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True Detective 3, episodio capolavoro, If You Have Ghosts, siamo tutti corvi e cornacchie


08 Feb

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THE CROW, Brandon Lee, 1994, (c) Miramax

THE CROW, Brandon Lee, 1994, (c) Miramax

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Nella tundra vi è sempre un corvo gracchiante, racchiante, cioè contro le racchie e i rachitici in quanto cantante melodico delle sue ansie.

Sì, cazzo quest’episodio cinque è bellissimo. Sempre più cupa questa serie, disperata, con l’indiano che dà di matto e compie una carneficina, un pedofilo inseguito da gente forse più matta di lui.

Arrivano sul posto gli investigatori Ali e Dorff. Ecco che assistiamo a una sparatoria pazzesca, appunto, fra teste esplose, esplosivi, uomini trivellati, crani maciullati, carni maciullate, petti bucherellati. Selciati spappolati, budella quasi defenestrate, pavimenti insanguinati, corpi mozzati e poliziotti inculati.

Ali è costretto ad ammazzare il folle. Ma sta male questo qui. È un vecchio che patisce la demenza senile, sua moglie Carmen Ejogo glielo rende di ebano, di frassino, duro come il legno massiccio. E loro, fra una scopata e l’altra, litigano. Mahershala, in canottiera, esibisce i bicipiti e con lei canta la canzone degli 883…

In questo regno dove tutto è permesso 

Lasciati andare e vedrai 

Che anche se non cambia niente è lo stesso 

Tu ti divertirai 

Nella notte 

Un ritmo che ti prende 

Nella notte

Ti sembra di volare 

Sì, un vero “libro della giungla” ove Mahershala, da gorilla King Kong un po’ Mowgli regredisce fra un’indagine e l’altra a scimmia scopante, scoppiettante, inculante. Con la sua banana sventolante, (f)rizzante, nella stanza da letto strusciante, allisciante, ammorbidente nel duro pompante con tanto di fendente molto ficcante. E, dopo la ficcata selvaggia con la scrittrice dei casi umani, diventa più malinconico di prima, forse ascoltando le lagne di Sanremo.

A parte gli scherzi. Veramente stupendo questo True Detective 3. Il finale poi è da commozione… cerebrale, anzi da cerebrolesi protagonisti che si sputano addosso le loro vecchiaie acidissime come Noodles e Max di C’era una volta in America.

Ecco che tornano i fantasmi del passato, Ali soffre di amnesia ma ricorda molto bene la testa di minchia di Dorff/West.

Oh, e devo ricredermi. Stephen Dorff, qui, non è male, cazzo.

E mi sa che questo sarà davvero il futuro che attenderà Dorff.

Dopo la sua giovinezza di fighe e, come dico io, figotte, dopo tante (ri)cotte, avrà la panza burrosa, berrà birra dopo aver fatto bere alle sue amanti la sua s… a e darà da mangiare all’unico amico rimastogli, uno a quattro zampe. Solo come un cane e con un cagnolino, appunto. Ad ammirare il tramonto… d’una vita che non più le arrostisce e le fa arrossire ma dolcemente è rosata come un vinello rosso di sera e l’ubriacatura si spera. Una vita senza più frecce al suo arco che però confida in un ultimo impeto da indagatore dei misteri irrisolti.

Sì, sì, mi attizza.

Quasi meglio della prima stagione. E peraltro mi hanno che nel prossimo episodio verranno citati anche Rust e Marty.

E intanto io faccio il Brandon Lee di turno con tanto di look da Johnny Depp e una voce più roca e possente di Mahershala.

Perché io so…

Piaccio ma me ne fotto!

Sì, molta gente di me non ha capito un cazzo.

Ma nemmeno io.

E in questo casino sono il re!

Donna, lo faremo in tua casina, nella cascina e, perché no, anche in cantina!

Amico, vai a fotterti!

Nemico, vai a morire ammazzato.

 

Ritornando su questa serie, sì, dimenticate la stagione 2 che per simpatia non volete stroncare e continuate ostinatamente a dire che è inferiore alla prima ma bella.

Ma bella di che. L’unica cosa bella è Rachel McAdams che comunque non ce l’ha fatta vedere come dio comanda.

Lasciamo stare le passerine e riflettiamo invece ancora su questo finale stupendo.

Due amici che non si rivedevano più da circa venticinque anni che si vomitano addosso tutti i loro rancori.

Ali è affranto, non ricorda quasi nulla, a stento riconosce il suo amico ed ex collega. E piange, sconsolato.

Ma vuole fare chiarezza su quest’orribile caso che lo sta tormentando da tempo immemorabile e a cui non riesce a venire a capo. Un puzzle indistricabile, i ricordi sono scollati.

E Dorff, dopo lo scatto furioso d’ira, osserva il suo amico e si commuove. Noi con lui.

Uno scambio di battute memorabile:

– Non ricordo più la mia vita. Non ricordo più mia moglie. Non lo so. Se mi dici che ho fatto qualcosa di sbagliato, ci credo. Ti chiedo scusa.

– D’accordo.

– Scusami. C’è questo fascicolo su cui sto lavorando. E lo rileggo ogni mattina. Il fatto è che mi mancano tanti pezzi-

– Ma alcune cose le ricordi? Cioè, sai chi sono, no?

– Sì, ma mancano altre cose.

– Ehi, ascolta. Se ti serve qualcuno con cui ammazzare il tempo, conta su di me.

 

Scena magnifica. The Crow è il miglior film di Alex Proyas assieme a Dark City, film quest’ultimo collegabile alle amnesie di Mahershala.

E mi sto maggiormente convincendo che questa sia una delle canzoni più belle della storia.

di Stefano Falotico

 

Follia, evviva! Super Sputtanation!


23 Jan

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Serialità metodica per salvarsi dai serial killer

Mi sto sparando in contemporanea sia The Punisher col mio idolo, il Bernthal, praticamente uguale a me, sia True Detective 3.

Ora, la sparo, invece, e basta. Secondo me, questa terza stagione, nonostante gli ascolti bassissimi, ha un fascino retrò che ficca di brutto. Un fascino mansueto come le dolci eppur raggrinzite mani di una nonna che, mentre ascolta musica country, accarezza una cassapanca nel suo negozio di antiquariato ove, da pensionata, svolge un lavoro in nero e si ricorda di come tradì suo marito col mandrillo della porta accanto. Sì, fu un amore selvaggio, clandestino alla Julianne Moore di Far From Heaven, furono amplessi di mogano ma lei, ora vecchia, fa la monaca, chinandosi solo vicino all’abside e non prostrandosi all’altare del suo amante per cui rifilava corna peggiori di Satana al marito, anima pia e angelica, e si reca a mangiar da San Gennaro assieme al prete della sua parrocchia, con tanto di pizza capricciosa servita loro da una cameriera parruccona che ogni giorno va a rifarsi la mèche dalla parrucchiera bigotta e pettegola, leggendo Novella 2000 e immaginando quello di Corona che tutto esc’. Ma le sue notti da rimbambita vintage sono in bianco più del suo vestito nuziale mai davvero immacolato, notti ambigue condite dall’olio piccante di sogni mostruosamente proibiti per giocare i numeri al Lotto, sperando di vincere la sua arteriosclerosi galoppante, galoppante quasi quanto quel nero che lei cavalcava imbizzarrita nella sua giovinezza wild. Ogni mattina si sveglia e si specchia, osservando la mozzarella della pelle lattiginosa delle sue gambe frastagliate da vene varicose che il prete accarezza a mo’ di rosario come quello del banco salumi quando la sua cliente preferita gli chiede prosciutto sottile. E lui, tagliando l’affettato, ammicca da salame.

Ecco, dopo questa stronzata, oh, a me piace un sacco cazzeggiare di puttanate, passiamo a cosce, no, cose serie. Nel terzo episodio non succede un cazzo ma si tira in ballo addirittura Einstein, Ali anziano è monocorde e al limite della demenza senile. Ma non si arrende e vuole vederci chiaro nonostante la cataratta.

Poi, il Dorff recita a culo come la sua faccia di cazzo e ha sempre il grugno da duro col parrucchino moscio. Ha una bella voce però questo Dorff. Sì, sì, sì. M’immagino quando stava con Pamela Anderson.

Pamela, sullo yacht, al solito mignott’, andava da Stephen:

– Mi spalmi la crema?

– Quale? Quella del pisello o quella protettiva?

– No, quella per coprire le rughe.

– Ah, capisco. Senti, zoccola, sto giocando a carte coi miei amici. Vedi di farti cremare dal becchino.

– Idiota, porco! Come ti permetti? Sono o non sono la tua donna? Ma che modi sono?

– Senti, Pamelona. Io sono un cazzoncello. Che vuoi da me? Te l’ho già dato. E non credo di essere stato il primo. Quindi, bagascia, fuori ora dai coglioni!

– Lo sapevo. Non dovevo mettermi con te.

– Anche io lo sapevo. Non dovevo mettertelo. Mi avrai trasmesso delle malattie.

– Malattie? Veneree?

– Certo!

– Per chi mi hai preso?

– Insomma, mi pare che tu sia venuta con centomila uccelloni, qualche dubbio mi potrebbe venire.

– Ora stai davvero esagerando! Screanzato, villano, ti faccio vedere io. Ti sputtano su tutti i giornali.

– Ah sì? E che andrai a dire?

– Che sei un uomo che sfrutta le donne. Un buzzurro maleducato. Un ignobile, merdoso maschilista osceno.

– Ma vai a dar via il culo! Non ti prenderà sul serio nessuno. Basta! Amici, buttatela in pasto agli squali. Che poi… manco se la mangeranno, è tutta di plastica. E non morirà manco affogata. Con tutti quei canotti! Ma chi cazzo me l’ha fatta fare?

 

Pamela saltò alla giugulare di Stephen, Stephen si divincolò dalla presa, mollandole una sberla.

Intanto, passò una motovedetta.

– Che cazzo sta succedendo?

– Niente, tranquilli. È solo un troiaio.

– Ah, ma lei è Dorff. Lei invece è Pamela Anderson.

– Sì, siamo noi.

– Perfetto, non cambierete mai.

 

True Detective 3.

Diciamocela. Non se la sta cagando nessuno. Invece è meglio della prima. Più matura, ancora più disperata, nichilismo devastante.

Ricordate, bambagioni: il Falotico una ne fa e mille ne pensa. Sarebbe meglio che ne pensasse una e se ne facesse mille.

E su quest’altro colpo di Genius vado ora a fumarmela.

 

E ora il momento tanto atteso, il monologo da sputtanatore totale

Sino a qualche anno fa, Nanni Moretti non mi piaceva e ancora ho dei dubbi riguardo quest’uomo, così come attestato dai miei recenti post.

Invero, chi mi vede ora, mi paragona a lui. Intransigente, morale e mai moralista, nevrotico, autarchico, puntiglioso, giusto e stronzo contro gli stronzi.

Ma come parla? Sì, le parole sono importanti!

Ieri sera, mi son rimesso a parlare con una tizia. Disgrazia delle disgrazie. Mai avrei dovuto concederle una seconda possibilità. Questa è laureata in Giurisprudenza, fresca di Laurea e con ambizioni a mille.

Io dovevo immaginarlo di avere a che fare con una troia. Una di queste donne già in carriera i cui unici valori sono far soldi e farsi leccare la passerina, campando sulle sfighe altrui che generano divorzi e faide piccolo-borghesi, e poi va in palestra a tonificarsi i glutei.

Al che parliamo. Lei sembra molto gentile. Mi chiede se può leggere un mio libro…

– Certamente. L’ho scritto affinché qualcuno lo legga. Non l’ho scritto per diventare ricco. Sono pochissimi gli scrittori in Italia che possono permettersi il lusso di campare con le vendite dei loro libri.

Forse Baricco, che secondo me non è granché, e tutti i giornalisti già affermati che non avrebbero neppure bisogno di scrivere puttanate politicizzate. Gli altri, no. Il nostro sistema non lo permette.

Ma io scrivo per trasmettere emozioni. E mi fa enorme piacere se al lettore ho potuto, empaticamente, comunicare la mia anima. Per creare sintonie, appunto, emozionali.

– Ottimo, comprerò il tuo libro.

 

Dunque, parliamo per un’altra ora. Molto affabilmente. E lei:

– Sai, mi piacerebbe incontrarti. Ci stai?

– Ah, così? Su due piedi. Ok, va bene.

– Che ne dici se ci vediamo il 30 Febbraio? Naturalmente se non hai impegni per quel giorno.

– No, credo di essere libero.

– Sì, peccato che Febbraio abbia 28 giorni. Quindi, coglione, prendi i tuoi libri e ficcateli nel culo. Sei un idiota. Un analfabeta funzionale!

 

Io, con la classe che mi contraddistingue, incasso discretamente bene il colpo, stacco la chat e vado a mangiarmi la barretta di cioccolato con le mandorle, Ritter. Per l’uomo sempre ritto.

Ma stamane, in preda forse alla cattiva digestione dovuta al troppo cacao, mi parte la brocca.

– Eccomi qua, Giulia. Punto primo, non è la prima volta che ti approcci al prossimo, e parlo in questo caso del sottoscritto, in tale maniera fredda e cretina. E il tuo modo d’interloquire, te lo dico subito, mi ha veramente rotto i coglioni. Sembra che sei stata educata in caserma e alla sciocca fanciullezza edonistica più superficiale. Quindi, fammi capire bene, tu misuri l’intelligenza di una persona da piccoli test “comportamentali” e su tale idiozia ti crei il disegnino stereotipato del prossimo? Cioè, vivi di una visione assolutamente faceta e imbarazzante del mondo, mi sembra che stai fra le nuvole. E rapporti tutto a metriche improntate all’efficienza più banale e a una bacata visione competitiva fatta di giochetti verbali, di battutine, di doppi sensi e sottili prese in giro? Ma come sei ridotta?

Punto secondo, ho soprasseduto mille volte dinanzi a questo tuo modo assolutamente scorbutico e vanitosamente frivolo di parlare e giudicare, ma mi hai veramente stufato. Quindi, se d’ora in poi, vuoi parlarmi, finiscila immediatamente con i tuoi test “attitudinali” e ripartiamo daccapo. Altrimenti, puoi anche mandarmi a fanculo, bloccarmi e sicuramente la mia vita non ne risentirà.

 

Lei, colpita, dice che chiama il suo ragazzo che mi farà il mazzo.

La mia risposta.

– Ok, andiamo a trovarlo assieme, stasera, al traumatologico?

 

Fine di una storia con la spastica.

Sì, è tutto sbagliato. Il mondo, intendo. Dalla A alla Z.

Quello che non capisce l’uomo occidentale è che la sua vita, sin da quando parte, è un orrendo condizionamento.

Questo l’ho imparato, leggendo filosofia orientale.

In Occidente, è tutto sbagliato. Siamo afflitti dal moralismo borghese, le donne sono insopportabili, quasi tutte.

Quando mescolano lo zucchero nel caffè, rimestano per circa dieci minuti. Una trivialità assoluta. Roba che De Niro di C’era una volta in America è, a confronto, un principe.

Poi, quel cazzo di caffè di merda dura un’ora. Un caffè si beve in 5 secondi netti.

Invece loro stanno tre ore con quella tazzina e lo bevono a sorsi incommensurabilmente lentissimi. Intanto, sognano il citrullo a cui lo smanetteranno.

Io odio la lentezza. A me piace andare fortissimo in macchina, a me piace essere reattivo come Al Pacino.

Odio Giorgia, Laura Pausini e tutte queste lagnose come Elisa e sceme varie.

Sì, non mi è particolarmente piaciuto Drive con Gosling. Cinematograficamente parlando.

Ma sostanzialmente mio cugino aveva ragione. Io e questo Gosling siamo identici.

Sono come lui, quasi “autistico” quando parlo col prossimo, tanto che posso sembrare ritardato. E forse lo sono, ma non me ne può fregare di meno.

Mi affeziono immediatamente alle persone. E mi dispiace quando a un mio amico succede qualcosa di triste.

Sono molto romantico. Ma non romantico come intendete voi. Voi siete poveri bovari che aspettate di trombarvi una, poi vi sciacquate l’uccello nel bidet. Domani, vi alzate da quel letto lercio e lavorate!

Lavoro, ah, si deve lavorare. È così.

Non è così. Prendete quel lavoretto che non serve a nessuno se non alla vostra panza e vedete di stare calmi.

Mal tollero gli abusi e le angherie. Come quando un troione va da una ragazza muta e la sfotte.

A quel punto, questo bell’angioletto che sono io, tanto buono e caro, diventa una furia.

Gli prendo quella testa di minchia e gliela frantumo.

Mi metteranno in manicomio ma gli ho spaccato quella faccia da porco.

 

Invece, ve lo dico subito.

Vi ho già parlato del Calzolari? Altro panzerotto assai vigliacco?

Sì, mi disse…: – La gente scopa, si diverte e va alle feste. Sparati. Quindi, o certe cose le fai anche tu o ti faccio sbranare dal mio cane.

Costui, deve augurarsi di non incontrarmi mai più. Sennò gli prendo le sue “uccellate” e gliele ficco dove sapete bene.

Ben vi sta! E soprattutto: De Niro in Mission è immenso. All’idiota che mi disse che non andava bene nella parte del gesuita, rispondo:

– Prenditi quei Nickelback (a proposito, esiste ancora quel loro cantante scimmione?) e vedi di continuare, come dicesti, beota, di volerti sbattere anche quelle che la domenica vanno a messa.

Che uomo!

Questo è un grande pezzo!

Follia! Evviva!

 

di Stefano Falotico

True Detective 3: requisitoria sociale contro i puttanoni alla Stephen Dorff, il ritratto dell’idiot savant


13 Jan

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Addentriamoci in questa stagione e inoltriamoci anche nella testa di questo Rust Cohle, ovvero il Falotico sottoscritto, oddio mio, Stephen Dorff, il troione per antonomasia.

Sì, appena vedo Stephen Dorff ho dei rigurgiti. Poi l’avete visto come sta combinato in questa serie? Con capelli posticci, un mezzo parrucchino impresentabile.

No, non sono un parruccone ma odio i parrucchieri. Sì, il mio barbiere, Franco, con me c’impiega cinque minuti a tagliarmi i capelli. Gli dico soltanto di farli più corti. Un’acconciatura decorosa senza look da bambocci.

Sì, Stephen Dorff è la nemesi del sottoscritto, il Falotico. Rappresenta la quintessenza d’un pornoattore che, un tanto al chilo di suoi addominali a tartaruga, grazie al suo stronzo agente cinematografico, riesce a incappare in qualche buona produzione.

Immagino sempre quando i produttori devono scritturarlo.

– Per questo film, si è candidato Stephen Dorff.

– Ma no. È un puttaniere conclamato. La qualità del film ne risentirebbe. Non ha l’allure di un uomo di classe.

– Lasciamici pensare. Uhm, be’, non abbiamo di meglio. Jude Law è impegnato al momento, McConaughey ha già girato True Detective, De Niro è troppo vecchio oramai, ci sarebbe quello lì disponibile. Sì, mi risulta che in questi giorni sia libero. Viggo Mortensen.

– No, Viggo chiede troppo. Dai, prendiamo Stephen.

– Ma fa schifo al cazzo.

– Sì, ma non vuole una grossa cifra. Tanto che te frega? Fa la parte secondaria. Poi non è male. Piace alle donne, alza l’audience. Sì, a tutte queste bimbette con gli ormoni a mille, malate di serie televisive, non interessa nulla della diegetica della storia e della messa in scena. A queste zoccoline in erba interessa solo un bel faccino. Le visualizzazioni aumenteranno.

– Mah, non sono convinto. Dorff non ha niente di affascinante. L’unica parte davvero adatta a lui è stata quella in Somewhere, cagata micidiale premiata da Tarantino a Venezia. Ma come cazzo ha fatto Quentin a premiare un film beceramente idiota come questo? Sì, Stephen è accettabile però, qui. Interpreta sé stesso, il burino arricchito, scambiato per star, che passa le giornate a fare il voyeur e a farsi spompinare da Laura Chiatti, andando a dire che ha recitato con Meryl Streep, tanto Simona Ventura di Telecaz’ è andata sempre avanti, lo sapeva bene Stefano Bettarini. Pezzo di marcantonio, un marcatore a zona delle palle nella mentecatta catodica simpatica come il culo.

– Be’, sappiamo che Quentin ha premiato quel film perché si scopava Sofia Coppola.

– Ammazza che orrore. Non sarei stato nella loro camera da letto manco se mi avessero dato venti milioni di dollari. No, Stephen Dorff è un bel ragazzo e come attore è una merda, ma vedere i freaks che s’accoppiano è roba da pervertiti.

– Guarda che Quentin è stato anche con Uma Thurman. Tanto brutto non deve essere. Un certo fascino ce l’ha, diciamo, un qualche ascendente sul gentil sesso.

– No, non è mica brutto. Sembra solo Boris Karloff di Frankenstein ma possiede una testa ottima. Comunque, Uma è stata con Quentin perché le ha dato il ruolo della Sposa in Kill Bill. E Uma, per ringraziarlo dall’averla salvata quando a Hollywood se l’inculava soltanto Ethan Hawke, ha ricambiato il favore in termini carnali. Quindi, quest’altra Uma la finisse di fare la femminista che ce l’ha con Weinstein. Se non era per Harvey, non avrebbe mai recitato in Pulp Fiction. Ah, tutte queste bagasce!

– La Thurman è stata anche con De Niro.

– Sì, aveva venticinque anni o giù di lì. Doveva pur succhiare l’uccello del più grande attore del mondo per fare carriera e spacciarsi come una “talentuosa”, no? Ah ah.

 

Ma torniamo a Dorff. Sì, nel suo carnet può vantare scopate e flirt da Soul Asylum, ah ah, proprio un “Religiavision”.

È stato con la bombastica più puttana di tutti i tempi, Pamela Anderson. M’immagino le loro giornate assieme. Stephen tornava a casa. Lei, con foglie d’insalata fra i denti, gli sussurrava che si era annoiata a fare la ceretta e gli preparava la “cenetta”.

Una vita elevatissima. Di salsicciotti e pollo arrosto. Con Pamela che, mentre glielo menava, stava attenta a non rompersi le unghie.

Sì, Stephen Dorff, l’incarnazione del tamarro par excellence diventato attore perché, fra una Lela Star fottuta dietro scontrino fiscale e una sua bevuta di s… a, no, di birra, guardava i neri dell’NBA che facevano canestro mentre stava già pensando a come far il bucaniere con un’altra gallina che l’avrebbe spennato.

Insomma, è credibile secondo voi uno con questa faccia da ganzo con a fianco la mignottona che gli sussurra nell’orecchio… no, non sei un ricchione, sei molto ricco però, tu sei il mio uomo, facciamogliela vedere. Scopiamo qui, davanti a tutti, come ricci, mio ciccio.

Sì, è identico a Pasolini, Dorff. Non credete, ah ah.

Tanto la madre delle baldracche è sempre incinta e va a nozze il lucky bastard. Ah ah.

Sì, non vi sopporto più. Avete la fissa del sesso. Lo mettete in bocca… dappertutto. Avete ribaltato tutto. I rockettari cafoni alla Tommy Lee sono dei grandi perché sanno di maschio zozzo, ruvido, porcello. E votate Salvini, continuando nei bullismi, nei più biechi fascismi, avete tutti la stessa faccia. Sembrate spuntati da Brazil di Gilliam, offendete chiunque, voi ve ne fottete, sapete come si sta al mondo.

Voglio ora parlarvi di un tipo di nome Calzolari. Uno sciroccato che incontrai, per mia disgrazia, molti anni fa. Dopo essere andati a vedere The Aviator di Scorsese, costui, in preda a un delirio co(s)mico, mi guardò con aria compassionevole. Mi chiese, a visione terminata:

– Cosa ne pensi, Stefano? Ti è piaciuto?

 

Gli dissi cosa ne pensavo con una disamina di circa trenta minuti mentre lui, non ascoltando nulla di quello che gli dicevo, stava a pistolare col cellulare, cercando di circuire una sgualdrina contattata in chat per “uccellarsela”, come diceva lui.

Al che, stufato dalla mia recensione “in diretta”, forse perché la tipa l’aveva mandato a farselo dare nel culo, mi vomitò queste esatte, lodabilissime parole da vero “studente” di Scienze Politiche e Amministrative.

– Mi hai rotto! Basta! La gente scopa, si diverte, va alle feste! Demente!

 

Ma costui in fondo è un poveraccio. Molto peggio quelli che per anni si son fatti scarrozzare, poi guardavano i peggiori blockbuster filo-fascistoidi di Roland Emmerich e puttanate affini. Sognando di farsi la guagliona puzzolenta dopo una settimana di genitori fustiganti e liberavano i loro alien(at)i in un cazzone Independence Day.

A canticchiarmi le loro derisioni nello sputarmi addosso il ritornello degli Jarabedepalo, Depende.

Sì, di solito, alle persone scambiate per Flavia Vento, si dice… ah sì, dipende dai punti di vista.

Peccato che anziché essere Flavia Vento assomiglio molto di più a Blade.

Vi sta venendo un forte dubbio. Avevate scambiato uno così per il Dorff di Cecil B. DeMented?

Credo proprio di sì. Non siete stati attenti a forza di pensare alle vostre donnette alla Melanie Griffith.

In Italia siamo messi male, abbiamo i romanzetti rosa, i gialletti, i galletti e Marco Giallini. Ho detto tutto.

Come dice il grande Lee Van Cleef in Per qualche dollaro in più: – Ragazzo, sei diventato ricco.

– Siamo diventati ricchi.

– No, tu solo. E te lo sei meritato.

– E la nostra società?

– Un’altra volta…

 

Che film ragazzi. L’Indio sta ammazzando Lee e spunta Clint.

Sei stato poco attento, vecchio.

Si alza la musica.

Colonnello, prova con questa. Indio, tu il gioco lo conosci

Continua la musica e a Gian Maria scende la lacrima e gli tremano le gambe. Che si può dire di me, invece? Sono un rigorista. I portieri pensano che voglia piazzare la palla in un angolo e invece si trovano sempre spiazzati. Alle volte, gli arbitri mi danno del pazzo, mi ammoniscono, talvolta vengo espulso, sto in panchina e quindi rientro in gioco. Faccio il difensore, il terzino, il mediano, l’ala fluidificante poco ficcante che sei tu e il centravanti coi suoi colpi di testa. Ficco le palle in buca ma non mi buco. E, in questo spiazzamento collettivo, mangio un gelato un piazza. Dopo una buona pizza. Ah, guarda quella. Calze col pizzo. Chissà se le piace il mio pizzetto. Sì, vorrei da quella un pizzicotto ma di me non è cotta, andasse a bagnarsela nella fontana, lurida bigotta. Ma sì, non pen(s)iamoci, siam pieni di mignotte.

Ehi, Biondo, la sai di chi sei figlio tu?

Direi di finire con C’era una volta in America.

Sì, facciamoci un bagno.

Adesso, scusate, devo andare a pisciare.

Il Monco: – Colonnello, ma tu… sei mai stato giovane?

Colonnello Mortimer: – Mh, sì… e anche incosciente come te. Fino al giorno in cui mi accadde un fatto… che mi rese la vita estremamente preziosa!

 

 

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di Stefano Falotico

Genius-Pop

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