Ore 15:17 – Attacco al treno, recensione di Antisistema, utente di FilmTv

12 Feb

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Visto che porto l’avatar di questo mito del cinema, direi che è giunto il momento che parli finalmente di qualche film di Clint Eastwood, che a oggi volenti o nolenti resta il miglior regista vivente che ci sia ad Hollywood, nonostante gli sparuti detrattori che da American Sniper in poi stanno aumentando sempre più.

Con Ore 15:17 – Attacco al Treno, il regista conclude la trilogia filmica dedicata agli eroi recenti della storia americana; e tutto si può dire di quest’opera tranne che sia un brutto film come la gran parte della critica mondiale ignorante (in primis quella americana) vuole farci credere. Il massacro critico è presto spiegato, come i ben informati sanno, il signor Clint Eastwood sin dagli anni 50 è un sostenitore dichiarato del partito Repubblicano (è registrato come elettore), che ha sempre sostenuto in prima persona (anche con cospicui finanziamenti), e non da ultimo, ha dato il suo appoggio a Donald Trump. Ora da quando questo controverso presidente è riuscito a salire alla Casa Bianca, la reazione delle élite della cultura critica cinematogafica e di Hollywood è stata di totale chiusura verso questa novità. Tutto questo ha portato nell’ultimo anno a una repressione da parte della critica di tutti i film che non seguissero certi dettami come : il politicamente corretto, il femminismo, adeguata rappresentazione delle minoranze etniche, favore verso i diritti civili etc… in sostanza la solita solfa sterile di idee di sinistra… ma rigorosamente quella educata e “borghese” (chi spiega a questi geni che se non si raggiunge in primis una prequazione economica, i diritti che in astratto avrei non potrei ma farli valere nel concreto?). Il cinema di Hollywood oramai (quello impegnato in primis, ma anche il mainstream), sembra essersi ridotto per lo più a sterili spottoni di propaganda sulle pari opportunità e sui diritti civili affrontati in modo scolastico e con pensierini da terza elementare. Non dovrebbe stupire quindi che un regista, il cui cinema sin dagli anni 70 trae molta forza dalla rabbia, dall’insoddisfazione e dalla rappresentazione della lacerazione degli Stati Uniti, venga accolto molto male con questo film che non si preoccupa di seguire alcuna moda imperante del pensiero ed affronta in modo controverso la trattazione della materia in questione.

Affrontata questa doverosa premessa; c’è da dire che la trama è molto semplice e stringata, nonché nota poiché tratta da un fatto di cronaca molto recente e a cui è stato data ampio risalto.

Skarlatos, Stone e Sadler; sono tre ragazzi (i primi due sono anche militari in licenza) in vacanza nelle capitali europee che, durante un viaggio in treno verso Parigi, si troveranno loro malgrado ad affrontare e a sventare un attentato terroristico di un affiliato dell’ISIS.

 

Il film è semplice, schietto e diretto; questi tre giovani sono di forte ideologia Repubblicana e Clint Eastwood senza alcun timore reverenziale ce lo sbatte subito in faccia. Stringatezza e essenzialità nella narrazione della storia sono i due elementi cardini su cui si fonda quest’opera, che inizia dall’infanzia dei tre giovani per poi mostrarci di tanto in tanto dei flashforward dell’attentato al Treno del 21 Agosto 2015. Skarlatos, Stone e Sadler (Eastwood si focalizza specialmente sulla figura del secondo), sono tre giovani percepiti sin da piccoli come “anormali” e poco disciplinati. La loro vita è pura frustrazione per via di una società che punta a inculcare idee senza però spiegare il perché di esse (in primis i valori religiosi della scuola cristiana in cui i nostri tre ragazzini fanno parte). L’unico collante che li unisce è per assurdo la guerra… infatti passano lunghi pomeriggi a giocare a essa che, lungi però all’essere vista come demoniaca, è l’unico elemento che consente a questi tre ragazzini emarginati dal sistema di fare del cameratismo tra loro.

Come detto in precedenza, il cinema di Clint Eastwood sin dalle origini (e anche in veste puramente di attore) è cinema fatto di rabbia contro qualcosa o qualcuno… le istituzioni, i politici, la società, certe idee finto progressiste utopiche etc… ed Eastwood con quest’opera mette in piena luce tutto questo. Scegliendo di far interpretare il film ai veri protagonisti della vicenda reale, il regista cerca un’urgenza espressivo-formale che dei veri attori non avrebbero mai potuto dargli. Quello che la critica ha scambiato per appiattimento, semplificazione e inespressività degli attori, non è altro che la messa in scena della vita vera in tutto e per tutto. Per Eastwood i veri eroi non sono quelli che la Marvel ci vuole propinare con i suoi esseri fascisti di plastica e cartapesta, né gente dall’alta integrità morale e ideologica che spopolano in tanti biopic celebrativi (anche degli ultimi anni purtroppo); ma l’eroe per il regista è chi riesce a reagire immediatamente (anche incoscientemente) innanzi a un problema di grave entità e riesce ad affrontare in modo pragmatico quanto diretto tutti problemi della vita che sembrano volerti solo stendere. Interessante il discorso sull’immagine che il regista ultra-ottantenne riesce a compiere (e qua si collega alla TV di American Sniper che mostra le immagini dell’attentato alle Torri Gemelle) nella seconda parte di film molto criticata, dedita al turismo.

La vita di questi giovani e della loro generazione è fatta di immagini e indottrinamento tramite di esse. L’unico modo di potersi sentire qualcuno è replicare battute di film di scarso valore come quelle del Gladiatore nel Colosseo, oppure fare continui selfie (autoscatti) per condividere le proprie foto con gli altri… è l’immagine di sé che conta e non l’esperienza che si sta vivendo. In questo modo, questa generazione di esseri anonimi, pensa di poter uscire dalla massificazione egualitaria a cui sembra condannata, pensando di trovare la propria affermazione nel mare magnum della rete. Non a caso la regia, nella parte turistica del film, fa molto uso di stereotipi buttati in faccia allo spettatore e riprese tipiche da video condiviso da Instagram. Una generazione superficiale di americani che quando vanno in vacanza sono sempre i soliti cafoni (che poi per inciso, quando vado in vacanza, in un posto mai visto, vedo i monumenti, non è che vado nei luoghi quotidiani… sennò che viaggio a fare), che pensano che tutto ruoti intorno a loro e che la storia sia stata fatta da loro (un sapiente uso dell’ironia da parte della guida tedesca a Berlino fa capire che non è per niente così perché in effetti gli americani si prendono tutti i meriti, anche quelli che non sono i propri… come dire… se vi sono registi che pomposamente e didascalicamente celebrano gli Usa, il nostro vecchio Clint con una maestria da veterano demolisce il suo paese con una battuta politicamente scorretta).

In tutto questo vissuto normale di quotidianità vacanziera, il protagonista Stone ci dice ad un certo punto che forse pensa di poter essere destinato a qualcosa di più, ma è una riflessione giovanile superficiale, che viene subito derisa dal suo amico Sadler; ma la ripresa panoramica di Venezia fa capire come in realtà ognuno di noi, pur essendo interconnesso in un flusso vitale (in questo caso i calli di Venezia), cerca di trovare il modo di potersi realizzare uscendo da esso. A Eastwood non interessa il momento del treno, quello è un episodio che casualmente faceva parte del flusso della vita dei nostri tre amici e in cui, partendo da un semplice viaggio quotidiano, sono riusciti a salvare la vita a tante persone. Inoltre al regista non interessa minimamente creare momenti memorabili, perché tre amici che vanno in vacanza si comportano veramente così e non c’è bisogno di forzare l’espressività dei protagonisti, né di romanzare qualcosa dietro a questo viaggio e né di rendere il tutto artificioso con la recitazione di veri attori che, pur immedesimandosi nei veri protagonisti, non potranno mai far vivere la vera esperienza di quell’evento. In sostanza Clint Eastwood fa sembrare con questa sua scelta artistica invecchiati all’istante molti biopic contemporanei che puzzano di classicismo obsoleto, vecchio e stantio. Questi tre ragazzi (più un’altra persona) sono dei veri eroi; perché in quel preciso momento non c’era un’ideologia politica da difendere o quant’altro, ma si doveva solo agire e basta. Non c’è bisogno di approfondire il personaggio del terrorista di cui Eastwood sino all’ultimo non ci mostra il volto, poiché il pericolo è rappresentato da chiunque e ci passa accanto nella nostra vita e noi neanche ce ne accorgiamo (illuminante la scena del tizio di colore nel treno, e di fuori c’è il terrorista che tranquillamente cammina con il trolley). Un attentato sventato in modo secco, asciutto e senza retorica enfatica… realismo estremo e nessuna costruzione… non siamo assistendo alla recitazione, ma ciò che vediamo è un vero pezzo di vita. Il terrorista è solo un invasato che voleva fare una strage e saggiamente Eastwood non si addentra in una stupida quanto razzista critica contro i musulmani (l’ISIS viene citato di sfuggita da Skarlatoa in una conversazione internet… tutto viaggia verso il mare magnum della rete).

Che potrei aggiungere… l’ennesimo grande film di Clint Eastwood demolito da un’ignorante critica tesa a esaltare prodottini ordinari e demolire i veri film di qualità come questo… ce ne faremo una ragione e chi apprezza il vero cinema se lo saprà godere tranquillamente.

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