Posts Tagged ‘Carmelo Bene’

Carmelo Bene sosteneva che il genio fa quel che può, io “lo” sostengo che in quanto genio me la faccio… sotto e pure sopra


06 Sep

CarmeloBene

 

Stamattina, domenica settembrina, a distanza di una sola settimana dal mio trentaseiesimo compleanno, in preda a ormoni non sedati, vicino alla scrivania seduto, ho contattato di poco tatto una donna che, sinceramente, vorrei scoparmi. Senza “dare nell’occhio”, via chat di Facebook, le ho chiesto gentilmente se s’era svegliata a “gonfie vele”. Lei ha risposto di sì. Al che, sono andato giù p(r)es(s)ante, stimolandola ancora fra le lenzuola.

– Cara, avrei urgente, “ungente” (bi)sogno che tu mi mandassi un paio di foto di te (s)coperta. Si può fare? Dai, cara, anche se mi manca la “carta”… ho finito i (fazzo)letti.

– Come ti permetti? Son cos(c)e da chiedere a una damigella di prima mattina?

– Sì, chiedo questo e “altro”. Lo voglio in te al(a)to, “permeato”, “adombrato”, incuneato, “introiettato”, fottuto/a. Su, fammi… il piacere.

– Lurido! Io non mando foto nude al primo che capita! Capito? Caspita!

– Sono un lordo, non un lord. Lo(r)dalo! Sei pudica e invece dovre(st)i scoprirti in ogni sen(s)o.

– Fai schifo, merda! Vaffanculo!

– Ecco, è “lì” che vorrei andare. Mettiti a novanta. Sii il mio “van(t)o”. Il mio divano, il mio ano.

 

di Stefano Falotico

Il lavoro è un’afflizione, (ri)cor(datelo) in tem(p)i di ma(g)r(a)


20 Apr

Carmelo Bene lavoroTom Hanks il falò

Carmelo benizziamoci, uomini “benigni” che sbrodolate mielosi per la donna che, “leccante”, vi par(l)a il cul del vostro co(r)n(uto). Aveva ragion veduta Carmelo a shininghizzare il lavor’, “sghignazzando(lo), ché Kubrick sapeva quanto lavorar tutto il giorno rende Jack un triste figuro. Uomini “fighi” in (gi)acca e cravatta, siete ovattati nel mattino ha l’oro in bocca, e avete perso la fantasia labirintica dei bambinelli giocosi, siete oramai “(o)mici(di)” del vostro cagnolesco p(r)ender dalle labbra del “gentl” sesso che vi “lincia”, a sassate, ossessionandovi con la pagnotta per pene “dur(ature)” del fai “sem(pr)e” il tuo dover’.

Come Carmelo, sono un gen(io) e non oblitero il cartellino impiegatizio, non ho (bi)sogn(o) di entrar nei meccanismi incubatrici, che (in)cubo, carta-bollati del sis(te)ma sociale, terremotante e impedente-(in)dipendente la vostra libertà feconda, non gioconda di “gioghi”, eppur (in)castrata nel ma(ci)gno della catena di monta(ggio), ché farneticate di donne da sodomizzare e le prendete a “Calcio”, ossidandovi nel tribolato frust(r)arvi balistico di balle, ah, il pallone gonfiato, castigando l’uccellin’ spensierato del far quel che cazzo che vi piace. Volete esser “piacioni”, ma fatemi il piacere nel “popò”, come “sosteneva” Totò.

Nel falò delle mie vanità, non bevo “sborra” omologata e non poltrisco di birretta sul (di)vano, lustrando invece il mio fiero lettore dvd, comprato a poco (s)p(r)ezzo, gustando film d’ogni razza e religione, dalle americanate alle crude pellicole curde che, islamiche, irridon la vostra cur(i)a.

Poi, esco di ca(u)sa, recandomi in una gelateria ove succhio lo yogurt sciogliente del mio fe(ga)to (ri)bollente. Faccio sì, eh sì, che mi “permei” nel tubo digerente, assaggiando “esso” stes(s)o e (s)palmato la discesa nel vostro triste an(n)o. “Regredisco” a uno stato stupefacente d’infantilismo soddisfacente, senz’altri “stadi”, nel “me” (dis)facendomi del fatuo prender la vi(t)a così come (s)viene il f(l)a(u)to, fischiettandola allegramente con una van(itos)a fiaschetta non fi(ac)ca di vin’ nel dì del “darci” anche se le donne, qual danno, non me la daranno, poiché non ho danari e di “quello”, nel dire e il (non) fare c’è di mezzo il mare, son av(ar)o e sparviero del mio “usignolo” can(t)e(rino) fra voi, i basta(rdini). Siete da prender a bastonate, di b(r)isc(ol)a clandestina nel “rubamazzo” della “scopa”.

Sto scop(pi)ando!

E ancor scappo, senza vi(t)a di scampo(li).

 

di Stefano Falotico

Quand’ero matto, quand’ero De Niro, quand’ero m(ar)e, quand’ero e or non sono, sempre più insonne, pirandelliano, mi (s)maschero in mill’imbrunire del mio “bujo” eremitico d’eter(n)o…


07 Dec

Pirandellodi Stefano Falotico

Quand’ero un mucchio d’ossa, un vivente-troppo vissuto di lagrimante ossario in mai esser (s)lanciato, m’ottundeste lancinanti e, crud(el)i, mi “baciaste-bruciaste-basta(rdi)” in “soffici” carezze da lebbroso, “ebbrissimo” d’aspirata morte senz’aspirazioni, nel fango danzai da (ar)cigno cotto, m’aggrovigliai in (im)mutevoli, tanti miei mentali glossari in mezzo a un (fras)tuono chiassoso di tizi grassi e (mari)tozzi disossa(n)ti, cremosi e (s)cremanti, che cremini, cretino, dammi una cremina, anche una cret(in)a di Cremona, ai gorilla plagianti, preferisco la mia argilla, (em)arginatemi, che piaga, che pian(t)i, voi, i (ro)busti di tante false p(r)ose da al(i)ti senza la mia melanconica poesia, quand’ero euforico, rammaricato, abbattuto come le stagioni fredde più nordiche, più all’anima mia ancorata al no(do), quand’ero “storpio”, snodato, (im)mobile, stravaccato sul (di)vano a “tirarmela” senza le vostre vacche da vecchi, masturbato(rio), quando me ne sbattevo… in “tor(ni)o” senz’alcuna “attorno” e lo sc(r)oscio s’arrot(ol)ava in arro(s)tino stronzo, galleggiante fra un rischiar la gale(r)a dell’infinito naufragar in questo “mal” d’abitante di Marte imprigionato fra le (s)bar(r)e, mai nel doma(n)i quel che (non) potei “(s)pos(s)ato”, quand’arrancavo e m’arrangiavo, abbarbicavo e abbrustolivo nei pisolini del mio iellato pisellino impestato, scoreggiante di troppa pasta di “fagiuolo”, d’ieri “zampillante” come un (in)esistente illudermi di “erigerlo”, nev(v)e(ro), e (ri)sorgere sol(ar)e, invero crepuscolare d’agghiaccianti (tra)monti, miei (s)montati, me la “monto” da sol non LA/lo “DO(rmo), MI FA in un mio onesto (diapa)son, mi “vien” (nel) sonno, insomma, non siamo sommi, som(m)ari, io, rosato come un colorito mio sbiadito senza ros(s)e di ser(r)a e “brutto” tem(p)o non (di)spero ch’è meglio (non) esser un ribelle che (bela)re, questa è beltà di purezza, un “ero(e)”, nel mio eremo da mit(ic)o, quando (non) fui un De Niro, quando mi camuffavo, “buffo”, nel suo ne(r)o, quando nelle notti eteree, eternissime, in vol(t)o angelico, m’ergevo volante e v(i)olato dai già (in)consci viola(ti), in pallore treme(bo)ndo mi scurivo, ancor qui oscurato vi (ab)uso di (s)cure, mi trascuro, la mia bar(b)a è la noia sempiterna del mai sfoltirmi fra le vigliacche rasoiate della vi(t)a che (non) m’accetta, la(cri)ma del ma(rt)i(re), del mio mar(z)i(a)no, del mio matto da (s)legare, da voi (po)matato, fammi un pompino, son estinto(re) di (s)pompa(to), adombrato, ospedalizzato, da (ospi)zio, nel mio ludico, strafottente ozio, che schifo, oh, mio Dio, evviva Clint di Gran Torino…

Eastwood, nei boschi della città degli angeli o solo un mio (in)car(nat)o west da “cero” (in)viso una volta, che “C’era”, le vostre ce(r)n(it)e m’han beffato sotto i baffi, ancor non (s)vol(t)o, violo ove voi siete lì a strapazzarmi d’uova in quanto, non considerandomi uomo, farmi… (im)pazzi(re)… volete, combatter(vi), (non) vo(g)l(i)o! Volg(iam)o a Sud! Vongole, che siete voi, invece, a fanculo!

Domenica mattina, da mattino, cioè piccolo pazzo, esco presto, son ancor buio pest(at)o io stes(s)o, nella società non entro, mi penetrano, aspetto che un bar apra le serr(and)e di tal alba mia da cuore albino, da (dist)ratto in tal serraglio d’uomini puzzanti di (r)agli, tagliano d’a(si)ni, ancor, disancorato, mi brucia, non m’ardo d’arido nel lavorar come voi ché poi, nel sudar nei livori del “dur” non sognar di volare in quanto oberati da queste f(at)iche (di)sp(r)ezzanti, sempre a violarveli da indiavolati poco volanti, v’angosciate per un par de palle, di gambe(ri) e pantaloni sc(r)oscianti da (p)aia di “pol(l)i” che “la” guardan solo in notti in bianco mai (s)fumate di mio non (t)rombarvi appunt(it)o nel ner di ciglia eppur m’acciglio sbiancato, latte(o), mirando la vi(t)a lattea, malinconico per troppe letture e pochi (di)letti, te(tta) che cazzo vuoi, te lo inzuppo poco inglese in “pen” di Spagn(ol)a, fa(i) “venir” la “sciolta”, io, (s)consolato da donne diarreiche, acide come le lor anoressiche da insalata, perché pen(s)an di dimagrire sol, ma quale Sole, per (dis)piacere ad ignoranti (rab)bui(anti) che non conoscono il lessico delle vere cos(ci)e, bensì così fan tutte di bue… Si professan buo(n)i. Alle ginocchia…, questi da (g)nocche mie rotte, (e)ruttate. (Vulc)ano!

Io, masochistico, mastico, da mastino mi faccio da sol(id)o, senza “liquidi”, io e “lui”, mio amico di braccio destro, anche sinistro se me la sparo (s)tor(t)o su ambo i lati, sognandola avanti e (di)dietro, di-sper(m)a senza il “voi” che “liquidate”. Datemi (del) lei. Ancora iella. Ossobuco.

Son losco, liscio, tutto… lasci(v)o. Rosico, rustico son la tua ostia, mangiati le o(stri)che.

Fumo, la f(r)onte aggrotto, la spengo, spergiuro e bestemmio in mezzo a voi, le bestie che ve “la” (s)tirate.

(S)tiro, stizzito, strozzato, m’intirizzite, m’azzittite, zi(tell)e, che stizza, non son tozzo, non ce l’ho “tosto” qui, donn(ett)a da quacquaraquà, nella mia in bocc(ucci)a t’inumidisco al bagno di Ave Maria, crocifiss(at)o perché io vergine e tu Maddalena, ma dai, non te lo do, e a te “viene” però l’acquolina.

Sei una baccalà, non te lo beccherai “lì”.

Acquetta, sciacquette, fuoco, Mangiafoco, fuochino, fuocherello, facciamo un falò… (Pin)occhio! Cazzo!

M’avete incendiato, sommerso, eppur, immerso, son immenso, mangio alla mensa da (di)messo, non vado a messa(line), voi andate a troie e le portate in un trattoria d’asporto, con tanto di vostri (ri)porti…

Meglio il barbone…

Pizze in faccia da culo alla marinara, un po’ d’acciughe, io rimango all’asciutto, (t)remando, fa freddo e non forn(ic)o di mio “riso” in b(i)anc(hissim)o (di)strutto, rotto, fra questi vostri rutti da (s)truzzi, anatra all’arancia… meccanica, son ca(r)ne alla pizzaiola, donna lupa, donna “uvetta”, furbina, dunque volpona, nella fav(ol)a di fungo ti avveleno, che fig(liett)a di puttana, mi magna di strafogo, non la cago di Fuca, è “tonna” che mette le mie olive su (non) lievito di “sborra”, aborro le birre, vado a dormir nella bar(r)a da c(i)occo(lato), cammino nei ciottolati bagnati, lontanissimo da questo vostro an(n)o afoso ed è “tutto” uno (stra)colmo d’umidità, m’acchiocciolate in (for)mica di minchia. Qualcosa mi manca, forse (il) man(i)co. Meglio le mie cornee, comunque, alle cornute.

Stracciatemi, stracciatella!

Mangio.

(In)sorgerò?!

Basta col Sole. Meglio il mio mon(a)co da saio, da san(t)o, basta con le finte suore. Malati/o di men(te). Quante menate!

Rimasto al s(u)olo, vivo d’assioli, nel mio “asilo”, asini, non rabbonitemi, non son un buono, quanto buio vuoi, non son bono, bov(ar)i.

Non son fine perché non fin(t)o, donna, “fingi”.

Affinati e “affinatelo”. Ché ti sia una fig(li)a come te, “(r)affinata” soltanto per il cazzone. Meglio i miei calzini.

Di mio, rimango di capra, di “pelato”, son crapa tosta, coi testicoli senza testa, non mi fan la coda, son un codino, non datemi, conigli, neppur un con(s)iglio, sotto la panca, io crepo, meglio di te, con la panza piena, ché mi fai pena, di vita non crepi(ti), anche se di pene “le” vuoi “bene”, meglio Carmelo alle “mele”, Carmelo fa ma(ia)le.

Miei merli, son uomo “mero”, miei cammelli, fumiamoci una Camel.

Questa vita lor da miel(os)e non fa… per noi, uomini a-mari da Marlboro.

Siam carbonai, facciamoci una carbonara…

Collodi!

Mica con lode!

 

Italia. La tagliamo? Sei al Verdone?


08 Nov

Verdone

Italia, paese di stolti, di moralisti bigotti, di tediosi innamorati delle stelle, sempre a predicar amori che poi non sentono neppure, ove tutti, vigliacchi, parlan “nobilmente”, sai che elevatezza possan (non) esser le chiacchiere, si riempion la bocca di grandi temi e poi si spaventano se un “uccello” entra nei loro nidi. I (lo)culi parati del parlare, sono i primi a spar(l)are, a nascondersi, bravi sempre ad applaudire le forze virili e invero son vili, villici, voglion sol la villa e si definiscon fini. Son finti. Vedi ragazzi che prendono in giro i lor coetanei da lor reputati deboli e poi si fan fotografare come dei pallosi scemotti assieme a cretinette, belle e b(r)ave quando son le loro, sceme e o(r)che appunto se son del prossimo. E sono stufo di questa schifosa ipocrisia. Orchi, ecco il mio Pollicino giù a voi che siete “brillanti” a raccontar panz(an)e, a far di fe(li)ci questa (s)contentezza così (in)visibile.

Bile!

Italia, paese di mafiosi. I mafiosi migliori son quelli che almeno hanno il coraggio di esserlo. Come diceva Carmelo Bene, questa nostra Italietta è piccola pure nel crimine. Non abbiamo neanche criminali rispettabili. Pure questi son impauriti dalle lor stesse timidezze “(in)dotte”, da una “dottrina” figlia della Chiesa cattolica più vetusta, son imprigionati, ancor prima del carcere, da delle assurde, grottesche, beffarde paure generate da anni e anni di valori falsi come la fottuta dignità, il rispetto, la “devozione”, la “credenza” e la cazzo di reputazione. Sì, perfino i criminali, anzi, soprattutto loro per primi, cascan nella trappola delle apparenze, del sentirsi giudicati da una mentalità che li ha resi criminali ma a cui abdicano, confessando spudoratamente, in modo disgustoso, ingiusto appunto, di esser stati… schiavi d’un sistema che li ha resi ridicolmente n questo “Stato” di cos(c)e.

(S)battuti da un’Italia che (se ne) sbatte, che urla sempre alla lotta in piazza, che poi pen(s)a sol alle pazze “gioie” del vivi e lascia vivere, del “stai tranquillo”, di un’Italia che non può cambiare. Ove le coscienze più lucide saranno annerite e (ar)rese… spente dai “fioretti”, dalle roselline, dal “Com’è buono il pane e sei un pezzo dolce di figa e, di pene, mi fai penar’, vorrei fornicarti, infornartelo ma (li)evito di voler la tua capricciosa, altrimenti mi darai una pizza in faccia, andiam a ballar’ di pizzi e fichi, guarda che merl(ett)o”.

Ove tutti gridan al prossimo “Sei una merda!” e poi non puliscono non solo il loro water quando cagano ma nemmeno la putrescenza degli escrementi fatta come ca(r)ne in scatola catodica della tvNevvero? Alla Rai, danno il Carosello, dai, cara, “carezzami” ché su La7 quella giornalista, sullo sgabello, mi sta “spronando” al “comunismo”. Sì, usa la tua “penna” e rendiamo questa serata noiosa un “tailleur” su labbra (ri)fatte. Un(g)iamoci di martellino. Voglio falciarti.

Prendi il (tele)comando dello “zapping”, cambiamo canale di “scolo”, avanti-dietro, non danno nulla, dammela, preferisci prima far “zip”, o guardiamo i “preliminari” di Champions League? La Juventus gioca con i te(de)schi, gli Agnelli son leoni e buona visione in bianco e nero da zebre. Senza sfumature, Messi ha fatto un goal facile, stavolta non è stato “fantasista”. Ancora a lui il Pallone d’oro? Che palle! E Ronaldo scopò la Fico prima o dopo che quel “negro” le desse un mulatto? Crescerà benissimo il bimbo, con una che allatta così. Sì, pelle, Balotelli, Pelé e beccati questo calcio in culo.

Spagna o Francia, aspetterete sempre il “mondiale”.

Di gran (tri)co(lo)ri.

Di mio, preferisco Bianco, rosso e Verdone.

In che senso?

Nel senso che sono un genio e, “caro” tonto, ti posso piglia’ pel cu(cu)lo quando e come voglio.

Te possino!

 

di Stefano Falotico

 

 

Il filibustiere


15 Mar

Il genio di John Belushi

In suo onore, scrivo ciò…

di Stefano Falotico

Scrivo a una che vorrei e lei mi vuole. Sì, uccidere. Ma me ne fotto e insisto perché amo gli omicidi esagerati addosso a me.

Ciao, sei grande per me e credo abbiamo poco da condividere, siamo effettivamente agli antipodi.

Smentiscimi, ne andrei fiero di piacere enorme.

Sono uno scrittore e poeta, anche se le mie foto forse contraddicono quanto dico, perché esuberanti di clownesca apparenza. Invero, come tutti i pagliacci, sono enormemente malinconico. Ho da capire se è un bene, un male, un godimento masochistico, un sadismo che mi perpetro, spero di penetrarti, ops, scusa, sì, lo vorrei ma un’amicizia è meglio, dai su.

Optò per una presa per il culo. E fu presa di ottimi glutei.

 

Lolita, Lol! Facciamo jo-jo con dell’olio, sì, sarai la mia esotica Yoko Ono

Antico indovinello del panchinaro: – Come si chiama il calciatore con la maglia tredici della squadra nazionale nipponica?

La risposta è: ioco poco ma ioco.

Sì, ho sempre amato lo yogurt, per questo ingrasso di acido valproico e non mi mettono in campo, e sono carente di proteine all’uccello giocante fra le mutande in modo personalmente tirante da falotico, in minuscolo, anche se muscoloso, in quanto qui non usato come cognome ma come aggettivo in senso sfig(ur)ato. Al che, mi allatto e mi rendo esangue lì in mezzo, eppur è un “salame”. Faccio la trasfusione dopo la montata lattea e mi misuran la pressione. Sì, ho svalvolato di troppo cuore matto innamorato. I miei globuli rossi han assunto un colorito pallido per colpa del troppo scopare lardo, e così le gambe mi allargano per ficcarmi un deposito di sedativo nel culo, a mo’ di castrare temporaneamente quel che, davanti, dunque didietro, le tampona. La mortadella cruda…

Dopo tal trattamento (de)stabilizzante, i medici si accorgono che mi tira ancora non poco. L’infermiera, anzi, in assenza del medico, se lo imbocca tutto e, di respirazione bocca-bocca, fa sì che il mio trabocchi, poi deglutisce dopo avermi dato un gluteo di ottimo nutrimento.

Ricordate: anche se lo prendi in quel posto per un po’, quindi nel popò, la vita va sempre a parare lì, ed è un gioco inchiappettante a vicenda.

Sostanzialmente, a parte il romanzar divertente, io lo prendo là e basta. Ora, scusate, devo andar a bere una limonata.

E vaffanculo a mammata!

Lolita che c’entra? Braccio di Ferro sapeva… ah, ma quella era Olivia.

Sì, che sia Nabokov, Kubrick o un cartone animato, le bambine son delle puttane.

Spronano il maschio all’irriducibile.

E poi succedon i casini.

E John Lennon? Non è mai valso un cazzo. Diciamocelo.

A “Yellow Submarine” ho sempre preferito la repubblica di San Marino.

E su tale stronzata vi lascio pensare a come la mia vita, annacquandosi, anche fra le donne simil meduse, sia andata a mare.

Il Cinema odierno si sta “adattando” alla nuova carne: specchio (ir)reale di speculare “evoluzione”

Della putrefazione della società “moderna” e delle decomposizioni neuronali di tal umanità “bella” da Facebook, presto morta(della) dentro ad agonizzare straziandosi nel pianto della vera bellezza da lor vilmente deturpata


Assisto a quest’uniforme morte che avanza a frotte. E la gente continua, mascherata da lavori “intonsi”, soprattutto di finzione alle lor anime, a raccontar frottolone.

Meglio io che, alla luce pura del Sole, guardando simpatiche compagnie canaglie e cariate d’idioti che sperano, andando a scuola, di aver domani un futuro luminoso, che invece sarà pieno di apprensioni, piatti da lavare e soltanto mobbing del direttore, per cui, inculati a sangue, si consoleranno una volta “al chilo” con un’Escort-concubina culona raccattata in qualche chat delle passabili-passive racchie internettiane della svendita del mercatino sudato di massa(ie), sto qui, sbuffando in faccia a tutti, battendo un’orgogliosa fiacca da chi mai sfacchinerà per du’ lire e svuotar le “olivine” a mo’ consolatorio dello sfogo “virile”, premendo invece le mie meningi su chi piglia per il culo i bimbi-minchia quando invece dovrebbe preoccuparsi di far volar solo il lor cotanto, sì in contanti di pagarle appunto e “a puntino”, uccello “intellettuale”, abolendo tal termine obbrobrioso con idolatria di me nel sorvolarvi e mummificarmi con malinconia di classe. Perché io sono lo scorbut(ic)o a questi lebbrosi che si credono amabilmente carnosi, sì, son degli antropomorfi con escrescenze del trucco (dis)gustoso, son il condimento alle ragazze con le cotte che rimprovero con indifferente sputar loro in quelle che saran prostitute, come ho già (s)piegato nel lor procedere di “catena alimentare”, da bocche di rosa. E, fumando il bocchino della mia pip(p)a, do poi un calcio nelle palle a quello che va in palestra, ché spera, e sta(rà) invece al fresco, di rinforzarselo col bilanciere. Piatto piange in sua testa nonostante il sollevato p(r)eso. Deve solo lavorare come quel negro che con lui in cella “verrà” a spappolarglielo…

Quindi, passa una donna d’accatto e con far quatto le strappo la sottana nel denudarla sinceramente.
Anche senza sottana, sotto il vestito non c’era niente già prima e si vedeva, e lei lo sapeva.

Sì, l’ho sconfessata nella sua (ig)nobile nudità. Perché amo il pene al pane e il vino all’uomo vero. Se senza peli la tua lingua deve (t)essere, allora che sia la vita depilata. E basta con questi pilates! Ché poi gli uomini, troppo eccitati dai culi torniti, fan impazzir gli ormoni e cascano i capelli, da cui appunto i pel(at)i sul lavandino. Ad asciugar le ferite delle ragadi nel cranio sbattuto. Meglio, fidatevi, il buon vecchio uovo strapazzato al tegamino. Altro che questi uomini a forma di uova dal fisico a pere che agognano di gonne. Guarda come dondola(no)!
Senza cazzi, infingimenti, fighe false e soldi contraffatti, io so(n) quel che dico e vi avverto. Prima che possiate saperlo, miei finti sapientoni, sarete già nel cesso del de profundis. E lì la merda profuma di funerale sociale. Ah, come l’evacuo io neanche un peto sano. Una petizione, insomma, miei petomani ripetenti, mie schifezze.

Così, finisce un’altra giornata. Sta chiudendo anche il giornalaio. “Il Sole 24 Ore” non lo legge più nessuno. Fanno bene, in buona sostanza. Scrivono su quella testa(ta) di cazzo solo per gli affaristi delle palle loro. Così, compro il poster di von Trier e l’appiccico sulla vetrina del cartolaio davanti. Mi denunciano per scandalo affisso in bella vista. Al che, li osservo sconsolati e mi chiedo di cosa si scandalizzino se, in verità, son loro la ninfomania.
Comunque sia, la mia è stata una bella vita.

Molte donne, vedendomi sul moscio, mi suggeriscono di rinforzare il busto così le donne, appunto, mi faranno il filo. Rispondo che non ne ho bisogno. Anche perché sono un filibustiere.

Adocchio una donna che non è male e mi avvicino con passo felpato, sì, indosso il felpino, per amicarmela. Con enorme charme e classe di maglietta già da togliere, le porgo questo in modo diretto, sperando nel dritto vincente: mi inorgoglirebbe averti come amica, anche perché intanto porrei le basi per quel che potrebbe divenire, spero dur(atur)o.

Rinomato sono in vanto mio dai giochi di parole funambolici, alla base del conoscitivo malessere che in me vive e vegetale son spesso, in quanto oltre da permettermi il rilassamento ormonale e anche altro, parsimonioso di tempie, bello di pelo irto, ipocondriaco di ululati sobri come la mia pelle da carezzar per ore. Ignoto sono e di notte vado perforante.

Rec-Genius


21 Oct

 

Qui troverete, in ordine sparso e dunque cronologico, alcune delle migliori recensioni della mente del Genius, cioè soltanto due con un assaggio della terza, com’è consuetudine del “Non c’è due senza tre”.
Le chiameremo le Rec-Genius. Due pillolette, così!

 

 

Prego, accomodatevi…
Pinocchio di Roberto Benigni… Un capolavoro, sì, bestemmio, lo è.

 

 

Ghost World di Terry Zwigoff… Perfetta ri-costruzione di un periodo.

 

Ah, Pinocchio..

La storia di Benigni, la storia di un Uomo in fuga dalla famiglia, nucleo ammorbante e distruttivo delle pulsioni, in fuga dalle istituzioni, quella burocrazia che mortifica la soggettività in sviluppo, in fuga dalle responsabilità e dai doveri, in fuga forse da se stesso e dal suo sembiante, un burattino stralunato e giocoso a cui gli altri non riescono ad associare un volto adulto ma solo una figura scissa a metà fra l’essere e il non essere. La storia di un Uomo furbo che sa cavarsi d’impaccio dai Mangiaf(u)oco grassi e giaculatori (Giuliano Ferrara?), la storia di un Uomo combattuto fra il calore affettuoso delle origini umili ma osteggiato dalla sua incontenibile ansietà di divenire e crescere, la storia di un Uomo che è stato tentato dal vizio e dal rischio ma che ha scelto comodamente il compromesso (equilibrata qualità senza disdegnare il pubblico dei soldoni facili). Pinocchio è Lui, il film è solo un pretesto per raccontarci la sua anima, la sua ombra, quel ricordo di ciò che avremmo voluto essere ma che purtroppo non possiamo essere. Siamo solo esseri “normali”  con le nostre peculiarità. E Lui, nel bene e nel male, è Roberto Benigni.

12 ottobre 2002, 00:55 (sì, mi piace ricordar l’esatto momento in cui, tale, la memorizzai nel Net).

 

 

Ghostizziamoci…

Ghost World. In tanto piattume contemporaneo, ecco un film che spacca. Ghost World, il Mondo fantasma, il Mondo lobotomizzato di anonime identità, di asettici blockbuster e commessi annoiati, di punk nichilisti di lebowskiana memoria, di stucchevoli padri prodighi di consigli, di un’adolescenza frustata dai logos degli adulti, l’abominio dei compromessi, delle scelte indotte, della caduta libera senza ricevuta di ritorno in una tela fatta di villette a schiera e giardini tinta unita. Le uniche ancore di salvezza sono la musica, l’alienazione contagiosa di un “perfetto cretino”, uno che ha visto lungo, uno che non vuole perdere la memoria, uno che colleziona farmmenti pop del passato per colorire la sua spenta esistenza, un uomo con le palle senza una Donna!!! Le panchine e i vecchi rimpianti, l’autobus scivola via nella Notte, e almeno per un attimo ci (s’)illude che domani saremo in un mondo migliore. Cult.

22 novembre 2002, 21:03 (leggasi, il “promemoria” sopra, vale lo stesso discorso d’anni scorsi, non ancora trascorsi).

 

 

Chi vince fra questi grown up?

Il “bambin” Benigni o l’ancor “bimba” Scarlett “birchata?”.

 

   A giudicar da come l’han pompata, s’è “impoppita” bene “la” Johansson…
Vedere per credere, e per “toccare”.

 

 

Sì, di fronte a cotanto ben di Dio, ecco la “recensione” del terzo film, il mio, intitolato Storia d’un fedifrago.
Trama: un Uomo scalzo, si rende francescano e, ad Assisi, incontra la monaca di Monza. Riscoprirà la zona rodriga della figa, promettendosi a Lei in “sposo“.
Fine. Pellicola avvincente d’un “vinto” che banchettò nelle sue mutande “al vino”. Oseremmo dire… capolavoro imperdibile.

Se Carmelo Bene si “pinocchiò”, il Falotico si “burattinizzò!”.

 

 

Eh sì… non vi son dubbi nel “naso”.

 

 

 

Firmato il Genius

 

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