Archive for January, 2018

Morì Darlanne Fluegel di C’era una volta in America e domani sera, ai Golden Globe, tifo De Niro!


06 Jan

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Eh sì, la cara Darlanne io la conosco bene. So che a molti il suo nome non dice e non disse nulla, ma io conosco il Cinema meglio delle tasche di Zio Paperone e le sue poche ma ottime interpretazioni, il suo viso sottile e nevrotico, la sua femminilità quasi “virile” son cos(c)e che mai scorderò. È morta a solo 64 anni, per l’Alzheimer, una forma precoce di Alzheimer che le diagnosticarono già negli anni novanta, quando di anni ne aveva decisamente meno, e che l’ha debilitata parecchio, tanto da far sì che se ne andasse angelicamente evanescente eppur in modo commovente. Invero, la notizia ufficiale è stata diramata solo un paio di giorni fa, ma era già deceduta lo scorso 15 Dicembre. Poi, i parenti hanno dato il triste, inevitabile annuncio. Ho letto che il suo ruolo più famoso è quello della femme fatale fidanzata del personaggio di De Niro in C’era una volta in America. Invero, questa è la versione “politicamente corretta”. Perché, se non ricordo male, e come potrei, nel film diventa la fidanzata di James Woods, e da De Niro invece viene “brutalizzata” quando lui e la sua combriccola di gangster rapinano il negozio di gioielli. Ah no, era Tuesday Weld. Scusate. Su questo film appunto memorabile, epocale, ne son state dette tante. E se Mereghetti è convinto che, nonostante tutto, non sia quel capolavoro assoluto che tutti dicono, perché a suo avviso è troppo “triviale” e, paradossalmente, non riesce a essere un’elegia romantica riuscita per la sua aridità (?) di sentimenti, per la secchezza irrisolta della psicologia dei suoi protagonisti, a tutt’oggi la definizione più pertinente è quella del compianto Morandini, perché Once Upon a Time in America è esattamente, splendidamente riassumibile nelle sue testuali parole: il presente non esiste: è una sfilata di fantasmi nello spazio incantato della memoria. Alle sconnessioni temporali corrispondono le dilatazioni dello spazio: con sapienti incastri tra esterni autentici ed esterni ricostruiti in teatro, Leone accompagna lo spettatore in un viaggio attraverso l’America metropolitana (e la storia del cinema su quell’America) che è reale e favoloso, archeologico e rituale. Sono spazi dilatati e trasfigurati dalla cinepresa; spazi anche sonori e musicali, riempiti dalla musica di E. Morricone e da motivi famosi: “Amapola”, “Summertime”, “Night and Day”, “Yesterday”. È un film di morte, iniquità, violenza, piombo, sangue, paura, amicizia virile, tradimenti. E di sesso. In questa fiaba di maschi violenti le donne sono maltrattate; la pulsione sessuale è legata all’analità, alla golosità, alla morte, soprattutto alla violenza. È l’America vista come un mondo di bambini. Piccolo gangster senza gloria, Noodles diventa vero protagonista nell’epilogo quando si rifiuta di uccidere l’ex amico Max. Soltanto allora, ormai vecchio, è diventato uomo.

Sì, è un film “sporco”, volgare, proustiano, misogino, irruento, immenso, e poco c’importa se De Niro/Noodles sia un uomo rozzo, pieno di contraddizioni, violento, carnale e poi eccezionalmente metafisico e, nel finale, purissimo e ambiguo. Proprio in quest’ambiguità consiste il fascino senza tempo di un masterpiece inscalfibile e titanico.

Ma, tornando alla Fluegel, io la ricorderò certamente anche per un altro capolavoro, il feroce Vivere e morire a Los Angeles di Friedkin, anche in quel caso nei panni di una bella pupa contesa dai due protagonisti.

Ed è stata anche la donna di Stallone in Sorvegliato speciale. La donna innamorata che rischia di essere violentata (un’altra volta!?) dalle guardie carcerarie aguzzine e che sosterrà da lontano, moralmente, quel Sylvester ingiustissimamente vessato e angariato dal tremendo, sadico Sutherland. Non un grande film, a dir il vero, ma Darlanne, sebbene compaia poco, è una presenza forte e di valore.

Ora, invece andiamo a parare nuovamente su De Niro. Domani è il favorito ai Golden Globe per la sua interpretazione di Bernie Madoff in Wizard of Lies. Una prova egregia, quieta, compassata ma al contempo carismatica e potente. Anche se, a ben vedere, chi meriterebbe davvero è il magnifico Kyle MacLachlan di Twin Peaks. Fra i due litiganti i “terzi” potrebbero fregarli, cioè Jude Law di The Young Pope ed Ewan McGregor di Fargo.

Di mio, sono un joker spesso malinconico, un’incarnazione del male, no, Mare dentro… e sono il globo d’oro delle mie emozioni dorate. Insomma, a-doratemi.

Non mi mostro molto in giro ma dovrebbero farmi santo, perché sono il più sano. Anche se spesso mento di lungo naso ma dico la verità incontrovertibile, e sono dunque sia mentitore che dei mie fan amabile mentore, ho una gran mente.

The Young Pope Darlanne Fluegel

 

di Stefano Falotico

Come gatti in tangenziale, siamo afflitti da queste macchiette alla Cortellesi e dalle benedette follie di Verdone


03 Jan

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Non me ne vogliate, in modo anche acceso e con estrema burbanza, da vero del Cinema amante, conservo il mio spirito birbante e per molte donne sono conturbantissimo, poiché il mio sguardo profondamente già in loro “invischiante” le rende turbate e io provo lo sturbo quando, essendo così “bellamente”, troppo sinceramente ammiccante e ammaliante, pecco di troppo esser loro scioccamente piccante e questo mio pormi in maniera troppo peccante mi rende d’offese inusitate travolto, sebbene esse ammettano che sia travolgente. Ma io rimango “evanescente” e loro in bianco di un “assorbente” che poteva inumidirsi in modo, diciamo, più corposamente “tangente”.

Da circa quindici anni a questa parte, c’è un’attrice, almeno lei sostiene di esserlo, e ciò già mi altera nel volerla insultare in maniera “esuberante”, che davvero, sì, mi turba. Ed è un turbamento assolutamente negativo. Ella risponde al nome di Paola Cortellesi, donna, o presunta tale, che riassume fisiognomicamente il concetto stesso di antipatia, sebbene a tantissimi risulti “molto” simpatica.

Appare indefessamente in ogni stronzata, si “trastulla” in maniera alimentare di film in filmetto senza vergogna, e ogni volta ripropone il suo campionario di smorfie e moine, battibeccando sempre con un partner che le regge la particina. Stavolta è toccato ad Albanese, e pare che questo film per cerebrolesi stia piacendo molto, tanto da aver raggiunto la vetta degli incassi del weekend, su cui un giorno scriverò un saggio “diagrammatico” per constatare, “prove” alla mano, che l’imbecillità del pubblico italiota medio non fa mai un passo in avanti. Dai all’italiano un piatto di spaghetti, un bel paio di tette e uno stipendietto da mezza calzetta, e lo Stivale rimane sempre superficiale e puttanesco, l’Italia è un borgataro che va a mignotte e poi, dopo i boc… i “finissimi”, ah ah, fa il saputello come fosse uscito dalla Bocconi.

Ma soprassediamo e lasciamo tal Paola alle sue pose “birichine”. Peraltro, si ostina a far la figa quando, senza trucco, è un cesso che non vorrebbe neanche un barbone incontinente…

Adesso, direi di spostare l’attenzione su un’altra macchietta vivente, Carlo Verdone. Lasciando stare i suoi esordi, davvero divertenti, in cui con gusto e puntiglio quasi antropologico ritraeva appunto macchiette del malcostume “folcloristico” nostrano, col tempo si è preso troppo sul serio e ora gira commediole finto-nevrotiche in cui, facendo ridere soltanto i romanacci più frustrati che lui stesso deride, ricicla sconsideratamente tutte le gag del passato, in film che non sono film ma sketch sciatti e banalotti incentrati sulle sue imbranataggini e sulla sua pelata canuta-tinta di pancetta munita su battutacce “stronzine”.

Siamo messi male.

An vedi…

Di mio, invece sono come Romeo, er gatto più bello der Colosseo! Ah ah!

Siamo afflitti da questi cani, mie oche!

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di Stefano Falotico

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