondo me non è, in fin dei conti, un grande film. Il miglior film sulla pazzia rimane, a distanza di più di quarant’anni dalla sua uscita, il classicissimo Qualcuno volò sul nido del cuculo. Forte, cattivo, vero. Come il miglior Cinema degli anni Settanta.

Esistono molteplici stati di follia. Chiunque di noi, sostanzialmente, n’è affetto. Solo che, obbligato giocoforza ad auto-ingannarsi per sociale convenienza, mente alla sua anima e all’apparenza pare normale.

Nessuno di noi è normale, per fortuna. La persona cosiddetta normale non esiste ed è un bene assoluto che non esista. Perché altrimenti sarebbe un automa, un’anima vuota, un essere robotico.

E non soffrirebbe, non gioirebbe, non si emozionerebbe. Le emozioni stanno alla base di ogni scompenso psicologico, sono il basamento, ripeto, importantissimo e peculiare dell’anima umana, senza di quelle saremmo morti oppure lobotomizzati nel cuore, prima ancora che nel cervello.

Tutti noi, nel corso della nostra vita, a causa di eventi negativi, di sfortune personali, di forti delusioni, appunto, affettive, possiamo incappare nella “pazzia”. O perlomeno in stati psicologici che si avvicinano in un certo senso all’anormalità, all’alienazione, alla dissociativa percezione della realtà, perfino alla demenza e alla schizofrenia più anomala.

Continuative situazioni di stress insostenibile, ad esempio, possono far crollare una persona. Che, deprivata dei suoi slanci vitali, si chiude nel suo mondo. E nell’insania mentale addirittura si crogiola in forma malsana o poco socialmente accettabile.

Perché il grado di sofferenza emotiva è talmente forte e tale da spaccare ogni equilibrio e trascinare una persona, anche la più sensibile, anzi, più sensibile è e più ci casca, negli abissi della perdizione, oserei dire, neurologica.

La pazzia può essere cronicamente patologica, vale a dire incurabile. Cioè, una volta che una persona è stata colta dalla pazzia, la pazzia stessa non è più sanabile e la persona non è in alcun modo recuperabile. Curabile…

Oppure può essere momentanea. Dovuta, come detto, soltanto a esaurimenti nervosi causati da una concomitanza di negativi fattori devastanti.

Stiamo parlando, sia chiaro, di pazzie “psicologiche”, non dettate da cause organiche. Altrimenti il discorso cambia.

Nella maggior parte dei casi, va altresì detto, che chi diventa pazzo è assai difficile che possa ritornare sano.

Anche perché i medici che vogliono curare il pazzo sovente adottano metodi repressivi altamente inibitori, affatto sanatori, anzi deleteri e controproducenti, paralizzando ancor più la già disturbata, rotta sfera emotivo-cerebrale della persona folle.

Prendiamo Leonardo DiCaprio di Shutter Island. Torna bello tranquillo a casa e scopre che i suoi due figli son stati affogati da sua moglie, a sua volta suicidatasi.

Voi avreste retto? No, nessuno può reggere a una tragedia del genere. Neppure Rambo.

Anche Rambo, nonostante la sua resilienza e la sua forza impressionante, prima o poi sarebbe franato a pezzi. Delirando a iosa.

C’è solo un uomo al mondo capace di essere come Sean Penn di questo film ed essere anche più bravo e bello di lui.

Io non starò a dirvi chi è. Non è compito mio. Informatevi e scoprirete di chi sto parlando…

Così è, l’unico uomo capace di essere stato temporaneamente pazzo, si fa per dire, e poi più colto di un professore universitario.

Mah…

Chi sarà?

Non lo so.

Credo che voi lo sappiate.

Io so una cosa. Ribadisco. Nessun uomo è pazzo. E tutti i pazzi comunque sono curabili.

 

– Signor Falotico, dissento. I pazzi esistono.

– Certamente, signor psichiatra. Non sono nessuno per asserire il contrario e certamente lei, per via dei suoi studi, ne saprà più di me. Ma la domanda che vorrei porle, cortesemente, è questa. Secondo lei dunque i pazzi non sono recuperabili?

– Non ho affermato questo. Voglio dire che sviluppano delle patologie contro le quali bisogna essere intransigenti, severi.

– Ovvero?

– Vede? La pazzia, come lei ben sa e come ha ben enunciato nel suo scritto, e mi permetta di complimentarmi con lei, assume varie forme. Esiste la pazzia innocua e la pazzia criminosa. In questo secondo caso, non si può transigere. E bisogna intervenire duramente.

– Cioè?

– Signor Falotico. È inutile che lei continui a pormi domande così retoriche di cui conosce a menadito la risposta. Comunque, se vuole che pedantemente le risponda, bisogna usare i farmaci. E anche potenti.

– I farmaci non servono a un bel nulla. Non facciamo altro, così facendo, che andare a spegnere dei recettori muscolari e neurochimici imprescindibili per la salute psicofisica del paziente trattato. Non è la cura adatta.

– Vede. Lei mi fa molto ridere. Vorrebbe confutare la mia scienza dall’alto della sua semplicistica presunzione? Se io ho studiato e, sa, ho sudato sette camicie per essere arrivato dove sto oggi, conosco la mia materia sicuramente meglio di lei. Che parla tanto per aprire la bocca.

– Io non l’avevo offesa. Ma perdono la sua arroganza.

– Ebbene. Visto che fa tanto il saputello con tale balorda sfacciataggine e quel sorrisetto per cui le dovrei dare una sberla, anziché continuare ad assecondarla, mi spieghi allora secondo lei come funziona…

– Questo lei come se lo spiega? È forse il suo trattamento, la sua scienza ad aver generato questo? Ecco, se questa persona avesse dato retta alle sue fandonie, e non si offenda se appunto le definisco scemenze, questa persona sarebbe oggi un vegetale. E invece legga, sfogli queste pagine. E guardi anche questa foto.

Questa le sembra l’opera di un pazzo? E questo il viso di un pazzo?

– Ah, ma trattasi di un caso diverso. Abbiamo a che fare con un ex pazzo geniale.

– No, non credo.

– Invece sì. Si tratta, come si suol dire, dell’eccezione che conferma la regola. Di una rarità. Sa, su mille pazzi presi in cura, soltanto uno su mille, come dice la canzone di Morandi e Tozzi, ce la fa. Gli altri 999 non ce la faranno mai.

– E lei si è mai dato una spiegazione perché non ce la facciano? Perché sono più stupidi?

– Esattamente. O, per meglio dire, perché sono pazzi. E pazzi rimarranno tutta la vita. E non possiedono le risorse per emanciparsi dalla loro follia. Quindi, l’unica maniera per far sì che la loro follia rimanga contenuta e non possa degenerare in azioni violente contro sé stessi e gli altri, mi spiace ammetterlo ma è così, è appunto l’intervento farmacologico e neurolettico.

– Non è vero.

– Ah, ma lei è incredibile, sa? Guardi, mi ha già fatto perdere troppo tempo. Io sono un professore con tanto di cattedra! Lei è solo un pagliaccio che m’ha proprio stufato. La saluto, addio!

– No, guardi. Mi perdoni. Io non volevo offenderla.

– Questo l’aveva già detto. Ma, nonostante i miei avvertimenti, lei sta continuando inusitatamente a insultarmi.

– Le chiedo umilmente scusa. Mi son lasciato prendere dalla foga.

– Va bene. Adesso torno a sedermi. Però si sbrighi perché devo tornare in ambulatorio.

– Vede. Io non credo che questi 999 siano pazzi. Sono persone che voi non volete ascoltare e non volete aiutare perché siete rigidi e ragionate col culo.

– Ah, ma allora lei è veramente pazzo. Come si permette?

– Mi permetto e ora stia zitto. Mi spiega come sia stato possibile che questo pazzo e quest’altro pazzo che, secondo lei e tutto questo ridicolo, fantomatico reparto medico, avevate considerato irrecuperabili, si sono salvati?

– Perché sì.

– Perché sì che significa? Non significa nulla. Si sono salvati perché hanno cominciato a cercare nella vita il loro obiettivo, la loro anima anziché farsi rincoglionire dalle vostre diagnosi da quattro soldi e farsi rimbecillire dai vostri farmaci.

E qui mi fermo.

– Sì, è meglio che si fermi. Perché sta parlando senza conoscenze. Senza scienza!

– No, non mi fermo.

– Ah, ma allora lei è infermo. Va fermato.

– No, va fermato lei. Sa cosa diceva Einstein? Ognuno è un genio. Ma se si giudica un pesce dalla sua abilità di arrampicarsi sugli alberi lui passerà tutta la sua vita a credersi stupido.

– E quindi? Che fa, Falotico? Da lei non mi aspettavo che mi cadesse in banalità da citazionismi di Facebook. La credevo meno sciocco.

– Dico quello che ho detto. E lei non ha il tempo né la voglia per fare il suo lavoro come si deve. Veda di prendere meno soldi e d’interessarti davvero ai suoi pazienti.

 

Buona serata.01718325

di Stefano Falotico

Genius-Pop

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