La morte di Frank Vincent m’induce a considerazioni addirittura sulla vita e la società

14 Sep

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Frank Vincent è morto. Ebbene, la sua prima parte davvero importante l’ebbe nel capolavoro indiscusso di Scorsese, Raging Bull, di cui estraggo un pezzo critico dalla recensione del dizionario Morandini…

è un violento film sulla violenza, in cui la boxe è un supporto per il ritratto di un uomo eccezionale sul ring, ma esemplare, nella sua normalità, in privato come prodotto avvelenato di una cultura, di un ambiente, di una società. Di questo mondo, fondato sulla violenza, Scorsese suggerisce la dimensione sociale di sfruttamento, mostrandone il funzionamento con acuta finezza.

Ma, come non ricordarlo in uno dei momenti più memorabili di Quei bravi ragazzi, quando provoca Pesci, rammemorandogli il suo umilissimo passato da “lustrascarpe?”.

Ebbene, Frank Vincent verrà ricordato, credo, soprattutto per quest’ultima parte. Da mafioso turbolento, dai tratti fisiognomici particolarissimi e una faccia da caratterista immenso, un volto che una volta codificato dal cervello non scordi più. E, proprio in “virtù” della sua immediata riconoscibilità, di questo ruolo, e riagganciandomi a Toro scatenato, mi sovviene questo pensiero… Si può sintetizzare una carriera e anche una vita in un “character?”. I cinefili forse non faranno così, ma gli spettatori pigri e superficiali certamente sì. Frank Vincent, “iconografia” dell’italoamericano criminale, anche se lui italoamericano non lo era, perché nato in Massachusetts. Ma in fondo, proprio per la sua tipicità fisica, indubbiamente, lo è, almeno per come è stato sfruttato dal Cinema. Pettinatura sempre “rigida” da siculo, viso meridionale, comportamenti da uomo di Little Italy. Guascone, burlone, cazzone, insomma il ritratto di molta Italia “bassa” ancora di oggi. Guardandolo nelle sue movenze, avevi l’impressione che fosse speculare al Jake LaMotta di Scorsese, un uomo “martirizzato” proprio dal suo DNA, schiacciato da una cultura italica della peggior specie e che, sicuramente, la domenica la passava con la FAMIGLIA a mangiare polpette “au sug’” o polpettone con le patate, scherzando con aneddoti “piccanti” e sguaiati sul tempo che passa.

Ecco, siamo tutti dei Frank Vincent. Fin da piccoli, sin dai primi vagiti, veniamo “schedati” dagli occhi degli altri che, piuttosto che esplorare le nostre profondità, quasi sempre si limitano a etichettarci per il nostro ruolo sociale nella vita. E ci soffocano in una dimensione da caratteristi. Molta gente fa così, la più stupida, quella che pensa che la vita sia appunto un reparto del supermarket, e che gli individui siano merce su cui affibbiare un prezzo, un “valore” figlio soltanto dell’apparenza più spicciola.

Frank Vincent, insomma, è per voi solo lo scagnozzo stronzo, che viene pestato a sangue, dei Goodfellas, un bravo guaglione…

Per alcuni, il sottoscritto, è solo un vaneggiante uomo con tanti grilli nella testa, abbastanza “minuscolo” nella realtà di tutti i santi, non sempre sani, giorni. Per altri solo uno scrittore gigantesco. Dipende dai punti di (s)vista. Da come si viene collocati dagli occhi che guardano…

 

di Stefano Falotico

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