Paul Thomas Anderson è il miglior regista del mondo? Un articolo che mi ha sconvolto, per quanto “qualcosa” possa ancora sconvolgermi

14 Dec

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Ebbene, su un sito chiamato The Vision, appare un articolo che non linko perché è capace che, dopo mille ingiurie che riceverà, forse, il suo autore farà pesante autocritica e lo cancellerà.

Non oso obiettare in materia di gusti cinematografici e neppure passare alle offese. Che Paul Thomas Anderson sia un grande regista, credo, sia cosa indubbia. Anche se io dubito che non abbia mai “sbagliato” un film. D’altronde, a me non piacciono i registi perfetti, quelli senza macchie, quelli che hanno sempre realizzato incontestabili capolavori. E, invero, secondo me Anderson ha girato grandi film, niente da dire, ma al momento nessun capolavoro assoluto. Ora, inveirete contro di me, sostenendo che Il Petroliere lo è. E io invece, non per far il bastian contrario ma perché la penso come lui, accordandomi a “qualcuno” che ebbe lo sfacciato coraggio di assegnargli solo due stellette, affermando che senza la prova di Day-Lewis il film non sarebbe così appassionante, certo, ne riconosco gli indubitabili pregi, la cura formale ai limiti del maniacale, l’atmosfera rarefatta d’altri tempi, un senso godibilissimo della malinconia più pregiata, il gioco attoriale seducente e perfino magnetico, la scarna essenzialità dello stile, a tratti quasi minimalista eppur accorata e sentita, ma fatico a definirlo un capolavoro. Vi sono anche delle pecche ma è un parere personale…

Non è questo il punto. Ognuno ha in auge l’Anderson che più gli va a genio, e certamente i pareri saranno dei più controversi all’uscita nelle sale italiane de Il filo nascosto.

Il punto è: perché per lodare ed elevar in trono un regista bisogna sacrificarne altri, addirittura denigrarli e allestire questi tristi, plebiscitari giochini su migliore e peggiore?

Al che leggo, inorridito, una boiata tremenda. Che lo Scorsese di The Irishman, assolutamente, non potrà essere quello magnifico di Quei bravi ragazzi. E che i “pestaggi collerici” di De Niro e Joe Pesci, da goodfellas, oggi che hanno più di settant’anni, non potranno essere gli stessi perché De Niro è (queste le sue testuali parole) la maschera sbiadita dell’attore che fu. E che lo sceneggiatore del nuovo lavoro di Scorsese (che è Steven Zaillian, sceneggiatore di Schindler’s List e autore di quel capodopera che è The Night Of) non può reggere il confronto con Nicholas Pileggi.

L’articolista va a parare, come i cavoli a merenda, anche su Spielberg, sul quale non ha tutti i torti ma l’arroganza con cui argomenta puzza lontano un miglio di boria, la boria più fintamente aristocratica e snob. E mi fermo qui per rispetto comunque della sua discutibilissima “opinione”.

Insomma, un’agiografia su Anderson, che sta in piedi a fatica. Smerdando chi non merita di essere trattato in questo modo cinico e, diciamolo, superficiale.

 

E rimembro nel pen(s)ar della mia stramba vita, pensando che sono cambiato ma forse neppure tanto. Tale già ero eppur, imbattendomi per strade contorte, il mio ondeggiante assaporar la vita alla Magnolia mi ha reso un uomo che, avendo memoria del passato, guarda con più discrezione al presente, ed è oculato prima di spararle grosse.

Sono un sarto amorevole, amante della verità.

E mi innamoro forse di donne estremamente piacenti come un film di Anderson ma che non hanno la verace sensualità di Scorsese.

 

di Stefano Falotico

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