Martin Scorsese, amatelo

23 Jan

Analisi d’una mattina qualunque, da solito “martire” e da soliti pugni in faccia a chi, con me, non sta zitto, ma andrà presto zittito, quando mangerò le zie e gli zitoni

Oggi, l’alba rigogliosa-rossa già di risse a delle bimbine coi ricci, splendé d’ardimentoso soffiarmi nei testicoli, aizzando il mio gallo “basculante” a infarcirmi nelle galline col cervello infarinato.
Il risveglio, però, fu uno dei più allucinanti. Fuori dal mio “loculo”, ubicato in via Dracula n. 7bellezze, appartamento intimo e solitario, spesso insidiato da vicini new age, ove intono la musica del mio Cuore sprofondato, dunque profondo nei fondali marini della piovra a me di succhiotti virili (eh già, è un’amazzone che mi “prova” e deflora come una “boscaiola”, con tanto di panna e “piselli” di sue gambe alle “tagliatelle”-rescissorie nella fornicazione di “forbici” mie da formichina nelle sue “varichine” da valchiria vichinga d’unghie ungulate nell’ululato), i miei “Iron Maiden”, che furono ma non ancor defunti nonostante i miei funghi ai piedi, spronarono il coraggio speronato al Pacifico oceanello del mio “crogiolarmi” uccellino nei ciottolati poco al cioccolato, poiché son tutti divenuti, senza mai “venire” m’addivenendo alle frivole venialità, cinici e arcignissimi, di quest’austero Mondo da iettatori “scafati”, oserei dire da schifare ché ti dan dello sfigato ma, in esso, vedo pochi che davvero sanno infilarsi nel pelo della pelle da mammiferi. Sì, molti mammoni per sogni da Milf di gran mammelle, quindi, a mio modo di suggerli e catturarli d’apparato visivo a tali “genitali” gelati e asciuttissimi, dei cammelli, mentr’io, “addormentato”-dromedario, ho due gobbe perché raddoppio in Esmeralda, anche se preferisco Gomez Esperanza, latina pornostar per ingropparla con tanto di “grappe” ed “Evviva, molliamo le scialuppe, glup glup, questa è acqua in cui affogare di sommersione nel seno esotico da sgallettante, appunto, galleggiare placidi di burrasche al burro di sue liquide forme da gustare al formaggio col rischio dell’apnea vicina all’infarto, causa strozzamento quando si toglierà il costumino nel tuo strabuzzar’ già troppo, d’eiaculazione precocissima, bello che sguazzato, cioè sgozzato”.

Amici miei, da anni cercavate l’Uomo che potesse salvare l’umanità.
Mi spiace, non sono io. Io, al massimo, devo salvarmi dalle selve di ragazze che, ogni Notte, mi mandano dei fiorellini affinché di rosa le arrostisca, e prediligo salpare nei roseti.
Tante spine vide il Cristo, meglio che mettere… la spina a una da sposare.

Sì, salpando non vai “galoppando”, ma almeno non te “lo” menano.

L’isola della mia felicità è un tassista che si stiracchia a letto e, senza “materassini”, è abissale-dilettante tormento al suo esistenzialismo da crociato senza cosce “croccanti”-coccolanti, eppur anche molto scoccianti, nel senso che “stufano” di calore spesso raffreddato e anche usano lo “Scotch” per riattaccartelo coi piedi per terra. Cioè (s)teso(rino).

Le donne sono come la bionda di Taxi Driver. S’attack-ano affinché tu “aderisca” erettivo dentro di loro, hanno bisogno di essere ca(r)pite, ci stanno, poi no, ti rendono un nano e ti toccano… il naso, ma alla fine amano gli adesivi di altri “francobolli”.

Per una campagna elettorale alla Mara Carfagna.

Ho detto tutto.

Dunque, lunga vita al Maestro Marty, ivi rielaborato in sette film che mi cambiarono la visione.
Solo quella, perché non ho i soldi per comprarle un visone.

Oh. Sarà una da “visagista”. Con tanto di MasterCard, il credito per uomini con più “attributi” di “requisito”.

Ne conosco una e poi un’altra, mi perquisiscono, mi pisciano in testa e ne “acquisiscono” uno più “squisito”.

Fidatevi, noi amiamo il Nesquik, solubile, più che altro non inculabile di “cacao”.

E ora, da cocco, mangio il caco.

Non cagatemi il cazzo!

A parte gli scherzi, voglio raccontarvi quest’interrogatorio fra me e il mio “aguzzino”, un vero “aquilotto”, aguzzo come l’acqua Guizza della sua “digestione”.

Io e il “commissario” siamo uno contro l’altro, e proprio lui comincia a incalzare di domande. Tenderà poi all’incazzato. Capirete perché:

– Lo sa signor Falotico che, inzialmente, l’avevo presa sotto gamba?
– Meglio sotto il braccio?
– Cioè?
– L’Uomo deve mettere la testa sempre al posto giusto, cioè sul collo. Lei non userà più i collari. Ah, basta coi rosari e tutto il corollario di rosae nelle declinazioni. Io declino quando mi chino e risalgo quando va “arrossatina” nel peperoncino.
– Di vino? Lei crede in Dio, signor Falotico?
– No, domani sì. Lei invece? In questo caso, sottoponendomi a questo terzo grado, ne fa le veci?
– No, ma sono il suo inquisitore. Ripeto, l’avevo sottovalutata.
– Mi spieghi come giammai. Almeno, posso saperne il motivo?
– Il motivo è lapalissiano. Ora, sa…, io mi alzo a ogni alba per farmelo così. Si dice “Guadagnarsi la pagnotta”.
– E tua moglie, di pan “in forno”, è sempre più pienotta.
– Ah, mi fa pena.
– Pena è un sostantivo che non dipende da me.
– Cioè?
– Ancora con questo “Cioè”. Lei è parente del ragazzino “Cosa” di Pulp Fiction?
– Cosa?
– Dì “Cioè” un’altra volta. Ti sfido, cazzo.
– Cioè?
– Cosa?
– Ti prendi gioco di me?
– No. Lei pensava fossi un baccalà e, invece, l’ha beccato lì, vero?
– Cioè?

(Rumori di bang bang)

Cosa avete imparato da questa novella?

Risposta degli studenti… asini:

– Che la vita è un continuo insegnamento.
– No, “apprendimento”… in quel posticino chiamato posteriore. Preferibilmente reclinato quando Lei tende a inclinartelo in su.
– Lei, professore, è un po’, oltre che “scioccato”, anche un po’ sboccato!
– Chi? Io?
– No, il chicchirichì.
– Mi dai della quaglia? Ora, sarò sboccato ma non avete letto Boccaccio.
Prendiamo, figliuoli, questo raccontino, “Chichibio e la gru”.
– Legga professore, siam tutti “orecchie”.
– Questo lo so. Infatti, mi volevate.
– Cioè?
– Dite “Cioè” un’altra volta. Vi sfido, cazzo.
– Cosa?
– Lasciamo stare, altrimenti ci scappa il morto. Credo che, considerando il numero vostro “superiore”, mi renderete omosessuale nel “senso” peggiore del “lato”.
– Allora, dai. Ce la racconta o no?

“Beccatevi questa”:

Currado Gianfigliazzi sì come ciascuna di voi e udito e veduto puote avere, sempre della nostra città è stato nobile cittadino, liberale e magnifico, e vita cavalleresca tenendo, continuamente in cani e in uccelli s’è dilettato, le sue opere maggiori al presente lasciando stare. Il quale con un suo falcone avendo un dì presso a Peretola una gru ammazata, trovandola grassa e giovane, quella mandò ad un suo buon cuoco, il quale era chiamato Chichibio, ed era viniziano, e sì gli mandò dicendo che a cena l’arrostisse e governassela bene. Chichibio, il quale come riuovo bergolo era così pareva, acconcia la gru, la mise a fuoco e con sollicitudine a cuocerla cominciò. La quale essendo già presso che cotta grandissimo odor venendone, avvenne che una feminetta della contrada, la qual Brunetta era chiamata e di cui Chichibio era forte innamorato, entrò nella cucina; e sentendo l’odor della gru e veggendola, pregò caramente Chichibio che ne le desse una coscia. Chichibio le rispose cantando e disse:
– “Voi non l’avrì da mi, donna Brunetta, voi non l’avrì da mi”.
Di che donna Brunetta essendo un poco turbata, gli disse:
– In fè di Dio, se tu non la mi dai, tu non avrai mai da me cosa che ti piaccia; – e in brieve le parole furon molte. Alla fine Chichibio, per non crucciar la sua donna, spiccata l’una delle cosce alla gru, gliele diede.
Essendo poi davanti a Currado e ad alcun suo forestiere messa la gru senza coscia, e Currado maravigliandosene, fece chiamare Chichibio e domandollo che fosse divenuta l’altra coscia della gru. Al quale il vinizian bugiardo subitamente rispose:
– Signor mio, le gru non hanno se non una coscia e una gamba.
Currado allora turbato disse:
– Come diavol non hanno che una coscia e una gamba? Non vid’io mai più gru che questa?
Chichibio seguitò:
– Egli è, messer, com’io vi dico; e quando vi piaccia, io il vi farò veder né vivi.
Currado, per amor dei forestieri che seco aveva, non volle dietro alle parole andare, ma disse:
– Poi che tu dì di farmelo vedere né vivi, cosa che io mai più non vidi né udii dir che fosse, e io il voglio veder domattina e sarò contento; ma io ti giuro in sul corpo di Cristo, che, se altramenti sarà, io ti farò conciare in maniera che tu con tuo danno ti ricorderai, sempre che tu ci viverai, del nome mio.
Finite adunque per quella sera le parole, la mattina seguente come il giorno apparve, Currado, a cui non era per lo dormire l’ira cessata, tutto ancor gonfiato si levò e comandò che i cavalli gli fosser menati; e fatto montar Chichibio sopra un ronzino, verso una fiumana, alla riva della quale sempre soleva in sul far del dì vedersi delle gru, nel menò dicendo:
– Tosto vedremo chi avrà iersera mentito, o tu o io.
Chichibio, veggendo che ancora durava l’ira di Currado e che far gli convenia pruova della sua bugia, non sappiendo come poterlasi fare, cavalcava appresso a Currado con la maggior paura del mondo, e volentieri, se potuto avesse, si sarebbe fuggito; ma non potendo, ora innanzi e ora addietro e da lato si riguardava, e ciò che vedeva credeva che gru fossero che stessero in due piedi.
Ma già vicini al fiume pervenuti, gli venner prima che ad alcun vedute sopra la riva di quello ben dodici gru, le quali tutte in un piè dimoravano, si come quando dormono soglion fare. Per che egli prestamente mostratele a Currado, disse:
– Assai bene potete, messer, vedere che iersera vi dissi il vero, che le gru non hanno se non una coscia e un piè, se voi riguardate a quelle che colà stanno.
Currado vedendole disse:
– Aspettati, che io ti mosterrò che elle n’hanno due; – e fattosi alquanto più a quelle vicino gridò: – Ho ho; – per lo qual grido le gru, mandato l’altro piè giù, tutte dopo alquanti passi cominciarono a fuggire. Laonde Currado rivolto a Chichibio disse:
– Che ti par, ghiottone? Parti ch’elle n’abbian due?
Chichibio quasi sbigottito, non sappiendo egli stesso donde si venisse, rispose:
– Messer sì, ma voi non gridaste – ho ho – a quella di iersera; ché se così gridato aveste, ella avrebbe così l’altra coscia e l’altro piè fuor mandata, come hanno fatto queste.
A Currado piacque tanto questa risposta, che tutta la sua ira si convertì in festa e riso, e disse:
– Chichibio, tu hai ragione, ben lo dovea fare.
Così adunque con la sua pronta e sollazzevol risposta Chichibio cessò la mala ventura e paceficossi col suo signore
.

– Professore, ma che significa?
– Niente. Fa ridere e mette di buon umore.
– Cioè?
– La vita è un “Decameron” e, se ti chiederai “Cosa?”, potrei amputarti anche la gamba da gru-llo. Altrimenti, finirai ad Alberobello. Paceficossi! Se no, saran male alle ossa! Chiara questa nostra antifona? Cari ricchioncelli, Amplifon vi aiuterà!

– Ad Alberobello ci sono i trulli.
– Appunto, non farmi la fine della casetta da presepio con le lucine-lucciole.
Credimi, meglio Beppe, uno che beve il caffè della peppina e critica Peppone quando non va da Don Camillo.
– Cosa?
– Ora, hai esagerato. Sono stato calmo come una camomilla ma hai scassato di cosino. Scatto, e succederà un casino!
Fottiti!
– Chi vuoi fottere, tu?
– Cioè?

(Rumori di fondo… sul resto della vicenda non è dato sapere, infatti non ci sono né io e loro, e i poliziotti erano gli scolari).

Il cioè, sappiatelo, ha il suo non so che. Anche quelle cose spappolate in mezzo ai cosciotti.

Datevi a Scorsese, solo attraverso Martin potrete bere un Martini.

Abbiate fede. Il Tempo è dalla nostra, le donne da altri.

Jack Nicholson, il Diavolaccio, si disinteressa degli ebeti alla Matt Damon, e guarda un bel pornetto nello svacco che conosce il fatto suo…

Firmato il Genius
(Stefano Falotico)

  1. Re per una notte (1983)
    Pupkin, colui che non conosce la parola “Ridicolo”, perché vuol far ridere. A molti sembra patetico, a me pare contro la falsa etica e le etichette. Un Uomo commediante a cui “lo” buttan in tragedia, e poi gettan la sua “chiave”.“Tu sei fuori”, classica frase che vi sarà pronunciata da una ragazza con tanto di “laurea” dei boccoli (r)affinati alla Bocconi. Sì, Brigitta Boccoli, una che andava matta per i bocchini dei professorini “tromboni”.  Lei ballava, e l’insegnante la “educava” di palle.
    Per uno scambio di “conoscenze”, ove la donna offre i suoi frutti e lui la sfrutta.
  2. Fuori orario (1985)
    Che c’entra Griffin DunneLinda Fiorentino dovrebbe “dircela” lunga su come quelle come “lei” son Jade. Dai, fa lo stesso, mangiamoci una fiorentina “al sangue”.
    Il fegato si sta dissanguando poiché, poco nell’inguine, tanto a guairle.E abbiamo sempre più preoccupazioni, non ne “occupiamo”, e tanti guai ahi nient’affatto “Ah-ah!”, diremmo a fette. Quanto costa l’affettato? Ah, prima il prosciutto “veniva a poco”.
    Adesso, anche i salati!

    Basta, non sono un salame! Ehi tu, maiale, levami il “pollo” dalle tue mani.

  3. Quei bravi ragazzi (1990)
    Manovali, vite ovali, ottuse, gangster da strapazzo che impazziscono “facendosi” la lott(eri)a a vicenda.L’unica che riuscì a fare il grande passo fu Lorraine Bracco. Da moglie umiliata del Liotta, uno che però di ricotta la scottò parecchio, a psichiastra de I Soprano.

    Insomma, da un criminale vanesio a tanti vas(ett)i sopra il suo di-vano.

    Che “donna”. Mi ricorda tutte coloro che denunciarono Berlusconi e ora vanno da Travaglio.
    Mah.

    Non dobbiamo stupirci di nulla oramai. Ilaria D’Amico conduceva con Corrado Tedeschi e adesso s-puttana i politici, da ebrea, di “labbrone”, “vendicativa” contro le filosofie naziste dei gendarmi.

    Mah.

    Bisogna aggiungere altro?

  4. Casinò (1995)
    Nicky Santoro, il “braccio destro”. Ammazza uno, solo per una penna stilografica. Gliela pianta, violentissimo, nei pantaloni. Poi se li tirà giù con la moglie dell’amichetto e fanno tutti il “botto”.E tante botte a Nicky.
  5. Al di là della vita (1999)
    Un capolavoro ma il protagonista, Nicholas Coppola, non è credibile.Fa il “pietoso” con l’Arquette ma, nella vita reale, l’era di “pene”.
  6. Hugo Cabret (2011)Il Cinema è meglio di una “cena” da “adulti”. Cretini…
  7. The Departed. Il bene e il male (2006)
    Credetemi. Dov’è finita la mia testa? Era sulla “credenza”. Mi hanno “(s)cremato”.
 Sì! Ove c’è il nottambulismo, c’era una volta, quando (in)volai, “viola(to)” Scorsese Martin nel Credo or di mio “cerotto”

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